「29/04/1865」
22.
«Sei pronto, Kook?» chiese Taehyung, una volta arrivati davanti al Café de la Paix. Entrambi avevano addosso quei cappotti neri che coprivano ogni parte del loro corpo e lasciavano intravedere la parte terminale dei pantaloni ed ovviamente anche il viso.
«Io vado dalla parte opposta della strada e appena ti faccio segno vuol dire che l'ho visto e puoi cominciarti ad incamminare, poi ti giuro che riuscirai a riconoscerlo, una volta che si sarà avvicinato abbastanza.»
Taehyung annuì, poggiando poi entrambe le mani sulle spalle di Jungkook, dunque avvicinandosi a lui per potergli mostrare meglio il suo sorriso incoraggiante, cosa che fece rimanere senza parole il più piccolo per qualche secondo, confuso dalla sua improvvisa azione.
«Andrà benissimo, ce la faremo.» Jungkook rimase in un primo attimo col fiato mozzato, ma poi realizzò quelle parole e sorrise di ricambio, poggiando le proprie mani sopra quelle del ragazzo, al fine di toglierle dalle sue spalle. Poi prese il capello e se lo mise, riuscendo ad ombrare gran parte del suo volto.
«E poi abbiamo da vedere un grande spettacolo stasera.» terminò il moro, solenne.
«Ti riporterò qui e ci saranno occasioni migliori per vederci uno spettacolo, promesso. Ti godrai tutto questo teatro in tutta la sua bellezza e, magari, riusciremo anche a stare in platea.»
L'altro annuì. «Spero che questo sogno si realizzi anche per mia sorella, è lei che desidera tanto entrare in questo teatro da quando è piccola. Sai, non te l'ho detto, ma ama danzare, quando può, ma purtroppo non ha mai trovato un insegnante che potesse portarla ad esibirsi là dentro. Ne parliamo più tardi però, va bene? Non perdiamo tempo.»
Detto ciò, Jungkook rispose con un cenno del capo e si voltò dall'altra parte, correndo dall'altra parte di Place de l'Opéra, confondendosi tra la folla. Il sole non se ne era andato da molto, rimaneva giusto qualche sfumatura del giorno verso ovest, mentre invece ad est, verso dove il suo sguardo era rivolto, era già diventato tutto scuro. I lampionai stavano accendendo tutte le luci e allora lo sguardo di Taehyung si spostò da tutte quelle palazzine alla sua destra fino al teatro già colmo di luci alla sinistra.
Era così artistico quello scenario, poiché i palazzi sembravano essere tutt'uno con lo stile dell'Opéra ed erano dunque illuminati da quella luce riflessa.
Il teatro era imponente, molteplici volte si era immaginato cosa potesse esserci dentro e tutti i suoi tesori nascosti: da lontano si poteva notare la sua grande cupola oltre la facciata, che portava scritto in alto "Accademia nazionale della musica" in dorato, ed aveva le statue di grandi musicisti collocate tra una coppia di colonne e l'altra.
Era tutto così etereo e splendido.
I suoi occhi, deliziati dalla bellezza, si spostarono verso Jungkook che si era già posizionato, col capo basso: sembrava quasi essere un fantasma, poiché da lontano non si intravedevano le gambe e dunque pareva che fluttuasse tramite quella scura veste. Si confondeva inoltre con l'ombra dei vicoli li accanto.
«Scusami ragazzo, potrei chiederle se sa per caso a che ora comincia lo spettacolo?» si sentì chiamare da una voce anziana: infatti, voltandosi, si rese conto che un uomo di una certa età, bassino e poggiato su un bastone per evitare di cadere, aveva chiesto delle informazioni proprio a lui.
Taehyung prima di tutto sobbalzò, poi si voltò per dare le informazioni all'uomo, comunicandogli che sarebbe iniziata alle nove, quindi dopo un'oretta.
E pensare che prima delle nove avrebbero già dovuto far fuori quell'uomo, se tutto andava liscio. L'uomo ringraziò, dicendogli che aveva posto la domanda solo per sapere quand'era che tutte le persone ammassate lì fuori in attesa di entrare dentro il teatro avrebbero smesso di esserci. Taehyung a quella risposta ridacchiò, salutando poi il simpatico uomo, voltando poi il capo poiché doveva concentrarsi sulla loro operazione.
Il movimento confusionario di Jungkook da lontano gli fece capire che suo padre li aveva appena sorpassati e lui si era distratto. Deglutì, sentendosi colpevole, facendo allora cenno a Jungkook e cominciando a incamminarsi verso il teatro, accelerando il passo per arrivare a mettersi accanto alla prima colonna sulla sinistra della facciata.
Si sarebbe scusato più tardi con Kook, mentre adesso doveva semplicemente smettere di ridacchiare colpevole, perché se l'avessero beccato avrebbe mandato in fumo tutto quanto.
Eccolo! L'aveva visto! Il padre di Jungkook si stava incamminando verso la seconda entrata sulla sinistra, quindi dalla sua parte, e l'aveva riconosciuto immediatamente perché, come predetto dall'amico, erano tremendamente simile a lui. Al suo fianco aveva tre amici e tutti quanti erano vestiti con un elegante abito da sera che valeva probabilmente più di tutti i vestiti che aveva nel suo armadio. Non che ne avesse molti, però si vedeva da lontano un miglio che quell'uomo viveva nello sfarzo.
I quattro poi entrarono e allora fece nuovamente cenno a Jungkook, il quale indicò con due dita di avvicinarsi a lui.
Corse dalla sua parte, con un sorrisetto colpevole «Scusami, mi ero distratto! Non si ripeterà.»
«Scemo, togliti il mantello e passami la pistola, la metto sotto la mia giacca.» ordinò Kook, che si tolse la sua veste rimanendo con il migliore completo da sera che aveva trovato nella sua valigia, anche se gli andava un po' corto alle gambe, poiché era uno di quelli che aveva preso da Jimin.
Taehyung sbatté ripetutamente gli occhi non appena lo vide con quella giacca di colore grigio scuro, i pantaloni dello stesso colore e una camicia visibilmente candida anche non era illuminata.
«Ah, tieni il tuo biglietto.» disse poi il più piccolo, passando l'oggetto a Taehyung, che aveva appena poggiato il mantello all'angolo completamente in ombra e poi passato la pistola di Youngjae all'altro, il quale l'aveva riposta al sicuro sotto la giacca.
Tae lo lesse, ma poi aggrottò le sopracciglia. «Non saremo un po' lontano al quinto ordine? Avevi addirittura parlato del terzo.»
«Mi arrangerò.»
«Ci vedi bene da lontano, almeno?»
«Ehm...» Kook si grattò il capo, cercando poi di declassare l'argomento incamminandosi verso l'entrata. «Non credi che se non entriamo in fretta rischiamo di perdere mio padre?»
«Jungkook diamine, non dirmi che ti servirebbero delle lenti e non le porti!»
«Mi si sono rotte tempo fa e non avevo soldi per comprarle, scusami se sono povero. Poi scusa, puoi sparargli tu, dato che ci vedi!»
Taehyung sospirò roteando gli occhi. «Va bene. Tienila tu adesso, passamela dopo.» rispose, riferendosi alla pistola che aveva riposto nella giacca.
Alla fine non aveva tutti i torti per aver preso quei posti, vedere qualche spettacolo all'Opéra costava un occhio della testa e di certo non poteva costringerlo a comprare dei posti migliori se entrambi non avevano più uno straccio di soldo. I propri ultimi risparmi li stava tenendo da parte per una qualsiasi evenienza e Jungkook l'aveva subito capito quando gliel'aveva detto, per cui gli aveva risposto di non preoccuparsi e che ci avrebbe pensato lui.
Appena Jungkook cominciò a correre verso l'entrata lui si apprestò subito a seguirlo, prendendolo per la manica della giacca e dicendogli indirettamente di aspettarlo: allora lui rallentò il passo e si mise al suo fianco, cominciando a camminare assieme verso l'entrata.
Mostrarono i biglietti dopo circa cinque minuti di attesa e solo allora riuscirono ad entrare. Ad ogni passo che Taehyung faceva, i suoi occhi si sgranavano ancora di più, meravigliato da tutta la bellezza del foyer dalla quale stava venendo travolto.
Soprattutto quella luce, quella luce così bella che lo abbagliava.
La sua mascella cadde e il suo capo si rivolse inevitabilmente verso l'alto, apprestatosi ad osservare quel luogo terreno composto interamente di etere. Ed era certo di non aver neanche visto tutto, mancava tutta la parte interna del teatro: lì avrebbe dato di matto per la troppa felicità per essere in un luogo tanto bello.
Chissà di quanta arte quelle mura erano state testimoni! Anche se erano innumerevoli, le mura, per quanto il luogo si stava rivelando essere grande. Era colmo di gente in ogni dove, gran parte delle persone era ancora riversata nell'atrio e da lontano riusciva ad intravedere tutte le altre che stavano camminando lungo la scalinata. Sembrava essere enorme, da lontano, e avrebbe tanto voluto percorrerla.
Ma poteva? Dovevano andare al quinto ordine, non poteva percorrere quella bellezza, quella scultura tanto magnifica.
«Kook...» sussurrò soltanto, spostando il capo da una parte all'altra del luogo, mentre si stavano dall'entrata, per dare spazio anche a tutti gli altri. Allora Jungkook si avvicinò a lui ed infilò il proprio braccio tra quello di Taehyung e il suo torace, al fine stringersi a lui con un braccetto.
Tae si voltò verso di lui confuso, con gli occhi ancora sgranati per quel fantastico luogo.
«Dobbiamo evitare di perderci.» gli spiegò, per poi commentare il suo sguardo perso e la sua bocca ancora spalancata. «Credo che ti piaccia tutto ciò. Ormai io ne sono così abituato che mi sembra normale. Dato che ci venivo ogni settimana, era diventata senza volerlo la mia seconda casa, lo conosco in ogni sua zona.» spiegò, accompagnandolo nella zona della scalinata senza lasciargli mai il braccio. La scalinata centrale mostrava poi avere due rampe, una a sinistra e l'altra a destra, che conducevano verso il piano inferiore, e lo stesso valeva per quelle superiori, poiché il pianerottolo centrale si divideva in due.
«È tutto così meraviglioso.» rispose il ragazzo, poi alzando nuovamente lo sguardo verso l'alto, meravigliandosi per tutti quegli affreschi e tutti quegli stucchi sul soffitto con decori dorati e con colori vivaci. «Non credevo esistesse un luogo così bello. Pensavo esistesse soltanto... nei sogni. Una così tale bellezza, sembra quasi finta, come se la mia mente se la stia immaginando. Mi dispiace che tu non la riesca a vedere. È meraviglioso.»
Erano le uniche parole che Taehyung riuscì a pronunciare senza impappinarsi, dato che era troppo preso dall'adorare ogni angolo di quel luogo ben illuminato, le cui luci potevano essere paragonate a quelle di un paradiso proprio dedicato ad artisti come lui.
«Forse mi stai convincendo a pensare che il tuo punto di vista sia quello più corretto. Hai ragione, dove si è mai visto un luogo tanto splendido? Chissà quanti uomini hanno lavorato qui per poter erigere questo spettacolo. Ironico, hanno realizzato proprio un luogo dove viene conservato un palcoscenico per fingere le azioni della vita di tutti i giorni, e così facendo loro stessi hanno fatto parte di un palcoscenico, quello della vita. Come io e te, ovviamente. Come tutti coloro che sono qui.»
«Stiamo dunque recitando, noi due? Nulla di tutto questo è reale?» chiese allora Taehyung voltando il capo verso di lui, quasi sconvolto da quella grande rivelazione che il suo amico gli aveva appena fatto.
«Non penso. Tu credi di star recitando o credi di dire cose reali?»
«Io penso di non fingere mai, specialmente con... con un amico, certo.»
Specialmente quando sono con te. Voltò il capo, portandolo ad osservare verso il basso.
«Allora vuol dire che siamo due attori che non sanno recitare, oppure siamo due attori così bravi che ci dimentichiamo che è tutta finzione.»
Taehyung rispose con un piccolo sorrisetto, annuendo. «Osserverò questo magnifico teatro più tardi, oppure quando tutto questo sarà finalmente finito. Adesso abbiamo una missione da portare a termine, perché dobbiamo liberarti da tutto il tuo dolore e perché devi vivere nella maniera che ti meriti. E perché tu sei-»
Jungkook aveva già annuito e si era già girato per raggiungere le scale che portavano al loro ordine, che stavano sulla sinistra, però fu fermato dall'ultima frase di Taehyung, che il ragazzo non credeva di aver veramente pronunciato.
Quando se ne rese conto era già troppo tardi.
«Perché io sono...?» lo incitò l'altro, curioso di sapere cosa volesse dire.
«Sei un mio amico. E per gli amici si fa di tutto, no?» gli sorrise incoraggiante, ricevendo la stessa espressione di ricambio: allora i due si incamminarono verso la scalinata, che da lontano si poteva intravedere essere di marmo colorato, verde e rosa antico, caratteristica come tutto il luogo.
Perché tu sei meraviglioso.
Dopo qualche minuto avevano salito già varie rampe, senza sosta. «Palchetto numero otto, quinto ordine. Dai, ci stiamo solamente noi due, alla fine non è andata tanto male.» commentò Taehyung attento a salire le scale mentre leggeva il biglietto con su scritti i loro posti.
«Non lo perdere, che arrivano i controllori. Questa sarà la mia prima volta in cui vado così in alto, penso sarà una nuova esperienza per entrambi, allora.»
«Qual è lo spettacolo?»
Mancava solo una rampa di scale prima di raggiungere il piano desiderato: avevano dovuto abbandonare quella bellissima scala tutta in marmo verde e rosa antico per prendere una scalinata più stretta, così come avevano fatto tante altre persone, con addosso degli abiti non molto sfarzosi.
«Credo sia balletto classico. Suppongo. Non ho mai capito perché a mio padre piaccia quella merda: molto meglio le opere in lirica, almeno c'è una storia decente.»
«Non ti piace il balletto?» chiese allora Taehyung incredulo, cosa che fece girare Jungkook dalla sua parte con le sopracciglia aggrottate.
«Tae, è palloso. Tutti quei ragazzi e ragazze che si muovono alla perfezione, è prevedibile che daranno il meglio di loro e che quindi faranno quei determinati passi al fine di far sbalordire il pubblico.» proseguì fino all'ultimo gradino, per poi girare verso destra e incamminarsi leggendo i numeri scritti sulle porte.
«Quindi... la lirica è meglio? Pure per loro è prevedibile che daranno il meglio di sé-»
«Trovo che il canto sia molto più bello. Quante combinazioni possono venir fuori da una semplice scala musicale composta da sette note, più i diesis? Infinite, ed infinite saranno le note che fuoriusciranno dalla gola dei cantanti, ogni volta vestiti in una maniera diversa a seconda del personaggio che interpretano; il che ci porta ad avere ancora più combinazioni di diversità.»
«Il ballo è palloso solo se non c'è passione nei passi. E quando ho osservato mia sorella ballare era tutto fuorché palloso.»
«Siamo arrivati, palchetto numero otto.» lo interruppe Jungkook, accorrendo ad aprire la porta, per poi presentargliela con una mano.
A Taehyung gli si mozzò il fiato a causa di tutto quel velluto rosso che tappezzava ogni parte del palchetto. C'erano poi due sedioline affacciate al balconcino, una poltrona e un piccolo divanetto, probabilmente destinato a quando c'erano più di due persone ad usufruire della zona.
«Prego, si sieda, madame.» lo prese in giro il più piccolo, il quale ricevette una fugace occhiataccia che si tramutò subito in una risata.
Una volta seduti, allora, ripresero il discorso. «Dicevi di tua sorella.» gli fece notare.
«Dicevo: lei esprime così tanta passione coi suoi movimenti, si vede che ama quello che fa. Con i pochi soldi che avevo guadagnato dal mio libro avevo intenzione di farle prendere lezioni da un'insegnante qualificato, perché per tutta la sua vita ha convissuto con le conoscenze che ha appreso da piccola, quando ancora nostra madre le permetteva di frequentare la danza classica. Poi, quando entrambi i nostri genitori sono passati a miglior vita, abbiamo vissuto sotto il controllo di nostra zia fino a quando non ho raggiunto un'età matura per poter essere il padrone di casa.»
Si sentiva il tono della sua voce tremante a causa di tutti quei bei ricordi tramutati in sofferenti.
Kook allora gli mise una mano sulla spalla, incitandolo a continuare. Le luci del teatro erano ancora spente nella maggior parte, per cui quando avevano chiuso la porta non avevano avuto la possibilità di osservare l'interno del luogo, ma neanche di potersi guardare negli occhi: riuscivano soltanto ad intravederne il riflesso.
«Io le ho quindi proposto di tornare a frequentare danza, invece di provare e riprovare nel salone di casa nostra, rischiando di farsi male ad ogni salto, senza la musica. Mi distruggeva sapere che voleva dare di più ma non poteva, perché era impossibilitata dagli spazi e perché soprattutto il tempo era andato a deteriorare tutte le sue conoscenze tecniche. Ma io vedevo, e vedo, tutta la sua passione! Pensavo mi avrebbe detto di sì e che mi sarebbe saltata in braccio, stringendomi con gratitudine, però lei ha scosso il capo, dicendo che non era importante. I soldi ci servivano per sopravvivere e il mio libro era stata una grande boccata d'ossigeno che non potevamo affatto sperperare. Quei soldi che sono adesso conservati a casa mia per tutte le evenienze. È una ragazza talmente generosa che mi si stringe il cuore ogni volta che ci penso: soprattutto il fatto che sia uguale a mamma, mi fa provare quell'amaro in bocca.»
«Nostalgia?»
«Nostalgia.» sospirò l'altro, afferrando la mano di Jungkook per trovare conforto, ovviamente cercando alla cieca perché le luci non permettevano granché. Fecero intrecciare le loro dita e allora l'uno si sporse verso l'altro per ricevere un abbraccio, certi che in quella situazione serviva così tanto ad entrambi.
«Se avessi una cura per la nostalgia non perderei neanche un attimo per dartela, perché devo sdebitarmi per tutto quello che stai facendo per curare me.»
«Forse sarà considerato santo quello che inventerà una medicina del genere.»
Detto ciò si separarono, cercando i loro occhi in mezzo a quel buio, certi che c'erano e che non se ne sarebbero mai andati.
La conferma fu loro data quando qualche luce venne accesa nel teatro e allora Tae si avvicinò immediatamente al balconcino per poter osservare tutto il meraviglioso scenario che gli si presentava: i suoi occhi si spostarono dal panorama delle sedie dallo schienale scarlatto, a tutti i decori dorati dei loggioni posti dalla parte opposta. Il sipario era a dir poco spettacolare, poiché era dipinta una grande tela scarlatta su una tegola in legno, che doveva essere sollevata. Poi, se alzava il capo, si rendeva conto che un grande lampadario, illuminato a gas, era l'ospite d'onore, in tutto quel tripudio di bellezze, che era stato acceso per permettere di vedere tutto per bene e che sarebbe stato spento quando lo spettacolo sarebbe iniziato.
Il lampadario arricchiva quel soffitto decorato con i colori più sgargianti nella loro accezione più delicata, riempiendo quella zona con tanti soggetti dalle varie sfumature.
Jungkook sorrise nel vederlo così sorpreso e affascinato proprio come un bambino, si poteva vedere dalla luce nei suoi occhi che era proprio rapito da quel luogo tanto meraviglioso.
«Tae, dobbiamo colpire prima che spengano le luci.» gli disse, dispiaciuto per aver troncato il suo momento di euforia. Allora Taehyung si voltò verso di lui, annuendo.
«Ma ci vedi da così lontano?»
Kook si morse il labbro, guardando la gente nella platea che sembrava formare una grande macchia scura e rumorosa.
«Sì... insomma, il necessario... cioè, ti indico mio padre e tu spari, sicuro ci vedi meglio di me!» sospirò, prendendo la pistola da dentro la sua giacca e posizionandola sulla sua gamba, attento a rivolgere la canna dalla parte opposta al suo corpo. «Forse dovevo comprare dei biglietti più costosi, siamo troppo lontani. Non vedo proprio nulla e dubito che riesca a riconoscere dall'alto mio padre.» si rassegnò, poggiando i gomiti sul davanzale e portando le dita tra i suoi capelli.
«Dobbiamo cambiare piano.»
«Cambiare piano?» chiese Taehyung alzando le sopracciglia: e il loro piano perfetto?
«Esatto e mi servirai proprio tu. Anzi, sarai la parte fondamentale del piano» si girò verso di lui, adesso ridacchiando leggermente. «Vero, monsieur Kim?»
Cosa aveva in mente quel ragazzo? Lo stava spaventando il modo in cui gli stava parlando, tanto deciso e sicuro di sé.
«Adesso sono io che ti chiedo di non tenermi sulle spine!»
Jungkook allora si voltò verso di lui e gli prese le spalle per la seconda volta nella serata, guardandolo seriamente. «Tu andrai dritto dritto a parlare con mio padre e lo condurrai al piano di sopra, al... al terzo ordine! Io sarò coperto in volto, cosicché nessuno possa riconoscermi, una volta fuori dal teatro, e né possa risalire a noi due, che eravamo seduti al quinto ordine. Tutto questo durante l'intervallo, un intervallo che per lui durerà in eterno. Come ti sembra questo piano?» terminò, alzando leggermente l'angolo delle labbra.
«E di cosa dovrei parlargli per attirare la sua attenzione?»
«Lo so perfettamente, quella è la cosa più semplice. Ovviamente gli parlerai della tua carriera da scrittore!»
«Jungkook... lo sai che non sono più uno-»
«Ma mio padre non lo sa, nessuno lo sa. Taehyung, la Mabillon non ha fatto sapere a nessuno che V è stato licenziato. Per chiunque tu sei ancora uno scrittore di successo che lavora in quell'editoria. Magari potresti parlargli della tua prossima opera, che pubblicherai a breve: tutti pensano che tu stia in pausa o che stia progettando un grandioso capolavoro, per quanto tu sia un ragazzo tanto talentuoso!»
L'anno prima, doveva ammetterlo, quelle parole sarebbero uscite dalle sue labbra in tono acida e con quella sua solita invidia.
Adesso l'invidia sembrava essere scomparsa, soprattutto nei confronti di Taehyung: come poteva essere invidioso di lui, adesso che l'aveva conosciuto bene? Se era arrivato a quei traguardi era solo per il suo talento e se li aveva persi tutti quanti era solo per colpa sua, quindi non si poteva neanche minimamente permettere di essere invidioso, perché non ne aveva il diritto.
«Significherebbe rivelare che io sono V e questo comporterebbe mischiare la mia semplice vita con quella sorta di alterego.» si affrettò a dire Taehyung, fermamente convinto.
Quelle che ricevette furono solo un paio di risate, che non erano affatto rivolte ad offenderlo in qualche maniera. «Quindi è per questo che non hai detto a nessuno chi sei? O, almeno, eri?»
Taehyung annuì, abbassando il capo un po' imbarazzato.
«Sono allora lusingato di saperlo, perché ora come ora lo sa giusto qualcuno che si può contare sulla punta delle dita. Però, se tu adesso intrigassi mio padre parlandogli di questo, sono sicuro che ti seguirà. Sono certo che questa volta il piano andrà a buon fine! E poi, così potremmo goderci gran parte dello spettacolo. Chissà, così potrai già immaginarti come sarà quando vedrai tua sorella sul palco.»
«Jungkook, ma che stai dicendo, sai anche tu che non succederà mai. Le voglio tanto bene, ma bisogna che abbia dei grandiosi insegnanti fin da piccola che la portino a diventare una ballerina qui dentro. Non serve la passione, serve anche qualcuno di importante dietro, perché di persone come lei ce ne sono tante e Parigi è grande.»
«Anche ad un mio amico piace tanto ballare.» lo interruppe, girandosi verso di lui e facendo ancora una volta scontrare i loro occhi. «È lo stesso ragazzo che mi ha chiesto di andare via di casa. E come potrei biasimarlo? Da ragazzino aveva lo stesso sogno di tua sorella. Mi ha raccontato di come prendeva lezioni proprio dentro il teatro, nella sala prove che c'è qui sopra: hanno un pianoforte e un grande spazio dedicato alle prove. Era meraviglioso, ma un giorno ha dovuto smettere perché la sua famiglia entrò in bancarotta: mancava un mese prima della sua prima esibizione davanti ad un pubblico grande come questo che abbiamo qui sotto e si è ritrovato per strada assieme alla sua famiglia. Non avevano più uno spicciolo e lui ha lavorato così duramente, ballando per strada, inventandosi qualche nuovo stile diverso dal classico. Un ragazzo estremamente coraggioso: forse, è stata la migliore scelta, quella di andare via. Perché alla fine io gli voglio bene e per gli amici si fa di tutto: lo dici e fai tu stesso, vero Taehyung?»
L'altro annuì. Incredibile come le loro vite erano tanto simili anche da quel punto di vista e, sinceramente, si sentiva estremamente triste ogni qualvolta che ascoltava di un tale sogno infranto, soprattutto nel modo in cui era accaduto all'amico di Jungkook: gli era stato proprio sottratto dalle mani! Sperava di un lieto fine migliore per sua sorella, per quel ragazzo, ma anche per Jungkook e per lui stesso.
Forse parlando di un nuovo romanzo avrebbe finito per scriverne realmente uno?
E di cosa doveva parlare il romanzo, se aveva perso l'ispirazione?
No, non l'aveva più persa. L'aveva ritrovata ed era proprio accanto a sé.
Lo spettacolo, almeno nel suo primo tempo, fu meraviglioso, tanto da lasciare Taehyung senza parole. Non credeva di aver mai visto una tale delicatezza in una persona, che era la protagonista. Aveva sempre sognato vedere Il Lago dei Cigni rappresentato a teatro con della musica suonata da una grande orchestra a qualche metro di distanza. La ragazza che volteggiava in quei bianchi vestiti aveva un'esile corporatura, i capelli scuri raccolti in una crocchia e gli occhi valorizzati da un chiaro trucco; le sue scarpette con la punta erano di colore bianco come l'abito, che le arrivava fino al polpaccio.
L'espressione di Tae divenne triste quando il sipario si chiuse facendo capire che era arrivato il momento dell'intervallo e questa sua delusione fu confermata dagli applausi del pubblico. Sospirò abbassando il capo e dunque sentì la mano di Jungkook sulla propria spalla, girandosi per annuirgli, capendo che era arrivato il momento di agire. Avrebbero avuto altre occasioni per deliziarsi con un'opera tanto splendida, non serviva disperarsi, adesso.
Si alzò dalla sedia in velluto rosso e poggiò una mano sulla gamba di Jungkook, quasi a volergli dare ulteriore coraggio, che in quella situazione serviva sempre.
Arrivò davanti alla grande scalinata dell'ingresso, questa volta senza avere il suo amico accanto e prese un grande respiro, cercando di non concentrarsi su tutte quelle meravigliose opere d'arte che lo circondavano, poiché non era affatto il momento di elogiare tutti quegli stucchi qua e là.
Mise un piede su un gradino, sentendo un brivido percorrergli tutta la schiena: poteva davvero percorrerla? Insomma, non aveva un biglietto per la platea o per il primo o secondo ordine, non era un pezzo grosso, non poteva salire tramite quella scultura marmorea. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, alzando il mento verso l'alto per osservare la scena: eccolo lì, quell'uomo uguale a Jungkook, che sulla parte sinistra della scala stava parlando con altri tre uomini.
Un piede, l'altro piede. Un gradino, un secondo gradino. Non poteva salire là sopra, chi era lui? Non era proprio nessuno, non aveva più denaro, non aveva più dignità e neanche un nome. Tutto perché l'aveva perso unicamente a causa propria, non di Jungkook. In quel momento, in un altro universo, poteva stare lì e star aspettando di rientrare in platea, con un bellissimo abito addosso ed estremamente ricco grazie alla buona riuscita del suo libro più recente. Eppure aveva seguito un altro sentiero: i destini erano due, ma lui quale era andato a seguire?
Se non avesse seguito quel destino, avrebbe incontrato Jungkook di nuovo e starebbero veramente cercando di far pagare a suo padre tutto quello che gli aveva fatto? Probabilmente sarebbe stato un fantastico destino, quell'altro, ma era stata una sua scelta quella di finire così e, certamente, se l'aveva considerata allora doveva avere qualche lato positivo.
Fu meraviglioso percorrere la scalinata sotto gli occhi di tutti quelli che lo guardarono storto, poiché non aveva abiti costosi, eppure si era infiltrato fin là sopra.
Sono gli abiti a determinare la passione di un uomo per le arti? Anche un semplice uomo, senza denaro, aveva tutto il diritto di entrare a contatto con l'arte e di stare lì sopra, di mostrare tutto il suo amore per il sapere e bellezza. E lui adesso era lì, non curante di tutte le occhiatacce e tutte le parole della gente: cosa importa della gente? Specialmente la felicita individuale è importante.
Girò verso sinistra, verso gli uomini, tenendo quel sorrisetto sul volto e le mani strette dietro la schiena.
Gli uomini smisero di confabulare tra di loro, iniziando a guardare nella sua direzione in silenzio, guardandolo da capo a piedi, anche loro pensando la stessa cosa di tutte quelle altre persone.
Taehyung si fermò davanti a loro senza smettere di sorridere cordialmente, ma non pronunciò nessuna parola.
«Chiedo scusa, desidera qualcosa?» chiese allora uno dei quattro: un uomo bassino, dai capelli scuri con qualche striatura bianca e corti.
Tae allora annuì. «Cerco lei, monsieur. Se posso parlarvi, ovviamente.» si rivolse al padre di Jungkook. Addirittura, se socchiudeva gli occhi, gli sembrava di star parlando con Jungkook stesso, tale era la somiglianza, soprattutto per i tratti del viso e la corporatura. Tranne gli occhi, gli occhi erano diversi: l'uomo li aveva del colore verde, mentre quelli di Kook tendevano al nero.
«Con me?» chiese lui, indicandosi il petto con un dito. Gli altri uomini si allontanarono allora di qualche passo, probabilmente perché il suo tono aveva una nota intimidatoria, come se stesse per attaccare da un momento all'altro. In realtà pareva essere abbastanza tranquillo, ma era minacciosa anche la sola voce dell'uomo.
E allora tutto quanto lì attorno smise di avere un qualsiasi rumore, come se il confabulare della gente si fosse tramutato nel ronzio di qualche insetto, un rumore troppo sottile ed irrilevante per essere notato. Taehyung non aveva affatto paura di quell'uomo dall'aspetto intimidatorio, infatti allungò la mano verso di lui, con l'intento di stringergli la sua.
L'uomo alzò un sopracciglio in una smorfia di confusione e addirittura disgusto, rifiutandosi di stringergli la mano, e allora Tae rimise la propria mano lungo il fianco.
«Desidero colloquiare con lei a riguardo di un argomento che, certamente, sarà di suo piacimento.»
«E posso avere il piacere di sapere il nome di colui che mi disturba durante un'uscita di divertimento assieme ai miei cari amici?»
«Kim Taehyung.» pronunciò, senza evitare il contatto con i suoi occhi. Di cosa aveva paura, di un uomo? Ovviamente no, non è degli uomini singoli che bisogna avere paura, poiché sono impotenti.
Lui annuì, mettendosi una mano sotto il mento e l'altra sotto il suo gomito, per mantenerlo.
«Che sia una cosa veloce.»
Tae abbassò il capo, lasciandosi sfuggire un sorrisetto, che riuscì a non far notare all'altro.
«Suppongo che lei sia interessato nel campo dell'editoria. Mi spiego meglio, non desidererebbe avere contatti con una delle migliori stelle della Mabillon?» gli chiese, senza curarsi degli altri che stavano accanto a lui. A quel punto, il padre di Jungkook fece loro segno con due dita di dirigersi altrove, poiché la loro presenza in quella conversazione era tutt'altro che gradita, e quindi anche lui sfoggiò un sorriso verso Taehyung, molto più cupo e molto più falso di quello che il più giovane gli stava mostrando.
«Vada avanti, Kim.»
«Monsieur, credo che vi interessi conoscere V, il famoso scrittore.»
A quel punto lui ridacchiò stringendo le braccia al petto e scuotendo il capo. «Ah, credevo uno scrittore più importante e con più libri pubblicati, non soltanto uno. Cosa dovrei farmene di quel V? Non so affatto chi sia e di conseguenza non so se è stato lui a scrivere la sua opera, né se siano più persone. Potrebbe essere chiunque, non crede?»
Taehyung annuì, ma quando fu sul punto di protestare quello che gli aveva appena detto, fu ancora una volta fermato «È per quell'uomo che mi hai disturbato? Dovrei forse mandarti via malamente, non rispettando la buona educazione?»
Il tono cordiale aveva una nota ben evidente di fastidio e soprattutto odio: incredibile come aveva anche la voce simile a quella di Jungkook, tuttavia non si sarebbe mai immaginato il ragazzo rivolgersi in quella maniera che sottintendeva minaccia.
«E se le dicessi che V ha un libro pronto per essere sfornato che sarà la migliore opera che tutta la Francia e tutto il mondo hanno mai visto e che vedranno mai?»
L'altro alzò allora un sopracciglio, confuso ed incredulo dalle sue parole: quasi gli veniva da ridere a quel moccioso che si era presentato così impulsivamente davanti a lui e gli stava parlando di un tale argomento così inverosimile. Certo, perché credeva che V fosse un moccioso proprio come lui, sopravvalutato da tutti quanti. Solo il suo successo poteva essere considerato di tutto rispetto. «Le dirò in segreto, monsieur.»
E allora Taehyung si avvicinò al suo orecchio, con le mani a coppa e sussurrando. «Sono io V.»
L'altro indietreggiò, allontanandosi da lui e scoppiando a ridere, portando le mani attorno allo stomaco per cercare di trattenere tutte le risa per quella battuta. Rise almeno per un minuto buono, attirando a sé lo sguardo di tante persone, del quale non si curava minimamente. Poi portò una mano sotto l'occhio destro, asciugando quella lacrima che stava cominciando a scendere lungo la sua guancia.
«Non mi prendere in giro ragazzino,» iniziò, dopo aver riassunto un tono di voce serio «non mi piacciono gli scherzi.» terminò, assottigliando allora gli occhi, guardandolo minacciosamente.
«Non la prendo in giro, monsieur.»
«E sentiamo allora, per quale ragione avrei il così grande onore di parlare con lei? Se è colui che vuole farmi credere che sia, ovviamente, anche se non ha alcuna prova di essere tale. Fingerò di crederle, altrimenti potrei ricominciare a ridere per le stoltezze che fuoriescono dalla tua bocca.»
Aveva anche smesso di usare il formale, segno di quanto lui lo considerasse un individuo del più basso rango della società. Aveva ragione, faceva soltanto ridere quando diceva di essere V, poiché lui non era più quello scrittore e doveva farsene una ragione. Però lo stava facendo per Jungkook e dovevano portare a termine il loro piano. Per Jungkook, per il suo amico!
Doveva farcela e affrontare quell'uomo e, soprattutto, se stesso.
Non bisogna avere paura degli uomini, no? E Taehyung era un uomo. Oppure stava affrontando V, colui che stava dentro di sé, che non era più un uomo?
Non importava, non doveva comunque preoccuparsi, perché se l'avesse fatto sarebbe significato perdere quella battaglia e farla perdere anche a Jungkook.
«Sarà costretto a credermi. Conosco il capo della Mabillon, Kim Seokjin. È lui che ha visto il mio talento e ha deciso di assumermi.»
Si ricordò allora di qualcosa che aveva dentro la sua giacca, che era la giacca buona: era solito indossarla quando andava a lavoro. Allora prese la stilografica di Seokjin da dentro il taschino interno, nel quale l'aveva riposta il giorno in cui era andato via dall'editoria, volendo portare con sé un piccolo ricordo, certo che il suo ex-capo ne avesse in abbondanza per colmare la mancanza di essa.
Gliela mostrò, indicando con l'estremità dell'unghia il nome dell'importante uomo stampato là sopra in un elegante corsivo.
«Questa appartiene a lui, l'ho presa dalla sua scrivania. Sono sue personali, esistono soltanto nel suo portapenne. Dove altro me la sarei potuta procurare?»
«Fingerò ancora di crederti.» gli rispose ancora con braccia incrociate al petto.
«Bene. Andavo alla ricerca di un socio. So che lei è molto ricco, monsieur, non le piacerebbe investire una parte del suo capitale in un giovane successo come me? Le assicuro che la nuova opera sarà la migliore vista sulla scena mondiale. Ha mai sentito di un pezzo di carta che riesce a far sentire degli odori o udire suoni, o addirittura riesce a far vedere luoghi dove non si è mai stati? È una grande innovazione la mia, Seokjin già mi ha detto di come io sarei una fortuna per quel qualsiasi uomo che investirebbe su di me. Come perdersi una tale opportunità?»
«E perché proprio io?»
I suoi occhi avevano cambiato inclinazione, non mostravano più tanto scetticismo come prima: come se lo stesse in qualche modo convincendo. Peccato che non ci fosse alcun romanzo e che quel tipo di racconto debba ancora essere inventato.
«Perché lei è un perfetto imprenditore, signor Boyer.»
Merda. Questo non poteva prevederlo. Jungkook era rimasto dietro una colonna ad osservare tutta la scena ed ascoltarla a tutt'orecchi, cercando di non essere confuso da qualche altro discorso lì vicino e dopo quella frase sperò seriamente di aver capito male, perché quel piccolo particolare avrebbe guastato tutto il loro piano.
Ma non poteva far sapere a Taehyung che gli aveva mentito per tutti quei mesi su una cosa così importante che non gli avrebbe mai e poi mai confessato.
«Signor Boyer?» chiese confuso il signor Jeon, alzando ancora una volta un sopracciglio.
Jungkook controllò che la pistola fosse dentro la sua giacca ed infilò una mano lì dentro, al fine di prenderla.
Doveva evitarlo, doveva cercare di far rimanere almeno Taehyung al suo fianco, adesso che si erano ritrovati. Che amaro gioco del destino era quello! Perché proprio a lui doveva capitare una cosa del genere?
«Io non mi chiamo Boyer, io sono Jeon Auguste-»
«TAEHYUNG!» urlò Jungkook, uscendo allo scoperto, maledettamente troppo tardi per cercare di aggiustare le cose. L'aveva detto. E lui era uscito fuori, con una pistola in mano e col dito sul grilletto. Tutti i sussulti della gente lì accanto che si stava allontanando dalla scena impanicata non contavano nulla, come se fossero fuori dal palcoscenico o semplici spettatori.
In quella tragedia c'erano solo lui, suo padre e Taehyung. Nel momento in cui incontrò, dopo tutti quei mesi, gli occhi di quell'uomo che lo stavano osservando con paura, chiedendogli indirettamente di non compiere quello che aveva intenzione di fare, dubitò sulla giustizia dell'azione.
Era forse giusto porre fine alla vita di un uomo che disperatamente chiedeva di essere risparmiato soltanto attraverso il panico dei suoi occhi? E che razza di essere umano si sarebbe abbassato al livello di un verme, quale essere vivente con un briciolo di senno e con un cuore palpitante avrebbe mai ucciso il proprio padre, colui che l'aveva cresciuto, senza alcun ripensamento? Tempo per ricredersi ce n'era stato, non era lì che doveva comprendere che fosse un errore.
E se stesse compiendo la scelta più sbagliata di tutte? Sarebbe dovuto ritornare da suo padre e scusarsi con un abbraccio, ricambiato con la sua solita freddezza: era quella la scelta giusta, la scelta che, come suo figlio codardo, avrebbe dovuto intraprendere.
I suoi occhi si spostarono verso il basso, sul pavimento dove Taehyung si era rannicchiato per evitare di essere colpito da un proiettile appena aveva visto l'altro con la pistola.
Perché aveva quello sguardo? Non lo stava giudicando, aveva soltanto gli angoli degli occhi verso il basso, i quali esprimevano quella tristezza che mai avrebbe voluto osservare sul volto di Taehyung. Certo, c'era stata la tristezza, non si poteva evitare, ma non era mai arrivata ad essere tale: quella tristezza che gli faceva gelare il cuore, quella per la quale avrebbe voluto scusarsi, anche se non aveva fatto nulla per procurarla.
Lui aveva abbassato la testa per terra e chiuso gli occhi, i muscoli del suo viso non erano tesi, ma giurava di aver visto un leggero riflesso sotto i suoi occhi, causato probabilmente da una minuscola lacrima. Cosa stava facendo? Cosa aveva causato tutto questo? Perché lo stava facendo? Era realmente tutto sbagliato, lo sapeva. La sua fronte cominciò a sudare e quasi non riuscì a tenere in mano la pistola, poiché stava scivolando dalle sue dita.
«Jungkook...» pronunciò suo padre, sempre con quel tono autoritario che era solito portare.
Non doveva lasciar cadere la pistola per terra, non doveva diventare vulnerabile e lasciar vincere lui e la sua mente che ancora non si era liberata da quell'uomo.
E neanche c'era qualcuno che aveva intenzione di fermarlo: letteralmente, c'erano solo lui, la sua mente, la pistola e il silenzio.
Le uniche parole che riuscirono ad entrare attraverso quel robusto muro furono quelle di suo padre, come se fossero un ronzio, che cercava di convincerlo a lasciarlo stare.
«Jungkook, tu sei mio figlio... sei mio figlio...» gli sussurrò, adesso con il suo solito ribrezzo. L'uomo abbassò lo sguardo verso il ragazzo per terra, serrando i denti ed osservandolo con odio e disgusto; li rialzò poi verso Kook, stringendo le mani a pugno, delle quali una aveva un dito puntato verso il figlio.
«Tu sei... mio figlio e dopo tutto quello che ho fatto per te ti presenti qui...» diede un calcio al ventre di Taehyung lì vicino, senza calibrare la forza, facendogli dunque emettere un gemito di dolore; lui fece per rotolare via, ma l'uomo lo colpì ancora e ancora senza pietà, e Jungkook non fece assolutamente niente per evitarlo, neanche quando Taehyung emise tutti quei gemiti di dolore. «ti presenti con questa feccia che osa rivolgermi la parola per imbrogliarmi... e tu... e tu che-»
«Non osare parlare di lui in questa maniera!» esclamò Jungkook, adesso riprendendo la pistola fermamente tra entrambe le mani e stringendo la presa pronto per colpirlo, attento a non farla scivolare per terra. Anche i suoi denti adesso erano serrati e nei suoi occhi cominciavano a formarsi delle lacrime dovute al nervoso, alla rabbia e a tutto l'odio che finalmente stava per esternare, ben evidenziato anche dalle sue sclere arrossate.
«Altrimenti che fai, mi spari, figliolo?» lo procò sempre ringhiando verso di lui e con pugni stretti. «Tanto sei un grandissimo codardo, dal momento in cui sei nato, da quando tua madre ti ha cresciuto e tu sei diventato un rammollito come lei.»
No, di lei non doveva parlare così, neanche minimamente. Cominciarono allora a tremargli le mani e tutto il corpo, facendogli oscillare la pistola. «Non provare neanche minimamente...» sussurrò, con il tono più intimidatorio e colmo di rancore che poteva usare «a parlare di lei così... tu non la meritavi...»
Poteva insultare lui, poteva insultare Taehyung e cavarsela con qualche minaccia di morte, ma non poteva insultare sua madre e passarla liscia.
Aveva insultato la persona che gli aveva dato la vita e per questo era un essere disprezzevole.
«Coraggio Jungkookie... coraggio piccolo mio, coraggio, sparami, lei che cosa penserebbe una volta che avrà visto la mia anima all'Inferno assieme alla sua? E cosa penserà quando anche tu finirai all'Inferno, quando sarà giunta la tua ora?»
Jungkook abbassò il capo, trattenendo forzatamente qualche singhiozzo digrignando i denti, come se fosse il più faticoso sforzo di tutti.
Ne sarebbe grata.
«Ho intenzione di eliminarti dalla mia vita una volta per tutte, come tu volevi fare con me, non molto tempo fa.»
Non riusciva a premere il grilletto, non ne era capace: era un codardo. Suo padre si stava avvicinando sempre di più a lui, adesso con un sorriso che pian piano stava dipingendo sul suo volto.
Mise una mano sulla canna, abbassandola verso il pavimento e non ottenendo alcuna risposta che tentasse di evitare la sua azione.
«Eppure non ti ho ucciso.» sussurrò lui, affinché neanche uno spettatore fosse in grado di ascoltarlo, come se volesse tenere stretta a sé la ragione. «E adesso che fine hai fatto? Neanche sai tenere una pistola in mano, da rammollito come sei. Vuoi spararmi? Fallo, verrà tagliata la testa a te e al tuo amichetto che tanto vuoi proteggere dalle brutte paroline. E chi lo proteggerà adesso? Nessuno, perché sei un debole e, in qualsiasi modo andranno le cose, noi due ci rivedremo all'Inferno. A te come sembra come decisione?» chiese infine, allontanandosi di qualche passo, senza smettere di avere un sorriso da folle. «D'altronde, hai scelto tu come dovevano andare le cose. Hai scelto tu tutto questo, hai scelto tu di essere un fallito.»
Non aveva scelto lui, gliel'aveva imposto.
Che faccia aveva ad incolparlo di tutto senza prendersi le sue responsabilità di averlo mandato in quella situazione pietosa.
«Tu non sei mio padre, sei solo un grande bastardo.» disse infine Jungkook.
Un bastardo come lui non aveva il diritto di avere un figlio, né tantomeno un figlio da usare come una bambolina da colorare a proprio piacimento e da muovere come se fosse un burattino.
Aveva preso la sua decisione e, in quel momento, gli pareva proprio la migliore di tutte, quella più adatta e che un uomo come lui si meritava. Forse era anche troppo poco per ripagargli tutto quello che gli aveva fatto.
Gli aveva rovinato la vita, facendogli costantemente provare ansie, avere incubi, paure, provare odio verso le attività che avevano così tanta bellezza e che dovevano essere lodate solo per esistere. L'aveva plasmato a suo piacimento e doveva dannatamente pagare per questa ingiustizia, doveva pagare per tutti i suoi crimini verso lui e tutte le persone che un tempo lo amavano.
Alzò fieramente il capo, mostrandogli la sua espressione che esprimeva pura rabbia e rialzò la pistola verso di lui, stringendola per quanto le sue forze gli permettevano.
«Questo è quello che i bastardi si meritano.»
Terminò.
Tutti quanti osservavano la scena senza parola o, addirittura, coprendosi bocca e orecchie, ma nessuno osava togliere gli occhi di dosso i due, perché con i soli visi teatrali erano in grado di raccontare a tutti quanti ciò che loro due avevano passato.
Si stavano aspettando che Jungkook premesse il grilletto e che il marmo del pavimento del teatro venisse sporcato di sangue in ogni dove: era davvero lui il codardo, in mezzo a tutta quella gente che non aveva neanche il coraggio di sussultare, lasciare un urlo o di correre per fermare la scena?
Jungkook chiuse gli occhi, premendo il dito indice sul grilletto, aspettandosi il suono che il proiettile avrebbe fatto una volta che fosse stato lanciato.
E così fu: quel suono sordo si propagò per tutto l'immenso ambiente, la gente si coprì finalmente gli occhi con entrambe le mani, le una signora nascoste da suo marito al lato aveva posto il capo sulla spalla della sua amica e aveva cominciato a piangere a causa della teatralità e drammaticità dell'evento che stava accadendo proprio davanti ai loro occhi.
«Auguste, scappa!»
Quest'urlo si sentì propagare proprio dopo il rumore dello sparo, preceduto dal tonfo di un corpo per terra.
Merda. Pensò Kook, non appena si rese conto che uno degli amici di suo padre l'aveva fatto cadere per evitare che venisse colpito dal proiettile e che gli aveva dato il via libera per poter scappare.
Quel grandissimo bastardo.
Stava scappando e prima che potesse rendersene conto stava percorrendo la scalinata per poter andare via, quella magnifica scalinata che Taehyung credeva fosse un'imitabile scultura.
«Taehyung, sbrigati, seguimi!» urlò verso di lui prima di affacciarsi alla ringhiera che dava sulla scalinata e che vedesse l'uomo correre proprio davanti a lui.
Non ci vedeva per nulla, aveva gli occhi offuscati dalla sua vista da miope e anche dalle sue lacrime, tanto che quando provò a colpirlo una seconda volta, accecato ormai dalla rabbia, rischiò di sparare ad una donna che teneva per mano una bambina, anziché suo padre.
Sentì le urla di paura delle due e anche di tante persone lì attorno, mentre si sentiva il suono della campana che avvertiva che il secondo atto sarebbe cominciato dopo poco.
«Porca puttana, alzati!» inveì contro di lui, quando non vide con la coda dell'occhio Taehyung alzarsi, così come gli aveva ordinato di fare, ma rimaneva steso per terra. Fece per girarsi verso di lui e sgranò gli occhi quando lo vide rannicchiarsi mugugnando dal dolore.
Non se ne era dannatamente accorto e lui stava ancora soffrendo. Si avvicinò a lui, poggiando una mano sul ventre di Taehyung, proprio dove quel verme gli aveva dato tanti calci senza alcuna pietà.
«No... merda, merda, merda!» esclamò con ansia e preoccupazione per il suo amico. «Dai TaeTae, dai, alzati, va tutto bene, adesso vado ad uccidere quel bastardo, vado e gliela faccio pagare a quello stronzo che non si merita di esistere...» gli sussurrò, passando una mano tra i suoi capelli, al fine di farlo riprendere il più velocemente possibile. Vide con la visione periferica dei suoi occhi le ombre dei piedi delle persone che si avvicinavano verso di loro, senza avere alcun motivo valido per farlo. Volevano forse togliergli la pistola? Volevano aiutare Tae? Non gli importava, chiunque erano dovevano starsene al loro posto e non dire alcuna parola.
Alzò la pistola verso di loro muovendola da sinistra verso destra, guardando ogni persona davanti a sé ancora con gli occhi pieni di lacrime e con i denti serrati. «NON OSATE AVVICINARVI O VI FACCIO FUORI!» urlò a pieni polmoni verso tutti loro, seppure molti avessero volti impauriti e anche loro si stessero nascondendo dietro qualcun altro.
Jungkook abbassò il capo di nuovo verso Tae, accarezzando il suo volto con la sua mano, sorridendogli e ottenendo lo stesso sorriso di ricambio. «Raggiungimi quando starai meglio» gli disse, cercando di alzarsi in piedi, ma venendo fermato dalla mano di Taehyung che gli afferrò il lembo dei suoi pantaloni.
«Jungkook?» lo chiamò, facendolo accovacciare di nuovo verso di lui. Allora Tae allungò la mano verso il suo volto, portandola sotto il suo occhio destro , al fine di asciugarglielo. «Non devi credere alle parole di tuo padre» cominciò con voce roca a causa del dolore. L'aveva colpito estremamente forte e lui era rimasto a guardare. «perché tu non sei un fallito. Corri e vai ad ammazzare quello stronzo, perché non meriti che distrugga ancora la tua vita: tu sei meraviglioso, Jungkook.»
A quelle parole Kook sentì qualche battito venir meno, rimanendo senza parole. Si rimise in piedi e alzò allora lo sguardo verso tutte le persone che stavano lì, rivolgendo ancora una volta la canna in maniera minacciosa. «Ripeto. Provate ad avvicinarvi e siete tutti morti.»
Non era nel suo stile minacciare gli innocenti, ma il suo cuore non stava funzionando in quel momento, sommerso da così tante ed irrazionali emozioni e non riusciva più a definire quando finisse una ed iniziasse l'altra.
Quando scese per le scale, tutti quanti lo fecero passare poiché impauriti, addirittura qualcuno alzando le braccia chiedendo pietà.
Tutto era controllato dal suo istinto e dalle emozioni positive che le parole di Taehyung gli avevano suscitato: sapeva che ce l'avrebbe fatta, ormai era una certezza, poiché anche il suo cuore e quello di Tae ne erano convinti.
Quel ragazzo credeva in lui, allora voleva proprio dire che qualche probabilità di successo ce l'aveva, non era proprio un fallito, come suo padre stava cercando di convincerlo.
E sapete che fine fanno tutte le menzogne che i bugiardi dicono? Devono essere messe a tacere, poiché il mondo non si merita di essere ingannato da gente vile come loro.
Kook continuò a correre il più velocemente possibile, arrivando fino al foyer, splendente in tutte le sue decorazioni dorate e si guardò attorto, cercando l'uomo in ogni zona, sebbene non riuscisse a trovarlo da nessuna parte.
Si girò col capo: c'erano due guardie che stavano avanzando verso di lui. Sgranò gli occhi, indietreggiando di qualche passo e correndo via, nascondendo la pistola dentro la sua giacca. In quel momento, mostrare un'arma a delle guardie sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi, anche se gran parte delle persone a teatro avevano già visto il suo volto e potevano risalire al suo nome e cognome, a causa del discorso che gli avevano sentito fare con suo padre.
Vide allora un uomo che stava correndo e che si stava andando a nascondere salendo sulla rampa di scale, quella di marmo verde e rosa antico posta sulla sinistra del teatro: era lui, doveva inseguirlo e avere allo stesso tempo quel paio di guardie alle sue calcagna.
D'altronde Jungkook era molto veloce, l'aveva già sperimentato con Taehyung qualche giorno prima che, seppur arrugginito a causa del corso degli anni, aveva ancora le potenti e veloci gambe di quando era un ragazzino.
Cominciò ad inseguirlo, allora, facendo attenzione a non inciampare in ogni gradino a causa del suo passo lungo.
«FERMATI SUBITO, BASTARDO!» urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, facendo echeggiare la frase per tutta la rampa di scale. «HAI DETTO CHE CI SAREMMO INCONTRATI ALL'INFERNO E ADESSO STAI SCAPPANDO COME UN CODARDO!»
Grandissimo ipocrita.
I suoi occhi erano nuovamente inniettati di sangue, lo odiava così profondamente solamente perché continuava a respirare ed essere considerato essere vivente, con un anima, un cuore ed un cervello.
Sperava che qualcuno lo scagliasse lontano come accade con le rocce quando vengono lanciate dall'altra parte del lago con tutta la potenza possibile delle braccia.
Era arrivato fino al terzo ordine e adesso quella rampa di scale era terminata e doveva accedere da quelle che erano destinate a tutti gli ordini, se voleva salire ancora più sopra. Tutta la gente nell'ordine si era radunata all'interno dei propri palchetti al fine di salvarsi da uno sparo mal riuscito, lasciando il corridoio vuoto.
Sparò una terza volta quando vide l'uomo correre tra una colonna e l'altra dalla parte opposta e, non appena lo sentì lanciare un urlo di dolore e vide la sua figura cadere per terra, sobbalzò, sgranando gli occhi e lasciandosi sfuggire un piccolo ed inevitabile sorriso.
L'aveva davvero preso? Ce l'aveva fatta?
Riprese a correre verso la sua parte, girando a destra un paio di volte prima di trovarselo davanti, disteso, che chiedeva pietà, dolorante.
Era in una macchia di sangue a dir poco raccapricciante: stava stringendo il braccio con la mano, cercando di evitare, invano, la copiosa fuoriuscita di sangue. Così facendo, premendo sulla zona del braccio perforata dal proiettile, si stava causando soltanto altro dolore.
Jungkook si accovacciò accanto a lui, ridacchiando trionfante e facendo rigirare la pistola tra le sue dita. «Un fallito e codardo non avrebbe mai fatto questo, non credi, padre? Il codardo sarebbe scappato proprio come hai fatto tu. E penso ne sia valsa veramente la pena.» disse con tutta la franchezza del mondo, guardandolo ancora sprezzante negli occhi.
Fino alla fine.
«Chi... chi...» provò a dire l'uomo, con voce roca e con difficoltà nel parlare a causa del dolore.
Che altro aveva intenzione di dire adesso? Che altra fesseria avrebbe tirato fuori dalla sua sporca bocca?
«Chi... salverà il tuo amichetto... dalla prigione?» gli chiese, senza nascondere un ghigno che faceva largo per tutto il suo viso. «L'hai condannato... a causa del tuo egoismo.»
Taehyung. Sgranò gli occhi, ripensandoci. Era vero, anche lui avrebbe pagato le conseguenze: la gente li aveva visti, c'erano delle guardie ed un uomo era stato sparato.
Non poteva salvarlo, non poteva farlo più. L'aveva condannato per il proprio egoismo senza pensarci qualche altro secondo in più. Ma Taehyung stesso aveva proposto tutto quello! Non poteva seriamente fargli dubitare delle sue scelte per l'ennesima volta, lui non era nessuno per fare questo.
L'impulso era colui che governava sulle sue scelte e non aveva motivo per cui avere dei ripensamenti e dei dubbi, perché altrimenti era certo che se ne sarebbe accorto fin da subito.
Che diritto lui aveva sulla sua mente? Non era proprio nessuno.
Avrebbe protetto Taehyung, sebbene quello che diceva suo padre e sebbene la condizione che si era andata a creare.
«Dimmelo Kook... dimmi... dimmi chi lo proteggerà...» disse spalancando improvvisamente gli occhi e smettendo di utilizzare quel tono sofferente, riuscendo a prendergli la pistola dalle mani, lasciando Jungkook senza parole.
Alzò le mani di riflesso e cadde per terra, con occhi sgranati: suo padre aveva preso in mano la situazione e adesso era davanti a lui, con la sua stessa pistola puntatagli contro dallo stesso uomo che aveva appena ricevuto un proiettile di essa nel braccio sinistro.
«Chi proteggerà lui da me? Chi proteggerà te da me? Ho proprio deciso di porre fine a quello che ho cominciato tempo fa, ho intenzione di darti la punizione che ti meriti, fallito che non sei altro. Avrai quello che ti meriti per non avermi obbedito, per non essere come dico io, per non essere stato un figlio modello come avevo desiderato e per essere un rammollito.»
Kook chiuse gli occhi, cercando di fare dei respiri profondi: lui non avrebbe esitato a farlo fuori, era realmente giunta la sua ora prima che se ne potesse rendere conto.
Già cominciava a sentire le fiamme dell'Inferno ardergli le gambe, ma, sebbene ciò, sudava freddo.
Allora quella era la consapevolezza della morte?
«Potrai anche uccidermi,» iniziò, con voce bassa e tremante «ma non riuscirai mai a cancellare tutte le cose brutte che mi hai fatto. Sei un egoista che non merita di vivere e spero che dopo questo ti arrestino: almeno passerai degli anni in carcere, per aver tolto la vita a tuo figlio, se riesci a corromperli per evitare la ghigliottina.»
L'uomo ridacchiò. «Risponderei alle accuse dicendo che è stato tutto perché volevo difendermi dal mio pazzo figlio che da qualche tempo non faceva altro che tentare di uccidermi. E chi testimonierà in tua difesa? Quel ragazzino che si finge V?» un'altra risata «Non farmi ridere, siete ridicoli. Io ho tante persone disposte a testimoniare dalla mia parte. Tu non hai niente e non sei niente, figliolo.» terminò, sempre con quel suo odioso e malefico ghigno.
Aveva vinto e Jungkook era finito dritto dritto nella sua trappola.
L'unico suo rimpianto non era magari quello di non aver dato l'ultimo addio a Soyeon, né quello di non aver mai più incontrato Namjoon, ma quello di aver promesso a Taehyung di non essere un fallito e non essere stato in grado di dimostrarlo.
Sentì il suono dello sparo, ma perché non avvertì il dolore del proiettile che gli perforava il petto?
Forse era già morto e non se ne era accorto?
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