「28/05/1864」

5.

Aveva sempre creduto che fosse lui quella persona che rimane come punto di riferimento per chiunque, colui che non cambia d'aspetto e di abitudini durante gli anni. Basti pensare alla sua giacca e ai capelli nello stesso taglio da quando aveva quindici anni, evitando finalmente la scodella imbarazzante.

L'incontro con Taehyung lo aveva scosso, certamente, ma i concetti di cui avevano trattato erano ancora troppo pochi per destabilizzarlo totalmente. Tuttavia erano il giusto per fargli comprendere che avrebbe dovuto riprendere le sue solite abitudini, ovvero quelle della scrittura notturna, la solita passeggiata mattutina ed infine una dormita fino a quando il sole non sarebbe tramontato, rendendo difficile anche una chiacchierata con gli altri tre coinquilini, che si stavano preoccupando delle sue condizioni. Eppure rimaneva lì, nella cupola di vetro scandita dal ticchettio dell'orologio. Le sue solite occhiaie, dovute alla luce soffusa del lucernario, non accennavano ad andarsene, come se gli avessero tatuato la pelle. Ogni tanto gli capitava di leggere, sul giornale della mattina lanciato da qualche ragazzino alla porta di casa, di qualche esibizione teatrale che avrebbe tanto voluto vedere. Piegava poi le tante e le buttava, sicuro di avere di meglio da fare. Ogni giorno trovava qualcosa di nuovo da correggere, atteggiandosi come un ossesso: seppur lo negasse, era stato proprio parlare con Taehyung che l'aveva fatto ribollire di invidia nei confronti della sua eccellente bravura. L'aveva proprio smosso, con quel banale discorso sulla sigaretta. Nel loro più o meno amichevole colloquio, Taehyung era poi arrivato a parlargli dell'arte ed aveva successivamente ridacchiato, e forse proprio il modo in cui si prendeva gioco di lui gli smuoveva l'animo ad essere intrepido. Qualche spirito gli urlava, giocoso, quanto fosse idiota e poco capace di capire una tale filosofia, così come non era adatto a ricercare parole ambite e colorite.

Jungkook rispose a quella domanda dicendo che il suo amico Namjoon faceva l'artista e certe volte capitava di vedergli un quadro sotto mano, anche se ultimamente andava a dipingere in luoghi che lui non conosceva, forse per provare qualche nuova tecnica o a ritrarre qualche bucolico personaggio.
Taehyung chiese nuovamente a Jungkook cosa fosse l'arte per lui, ma fece un'imbarazzante scena muta. L'avrebbe evitata, se avesse ricordato le esatte parole di Namjoon riguardo essere tempesta. Kim decise di aiutarlo a comprendere, con quel suo solito fare in grado di catturare e ammaliare chiunque altro che non fosse Jungkook: si abbassò per prendere un fiore azzurrino d'aspetto tanto insolito da non essere mai stato descritto e analizzato da nessun erborista, tanto piccolo e insignificante qual era. Da vicino si potevano osservare le sfumature violacee ai bordi dei cinque petali e lo pose a Jungkook, con quello che ormai era il suo tipico sorriso, squadrato agli angoli della bocca.

Sembrava come se si stesse prendendo gioco di lui con la sua felicità e vita differente, tenendo in mano un misero fiorellino, nel mentre annunciava fieramente che anche un essere del genere poteva essere arte. Lo contemplava come se fosse la Venere del Botticelli e come se avesse il suo stesso sguardo penetrante, labbra carnose e gote arrossate.

Lui sapeva per certo che Taehyung era un bambino, dentro di sé, con quella sua mentalità infantile che faceva soltanto perdere le staffe agli adulti, come quando si chiede ad uno di essi di non mangiare i biscotti sul tavolo, ma puntualmente questo o li finiva tutti o li distruggeva senza alcuna pietà.
Taehyung era quel tipo di bambino che nascondeva il suo sghignazzo da mattacchione con uno angelico. Era un bambino, allora perché gli importava tanto? Perché ogni notte muoveva la penna sempre più velocemente delle altre, come se stesse facendo a gara con Taehyung stesso?

Forse il suo destino era quello di diventare un dannato con la penna in mano? Oppure Jungkook era già morto tempo addietro e non se ne era mai accorto, quindi la sua punizione per essere stato un saccente e superbo era quella di continuare a scrivere senza riuscire mai a giungere gli obiettivi a cui tanto ambiva. La sua sicurezza crollava come un castello di carte: forse lui rimaneva sempre nello stesso posto come una colonna fissa, ma non era affatto la stessa persona, perché mutava così come mutavano le nuvole o le stagioni, così come le sue idee mutavano ogni notte. Numerose contraddizioni si insediavano nella sua mente senza neanche sapere il perché. Forse perché il genere che aveva scelto non era fatto per lui, poiché troppo complicato. Le aveva provate tutte: dall'avventura all'utopico, dal didascalico alla poesia, tutti quanti colmi di tecnicismi e complicanze. Non aveva nulla da raccontare, né da insegnare, per cui le sue trame si aggrappavano agli specchi e non avevano né capo né coda. E, come se non bastasse, certe volte le dimenticava oppure si ricordava di quelle vecchie, per cui cancellava le ultime dieci pagine e riscriveva tutto daccapo. Aveva allungato di circa cento pagine quel semplice romanzetto da cinquanta, scritto con quella che definì "stolta superficialità".

Era un dannato ed ogni secondo che andava avanti se ne accorgeva sempre di più, così come aveva compreso il suo migliore amico Namjoon. Hoseok e Minsoo no, Jungkook credeva che le loro carriere fossero ben diverse dalla propria, così diverse che neanche una sensazione poteva essere accomunata. Namjoon neanche lo comprendeva per il mestiere, ma la sua empatia gli aveva fatto notare che in lui c'era qualcosa di diverso. Ma lui era come al solito, lui era colui che non cambiava mai, no? Come era possibile che qualcosa non andasse?

Alle misere dieci di sera sentì bussare alla porta della sua stanza, dopo che aveva mangiato un tramezzino al volo e mentre stava sistemando le stilografiche che in realtà non aveva pagato più di qualche spicciolo da un mercato dell'usato.
Probabilmente aveva anche perso qualche chilo: non si concentrava a vedere il suo aspetto allo specchio, però, ogni qualvolta metteva le mani sulle sue gambe o attorno alle sue braccia, esse sembravano in qualche modo sempre più sottili di prima. Non gli importava dell'aspetto, neanche del tonico addome che diveniva sempre più scarno.

«Jungoo? Sei ancora qui?» gli chiese il suo amico, appena prima che mettesse su un'espressione disgustata in volto e di correre ad aprire la finestra, cercando di respirare aria pulita. Finse di tossire quasi come un infermo, prima di girarsi di nuovo verso il più piccolo che intanto era confuso da quei suoi comportamenti. «Di' un po', ti rendi corto che questa stanza puzza di lucertola morta? Apri la finestra ogni tanto, oppure per te è un inutile accessorio?»

Jungkook tossì un attimo, grattandosi il capo, prima di rialzare lo sguardo verso Namjoon. «Quando me ne ricordo la apro. Stavo per mettermi a scrivere.»

Il più grande sbuffò alzando gli occhi al cielo «Hai davvero stancato con questo tuo libro, perché noto che sta diventando una fissazione. Oggi esci con me e Yoongi, va bene?» si impose il ragazzo, mettendo le mani sui suoi fianchi cercando di assumere uno sguardo intimidatorio.
Non fu di certo quello sguardo oppure il tono a fargli cambiare idea, neanche spingerlo a lasciare la stilografica ed alzarsi in piedi. Yoongi significava Jimin. Forse. Ma l'altra volta lo significava, quindi anche quella volta poteva essere così.
«Ci sarà anche Jimin?» chiese Jungkook speranzoso.

Namjoon strabuzzò gli occhi. «Jungkook, mi stai dicendo che sei praticamente ridotto ad uno straccio per lui?»
Ovviamente, Jungkook scattò in piedi più che sorpreso dal suo pensiero.
Assunse la sua domanda come normale, dato che lui non sapeva affatto come stavano le cose, non aveva la più pallida idea che il motivo per cui stava chiuso a casa era dovuto a Kim Taehyung e il motivo per cui voleva Jimin era perché cercava di uscire da questa situazione il più velocemente possibile, magari sperando in un atto di coraggio che gli avrebbe permesso di consegnare il dannato manoscritto.

La fine di nuovo risultava incerta, anche se l'unica cosa che lo soddisfaceva era che il protagonista chiudeva le tende di una finestra così come all'inizio le aveva aperte e questo l'aveva portato a notare un incendio nella casa accanto, punto di partenza per la dolorosa, ma allo stesso tempo avvincente storia del personaggio.
Forse poteva andare, oppure non lo sapeva. Era assai titubante ed era proprio quello il contrappasso derivato dalla sua superbia.

«Assolutamente no!» alzò le mani, cominciando a farneticare come un giovincello innamorato ed imbarazzato dall'evidenza.
Namjoon alzò le spalle, non affatto convinto, per poi stringere le braccia al petto e scuotere anche lui il capo.

«Doveva essere un appuntamento in realtà, quindi solo noi due, ma, dato che tu stai marcendo in questa topaia, non voglio lasciarti qui un minuto di più. Prendi la giacca, te la metti addosso, scendiamo giù di casa e ce ne andiamo. E per cortesia, non guardare i tuoi piedi mentre cammini, sembri depresso.»
«Mi capita di farlo sempre, dovresti saperlo.»

«Vestiti o ti strappo il libro.» continuò minacciosamente, tanto che Jungkook corse verso l'attaccapanni nel corridoio per prendere la sua solita giacca malamente accozzata accanto a quelle degli altri; poi ricorse nella sua piccola stanzetta per mettersela proprio davanti a Namjoon, attento che l'altro non si avvicinasse alla scrivania. Infatti fece qualche passettino per porsi davanti alla sedia e con la mano cercò di chiudere tutto quanto, anche tenendola dietro la schiena e rischiando di far cadere i fogli un paio di volte, sempre sotto lo sguardo vigile del ragazzo di fronte a lui.

«Sto facendo! Non guardarmi così.» provò a difendersi, finendo di mettersi la giacca.
Namjoon annuì, chiudendo la finestra e poi uscendo velocemente dalla stanzetta del più piccolo, ovviamente stando dietro di lui.

«Quando torniamo, passiamo dal fiume così puoi darti una sciacquata ai capelli: sono putridi.» gli diede un colpetto alla nuca, per poi pulirsi la mano addosso, poiché quella zona era anche madida di sudore.
«Posso giurare di averli lavati recentemente.»
«Tre settimane fa, scrittore.» gli rispose, uscendo di casa.

Jungkook era quella persona che rimane fissa come punto di riferimento, che non cambia mai, che ha le sue abitudini. Eppure, nel momento stesso in cui Namjoon gli aveva imposto di darci un taglio a quel comportamento autodistruttivo, si sentì come se quel circolo fatto di perfezione, dove lui compiva sempre le stesse azioni dimenticandosi anche dello scorrere del tempo, stesse venendo distrutto da una forza esterna a cui nessuno aveva chiesto aiuto.

Forse gli esseri umani non sono fatti per rimanere statici ed essere la colonna di riferimento di altri umani. Le cose cambiano, tutto cambia, il tempo scorre nel perpetuo fluire del panta rei e l'immutabile è una mera illusione.
Jungkook cambiava, le parole di Jungkook cambiavano, le sue idee e trame, le sue emozioni, le idee che avevano gli altri di lui.

Cosa direbbe adesso quella signora che lo chiamava sempre "figlio del sole"?

Probabilmente non lo riconoscerebbe e le farebbe addirittura timore, arrivando a scambiarlo per uno spirito fuso alla sedia della scrivania oppure per un anziano uomo che ormai aveva vissuto così tanto nella sua breve vita da non avere più niente da fare, tranne attendere la morte come salvatrice. Jungkook, per la verità non sapeva niente, assolutamente niente della vita, mentre Taehyung era l'infante che frignava con le parole di un saggio, il quale aveva compreso che c'era ancora così tanto da dire e imparare prima di accogliere la morte.

Dunque Namjoon riuscì a trascinò verso quel luogo colmo di persone i cui stramazzi davano alla testa. Yoongi, dalla voce silenziosa ed irritato ugualmente da tutti quei rumori senza alcun ordine, sembrava l'unico in grado di comprendere l'agonia di quel luogo e della serata libera dedicata alla socialità. Il pianista riuscì anche a tirargli qualche parola di bocca, trovando Jungkook sulla sua stessa lunghezza d'onda ed evitando di trattarlo come un indesiderato terzo incomodo.

Al centro del locale c'era una donna, dai capelli castani acconciati in teneri boccoli che teneva legati con una piuma nera nei capelli, e con addosso un abito rosso da ballerina con diversi tulle ugualmente rossi e neri. Il rosso delle labbra e il neo sotto l'occhio la impreziosivano assieme a qualche gioiello che le scendeva lungo il collo o lungo i polsi; ondeggiavano e tintinnavano ad ogni suo movimento del corpo deciso quanto delicato. I suoi passi ben scelti furono in grado di sbalordire la maggior parte della sala, specie gli uomini impazziti che le fischiarono interessati. Non era da molto che aveva cominciato a ballare: accompagnata dal piacevole sassofono suonato da un uomo ricco di pinguedine e barba ispida, teneva tra le dita fini un calice, sorridendo tra una piroetta e l'altra.

Decise di partecipare a quel ballo uno di quei tanti signori, forse di mezza età, molto intraprendente, più degli altri, che allungò la mano e decise di ondeggiare poggiandola sui fianchi della ragazza, che doveva avere sì e no venticinque anni, a giudicare dal viso liscio privo di rughe e imperfezioni.
L'uomo le aveva anche pestato i piedi almeno una decina di volte, ma sembrava che a lei questo non importasse, troppo brilla per accorgersene. Erano bassi, i ranghi in cui erano andati a finire, e Jungkook decise di odiare entrambi gli eccessi della società.

Si venne a formare una coda dietro quell'uomo per ballare con la ragazza, come se fosse la giostra più ambita di un parco giochi, da provare assolutamente. Un ragazzo forse della stessa età della giovane spinse via il più grande per poter ballare con lei in un modo molto più armonioso di quanto l'altro stava facendo, ma poi venne il momento in cui anche un altro uomo chiese di fare a cambio, spintonandosi.

Lo scrittore fallito abbassò lo sguardo verso il suo drink, sospirando e portandoselo alle labbra, sporcandosele di quel sapore dolce dal retrogusto amarognolo.
Namjoon si girò verso di lui ridacchiando e dandogli un pugnetto sulla spalla, cosa che lo fece nuovamente sospirare, ma questa volta scocciato. Quello che voleva fare era starsene da solo, in camera sua, a finire il suo ambizioso progetto: di certo non stare in quell'ambiente chiassoso, pieno di gentaglia che parlottava, inebriati dal vino o da qualche alcolico.

«Balla bene lei, eh?» chiese Namjoon desideroso di fare conversazione, ma ricevendo uno sguardo di fuoco da parte di Jungkook. Per cui provò ritrarsi alzando le mani in segno di resa e si voltò nuovamente, riprendendo la sua postazione accanto a Yoongi e continuando a vedere quello che poteva esser definito uno "spettacolo". Adesso la ragazza si era anche tolta le scarpe, insinuando che non riusciva a ballare bene per il dolore all'alluce. Che deplorevole, quel teatrino, il quale rendeva quel rubino prezioso una comune pietruzza.

«Questa musica fa schifo.» esordì schietto Yoongi, al quale era venuta la pelle d'oca per tutte quelle note raggruppate in modo così poco metodico: del resto era lui il professionista, in quella stanza.
Namjoon non si trattenne neanche un minimo per provocare quel ragazzo «Perché non vai al pianoforte e suoni tu? Vediamo se entrano in pista degli intenditori.»
Lo punzecchiò vivace, certo che l'avrebbe linciato con gli occhi, così da scoppiare a ridere entrambi.

Contrariamente alle sue aspettative, l'altro si scansò dalle dita e scese dallo sgabello, per poi sistemarsi i pantaloni e la giacca che si erano aggrinziti a stare seduto, facendo anche girare Jungkook dalla sua parte, ed entrambi sgranarono gli occhi quando si sollevò le maniche e camminò verso il pianoforte a muro che c'era all'angolo della sala, dai tasti coperti da un panno impolverato, stiracchiandosi le dita prima di metterle sopra il legno laccato di bianco e liscio come la giada.
Quando produsse le prime note con un accordo deciso, tutti quanti si zittirono e si voltarono dalla sua parte, persino l'uomo con il beccuccio dello strumento a fiato tra le labbra. Yoongi, al contrario, non aveva intenzione di offendere quel dilettante, ma voleva solamente dargli le giuste direttive per far sì che in quella stanza ci fosse la giusta musicalità per i piedi e le orecchie. «Vai di allegretto, poi mi segui aumentando il tempo fino al vivace. Basta che tu suona tre note, Do, Si bemolle e La in seconda ottava, la prima minima e le altre semiminime, in tempo quattro quarti.»

Il suo tono autoritario fu tanto mal visto all'inizio, ma provocò tanto spasso quando la musica prodotta fu più ballabile di prima, causando risa e allegria tra la folla. Questa volta gli uomini decisero di non fare a turno ed al contrario decisero di ballare assieme, magari ogni tanto facendo a scambio di coppie con la ragazza dai boccoli.

Jungkook sospirò scocciato per l'ennesima volta quando qualcuno gli toccò la spalla, credendo che si trattasse nuovamente di Namjoon. Ma quando si rese conto che il suo amico invece aveva le mani a posto e si limitava a guardare tutti muoversi mentre scuoteva leggermente la testa a ritmo, si girò verso colui o colei che l'aveva chiamato, disturbandolo.

Sgranò gli occhi, trovandosi davanti esattamente la stessa persona per cui in quei giorni era scappato via da tutto e da tutti, rifugiandosi in un universo fatto di parole e storie mai accadute.

«Jungkook!» esclamò il ragazzo, mettendo su il suo ormai tipico sorriso tanto irritante. Non l'aveva chiamato per il suo ㅡ falsoㅡ cognome, significava che un po' di confidenza già la avevano: già la metà del lavoro era stata fatta! Adesso bastava solo continuare a parlarci, farci amicizia come si deve e finalmente sarebbe entrato nella casa editrice.
L'unico dettaglio era proprio che non volesse scambiarci parola, perché, sebbene Taehyung fosse una delle poche vie che potevano aiutarlo a giungere all'apice tanto desiderato, avrebbe preferito tutto tranne lui. Era già stanco e l'unica cosa buona fino a quel momento era stata la musica di Yoongi.
Taehyung doveva smettere di sorridere e andare subito via, proprio in quel preciso istante. Non gli andava bene che fosse davanti a lui. Doveva lasciarlo stare. Forse questi momenti di fissazione verso il suo lavoro gli sarebbero passati e avrebbe ricominciato a scrivere come una volta, magari consegnando finalmente il romanzo alla casa editrice, ma non con Taehyung di torno.
Le sue paure lo assalivano assieme all'invidia: Taehyung era solo il volto di un angelo senza alcun peccato che era giunto da lui per fargli capire quali fossero le sue brutti abitudini nella sua vita.

Dubitava che Taehyung fosse senza peccato. L'angelo non raggiunge il peccatore in ogni luogo in cui va, ma lo fa il demonio. Taehyung era allora un demonio giunto da lui per fargli comprendere i suoi peccati da sé prima di cadere nel profondo abisso dell'Inferno?
Oppure nell'Inferno c'era già e quello era il girone proibito, quello destinato alle anime malate come le sue? Ritornò la malsana idea che potesse essere già morto da tempo e che stesse scontando una cruenta punizione.

«Jungkook, sono felice di rivederti qui!» esclamò nuovamente Taehyung. Gli prese una mano ed un brivido di disgusto si propagò per tutta la sua schiena. Ridacchiò a sforzo, «Sembra che tu mi stia seguendo ovunque vada; basta che almeno questa volta non mi richiedi di fare una passeggiata, perché tanto non verrei con te.»

Kim ne parve intristito ed offeso, a causa del tono sprezzante di Jungkook, questa volta poco trattenuto «Ma no! Non ci siamo visti per un po' di giorni, non ti sto seguendo, lo giuro!»
Le sopracciglia inarcate in tristezza suscitarono un improvviso ed indesiderato senso di colpa, per cui replicò prontamente. «Stavo scherzando! Puoi stare tranquillo.» dunque l'altro rimise su il sorrisetto felice di prima e decise di accomodarsi proprio accanto a Jungkook, anche se la presenza non era affatto gradita. Namjoon guardò i due confuso, non ricordandosi di un ragazzo di quell'aspetto incontrato prima d'ora. Poi quel basco che aveva in testa era troppo grande e gli copriva l'orecchio sinistro, per cui non riusciva a vederlo bene in faccia.

Siccome Taehyung non accennava ad andar via o smettergli di sorridere come se la mascella gli si fosse bloccata, decise di richiamarlo imbarazzato. «Scusami potresti...» e fece segno di spostarsi, fingendo di essere interessato alla visuale della ballerina acclamata dalla sala con battiti di mani impazziti.

Taehyung fece come detto, poggiandosi poi coi gomiti sul bancone e con la schiena rivolta verso di esso, intento a guardare le persone muoversi, mentre Jungkook si limitava a fissare in un punto imprecisato della scena, incantato.
Dopo qualche minuto si girò nuovamente verso il più piccolo, dandogli un leggero pugnetto per richiamarlo, dato che aveva notato essere tutto fuorché interessato.
«Ti piace ballare?»

Kook alzò gli occhi verso di lui, per poi scuotere il capo in negazione e ritornare a guardare gli altri.

«Si vede.»

L'altro arricciò il naso e si voltò indignato verso di lui. «Che intendi dire?» probabilmente si riferiva al suo modo di camminare. Forse camminava scoordinato e neanche se ne era mai accorto: chissà quante persone erano rimaste impressionate da lui.

Taehyung scosse il capo in una risata, la risata che tanto Jungkook odiava, poiché dava al ragazzo col basco un tocco di importanza in più. «Qualsiasi cosa tu stia pensando, io mi riferivo al fatto che non li stavi osservando.» rispose Taehyung, contrariamente a tutto ciò che stava pensando Jungkook. Dunque lui alzò le spalle.

«Non è che non mi piace. Lo trovo noioso.»
Taehyung annuì: anche lui trovava noiosa l'equitazione ad esempio, per le poche volte in cui aveva assistito ad una corsa, al contrario di tutti quegli uomini che scommettevano sulla velocità e la destrezza di molti puledri.

«Vorresti ballare con la ragazza al centro della sala se ti piacesse farlo?» chiese poi, ricevendo nuovamente una scossa del capo da parte di Jungkook. «Neanche io vorrei farlo. Trovo che il movimento del corpo non debba essere fatto in questa maniera. Quella ragazza è ubriaca e tutti quanti ci stanno provando con lei. Trovo che questo sia realmente inconcepibile. Non penso di certo che esista solo la danza classica, che è bella, armoniosa e si mischia bene con le melodie apposite. Ballare significa in generale essere armoniosi: certamente non parlo dell'aspetto estetico, ma di un aspetto interiore. Se stai bene con te stesso quando fai qualcosa, sei armonioso. Poi, potresti anche far schifo in quello che compi, ma non sarà mai fatto male. Quello che questa sera stiamo avendo davanti è tutto fuorché armonia.»

Ecco, di nuovo. Le sue parole lo lasciavano senza fiato in gola e giurò di aver avvertito una seconda onda lungo tutta la pelle della schiena. Rimase a guardare la ragazza scatenarsi con un uomo nuovamente più grande di lei, solo che quella volta i loro volti si erano fatti più vicini e le loro labbra si erano scontrate. Taehyung aveva ragione, tutto questo era alquanto disgustoso. E quel locale puzzava di alcol, misto all'odore delle sigarette.

«Mi chiedo se tu voglia provare a capire se fai qualcosa con armonia o meno.» riprese Tae, ancora con quel sorrisetto in volto e facendo girare nuovamente Jungkook dalla sua parte.

«Mi fa schifo ballare. Non ho armonia. Non c'è nessuna ragazza con cui possa farlo.» elencò alzando la mano e mostrandogli in successione tre dita.

«Se non hai mai provato non lo sai.» ridacchiò l'altro, allungandogli la mano.

Un attimo, gli stava forse proponendo di andare in pista con lui e gli aveva fatto tutto quel discorso soltanto per trovare un pretesto per cui ballare?
Non c'erano altre spiegazioni, il ragazzo col basco si stava prendendo gioco di lui, quel diavolo giunto sulla terra solamente per farlo ammattire.
«Non ci sono motivi per cui dovrei andare in pista con te, quest'oggi.» mise su un'espressione gelida e le braccia incrociate al petto, deciso a rimanere seduto sullo sgabello.

«Hai mai sorriso in tutta la tua vita?» mise un broncio Taehyung, notando il suo sguardo duro nei propri confronti. La sua domanda fece alzare gli occhi a Jungkook, palesemente irritato come al suo solito, e fece lo stesso con il suo corpo, lasciando Tae sorpreso.

«Cinque minuti. Solo cinque minuti, ma mi giuri che chiudi quella bocca e tieni tutte le tue domande per te, perché credo di non essere in grado di sopportarle ancora.»
Taehyung non ebbe neanche il tempo di chiedere cos'era che non andasse in quello che aveva appena detto, ma Jungkook ormai si era voltato e lui dovette solamente seguirlo.

I due si posero uno davanti all'altro con Jungkook completamente immobile poiché non aveva idea di cosa dire e fare. Taehyung semplicemente mosse i piedi a ritmo della musica ㅡ che Yoongi stava continuando a suonareㅡ e poi lo scosse leggermente, vedendo che Kook era proprio un pezzo di legno di fronte a lui. «Non imbarazzarti per così poco, stanno ballando tutti, nessuno ti guarderà, se è questo che ti dà fastidio.»

Fastidio per quello? Affatto, quelle persone non l'avrebbero mai più rivisto e mai più avrebbero avuto l'occasione di sapere il suo nome. Prese anche lui a muovere i piedi, fino a quando il più grande poggiò intraprendente le mani sulle spalle dell'altro. Deglutì, allarmato.

«Non ho mai accettato un valzer con un uomo. Taehyung, mi fa schifo ballare, te l'ho appena detto.»
Il moro ritrasse le mani lungo i propri fianchi e mise su una triste espressione, riprendendo a muoversi come prima.

Non appena le dita di Yoongi diedero la nota finale assieme al sassofono, tutti quanti emisero delle urla compiaciute assieme a vigorosi battiti di mani. I due musicisti si fecero un cenno con cordialità, fieri di quello che avevano prodotto in quella serata così alienata.

«Bene, me ne vado a casa.» mormorò Jungkook, alzando la mano verso Namjoon per indicargli con un pollice la porta e facendogli capire subito le sue intenzioni, dopodiché sgusciò via nella folla, seguito dall'altra figura, confusa dai comportamenti del suo nuovo amico, il quale non aveva rispettato la promessa.

«Aspetta, Jungkook, dove vai?» esclamò la voce di Taehyung, che intanto aveva preso a seguirlo lì fuori, almeno per chiedere spiegazioni.
«Vado a casa, te l'ho detto.» si girò l'altro, sbuffando per l'ennesima volta. «Dovevano essere soltanto cinque minuti.»

«Non hai ballato neanche per uno!» protestò il più grande, incupendo Kook, che portò la mano sul viso, con medio e pollice a coprire le palpebre.
«Ascoltami: non ti sto cacciando perché, ovviamente, la strada non è solo mia, però ti sto gentilmente chiedendo di ritornare dentro al locale. Oppure, se nel caso ti sia venuta improvvisamente la fobia dei luoghi affollati, ti consiglio di tornare a casa tua, senza che la usi come scusa per inseguirmi e continuare a parlare con me, perché io non ho intenzione di scambiare qualche chiacchiera notturna. Intesi?»
Detto questo, lo scrittore si girò dalla parte opposta e cominciò a camminare a passo veloce, sistemandosi la giacca sopra le spalle perché nel frattempo il vento aveva cominciato a soffiare di più di quando erano arrivati.

Si fermò in mezzo alla strada, deserta, solo quando ebbe la sensazione di essere seguito da qualcuno. Per cui si girò e per poco i suoi occhi non ruotarono all'indietro quando notò che Taehyung stava passeggiando a qualche metro di distanza da lui in tutto silenzio per cercare di non farsi sentire, ignorando la sua specifica richiesta. Teneva le mani dietro la schiena e continuava a guardare in avanti, come se stesse camminando normalmente e che non stesse tentando di seguire Jungkook.
«Mi spieghi che c'è?»

«È la strada di casa mia!» protestò l'altro, alzando il mento e continuando a guardare altrove. Sarebbe risultato buffo se non avesse avuto davanti Jungkook con il suo atteggiamento burbero e le braccia nuovamente incrociate al petto, nel cercare in qualche modo di assumere un atteggiamento più minaccioso.

«Casualmente per casa tua si va proprio di qua.» commentò lui, ricevendo un frenetico del capo da parte del moro. «Va bene, va bene. Ti credo.»

«È anche qua vicino, giuro che tra poco me ne vado!» esclamò a sua discolpa, certo che avrebbe camminato nella stessa strada di Jungkook ancora per un po' perché avrebbe preso la prima variazione di strada alla sua destra. Ed il minore si sorprese non poco da quell'informazione, perché era incredibile che Kim Taehyung, V, parente di Kim Seokjin, non abitasse nel centro della città, ma nell'estrema periferia, in una di quelle casette sconquassate.
«Vivi qua vicino quindi?» chiese dunque curioso.

Taehyung annuì, continuando a guardare avanti. «Viviamo io e mia sorella più piccola assieme. Forse un giorno ci trasferiremo, ma chi lo sa. Per adesso ci piace come stiamo.» dichiarò fieramente, sorridendo adesso rivolto verso Jungkook.
Soltanto lui e sua sorella? E il resto della sua famiglia? E Seokjin? E tutto il denaro che aveva la sua famiglia assieme a quello che si stava guadagnando tramite il suo esordio?

Avrebbe continuato a fare qualche domanda, se non fosse stato per un forte tuono che si propagò nell'aria, facendo alzare il capo ad entrambi, verso quel cielo coperto di nuvole ben visibili a causa della luce di qualche fulmine.
«Qualcuno mi rema contro.» notò Jungkook assertivo, portando una mano sulla sua fronte, esattamente qualche secondo prima che sul dorso di essa potesse sentire delle goccioline caderci sopra.

Numerose altre stille caddero sulle sue spalle, fronte e tra i capelli, avvertendole correre fino ad arrivare alla punta del suo orecchio del suo mento, per poi colare sul suo petto e bagnare i vestiti assieme a tutte le altre gocce.
Si sarebbe rassegnato a dover camminare fino a casa sotto quel tempaccio senza neanche un ombrello tra le mani, ma sentì una giacca venirgli messa sulla testa, sorprendendolo tanto da saltare sul posto.
Si girò verso colui che gliel'aveva messa addosso, tenendo le dita attorno quel tessuto per non farlo cadere in alcun modo, rimanendo sorpreso dal sorriso di Taehyung, coi capelli già zuppi a causa del temporale, senza alcuna giacca sulle spalle.

«Sei serio? Come torni a casa? Senza nulla?» chiese Jungkook. Certo, non lo sopportava, ma non era un sadico e neanche la causa del malanno di qualcuno.
Tae scosse il capo. «Magari così hai un pretesto per ridarmi la giacca un altro giorno.»
La sua carità era palese e malaccetta.

Jungkook non poteva certo dire di sì e cadere nell'inferiorità, né poteva permettere di fargli venire il raffreddore.
Sospirò, togliendosi la giacca di Taehyung dalla testa e posandola sul capo del proprietario, che trattenne con entrambe le mani.
«Ma non-»
Fu interdetto da Jungkook che alzò gli occhi al cielo. Stava compiendo una buona azione e aveva anche da ridire a riguardo? Era già troppo se non scappava via lasciandolo a ballare sotto la pioggia. Poi, se lui abitava vicino, poteva offrirgli riparo fino a quando avrebbe smesso di piovere, in modo da non prendere lui un raffreddore.
«Ti accompagno a casa tua. Fammi strada.» dichiarò, facendo un paio di passi in avanti per fargli capire le sue intenzioni.
Tale proposta fu inaspettata e Tae non poté accettare, perché sarebbe significato abusare della sua pazienza e del suo tempo.

«Sicuro? Se vuoi te la do davvero, la mia giacca, e torni a casa con quella sulla testa e la tua sulle spalle, davvero, non c'è alcun problema, abito proprio qui vicino.» esclamò portando una mano in avanti, mentre l'altra la teneva impegnata a mantenere la giacca sulla propria testa.
Jungkook si sfilò la propria e la mise nella stessa posizione dell'altra facendo a Taehyung un cenno secondo cui gli ordinava di dargli ascolto.
La pioggia battente sui loro capi era poetica, ma rovinata dai tessuti delle giacche zuppi che bagnarono i loro capelli, impazienti di trovare riparo.

Taehyung infilò le chiavi di casa dentro la fessura della porta e ruotò, dopodiché entrambi poterono entrare dentro quella casetta, dall'esterno fredda e angusta. Una volta all'interno e accesa la luce, Jungkook poté alzare le sopracciglia sorpreso nel notare che quell'ambiente era davvero accogliente, poiché c'era un piccolo salone con un divano arrangiato al centro, proprio davanti al caminetto, mentre verso la parte sinistra c'era la scala a chiocciola che portava al piano superiore. All'angolo della stanza principale c'era un'altra porta, che probabilmente portava verso il cucinino.
Jungkook continuò a guardarsi intorno, nel mentre si asciugava la testa con l'unica zona della propria camicia, coperta dal gilet, che non era bagnata. Slacciò lo strumento e lo posò sul pavimento, per poi girarsi attorno.

«Casa tua?» chiese in conferma, come se già non ne fosse già abbastanza sicuro.

Tae sospirò, poggiando le chiavi sul primo tavolino utile, ovvero quello a fianco della porta d'ingresso.
«E di chi altro se no. Dovrebbero essere quasi mezzanotte, e se mia sorella era abbastanza stanca, adesso dovrebbe star già dormendo.» Jungkook annuì, poggiando i suoi indumenti sul braccio del divano, il quale era stato rattoppato sullo schienale.

«Presumo che debba aspettare finché non smetterà di piovere.» sospirò. «Oppure se hai un ombrello, me lo presti così tolgo velocemente il disturbo.» propose, allungando lo sguardo nei dintorni, nella speranza di trovare l'ombrello richiesto, anche se era abbastanza improbabile dato che non era affatto la stagione delle piogge, quella. Infatti Taehyung scosse il capo.

«Quello vecchio si è rotto a causa del vento. Poi non ho pensato a ricomprarlo, perché si avvicinavano le giornate calde di primavera, quindi mi sembrava inutile. Poi non ti farei mai andare via adesso che ti ho in casa. Accendiamo il camino.» propose fermamente Taehyung dopo la spiegazione, avvicinandosi al piccolo caminetto e cominciando a prendere dei rametti posti a fianco di esso e a spezzarli, per poi metterli sulla grata già annerita dal carbone. «Tu fumi, hai per caso i fiammiferi sotto mano?» chiese il moro, girandosi speranzoso verso Jungkook, che annuì e portò la mano nella tasca dei suoi pantaloni. Fortunatamente essi non si erano inzuppati.

«Non dirmi che di solito accendi il fuoco come gli antichi, senza fiammiferi...»
Taehyung rise alla sua supposizione.
«Certo che no. Ci ho provato solo una volta e mi hanno fatto male le mani per due giorni. Sono in camera mia, ma non voglio disturbare Mathilde.» gli sorrise nella sua direzione, prendendo i fiammiferi con cui provò ad accendere il fuoco.
Jungkook si piegò verso di lui, con le braccia poggiate sulle proprie ginocchia a fissare la fiamma accendersi davanti ai suoi occhi con interesse. Essa si agitava e scalciava, come una neonata, scoppiettando capricciosa nel desiderio di essere alimentata tramite altra legna. Lo scrittore alzò le palpebre alla sua sinistra, incontrando poi l'espressione concentrata di Taehyung e delineando con lo sguardo il viso del ragazzo illuminato dalla luce del fuoco che pian piano si stava propagando tra tutti i pezzi di legno.
Tae si allontanò dal fuoco continuando a rimanere accovacciato, per poi alzarsi in un balzo e porgere la mano libera dalla confezione di fiammiferi a Jungkook, con l'intenzione di farlo.

Jungkook spostò gli occhi con un movimento lento, dal palmo della mano di Taehyung fino suo viso, dai tratti peculiari, se non unici. Rimase fermo ed incantato con labbra dischiuse, lasciando inoltre che il calore del fuoco scaldasse la sua pelle umida.
«Jungkook?» lo richiamò Tae alzando un sopracciglio, facendo così riprendere l'altro, che strizzò le palpebre ripetutamente ed afferrò la sua mano per alzarsi.

«Da quanto vivete qui?» chiese, cercando di evitare gli occhi di Taehyung, che gli avevano causato un effetto che non riusciva neanche a comprendere.
«Da quando nostra madre è morta, circa tre anni.» dichiarò, sospirando. «Nostro padre invece l'ho conosciuto bene soltanto io e lavorava come trafficatore di merci oltre oceano, ma una volta non è più tornato e ci hanno comunicato solo dopo qualche mese che era stato coinvolto in un naufragio.»
Jungkook abbassò lo sguardo, dispiaciuto da quella storia.

«Come mai non siete andati a vivere in centro?»

Taehyung scosse il capo, «La nostra vecchia casa era più grande e un po' distante da qui, c'era anche un piccolo orto dove coltivavamo pomodori e alle volte anche cocomeri.» ridacchiò nostalgico al ricordo. «Ma in centro non abbiamo nessun parente e devo pensare al bene di mia sorella. La scuola che frequenta non è molto lontana da qui, anche se certe volte è costretta a non andarci perché mi rimane ad aspettare tutta la notte in piedi anche quando faccio tardi, quindi la mattina mi sembra crudele svegliarla. Fortunatamente non la frequenterà tanto a lungo ancora, per cui mi dedicherò ad insegnarle quel che so io stesso.»

Kook smise di prestare attenzione al suo discorso non appena l'altro disse che non c'era nessun parente al centro di Parigi. E Seokjin? Doveva per forza essere della loro famiglia. Aveva il suo stesso cognome e non c'erano altre spiegazioni per cui Taehyung possa anche solo essere riuscito ad avvicinarsi all'editoria.

«Pensavo che Kim Seokjin fosse un tuo parente...» sussurrò in un'inaspettata sincerità e a quelle parole Taehyung fece un'espressione sorpresa quanto divertita, sperando che fosse una battuta fatta per ridere sul momento. Quel che Kook aveva sul volto era un cipiglio che non azzardava ad andare via.
«Com'è che ti è venuto in mente questo?»

«Seriamente! Dal cognome ho creduto che foste cugini o robe del gen-»

«Fratellone!!» una voce cristallina esordì interrompendo le spiegazioni di Jungkook, ed entrambi voltarono il capo verso quello ancora puerile della ragazzina sulle scale.
Sul volto di Taehyung comparve un sorriso ampio e allargò le braccia, tanto da poter ospitare tra di esse il corpo mingherlino di sua sorella, di anche qualche centimetro più bassa della media, rendendola ancora più minuta rispetto alla sua età. Dalla pelle biancastra e d'aspetto regale, strinse il corpo del maggiore con tutto l'affetto che poteva esprimere, volteggiando tra le risa mentre Tae la teneva stretta a sé per la vita.


«Lo sapevo che non stavi dormendo.» ridacchiò lui, accarezzandole il capo per poi lasciarle un dolce bacio tra i suoi capelli, dopo averla lasciata per terra.

«Non ci riesco...» si lamentò la ragazzina mettendo un broncio in volto, che Jungkook notò essere lo stesso di Taehyung; differivano, invece, per il sorriso, che nella giovane era di forma lineare e mostrava appena i denti.

Taehyung annuì, lasciando la sorella ed avvicinandosi alla piccola finestra con delle sbarreㅡ abbastanza larghe da far passare una manoㅡ per controllare il tempo. Notò che la pioggia non solo non aveva smesso, ma era diventata più fitta e non aveva idea di quando quelle nuvole se ne sarebbero andate.
«Jungkook, credo che sia più saggio rimanere qui anche a dormire, perché non sembra avere intenzione di smettere.» comunicò con quel suo fare risoluto.

Jungkook strabuzzò gli occhi, provando a dare anche lui una sbirciata fuori. «Non posso davvero farmi una corsa verso casa?»
Taehyung scosse il capo dispiaciuto, richiudendo la finestra.
«Solo che dovresti dormire sul divano, sarebbe quello il vero problema...» disse imbarazzato grattandosi il capo e guardando altrove. Non poteva certo costringere il nuovo amico a rimanere a casa sua, ma una persona di rispetto lo avrebbe sicuramente fatto ed una persona di rispetto gli avrebbe anche concesso il suo posto letto.
Lo scrittore si sentì combattuto, perché avrebbe declinato l'invito in fierezza se avesse avuto davanti a lui soltanto Taehyung, ma adesso che stava accanto alla sorella e riusciva a vederne il candido vestito azzurrino tramite la coda dell'occhio, avvertì l'amaro della sua lingua.

«Va bene, se non ci sono altre soluzioni.» si avvicinò al divano e vi si sedette, cercando di non caderci sopra violentemente come il suo solito con ogni superficie morbida, e poi rivolse un sorriso ai due, accondiscendente.
Voleva semplicemente ritornare a casa sua, riprendere la penna in mano per almeno un paio d'ore e poi sprofondare nella propria coperta sporca del pavimento, senza dar conto a nessuno. Mathilde, più comprensiva, si rese conto dell'infelicità dell'amico di suo fratello quando già lui era sulle scale, incamminandosi verso la loro stanza.
La ragazza dai capelli corvini alzò lo sguardo prima verso Taehyung e poi Jungkook, mordendosi il labbro, indecisa sulla sua scelta.

«Mathy, andiamoㅡ»
«Rimango a dormire io sul divano, non preoccupatevi.» lo interruppe con fermezza.
Taehyung allora scese di quei quattro scalini che aveva già fatto, poggiando una mano sulla spalla di sua sorella.
«Davvero,» insisté «non sarebbe carino far dormire l'ospite sul divano. Dai, Tae, a chi piacerebbe?» chiese per cercare in tutti i modi di convincerlo.
Lei era una ragazzina di buon cuore e anche solo immaginare che colui che ospitavano non si trovava bene le faceva venire del senso di colpa. Sua madre si sarebbe comportata alla stessa maniera e il carattere delle due era talmente simile da provocare malinconia allo scaturire di così tanti ricordi.

Taehyung annuì, sorridendole dolcemente e poi guardando Jungkook. «A questo punto, vieni in camera: so che mia sorella è irremovibile nelle sue decisioni.»

Kook annuì alzandosi dal divano e andando a prendere i suoi indumenti: certo non sarebbe stato lui a interporsi in quelle decisioni. L'unico problema era che, da quel che aveva capito, avrebbe dormito nella stessa stanza di Taehyung. Il che era un grande problema.

Entrambi poi si chiusero in quella stanza, con Taehyung che si poggiò alla porta e Kook che mise la propria giacca su uno dei due letti e che poi si avvicinò al piccolo specchio appeso alla parete con un chiodo per sistemarsi nuovamente i capelli, così come avrebbe fatto a casa propria. Poi si allontanò da esso e cominciò ad osservare la stanza partendo dalla finestrella, uguale a quella del piano inferiore; poi si concentrò sui due letti non molto distanti tra di loro che, a giudicare dai segni sul pavimento, erano stati spostati più volte come a volerli unire, magari perché fratello e sorella volevano dormire assieme. Notò che c'erano soltanto un paio di ante di armadio, mentre il resto della stanza era spoglio. Tornò a guardare Taehyung ancora sulla porta, incapace di cominciare per primo una conversazione, per cui rimase con la bocca socchiusa ad aspettare che l'altro proferisse parola.

«Quindi, allora... scegli di stare dove vuoi.» lo invitò, indicando i due letti. Fuori non smetteva di piovere e Jungkook sperò che il cielo si prendesse una tregua almeno prima che lui potesse addormentarsi, in modo da tornarsene a casa propria.
Sospirò, sedendosi sopra il materasso coperto da lenzuola ingiallite, dove aveva poggiato la giacca, e riportò una mano tra i capelli ancora bagnati.
Taehyung fece lo stesso: si sedette sull'altro, che lo affiancava, con busto frontale a Jungkook e la distanza era tale da permettere alle loro ginocchia di toccarsi.

Kook non aveva neanche la più pallida idea del perché era finito in quella situazione con una persona che aveva imparato a non sopportare, perché era migliore di lui in qualcosa. Alzò gli occhi, incontrando quelli scuri del moro.
Rimasero in quella posizione probabilmente per qualche minuto, fino a quando a Jungkook non risultò essere troppo, per cui si distese, con molta cautela, sul letto, rimanendo con gamba e braccio fuori a penzoloni.
Sospirò, portando l'altro braccio sul ventre e sentendolo alzare e abbassare assieme al proprio respiro.

«Tua sorella sta dormendo in salotto, è stata anche troppo gentile a concedermi il letto.» gli disse. Stava ringraziando Mathilde, non Taehyung, ovviamente.

L'altro annuì, stendendosi anche lui in una posizione simile a quella di Jungkook, ma con entrambe le braccia a penzoloni e le gambe unite sul materasso. «Ha preso il carattere da mamma.» dichiarò con fierezza, guardando il soffitto e sorridendo con nostalgia al ricordo della donna.

«È una cosa dolce da dire.»

«Anche i capelli e gli occhi.» terminò, adesso sospirando.
Jungkook voltò leggermente il capo verso Tae non appena sentì le loro dita sfiorarsi, dato che entrambe le braccia erano rivolte verso l'esterno, per cui ritrasse il proprio accanto al fianco.

«So cosa voglia dire perdere una madre. Però credo di non aver provato così tanto dolore, perché nel mio caso è successo quando ero piccolo. Solo qualche anno di età. La figura femminile più vicina a me era mia nonna materna, ma quando se ne è andata anche lei ho vissuto con mio padre, pensando che avrei continuato ad andare avanti: mi sono accorto forse troppo tardi di non dovermi fidare di quell'uomo.» sospirò adesso Jungkook, terminando le sue parole con un soffio cercando di non farle sentire all'altro, che le comprese ugualmente.

Taehyung si voltò dalla sua parte, incontrando gli occhi di Jungkook e poi guardando le proprie dita ancora appese a mezz'aria. «In che senso?» chiese a bassa voce, curioso.
«Niente.»
Entrambi ritornarono a guardare il soffitto.

«Mia mamma mi ha insegnato cos'è l'arte.» disse Taehyung, adesso con gli occhi chiusi, dopo qualche minuto passato in silenzio. Era in dormiveglia.

«E cos'è l'arte?» chiese in voce roca il bruno: anche lui si stava addormentando, forse per quel letto troppo comodo che fece dimenticare ad entrambi di togliersi anche le scarpe o tirarsi la coperta del necessario per non sentire il freddo della notte, anche se di fine primavera.

«Tutto quello che ha passione.»

Taehyung ci metteva passione ed interesse in tutto ciò che faceva, dalla scrittura al semplicemente sorridere, mentre Jungkook non lo faceva: non perché non ne fosse capace, ma perché non aveva motivo di farlo.
A causa di diverse situazioni, Jungkook non aveva mai conosciuto l'arte, sebbene continuamente nel turbine della propria tempesta. E forse, l'aveva capito soltanto da quelle parole, pronunciate con tanta ovvietà dall'uomo che aveva indirettamente reso i suoi ultimi giorni un inferno.

«Taehyungㅡ» lo chiamò improvvisamente aprendo gli occhi e mettendosi seduto sul letto. Aggrottò le sopracciglia quando si rese conto che la luce della candela della stanza si era spenta e che Taehyung non c'era più nel letto. Non sentiva neanche più la pioggia sbattere violenta sulle strade e sui muri delle case, al contrario di tre rintocchi provenienti dal campanile della chiesa più vicina, che gli fecero capire essere le tre di notte. Pensava fosse passata di poco la mezzanotte e che Taehyung fosse nella sua stessa stanza, per cui ciò significava che si era addormentato in quelle tre ore senza neanche essersene accorto e nel frattempo l'altro era dovuto andare al piano di sotto.

Jungkook si alzò dal letto e si sfilò le scarpe che aveva ancora ai piedi e che rendevano le sue dita indolenzite, per poi camminare a passo felpato fuori dalla stanza, poi sulle scale.
La scena quasi non gli fece sciogliere il cuore, nel vedere Taehyung passare la mano tra i capelli corvini della sorella: un piccolo angolo delle sue labbra si alzò dolcemente, per poi mordersi il labbro dopo essersi accorto della sua azione e ritornare alla sua solita espressione burbera.
Si rese conto troppo tardi di aver compiuto un passo eccessivamente rumoroso con il tallone, seppur si fosse tolto le scarpe, richiamando a sé l'attenzione dell'altro ragazzo nella stanza, che si alzò dalla precedente posizione in ginocchio e sorrise nella sua direzione.

«Sei già sveglio o non riesci a dormire?» chiese sottovoce, dopo aver camminato verso Jungkook ed essere giunto davanti a lui, sulle scale.

«Mi sono svegliato nel mezzo della notte. Sono solito scrivere di notte e dormire di giorno per comodità personale.»

Taehyung comprese e, con un leggero sorriso, fece segno di seguirlo in stanza, per poi chiudere la porta dietro di loro per la seconda volta in quella serata.
«Scusami, mia sorella non riesce a dormire se non ci sono io accanto. Potrebbe risultare infantile, ma da quando nostra madre ci ha lasciati, le è rimasto un segno.» sospirò, ributtandosi sul letto a pancia in giù.

«Deve essere dura.»

«Per lei, non per me. Prima o poi imparerà a dormire senza il mio aiuto, ma attenderò fino a quando non lo comprenderà da sola.»
Si stiracchiò con braccia e gambe. «Ti stavo parlando prima, ma poi ti sei addormentato. Vorrei continuare a parlare con te, ma ho sonno.» sbadigliò, chiudendo gli occhi.

«Dormi, allora...» gli propose con ovvietà Jungkook stendendosi di nuovo sul letto.

«Voglio parlare con te. È bello parlare con te.» confessò Taehyung con la voce impastata, segno che si sarebbe addormentato da un momento all'altro e che il giorno dopo non si sarebbe ricordato di neanche una parola.

«Non è affatto così.» protestò Jungkook, incredibilmente ridacchiando con leggerezza. Gli faceva ridere la sua voce, sembrava quella di un infante intento a fare i capricci, al quale lo aveva sempre paragonato. Forse era lui dei due fratelli ad essere il più infantile, che Jungkook avrebbe ben volentieri attaccato a parole se non fosse stato per l'atto gentile della sorellina, tramite il quale adesso si sentiva in difetto.

«Parla con me, ti prego, voglio parlare con te. Non ho amici come te.» lo supplicò, mettendo su adesso un broncio, allungando il braccio e divincolandosi con le dita, quasi per afferrare qualcosa.
Jungkook esitò per qualche secondo, aspettando che Taehyung smettesse di muoversi così freneticamente, dato che prima o poi si sarebbe stancato. Il braccio era appoggiato con il gomito sul materasso. Lo notò finalmente addormentato, con bocca in una curva di beatitudine e petto che si alzava e abbassava con tranquillità, segno che era ormai nel mondo dei sogni.

I due letti erano così vicini che Jungkook riuscì a vedere ogni singolo dettaglio del volto di Taehyung, portando anche lui involontariamente il braccio fuori dal letto.
Erano così vicini che qualche dita si sfiorarono di nuovo, ma nessuno dei due le ritrasse.

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