「29/09/1864」

15.

Per circa due settimane la sua vita si era svolta in giro tra i vicoletti di Parigi, dove non poteva neanche trovare un pacchetto di sigarette da consumare per lo stress della situazione: il proprio si era tutto annacquato dopo la tempesta a cielo aperto del primo giorno. Era ufficialmente in crisi, non aveva nulla da mangiare e le uniche cose che trovava erano gli avanzi di qualche taverna che andava a rubare celermente, prima che qualcuno se ne potesse accorgere.
Un brontolio.
Due brontolii. Vide il lerciume davanti a lui e distolse gli occhi, appoggiando la testa ad un muro e lasciando cadere la valigia, non curando che in questo modo l'aveva fatta aprire, e scivolò con la schiena verso terra, sedendosi e stringendo le gambe al petto.

Girò il capo verso destra, dove aveva fatto cadere tutte le sue cose. Una stilografica era finita fuori dalla valigia: la contemplò per qualche secondo prima di allungare le dita per afferrarla.
Forse avrebbe dovuto scrivere di quel luogo, delle sue frustrazioni, di quanto fosse raccapricciante stare lì e vivere come un barbone. Non l'avrebbe mai detto che sarebbe finito in quella maniera, qualche mese prima.

Se avesse controllato le sue scelte, se fosse rimasto lì, sul Montmartre, quando quella sera si era addormentato al fianco di Taehyung, nel momento in cui le loro dita si erano toccate e nessuno le aveva ritratte, troppo intenti ad ascoltare la ninna nanna delle stelle!
Se fosse rimasto lì, il tempo si sarebbe fermato una volta per tutte, doveva solo volerci rimanere.
Incredibilmente, al pensiero di Taehyung, colui che gli aveva offerto la possibilità di salvarsi, si vergognò, avvertendo il contrasto tra la sua sincerità e le proprie menzogne.

Chissà se un giorno si sarebbero mai rincontrati.

Con Jimin era diverso: quel biondo per lui era diventato ormai un semplice strumento, come una leva per il successo da utilizzare nel momento adatto, da cui però non si presentava da quando era stato cacciato di casa. Chissà come si era sentito, non avendolo visto più tornare.
Forse come si era sentito Taehyung quando lui non l'aveva più visto arrivare sulla loro collina.

Alla fine prese la stilografica tra le dita nere e con sporco anche nelle cuticole, e la fece rigirare rigirare osservando i molteplici fogli, alcuni dei quali erano finiti sulla strada lercia. Che schifo. Chiuse la valigia con tutti i fogli sani ma tenne uno per sé. La prese e la mise sulle gambe, usandola come uno scrittoio, dove mise il foglio e vi poggiò la punta del pennino sopra, dopo averla intinta dentro il calamaio, che fortunatamente era chiuso bene e non si era mai aperto durante tutti quei giorni. Il suo pugno tremava.

Taverna

In quella taverna lì dietro,
ho visto un bel cagnetto
in cerca di cibo,
mi sento quel cagnetto.

Si lasciò sfuggire una risata, accartocciando il foglio e buttandolo in un luogo indefinito, bastava che fosse lontano da lui.
«Ma per favore, chi me lo fa fare.»
Insomma, era terribile, non aveva idee, né emozioni, né una dannatissima casa dove abitare, né dei vestiti.

Riaprì la valigia e fece cadere tutti i fogli per terra, senza ripensamento. Magari si sarebbe pentito in futuro, ma d'altronde era diventata quotidiano pentirsi delle proprie scelte. Prese il calamaio e ci versò sopra tutto l'inchiostro, sporcando tutti i fogli in superficie. Gettò la boccetta, mentre si tenne la stilografica dentro al taschino della propria giacca. Si guardò attorno, alla ricerca di un paio di legnetti che potessero aiutarlo a completare l'opera e, una volta trovati ad un angolino, li sfregò tra di loro animatamente per qualche minuto, fino a che non si creò una scintilla, la quale fece illuminare la base di un legnetto. Lo lanciò tra i fogli, dopo essersi allontanato di qualche metro, lasciando che essi prendessero fuoco.
Si girò su se stesso, assicurando di tenere la valigia ormai vuota con sé, e lasciò quel rogo incustodito, desideroso di ritornare a chiedere pietà dall'unico che avrebbe potuto usare senza che se ne accorgesse.


Parigi, dalle foglie già in procinto di seccarsi, aveva un aria malinconica, la stessa di quell'edificio infuocato lasciato alle sue spalle.
Divenne nero per tutta la facciata, ma Jungkook lasciò le lingue rossastre lottare in lontananza, poco curante di coloro che dormivano beatamente nelle loro camere.

Sporco come un topo di fogna, camminò sotto gli occhi nauseati delle donne in ampia gonnella e copricapo a braccetto del loro marito, lasciando le impronte scure delle proprie scarpe sulla strada, tenendo le mani nella tasca. Ci fu un repentino distacco dall'ambiente comune alle case nobiliari, riccamente evidenziate dalle siepi curate, dai bei lampioni e dalle facciate sempre pulite.
Una volta giunto alla sua destinazione, bussò un paio di volte, sperando che Jimin fosse in casa.

Rimase col pugno a mezz'aria, quando la figura attesa si decise a mostrarsi dopo vari minuti in cui Jungkook era rimasto ad attendere.
I suoi capelli erano umidi, avvolti da un asciugamano: evidentemente l'aveva interrotto nel rilassante momento del bagno. Indossava, infatti, una vestaglia di buona fattura che gli lasciava scoperto il petto ricolmo di stille.

«Jungkook, ma che ti è successo?» chiese il ragazzo inorridito, spostando gli occhi dalla testa fino ai piedi di Kook, notando il suo volto imbrattato, i suoi capelli spettinati, il cappotto unto, le scarpe un po' rotte e la valigia maltrattata e graffiata. «Sembri esserti rotolato tra i rifiuti.» si avvicinò a lui, annusandolo senza imbarazzo e dubito dopo si portò una mano al naso, tappandolo «Ma che diamine, Jungkook, sembra che non ti lavi da giorni.»
Il più giovane si morse il labbro, rimanendo fermo sul posto, scettico se entrare o meno.

«È un periodo un po' difficile... insomma.»
«Non sono un indovino, ma sembri un senzatetto: ti hanno buttato fuori casa?»
Jungkook annuì, grato che avesse subito compreso la situazione. Abbassò nuovamente gli occhi verso terra: un imbarazzo genuino che fece sorridere Jimin e lo spinse ad aprire maggiormente la porta d'ingresso, porta a cui Jungkook non ci aveva mai fatto ben attenzione, prima di allora.

«Va bene dai, entra. Sarei il Diavolo in persona se ti vietassi di andare almeno a lavarti.»

Jungkook sgranò gli occhi e schiuse la bocca, sorpreso dal gesto caritatevole di Jimin, che, appena gli lasciò spazio per entrare, sorpassò senza alcun indugio, correndo dentro casa alla ricerca di un po' di riparo.
Erano state molteplici le volte in cui aveva visto casa di Jimin, circa una quindicina; tuttavia il bruno non si era mai realmente accorto di come fosse fatta casa dell'altro.

Appena entrato, alzò lo sguardo verso il soffitto, notando un piccolo lampadario in cristallo, illuminato dalle lampadine di nuova generazione. Proprio davanti all'ingresso c'era la rampa di scale, che portava al piano di sopra: il muro, di un verde oliva, era caratterizzato da una boiserie in legno di ciliegio, utilizzato anche per il pavimento in parquet, il corrimano e il parapetto della scalinata.
Sul muro c'erano elementi decorativi in beige, che davano colore e luce, ben visibili grazie ai lumi a piantana posti sul pianerottolo. Per terra era posto un tappeto, identificabile come persiano dato il molteplice utilizzo di elementi naturali per decorare il rosso carminio dello sfondo e l'inconfondibile tratto riconducibile al Paese in questione.

Girò il capo verso destra e poi verso sinistra, notando le stanze con le luci spente, ma che da fuori parevano realmente ampie: la prima era un salone con dei divani dal colore indefinito e con qualche comò, di cui uno di essi aveva un ampio vaso posato sopra, mentre la seconda era chiaramente una sala da pranzo con un lungo tavolo probabilmente decorato da qualche centrino e da qualche candelabro. Ritornò con gli occhi sull'ingresso, concentrandosi sulla figura di Jimin e rendendosi finalmente conto in che modo si sia presentato alla porta: i capelli biondi erano umidi, la pelle del collo aveva qualche gocciolina di vapore sui lati e le gote erano rosse, la vestaglia rosso carminio che gli arrivava fino ai piedi e delle ciabatte color cammello.
Lui alzò un sopracciglio non appena si rese conto che Jungkook lo stava fissando, aspettando che uscisse da quella trance.

«Jimin io-»
Lo interruppe, togliendogli la valigia vuota dalle dita.
«Dovresti solo darmi il tempo di cambiarmi.»

Jungkook annuì, osservandolo in tutti i suoi movimenti, ognuno di essi che comprendeva la propria mano destra che teneva ben salda la vestaglia in modo da non farla aprire: prima si diresse verso il salone, alla destra, dove poggiò l'inutile oggetto per terra, sulla porta, poi tornò nell'ingresso e gli fece cenno di seguirlo di sopra.

Timidamente il bruno fece qualche passettino, incerto nel credere se la buona azione a lui offerta fosse reale oppure frutto della sua immaginazione.
Immaginazione come quella meravigliosa casa che aveva davanti agli occhi! Ben arredata e spaziosa, che poteva fare invidia ad un sacco di altri nobili. E quella era soltanto una piccola parte, poiché dall'esterno ci si poteva rendere conto che l'edificio continuava in profondità, per cui c'erano tante altre stanze nella parte posteriore da visitare, per non parlare del piano di sopra, che mostrava un paio di piani, escluso il piano terra.

La scalinata era raffinata e gli sembrava realmente di vedere uno squarcio dello scenario di un teatro. Persino Monsieur Jacques, amico di suo padre, che aveva una villa tra le più sfarzose di Parigi, non arrivava ad una tale delicatezza nell'arredamento di una struttura tanto lussuosa quanto raffinata, per niente pacchiana.
Jaques era solito, invece, mettere troppe sculture d'ebano troppo vicine l'une alle altre, storpiando la bellezza della semplicità e del gusto neoclassico.

Una volta giunto sul pianerottolo, dopo aver ben studiato quel parapetto particolare, si concentrò sulla disposizione delle stanze al piano superiore, visibilmente più ampio di quello inferiore. Davanti a sé gli si mostravano nuovamente un paio di stanze, poste alla stessa maniera del piano inferiore, soltanto che una di esse, alla destra, era semi aperta e da lì fuoriuscivano dei caldi fumi della vasca da bagno misto ad un profumo di rose: quello era sicuramente la salle de bains. Ruotando il capo, si accorse che c'era un corridoio, di medie misure, che, oltre le scale, permetteva l'accesso ad un insieme di stanze che non poteva osservare da quella visuale.

Nel frattempo che Jimin finiva di asciugarsi e che quindi doveva aspettare, ne approfittò per attraversare il corridoio, rigorosamente dalle pareti in verde oliva, passando sotto l'architrave di quella sorta di ingresso, mostrando un balcone interno che faceva affacciare numerose stanze su un salone vuoto e spoglio.

Era tutto così buio, quasi gli spaventava procedere per poter vedere meglio cosa stava in quel luogo. Si ricordava soltanto della stanza dove lui e Jimin avevano passato le notti a consumarsi l'un l'altro, ovvero la camera corrispettiva al salone del piano di sotto, di fronte al bagno dove in quel momento c'era il ragazzo.
Non voleva stare lì da solo sapendo che c'erano così tante stanze dalle luci spente proprio a qualche metro da lui e aveva così tanto timore che da un momento all'altro qualcuno dovesse sbucare dall'oscurità di esse, tanto da farlo sobbalzare e urlare fino a che non avrà fiato in gola, o meglio, fino a quando quel qualcuno dovesse togliergli il fiato dai polmoni. Del resto aveva paura del buio.
Come aveva fatto a non accorgersi di casa di Jimin prima? Si sentiva davvero cieco.

Proprio nel momento in cui Jungkook fu sul punto di scappare via, preso dall'ansia e angoscia dello stare in un luogo così grande, buio e senza alcun'altra anima vita, Jimin uscì dalla stanza da bagno, mostrandosi sorridente.
«Che c'è? Sembra tu abbia visto un fantasma.» commentò ridacchiando. Kook scosse il capo freneticamente, guardando verso il basso, cercando di concentrarsi sul magnifico parquet.
«Vuoi che ti presto qualcosa per vestirti?»

Lo scrittore fallito annuì, tornando a guardarlo negli occhi, senza pronunciare alcun'altra parola. «Vai a darti una lavata, io torno subito. Non vorrei che ti prendessi qualche malattia perché sembri essere uscito da una fognatura.» gli disse in pensiero, incamminandosi verso il corridoio poco illuminato che dava su tutte quelle altre stanze.

Diede un'ultima occhiata lì attorno, chiedendosi come mai un tale gioiello fosse abitato da una persona singola, senza nessun altro membro della sua famiglia.
Rimase a dormire quella notte così come le notti successive ed assieme consumavano sempre i pasti. La domenica successiva la colazione fu ricca, che evidenziava Jimin come membro nella nobiltà. Ben educato, che utilizzava sempre le posate giuste ed elegante nelle azioni; non aveva neanche insistito nel sapere perché Jungkook non avesse più una casa, né le sue condizioni private.

Jungkook teneva una mano sotto al suo mento e teneva il coltello per la punta, mentre faceva vagare la lama nel piatto senza alcuno scopo, guardandola distrattamente. Davanti a sé aveva un panetto di burro in un piattino a parte e un terzo di baguette sopra un panno, pronta per essere tagliata e riempita. Nel piattino dove stava facendo vagare il coltello c'erano due madeleine, dolcetti a forma di conchiglia, di cui se ne era già mangiata una. A fianco del piatto, accompagnava il tutto un bicchiere di succo di pompelmo e una tazza di cioccolata calda fumante.
Si sentiva odiosamente viziato, come ai vecchi tempi.
Jimin era palesemente un figlio della nobiltà di toga, il che accomunava quel suo amico alla cerchia delle persone che più lo irritavano per le loro abitudini.

«Jimin.» esordì, lasciando il coltello sul panno della baguette, per poi alzare lo sguardo verso di lui, del quale aveva già ottenuto la sua attenzione. «Scusami, non me la sento proprio. Non sono abituato a vedere così tanto cibo, la mattina.»

In risposta ottenne un sorriso addolcito «Non ti preoccupare, non sapevo cosa desiderassi la domenica, per cui ho provato ad abbondare con la scelta. Mi spiace...» si scusò apprensivo, per poi prendere la forchetta e coltello e metterli nel proprio piatto.
Infatti si alzò dal tavolo e andò verso la cucina, nella quale Jungkook non era ancora entrato a sbirciare. Era andato veramente in pochi luoghi della casa, si era limitato a stare nella stanza che Jimin gli aveva prestato ㅡovvero quella dove avevano già passato molte nottiㅡ, nella sala da pranzo, nella sala da bagno e nell'ingresso. In quel fine settimana era anche uscito un paio di volte per prendere aria, finendo per star fuori delle ore intere.

«Jimin, potrei sapere una cosa, se non ti disturba?» gli chiese, una volta che il ragazzo fu ritornato ed avvicinato al suo capo del tavolo per prendere i piatti ancora pieni.
«Dimmi tutto, poi valuto se è una domanda scomoda o meno.»

«Questa casa è... tutta tua?» chiese quasi timidamente, temendo che potesse offenderlo in qualche maniera. Insomma, non sarebbe stato carino offendere qualcuno che gli aveva offerto vitto e alloggio senza pensarci due secondi in più.
Il biondo annuì, facendogli segno con un dito di seguirlo: Jungkook non se lo fece ripetere due volte, per cui si alzò e seguì Jimin mentre si stava incamminando nella stanza di fronte alla sala da pranzo, ben illuminata grazie alla luce della mattina.
Quello che gli mostrò era un bellissimo salone, colmo di quadri alle pareti e che continuava ad avere la boiserie come nel resto della casa. C'erano diversi divani, almeno uno per ogni parete, ma il salone aveva un arco, con delle belle colonne dallo stile classicheggiante, che dava su un altro stanzone.

«Seguimi, ti faccio fare il tour di casa mia.» ridacchiò l'altro, conducendolo nel luogo accanto la sala. In quella stanza c'erano una libreria appoggiata alla parete sinistra, accanto alla quale vi era una postazione con degli scacchi e un paio di sedie, per chi volesse giocare. Al centro c'era un tavolino con un vaso di fiori sopra, accompagnato da un piccolo divanetto in legno di noce, mentre invece vi era un divano e un comò sulla parte destra, con il vaso, che Jungkook aveva già notato, decorato da primule. Quest'area si affacciava su un'altra ancora più grande, tramite tre colonne che sorreggevano il peso delle mura del piano di sopra: sembrava assai utopico il modo in era stata edificata, cosa che gli fece spalancare la bocca.
Bocca che quasi cadde in terra, non appena attraversò le colonne, osservando in tutta la sua bellezza quella grande sala, con un colonnato che sorreggeva il balcone interno e che mostrava un bellissimo lampadario di cristallo al centro. Tuttavia, notò che il lampadario non poteva accendersi, poiché era privo di candele sopra di esso, unico modo per dare luce alla stanza.
Le decorazioni e l'arredamento facevano sembrare il luogo appartenente a qualche benestante antenato di Jimin, mancava qualche dettaglio con dell'oro e poteva definirsi una casa di villeggiatura per qualche sovrano.

«Ma abiti veramente qu-» stava per chiedere incredulo Jungkook, quando venne interrotto da Jimin che si mise un dito sulle labbra per fargli segno di stare in silenzio, mentre alzava l'angolo delle sue labbra.
«Vivo qui. Ma non è sempre stata casa mia, ovviamente. Era casa di mia nonna, un tempo, infatti camera tua era la stanza degli ospiti, la mia stanza era quella sua e del nonno, poi mia madre e mio zio avevano delle stanzette a parte, abbastanza piccole, perché secondo la nonna li aveva già viziati abbastanza con questa casa così grande. E infine c'è la stanza di mia zia, l'ultimogenita, che è più spaziosa perché la nonna la preferiva, ma non voleva ammetterlo.» Jimin ridacchiò leggermente, per poi proseguire la narrazione. «La nonna amava leggere e si faceva portare libri da ogni dove, soprattutto dal nonno, un filosofo illuminista a cui piaceva viaggiare con la mente e che portava sempre a casa qualche libro anche scritto in qualche lingua straniera. Ci sono addirittura dei libri in cinese e coreano. Mia nonna avrebbe tanto voluto che i suoi figli fossero ben istruiti e sapessero davvero tante cose, così appena raccoglieva del nuovo materiale lo univa alla sua grande collezione e lo faceva studiare a mia madre e ai suoi fratelli, istruiti da precettori privati. Al piano di sopra ci saranno una trentina di scaffali, assieme alla biblioteca che sta al pian terreno, proprio nell'altra stanza. Mia nonna voleva anche che i suoi figli si dedicassero alla musica e alla deliziosa arte del disegnare e dipingere, ma furono sempre troppo discreti per essere considerati i prodigi che lei sognava di avere. Alla fine ognuno di loro ha lasciato casa quando ha potuto, perché era stufo di quella prigionia. Io invece amavo stare con la nonna, mi divertivo a leggere e a tentare di suonare il piano, soprattutto da piccolo. Con me si comportava diversamente, la delusione l'aveva già avuta dai suoi figli in precedenza: neanche io ero un prodigio, ma lei mi voleva bene per come ero e sono e così io ne volevo a lei. Ero meraviglioso come nipote perché con i tanti interessi, sebbene non tutti perfetti, ma a lei bastava questo. Forse è per questo che la sua bella villa è stata intestata a me una volta che la morte l'ha chiamata a sé.» terminò con un'espressione intristita, per poi alzare gli occhi verso Jungkook per avere un riscontro.
«Vuoi vedere la biblioteca? Ci passo un sacco di tempo libero, ti piacerà sicuramente.»

Jungkook annuì e credette che Jimin stesse sorridendo perché aveva accettato la sua proposta. La realtà era che si era appena ricordato di un avvenimento importante che era accaduto in casa sua diverso tempo prima, proprio quando si era da poco trasferito ed era diventato padrone di quella immensa proprietà lasciata come sua eredità dalla nonna.
Era accaduto due anni prima: lui era appena arrivato ma già conosceva ogni angolo dell'abitazione perché ci aveva scorrazzato quasi ogni giorno della sua infanzia, nascondendosi quando giocava con suo cugino.
Si lasciò sfuggire un altro sorriso al ricordo, mentre conduceva Jungkook verso la biblioteca. Il ricordo tuttavia continuò fino a che non diventò spiacevole: a questo punto Jimin portò le braccia al petto e il suo sorriso si trasformò in un'espressione malinconica, che Jungkook non poté vedere, poiché dietro di lui.

Si era ricordato che quel giorno era venuto a scoprire che suo cugino, di qualche anno più grande, figlio di sua zia materna, era stato ritrovato morto e a fianco a lui un coltello sporco di sangue. Tutti loro ne furono inorriditi, increduli dall'alone di sangue che proseguiva per qualche metro, segno che il povero malcapitato avesse lottato per andare a chiedere aiuto. Non erano gradite le sue ostilità verso l'impero.

Oltre quello spiacevole ricordo, gli venne in mente che, appena venne a scoprire della disgrazia, il suo caro amico Yoongi arrivò per fargli un po' di compagnia e per tirarlo su di morale. Erano soltanto loro due, in quel pomeriggio di freddo inverno. Si ricordò di quando Yoongi suonò al piano della sala dedicata alla musica che sua nonna amava usare quando i suoi figli erano in giardino a giocare e quindi non potevano ascoltarla: gliel'aveva raccontato da bambino, questo segreto.
La melodia che Yoongi compose quel pomeriggio d'inverno gli fece rivoltare tutto lo stomaco: fu in grado di avvertire delle onde di mare dentro di esso assieme ad un tumultuoso uragano. Le sue dita che sfioravano i tasti lisci come una gemma erano in grado di creare una melodia che gli faceva venire brividi lungo il corpo. Quella melodia era stata in grado di farlo stare così bene, in quell'attimo in cui poggiò il mento sul suo braccio e tenne la testa inclinata per potersi beare meglio del suono del paradiso, così bene che si dimenticò di tutto e riuscì a non fargli sentire il peso della perdita di un parente tanto caro.
Si ricordò di come lui aveva poggiato una mano su quella destra di Yoongi e aveva interrotto la melodia, che però continuava fino al presente a risuonare ininterrotta in quelle mura, assieme alla canzone composta dal rimorso di aver lasciato andare via quel ragazzo dalla sua stessa mano.

«Jimin? Ti sei fermato.» gli fece notare Jungkook, poggiandogli di istinto una mano sulla spalla.
Aveva anche abbassato il capo senza accorgersene e a quel tocco sembrò quasi risvegliarsi, per cui si girò verso di lui rimettendo su un'espressione più o meno allegra.

«Oh? Sì, scusa, non me ne ero accorto. Stavo notando che c'era della polvere a terra. Sono proprio fissato!» provò a scusarsi grattandosi il capo ridacchiando con imbarazzo. Jungkook alzò le sopracciglia, perché gli sembrava poco verosimile, dato il fatto che c'era polvere in molti angoli della casa.
«Dai in che stanza si trova la bib-»

«Sai che c'è? Ho un po' di sete, vado a prendere un bicchiere d'acqua, torno subito. Oppure non lo so, sono stanco, potrei anche andare di nuovo a dormire.» disse il biondo tutto d'un fiato, cosa che fece confondere Jungkook, che non ebbe neanche il tempo di rispondere che già l'altro era corso via per il salotto in modo da ritornare nella cucina.

«Jimin-» cominciò a seguirlo, per poi fermarsi esasperato nel mezzo del salone e sbuffare, facendo cadere le braccia a penzoloni.
Dato che era vicino al divanetto, si lasciò cadere su di esso a peso morto, con le palpebre socchiuse, poggiando il capo sul poggiatesta in noce dello schienale, che era leggermente inclinato.
Questo gli permise di osservare il mobiletto dall'altra parte della stanza, che aveva sopra di essi il vaso, attraverso le palpebre che lasciavano passare leggermente la luce.
Le aprì completamente quando notò un piccolo oggettino rettangolare accanto ad esso, dal dorso bianco. Sembrava essere un libro, che gli era così familiare.
Ma dove l'aveva già visto?

Incredibilmente la curiosità vinse la pigrizia e si alzò, camminando verso il mobile e constatare di che libro si trattasse.
Non l'avesse mai fatto, poiché rimase pietrificato davanti a quel mattoncino dalla copertina particolare e con una semplice lettera nel posto dove sarebbe dovuto esserci il nome: la solita V.
Era proprio il libro da dove era partito tutto. Deglutì, ripensando a come lui e Jimin si erano incontrati per la prima volta.
Finì per prenderlo in mano, tastando la copertina ruvida in quel cartoncino utile per disegnare.
Il disegno, infatti, era stato fatto da Taehyung stesso sul libro di Jimin, come una sorta di autografo e dedica originale.
Semplici colori che componevano l'alba.

«È stato un suo regalo.» esordì improvvisamente la voce di Jimin dietro di lui, facendolo sobbalzare e girare dalla sua parte. Quella reazione lo fece ridacchiare, per poi sorseggiare il bicchiere d'acqua che aveva portato con sé. «Me l'ha dato il 3 aprile di quest'anno, me lo ricordo benissimo: gli avevo detto che avrei tanto voluto che si potesse dare colore alle sue parole, che tanto mi piacevano, fin dalla copertina.» si lasciò sfuggire un altro sorriso, guardando l'acqua limpida che si muoveva nel bicchiere. «Poco tempo dopo si è presentato con un oggetto così colorato in mano e riceverlo mi ha fatto scaldare il cuore. Taehyung è una così brava persona, peccato che in questo momento io e lui ci stiamo distaccando sempre di più.»
Jungkook aggrottò le sopracciglia, confuso e curioso di sapere di più.

«Sai, da diverso tempo non è più lo stesso. È sempre distratto, tra le nuvole, non è il Taehyung che conoscevo. Non intendo come quel prodigio che denominiamo tutti in editoria, ma come amico. Quando gli chiedo come va, molto spesso non risponde. Anzi, sembra si stia riprendendo rispetto a prima, ma non ho la più pallida idea di cosa gli sia successo. Non voglio chiedergli altre spiegazioni a riguardo, non sono fatti che mi riguardano.» alzò il capo verso di lui, per poi bere un altro sorsetto d'acqua.

Jimin gli sembrava davvero così piccolo e indifeso, con ancora il peso dell'adolescenza sulle spalle.
«Mi manca Taehyung. Posso abbracciarlo quando voglio, per dirgli che io sono con lui, ma in realtà non posso, perché non l'ho mai fatto. Eravamo amici, certo, ma non so se sentisse la nostra amicizia al mio stesso modo. Mi sento così stupidamente emotivo...» terminò alla fine in un sussurro, poggiando il bicchiere, ancora con dell'acqua dentro, sul mobile accanto a sé, e poi strinse le braccia al petto.

Jungkook si morse istintivamente il labbro, comprendendo il suo imprudente errore: e se fosse stato lui il motivo del malore di Taehyung? Aveva creato una catena così dolorosa che li aveva colpiti tutti e tre e chissà quanti altri ancora, che in quel momento ignorava.
I loro occhi finirono per scontrarsi e vide il sincero dispiacere negli occhi del biondo, che poi si riflesse nei propri.

«Non mi turba solo questo... sai, Yoongi, lo conosci il fatto.» confessò, giocherellando tristemente coi pollici.

«Che è successo questa volta?» chiese il bruno, poggiando una mano sulla sua spalla e cercando di essere il più dolce possibile, poiché non voleva che un minimo malore gli potesse aggravare la situazione.
E magari così, se gli diceva qualcosa sul suo amico, poteva sapere qualcosa del proprio di amico, Namjoon.

«È diverso questa volta.»

«Sputa il rospo, non creare suspence.» gli disse scherzosamente, cosa che tirò una risatina a Jimin, il quale ritornò di nuovo serio subito dopo.
«Yoongi è andato via da Parigi assieme a Namjoon.»

Gli servì qualche secondo per realizzare cosa avesse sentito e per collegare le persone l'una all'altra: dopo quel passaggio sgranò gli occhi e si lasciò cadere la mascella senza volerlo. «Come scusa?»

Ricevette solo un mugugno d'assenso e Jimin abbassò il capo il più possibile, in modo da non far vedere il suo viso, ma dalle spalle Jungkook poteva ben notare che stava singhiozzando.

«Jimin può darsi che-»
«No! Questa volta se ne è andato davvero...» singhiozzo «e non ho fatto nulla per evitarlo.» un altro singhiozzo. Notò che le lacrime gli scorrevano lungo il viso.
«Dove è andato?»

«Baviera. Me l'ha detto con una semplice lettera, neanche a voce, ed io non l'ho visto più... Non ho visto neanche più il suo meraviglioso sorriso innamorato, seppur innamorato di qualcun altro. Sono scappati via, vanno a coronare il sogno d'amore ed io rimango qui con il cuore spezzato.» terminò il più grande con voce sottile, avvicinandosi a Jungkook e poggiando la testa sulla sua spalla, non riuscendo proprio a trattenersi alle lacrime. Per la prima volta, Jungkook le braccia dietro alla sua schiena e lo strinse forte a sé senza alcun intento sensuale.

Erano entrambi distrutti dalle loro ossessioni.
«Smettila di piangere, Jiminie.» gli sussurrò. accarezzandogli il capo. «Metti su un bel sorriso: non voglio vedere il tuo muso lungo, neanche Yoongi lo vorrebbe. Non importa dove sia andato, voi due rimanete uniti l'uno all'altro. Potrebbe succedere qualsiasi cosa, ma sarete sempre ed inevitabilmente uniti.»
Il calore di Jungkook gli effondeva sicurezza.
Fece scontrare le sue labbra carnose contro il cotone della camicia dell'altro.

«Non voglio essere dimenticato di nuovo, Jungkook.»
Taehyung. Quelle parole, sofferte, gli fecero tornare alla mente Taehyung, e lo strinse ancora più forte a sé.
«Scusami, Jimin, scusami.» gli chiese, avvertendo l'agonia che lo assaliva a partire dal petto. Si odiava così tanto per quello che era, che non riusciva a capire quale parte di se stesso fosse quella che l'avrebbe fatto risvegliare dal dolore eterno a lui destinato.
Se avesse avuto davanti Taehyung, sarebbe rimasto silente, invece. Jimin era sempre e solo uno strumento, anche per esprimere le proprie emozioni seppur mantenendo alto l'orgoglio. «Avrei voluto essere una persona migliore fin dal principio, nei tuoi confronti. Non so chi sono, non conosco le mie decisioni, odio me stesso e il mondo.»

Jimin si staccò e i loro occhi si incontrarono, per l'ultima volta così tanto vicini.
«Vorrei essere tuo amico, per davvero, questa volta.»
Egli poi prese il libro di Taehyung che l'altro aveva messo a posto e glielo porse di nuovo.
«È tuo adesso, te lo voglio regalare. Sai, "solo con il sentimento la razza umana può andare avanti, con tutti i sentimenti che non comprendono l'odio". Lo dice il libro.»

Jungkook lo guardò bene: quell'oggetto era il motivo per cui era finito in quel grande pasticcio nel giro di pochi mesi e gli sembrava qualcosa di maledetto, con ancora tanto potenziale malefico dentro di sé.
«Non posso accettare, davver-»

«Questo libro parla di un uomo che ama odiare, sai? È proprio per questo che mi piace così tanto: perché vede in modo realistico l'uomo contemporaneo sebbene in una realtà fantastica. So di non essere in grado di andare avanti assieme al resto della razza umana, perché in questo momento la mia anima è colma d'odio e di sentimenti negativi. Jungkook, tu sei una così brava persona, mi prometti che andrai avanti per me, supererai tutto quanto?» terminò in un sussurro, tale che nient'altro, nemmeno un granello di polvere nell'aria fu in grado di sentirlo, forse solo i brividi che attraversarono la schiena di Jungkook. Una promessa irrealizzabile.

Non era in grado di farlo e superare l'odio, perché anche la sua anima ne era intrinseca, ma non poteva deludere quel ragazzo che aveva uno tra gli animi più puri, buoni e cristallini che aveva avuto modo di conoscere. La vita l'aveva punito abbastanza per avere altre delusioni.

«Lo farò.» rispose chiaramente.
Jimin allora si avvicinò al viso di Jungkook e lasciò un bacio sulla sua guancia destra.
Immaginava che le labbra le conservasse per qualcuno di speciale, che un giorno sarebbe arrivato così come un cavaliere giunge per salvare la sua damigella in quel castello sorvegliato dalla famelica bestia.

Aveva dannatamente ragione, quel mondo non necessitava di un uomo che amava odiare.
Ormai odiare gli era diventato anche così strano, così monotono.
Avrebbe tanto voluto smettere ed uscire da quella prigione costruita dalla vera e propria dipendenza.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top