「23/06/1865」
26.
«Possiamo anche fare a cambio qualche giorno, eh. Io dormo per terra e tu sul letto. L'affitto lo paghiamo entrambi.» disse Jungkook, interrompendo quel silenzio che già assaliva entrambi durante quella mattina.
Dovevano prepararsi per andare a lavoro, ancora una volta, per guadagnarsi il pane di quella giornata.
Per l'ennesima volta, si infilarono i vestiti già sporchi di vernice per terminare di imbrattarli, senza neanche rivolgersi uno sguardo mentre si stavano svestendo.
Duro essere coinquilini in una casetta tanto piccola in quella situazione.
«No, stai tranquillo. Mi piace stare per terra. Se non mi fosse piaciuto avrei chiesto io stesso di fare cambio.»
«Quindi se ti do una pacca sulla schiena tu non senti dolore. Ti ho visto ieri mentre te la toccavi con la faccia martoriata. Trova un metodo altrimenti ti metto io nel letto a tua insaputa, la notte.» disse il più piccolo, tentando un tono sempre freddo e quasi intimidatorio. Fossero stati altri tempi entrambi si sarebbero messi a ridere una volta finita quella frase, ma l'imbarazzo fra di loro continuava a regnare e non avevano la più pallida idea di come cacciarlo.
Taehyung sospirò ed annuì. «Mi faceva male la schiena ieri, ma per altri motivi, smettila di essere premuroso così. Ti do la possibilità di tenere il letto e tu fai storie.»
«Sei tu che sei premuroso con me.» contestò Jungkook, abbassando il capo e mordendosi il labbro, con le guance che si imporporavano di rosso e coi pugni stretti. «Basta, andiamo a lavorare, altrimenti ci cacciano di casa.»
Erano arrivati ad un buon punto nel verniciare tutta quella scuola e sicuramente di quel passo avrebbero finito prima del tempo e avrebbero anche guadagnato più della somma pattuita, così come anticipato dal preside.
«Trovo che sia stancante comportarci in questa maniera ogni giorno.» sussurrò Taehyung, sia sperando di essere sentito sia di non esserlo.
Jungkook avvertì la sua frase a metà, per cui desiderò ricevere delle spiegazioni, il che era lecito.
«Come scusa?»
«Niente.» girò il capo verso la sua parte della cassettiera, nella quale teneva i propri vestiti, che finse di star aggiustando al fine di non continuare la conversazione con lui.
«Non lasciare il discorso a metà, mi innervosisco.»
Nella sua mente si proiettò una fugace immagine di qualche anno prima, di un Jungkook dalle fattezze minute, nella sua vecchia casa natale, vicino al divanetto della sontuosa sala da pranzo, che stava per fare uno scherzo a suo padre.
Tende dal colore bordeaux, sedili in cuoio comodi e morbidi, pareti di colore marrone chiaro che, decorato dai tanti quadri posti lì appesi, aveva della discreta eleganza. Delle risatine erano soffocate dalla propria manina con le dita ancora in miniatura, mentre agitava i piedini all'aria dato che, stando seduto sul divano, non era in grado di toccare a terra.
«Padre, e quindi quella volta voi...» e terminò con dei bisbigli incomprensibili, seguito da una risata.
«Come, scusa? Non ho capito bene.» chiese dunque di ripetere la frase appena detta, con quel tono profondo e cupo che aveva sempre posseduto, ma che Jungkook si accorse di temere solo dopo tanto tempo: in quel momento era la voce di suo padre, la voce di quell'uomo che ancora non aveva assunto le sembianze di un pazzo.
«Sì! Quella volta voi...» e ripeté lo scherzetto di prima, con altre risate.
Non stava facendo nulla di male.
«Quella volta io?»
Cupo, profondo, spaventoso, roco, altezzoso, spocchioso, duro, severo.
«Voi...» parole incomprensibili.
«Non lasciare il discorso a metà, mi innervosisco.»
Suo padre alzò la voce, la sua espressione si incrinò in peggio, lui digrignò i denti ed afferrò il braccio del suo bambino, desiderando punirlo per le sue sciocche bighellonate.
La guancia destra rossa.
La guancia sinistra rossa.
Occhi rossi e colmi di lacrime.
Dorsi delle mani che diventavano rossi perché proteggevano la delicata pelle delle guance.
«E che non si ripeta mai più. Devi portarmi rispetto, non farmi degli scherzi.»
Un brivido ripercorse la schiena del Jungkook del presente, dopo essersi ricordato di quell'episodio e di aver pronunciato quelle stesse parole.
Era come lui.
Ancora una volta, si chiese se fosse già morto e stesse già scontando la sua punizione. Nessuno è mai tornato indietro dall'Inferno per raccontarlo tranne i letterati ciarlatani, per cui come poteva sapere se la zona Caina non avesse realmente la pena di diventare come il parente che si ha ucciso?
Si sentì uno schifo, proprio uno schifo, dopo aver detto le stesse parole del padre ed aver constatato di essere del suo stesso sangue.
Voleva solo vomitare per tutto il ribrezzo.
«Sai... sai una cosa, non fa nulla.» Jungkook si affrettò a correggersi, ricevendo uno sguardo confuso da Taehyung, il quale si era avvertito della piega impaurita del suo tono di voce, ma che non volle ricevere spiegazioni.
«Credo che mi fermerò in un kaffeehäuser prima di raggiungerti: il tempo di prendere qualcosina, sono un ancora po' stanco e debole per tutto il lavoro che abbiamo fatto ieri.»
«Va bene.» annuì verso di lui, avvicinandosi poi alla porta di casa dopo averne preso le chiavi. «Chiudo io casa, andiamo via.»
Lo sguardo di Taehyung di quei giorni, sempre intristito, ma tentato di nascondere, mostrava che non era affatto casa, quella lì.
Era più uno stanzone colmo di poche cose sparse qua e là, che pareva disordinato solo perché era piccolo.
Loro avrebbero dovuto renderlo accogliente e caloroso, ma l'atmosfera era ormai gelida e fitta come fosse nebbia.
Erano sul punto di girare in direzioni opposte, una volta usciti dalla porta di ingresso degli appartamenti, quando Taehyung, contro tutti i suoi principi di quei giorni, guidato non dalla ragione, ma unicamente dal desiderio di ritornare ad avere Jungkook al suo fianco come migliore amico, senza più provare desolazione, afferrò il polso di Jungkook, il quale si girò verso di lui e sgranò gli occhi.
Il tempo si era fermato davanti ai due, era fin troppo benevolo per lasciare che quel momento terminasse. O malevolo, o impotente, dipendeva dai punti di vista.
Jungkook osservò le lunghe dita che lo stringevano, dalla mano ossuta ma elegante e mascolina a causa dei tendini ben visibili. Tae non mostrava più quella fiera bellezza e quasi possanza, al contrario aveva una parvenza indifesa. Gli occhi del più piccolo scivolarono dalla mano verso il braccio del moro, fino a giungere sul suo viso dai tratti allungati verso il basso, con occhi stretti e malinconici, dalle occhiaie color olivastro che rovinavano il suo bel viso dorato.
Le sue labbra non erano più rosee e piene di vita, ma screpolate e con qualche segno biancastro. I capelli lucidi non erano più tali, i quali, con quella poca luce, sembravano corvini.
«Tae...»
«Mi manchi, Kookie, torna da me.»
Non la sopportava quella situazione, non la sopportava proprio.
Jungkook era diventato una sorta di medicina per le sue ferite, le ferite dovute alla mancanza di tutte le cose belle che aveva ricevuto durante la sua vita.
Jungkook era la medicina per la mancanza di Mathilde, era la medicina per la mancanza di sua zia, la medicina per la mancanza della sua penna, la medicina per la mancanza del suo pennello.
La medicina per la mancanza della loro Luna, perché credeva che sarebbe diventato Jungkook stesso la Luna.
Tale madre, tale figlio, si dice, ma evidentemente non era stato così per lui.
Jungkook provò una stretta al cuore così forte, che poteva affermare di star venendo schiacciato da un pesantissimo masso, il quale non gli permise di respirare e di muoversi.
Giurava, era troppo pesante ciò che portava sulle spalle e nello stomaco, come se fosse senso di colpa! Eccolo, era senso di colpa quello che provava, per l'ennesima volta: quel nodo allo stomaco che desiderava che Taehyung si stesse zitto e andasse via, anche se non era ciò che Jungkook voleva.
Taehyung desiderava Kookie, quella parte di Jungkook che egli era sempre stato in grado di vedere, sebbene il nome falso, sebbene le bugie, sebbene tutto.
Come se fosse sempre stato in grado di leggere ciò che il suo cuore diceva e avvertisse i battiti nel suo petto, decifrandoli come dei segnali di fumo. Come se avesse poggiato la testa sul suo torace e avesse ascoltato ogni nota provocata senza realmente volerlo, diventando un vero e proprio strumento musicale. Erano figli della Luna, non dovevano piangere, non dovevano essere tristi, dovevano risplendere, sorridere, capirsi, amarsi.
Per il volere della Luna, che aveva fatto incrociare i loro destini nel momento in cui la polvere lunare aveva cominciato a comporre quel satellite.
Era quella polvere a rendere la Luna tale, altrimenti le rocce non ci sarebbero state e non sarebbe esistita.
Chi erano senza di lei?
Guardò nuovamente la sua mano elegante, dalle unghie rovinate e dalla sfumatura giallognola: Kook si ricordava ancora di quando, la prima volta in cui la sua pelle ne tastò le dita morbide come una nuvola, il palmo soffice che lasciava intravedere le vene azzurre che gli percorrevano tutto il braccio.
Era così bella quella parte del suo corpo quando tutto andava bene, quando era felice, quando le sue labbra pesca erano socchiuse in una smorfia compiaciuta.
Senza che Jungkook potesse rendersene veramente conto, i loro cuori cominciarono a battere all'unisono, i loro occhi a risplendere di quella luce di irrefrenabile desiderio di essere l'uno accanto all'altro.
Come se fosse una scena a rallentatore, tutto a causa della volontà del tempo, Taehyung allungò le sue braccia attorno al collo del suo amico, del suo più caro amico.
Tutto andava bene, tutto andava bene adesso che la distanza fra i loro cuori era stata rimpicciolita e si sentiva il profumo di casa, il profumo della pelle di Taehyung che aveva adesso sotto il naso.
«TaeTae...» sussurrò, senza rendersi conto del dolce nomignolo. Chiuse gli occhi, beandosi del suo calore.
Non c'era motivo di essere tristi: perché essere tristi quando si ha chi ti fa stare bene accanto? Cosa avrebbero fatto se realmente si fossero separati?
Si accorsero che i loro cuori battevano all'unisono e le guance di Jungkook si fecero nuovamente rosse. Non si trattenne, Taehyung non poteva vederlo: lo strinse forte a sé, senza lasciarlo, per tanto tempo, un tempo che pareva essere un'eternità.
In quel momento non gli interessava dell'imbarazzo, tanto nessuno se ne sarebbe accorto, Taehyung non si sarebbe fatto delle domande strane.
E neanche lui stesso, dato che bastava convincersi che facesse solamente troppo caldo.
No, no, Taehyung, non condurlo a quella sorte, non farlo cadere in quel burrone da dove non c'era via d'uscita.
Masochista, Jungkook era così masochista che, pur di stare bene mentalmente in quel momento, era certo che in futuro avrebbe avuto qualche danno fisico al suo povero cuore.
Esplodeva, batteva con quello dell'altro, ma gli faceva male il petto, non respirava, non riusciva a privarsi di quella beatitudine.
Giurava di essere abbracciato ad un campo di fiori, tanto piacevole era quella situazione e quando sperava che non finisse mai, come una fiaba a lieto fine.
Erano scappati assieme, erano finalmente assieme, ma si stava facendo tanto male, tanto male.
I graffi al cuore già li provava, come se li stesse facendo con una affilata lametta.
Sanguinava, tanto era omicida quella stretta.
Il sangue gli era finito nei polmoni, eppure continuava a vivere e non si spiegava il perché. Forse si stava immaginando tutto quanto e i polmoni stavano bene, ma il dolore era reale.
Una notte stellata perenne era quella nella quale stavano vivendo, così profonda e bella, così mistica e splendida, tale e quale a quella in cui avevano corso assieme come due pazzi fino a perdere il fiato.
Mi fa così tanto male il cuore, Taehyung, perché mi hai condannato?
Alla fine Jungkook e Taehyung si separarono l'uno dall'altro, il più piccolo senza farsi vedere in volto, ed erano andati nei luoghi che si erano detti, indietreggiando di qualche metro senza mai girarsi e smettere di guardarsi e sorridere dolcemente l'uno all'altro.
«Guten Morgen!» esclamò il barista, il quale stava spolverando con uno straccio il bancone, verso il bruno, appena entrato nel piccolo café di periferia con quel viso sconsolato.
«Buongiorno, signor Boyer, cosa desiderate questa mattina, il solito?» rispose l'uomo cordiale rivolgendogli un sorriso.
Come faceva ogni volta, Jungkook posò gli occhi su tutti i dettagli del piccolo locale, notando come fosse ben curato, seppur fosse poco frequentato, e rimanendo meravigliato da tutte quelle magnifiche sedie e tavolini.
Rispetto a quelli francesi giurava di essere passato alla classe successiva: erano puliti con attenzione e ci si poteva specchiare, così come accadeva in ogni piatto e posata. A momenti splendevano anche i dolci sistemati nei piatti sul bancone.
«No, questa volta preferirei una piccola pagnotta e del burro, con una tazza di caffè, se possibile.»
«Certamente.» rispose l'uomo, allacciandosi il grembiule al petto, un po' stranito dalla richiesta del ragazzo diversa dalle sue abitudini solite.
In meno di un minuto, il bruno poté gustare la sua richiesta, anche se il suo viso mostrava poca allegria che influenzò anche il gusto di quel pane che, a detta degli altri clienti, era simile a quello del forno del paradiso. Peccato che fosse poco conosciuto quel kaffeehäuser rispetto a quelli del centro, altrimenti avrebbe fatto tanto successo e sarebbe diventato uno dei più rinomati della città, per quanto era di qualità il cibo e le bevande lì servite.
«Non siate triste, signor Boyer,» lo rassicurò il barista, con un accento francese comprensibile poiché provenzale «Il burro non è buono? Posso darvene un panetto migliore.» propose l'uomo con fare cordiale, già pronto ad afferrare la botte dove teneva conservato l'alimento, che teneva in un luogo asciutto nella stanza adiacente.
«No, no, Baptiste, non ce n'è bisogno. Sono solo giù di morale, tutto qui.»
L'uomo gli sorrise, incurvando verso l'alto i suoi baffi a manubrio dalle striature di rosso.
«Riconosco quell'espressione.» si rivolse verso di lui apprensivo, poggiandogli amichevolmente e con fare paterno la mano sulla sua spalla, tipico di chi intende dare dei consigli. «Mal d'amore, si riconosce da un miglio. Comune per un giovane ragazzo come voi, signor Boyer.»
Jungkook sgranò gli occhi e portò le mano in avanti, scuotendole animatamente assieme al capo, sentendo del sudore formarsi lungo la sua fronte e il suo viso imporporarsi come al suo solito.
«No! Esattamente il contrario, non è affatto quello.»
Lui alzò un sopracciglio, scettico, che non toglieva ancora quell'espressione maliziosa dal volto.
«Farò finta di crederle.»
«Posso giurarlo, non è una questione di cuore. Forse sì, di cuore sì, c'entra un mio...» tossì, abbassando il capo, incerto se dirlo o meno. «una mia amica.»
«Una vostra amica? Che vi ha fatto questa vostra amica?»
«Ecco, noi siamo molto amici e... credo di avergli fatto un torto. Lei» esitò, trovando strano parlare al femminile di Taehyung, ma era necessario farlo, per evitare che Baptiste si facesse idee sbagliate su di lui «lei si comporta in modo così premuroso con me, eppure in momenti imbarazzanti io cerco di evitarla e questo la rende cosi triste, così triste da perdere il suo magnifico sorriso. Non avrei mai voluto che capitasse, già questo lo considero un grande torto, lei che è sempre stata brava, dolce e solare nei miei confronti. Non so perché mi comporto così ma...» si morse il labbro. «Credo di avere paura che le cose fra di noi diventino diverse.»
«E mi avete pure detto che non era mal d'amore.»
«Perché non lo-» tossì nuovamente, diventando rosso non appena si rese conto di aver sbagliato pronome. «Non la amo, assolutamente no. Lei è la migliore amica che io abbia mai avuto, la più fedele, colei che mi sta accanto sempre e tenta di rendermi felice. Le voglio bene, ma ho tanta paura che tra di noi possa cambiare ogni cosa a causa della mia poca razionalità e controllo.» portò le dita tra i capelli, mugugnando disperato. «Non voglio che i momenti in cui ho stretto la sua mano sotto la luna si dimentichino, voglio che rimangano vividi nei nostri cuori e nei nostri ricordi. Ci vogliamo solamente tanto bene, non merita che le faccia del male, perché sono uno stupido. Ho smesso di parlarle come un tempo a causa di questa dannata paura, sono un fifone.»
Baptiste mise la mano sulla spalla di Jungkook, adesso con una piega del tono seriosa, oltre ad essere premurosa.
«Monsieur Jungkook-»
«Lasci stare i convenevoli, li detesto.»
«Jungkook,» si corresse «chi non è mai passato in una situazione del genere? Fortunato chi non si è mai trovato davanti a questo bivio. Da una parte, temi che se andrai avanti seguendo i desideri del tuo cuore irrazionale, finirai per farle male e finirai per essere egoista; dall'altra hai paura che la ferirai comunque perché proverai ad allontanarti da lei per dimenticarla. E non sei tu il solo ad agire così come un saggio sconsiglia, ma tanti, tanti altri ragazzi come te. Immagina che tu sia in procinto di lanciare con un arco una freccia verso il tuo bersaglio, certo di essere in grado di colpirlo: tuttavia, davanti al bersaglio, si va a poggiare un uccellino che rischi di trafiggere e colpire, diventando un assassino. Sei così malvagio da far del male ad un essere vivente? Sei così egoista che, per colpire il tuo bersaglio, sei disposto a raschiare il cuore della tua amica? L'unico modo per evitarlo, è lasciar vivere quel povero passero indisturbato e colpire un altro bersaglio. Non ti dimenticherai di quel vecchio bersaglio, certo che no, continuerai ad essere grato per tutte le volte in cui ti ha permesso di vincere in molte competizioni, ma c'è bisogno di usarne un altro, adesso. Jungkook, ci sono tante altre ragazze per te, cambia bersaglio. Così rimarrai amico con lei, senza doverti allontanare, perché il tuo cuore sarà già occupato, non credi?»
Jungkook sbatté le palpebre ripetutamente, incredulo di quel consiglio che aveva appena ricevuto e che aveva effettivamente senso.
«Hai... hai dannatamente ragione, Baptiste, sei un genio.» sussurrò, con gli occhi sgranati e le labbra che si inclinavano in un sorriso illuminato.
«Ha un'unica pecca questa mia considerazione. Potrebbe finire in peggio se a lei dovessi piacere tu. Sei sicuro che non sia interessata?»
Il più giovane annuì il capo freneticamente, con certezza. «Ne sono più che sicuro.»
Stiamo parlando di Taehyung, dannazione, non di una ragazza.
Con una ragazza al suo posto sarebbe stato diverso, sarebbe stato in grado di gestire meglio la situazione, senza avere tanti inutili complessi in testa.
Era pur sempre il suo migliore amico!
Si grattò il capo, stringendosi una ciocca di capelli, più lunghi e malcurati rispetto all'anno prima, quasi a voler smettere di pensare a riguardo per concentrarsi su qualcos'altro di più doloroso.
Era proprio uno scemo quando faceva così, davvero.
Doveva smetterla di non usare la testa, altrimenti sarebbe finito in centinaia di situazioni del genere e non poteva permetterselo.
Ancora una volta provò una stretta al cuore, che ormai era determinato a debellare una volta per tutte, assieme a quell'imbarazzo: era deciso a tornare, il mattino successivo, a salutare il suo migliore amico senza avvertire le guance andare a fuoco ed un formicolio alle dita dei piedi.
Dopo essere tornato a lavoro, quel mattino, aveva detto a Taehyung che si sarebbero visti il giorno successivo e che poteva dormire sul letto, per quella notte.
Non ci volle molta fatica per cambiare bersaglio e trovare una bella ragazza con la quale passare quelle ore al buio di giugno: si chiamava Gowon, aveva i capelli corvini e mossi e le labbra dal colore di una buccia di mela, le quali ne avevano quasi lo stesso sapore; la sua pelle era di porcellana per quanto era priva di ogni impurità, soffice e profumata; i suoi occhi cervone erano in grado di far ribaltare lo stomaco di chiunque li osservasse con attenzione, a causa anche delle sue folte ciglia scure.
Era piacevole baciare quelle labbra carnose, morderle ed assaporare ogni angolo della ragazza.
Era così bella, dalla figura snella, dalla vocina sottile e delicata, dai modi così tranquilli e calmi.
Ancora un altro bacio, ancora un altro. Le braccia di Jungkook le avvolsero il corpo, possedendolo, nel mentre le sue gambe la avvolgevano e la rendeva sua.
Cambia bersaglio, cambia bersaglio, cambia bersaglio.
Perché doveva far soffrire i cuori di entrambi quando poteva benissimo indirizzare la sua mente da un'altra parte, più sicura?
Gowon era una brava ragazza, lo si poteva capire dal primo momento in cui l'aveva incontrata, anche se avrebbe dovuto imparare più parole in tedesco.
A lei a quanto pare andava bene Jungkook: era bello, le sue mani erano grandi ed erano in grado di proteggerla. E poi era francese, proveniva dalla nazione che tanto avrebbe voluto visitare e parlava la lingua che tanto voleva imparare.
Andava bene così.
La serata l'avevano passata benissimo ed erano sfiniti.
Gowon allungò la mano verso Jungkook, stringendola, così felice di aver trovato finalmente quello che sperava un giorno sarebbe diventato l'amore della sua vita, del quale già si era innamorata nel primo momento in cui l'aveva visto, come colpo di fulmine.
Il suo cuore le batteva incessante, batteva forte come fosse un tamburo, era certa che era in grado di volare in alto come una farfalla, se chiudeva gli occhi e se lo immaginava.
Che bello che è provare l'amore, nel momento in cui si sa che un giorno lo si potrà ricevere.
«Taehyung!» tornò la mattina dopo Jungkook, tutto allegro, aprendo la porta di casa con le proprie chiavi ed alzando le braccia verso l'alto, saltellando dalla felicità. Tae stava bevendo una tazza di latte per colazione, ma si ritrovò per strozzarsi con la bevanda e si girò verso di lui ad occhi sgranati: sbagliava o stava sorridendo verso di lui? Cosa era appena successo? Jungkook si stava avvicinando verso di lui, contrariamente a tutte le altre volte dove teneva sempre qualche metro di distanza, neanche avesse la peste.
«TaeTae! Non mi chiedi cosa succede? Aaah, sono così felice, spensierato, mi sento di aver tolto un peso dal petto, mi sento senza pensieri, mi sento di volare!»
Volteggiò in mezzo alla stanza facendo delle piroette sulla punta di un piede, rischiando di cadere un paio di volte. Continuò a ballare con allegria, finendo per cadere per terra e scoppiare a ridere. Taehyung si alzò dal tavolo e si avvicinò verso di lui per porgergli una mano al fine di farlo alzare: non la rifiutò e si alzò, ma la loro distanza era diventata troppo breve e si sarebbe dovuto separare da lui, al fine di evitare altri momenti imbarazzanti.
Jungkook non si allontanò, né smise di sorridergli.
«Sono felice. Ho conosciuto una ragazza!»
Taehyung si lasciò cadere la mascella, guardando Jungkook come un pesce lesso. Non comprendeva: fu lui a distaccarsi.
«E tu...»
«Io cosa? Mi sono dannatamente perso per lei, per il suo bellissimo viso e la sua voce sottile. La adoro, è bellissima.»
Taehyung alzò un sopracciglio, mettendo le mani sui fianchi. «La adori?»
Come poteva dire di essere perso per lei se era quello il massimo che provava?
«L'ho conosciuta ieri, è ovvio che non posso dire di amarla, sarebbe troppo prematuro, anche se abbiamo passato una bella notte.»
Tae deglutì, abbassando il capo e annuendo, rendendosi conto di quello che Jungkook gli aveva appena confessato. Significava che avevano fatto sesso e questa cosa lo disturbava tanto. Forse era disturbante il fatto che si era steso nel letto dove aveva dormito con Kook mentre lui era intento a consumare con una bella ragazza, trovata da qualche parte per Vienna, che neanche conosceva con esattezza.
«Come puoi dire di esserti perso per lei se l'hai conosciuta ieri?» si morse il labbro, sapeva che stava andando oltre ciò che avrebbe dovuto dire e che sarebbe dovuto essere solo felice per il suo amico, ma qualcosa lo spingeva a trovare quella situazione scomoda e fastidiosa.
Il fatto che una ragazza se lo stesse portando via dalla loro casa lo faceva sentire così geloso.
Era suo, Jungkook, era il suo amico, il suo coinquilino, di nessun altro. Il ragazzo a cui solo lui poteva fare gli scherzi, anche se molte volte non erano graditi.
E se avesse trovato qualcun altro solamente poiché Jungkook non sopportava di stare accanto a lui? Forse l'imbarazzo era solo fittizio, in realtà quello era un modo per potersi allontanare da lui senza che potesse accorgersene.
«Me ne innamorerò col tempo. È bella.»
«La bellezza non fa l'amore.» rispose Taehyung, asciugandosi con il gomito gli ultimi rimasugli di latte attorno alle labbra e allontanandosi da Jungkook, guardandolo con occhi più stretti del solito: quasi felini e feroci.
«Come scusa? Perché non dovrei innamorarmene col tempo?» chiese con un piccolo broncio scherzoso Jungkook. Perché aveva modificare in così poco tempo atteggiamento, cos'è che gli aveva fatto cambiare idea, quella ragazza?
E cosa aveva quella ragazza in più di lui, che era stata in grado di fargli ritornare il sorriso prima di lui?
«Non hai capito. Voglio dire che il fatto che sia bella non implica il fatto che tu ti debba innamorare.»
«Perché no? Chiunque si innamorerebbe delle persone belle un giorno, è una legge chimica, fisica e matematica.»
«Se è come dici allora sarei pazzo di te.»
«Ma sono sicuro che lei ha anche altre qualità che comincerò ad apprezzare col tempo, che conoscerò, che amer-» si fermò appena realizzò della frase che Taehyung gli aveva appena detto senza peli sulla lingua. La sua bocca era ancora socchiusa e lo sguardo deciso a proseguire la conversazione. Le sue spalle facevano su e giù, il che significava che stava tentando di controllare il fiato irregolare, probabilmente a causa dell'agitazione della situazione.
«T-Tae...»
«Kookie, devi fare una dannatissima scelta, anche se sarà difficile. Una ragazza che hai appena conosciuto e che non sai se in futuro ti amerà e non sai cosa ti farà provare, oppure» si avvicinò a lui, spingendolo con le mani sul petto verso la parete, stringendolo ad essa al fine di non farlo andar via. «rimani con me, colui con cui sei scappato da Parigi.»
Per la prima volta dopo tanto, non sentì più il rossore sulle sue guance: voleva solamente capire perché Tae lo metteva davanti a quella scelta, quando poteva tenere entrambe le cose.
Baptiste gli aveva detto che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe potuto tenerli entrambi!
«Ho rinunciato a tutto per stare con te, per scappare via ed ottenere una vita migliore, senza davvero sapere perché non sia rimasto nella mia amata editoria, ottenendo i soldi che abbiamo adesso moltiplicati per cento: avrei potuto comprare una casa migliore, avrei potuto vivere meglio.»
Lo strinse più forte al muro, quasi col timore che lui se ne stesse per scappare da un momento all'altro e non tornare mai più.
Si guardarono dritti negli occhi, le pupille profonde di Taehyung fungevano da specchio per quelle di Jungkook. Poteva avvertire il fiato caldo di Taehyung sulla pelle del viso, sulle proprie labbra socchiuse.
Delusione, solitudine, gelosia. Probabilmente era quello che provava Tae, ma queste erano il tipo di emozioni che non era in grado di incanalare nella sua voce al fine di dare ad esse uno sfogo. Non era quel tipo di persona, non ne era in grado, non riusciva a urlargli contro di quanto fosse incavolato che stesse per andarsene un'altra volta via. Gliel'aveva detto che, quando se ne sarebbe andato, Jungkook poteva pure smettere di cercarlo quando aveva bisogno di lui.
Era incavolato nero, era davvero incavolato nero!
Era incavolato ma non riusciva a mostrarlo, non riusciva a stringere i pugni e dargliene uno un pieno volto, colorandogli l'occhio di nero.
Era stanco delle sue cazzate, voleva sapere cosa c'era che non andava in lui e cosa gli aveva spinto ad anche solo pensare di preferire una qualsiasi ragazza alla convivenza con lui.
Certo, gli amici sono amici, l'amore è l'amore, ma non era quello il punto: dovevano essere loro prima di qualunque altra cosa, lo avevano immaginato per certo nel momento in cui salirono su quel treno per andare in Austria. Non erano neanche passati due mese che già Jungkook si era accorto di trovarsi male con lui e quindi era deciso a buttarlo via per la seconda volta.
«Devo forse ricordarti di quando te ne sei andato e mi hai lasciato in quel locale? Ho creduto che tornassi, ma non l'hai mai fatto.»
«Avevi detto di lasciar perdere il passato-»
«Non me ne frega un cazzo, Jeon Jungkook,» Taehyung non sembrò lui, tanto da far accapponare la pelle «non me ne frega proprio un cazzo che tu sia un ragazzo sensibile, con un passato delicato, con dei trascorsi turbolenti, che vuole solo guardare al futuro e alla felicità, ma avevi promesso che sarebbe stata la nostra felicità. Non mi va giù che prima mi tratti come lo scemo di turno, ignorandomi, tenendomi il broncio per ogni cosa che faccio e poi credi che mi congratulerò con te. Quasi quasi credo che tu mi abbia usato solo per prendere i miei fottuti soldi e scappartene qui, non sembra che tu tenga a me come io tengo a te!» sputò fuori quelle parole che gli galleggiavano in gola da diverso tempo, mentre stringeva il colletto della camicia di Jungkook e i suoi occhi cominciavano a farsi rossi. La sua voce iniziava ad avere una nota quasi stridula, dato che erano delle esclamazioni che verso la fine si tramutarono in urli. Colpì il suo petto con dei deboli pugni, in realtà incapace di fargli del male, e trattenne qualche singhiozzo.
Non voleva che se ne andasse, non lo voleva proprio. Ma sapeva che avrebbe preferito quella ragazza sconosciuta a lui, che ormai era certo di odiare.
Jungkook sospirò, stringendogli la mano che continuava a colpirlo ripetutamente per fermarlo.
«Non posso rimanere da solo per sempre, vorrei anche provare ad avere una vita normale, provando a conoscere nuove persone e finalmente a provare l'amore.»
«A cosa ti serve? Non ti va bene la mia amicizia? È per questo che mi tratti così male, non la vuoi più? Vuoi lasciarmi da solo, dopo che ho lasciato ogni singola cosa per te?»
Il bruno scosse il capo, inclinando le punte dei suoi occhi verso il basso, avvertendo quell'ennesima stretta al suo cuore.
Era così bello con gli occhi rossi, adesso che lo osservava bene in viso, anche se, quando sorrideva, era ancora più incantevole.
«Io amo la tua amicizia. Per davvero, Taehyung.» ammise il minore, tentando di controllare i battiti del suo cuore che ripresero ad andare a mille. «Non ho mai osato usarti, né dimenticarti, non potrei mai e poi mai farlo: tu sei... tu sei speciale per me, sono grato per tutto quello che hai fatto per rendermi felice e voglio rimanerti accanto, ma vorrei anche innamorarmi.»
«E perché di lei? Perché parlare improvvisamente di quella ragazza usata solamente una notte come se fosse l'essere migliore e più bello dell'universo?»
«Non è l'essere più bello dell'universo.»
Taehyung allargò le braccia, ridendo con amarezza. «Certo che non lo è! L'hai appena conosciuta, come potrebbe essere mai l'essere più bello dell'universo se l'hai appena conosciuta?»
«Mi spieghi cosa c'è che non va?»
«Cosa non va in te! Sei cambiato tutt'un tratto e non ti riconosco più.»
«Sono il vero me. Se non mi riconosci più vuol dire che non mi hai mai conosciuto.»
Taehyung scosse il capo, con quell'espressione di disappunto e delusione. «Forse non ti ho mai conosciuto allora, forse è per questo che non sono pazzo di te.» terminò a voce bassa Tae, credendo che Jungkook non fosse in grado di sentirlo, anche se erano a poca distanza l'uno dall'altro.
Taehyung lasciò andare Jungkook, indietreggiando fino a finire con le spalle alle finestra, dalla quale entravano caldi raggi.
Rimasero qualche minuto in silenzio, guardando verso il basso in direzione dei propri piedi, non sapendo affatto cosa dire.
Perché, perché, perché, Taehyung, avevi deciso di condurlo a quell'orribile sorte? Le dita di Jungkook cominciarono a tremare, non fu in grado di deglutire correttamente per qualche minuto né tantomeno di respirare senza sentire una fitta al petto, dato che tutti i suoi organi non erano in grado di connettere quello che stava accadendo e quello che aveva appena sentito.
Taehyung, con gli occhi spalancati e le labbra tremanti, si teneva poggiato allo stretto davanzale, facendo incurvare la sua schiena, dato che le sue gambe si facevano di secondo in secondo sempre più molli, realizzando il discorso che avevano iniziato.
«Perché siamo venuti qui?» sussurrò a voce bassa il più grande, senza togliere lo sguardo dal pavimento, colmo di briciole di pane da spazzare via, dato che le prime formiche si erano già avvicinate per rubarle.
«Per avere... un futuro migliore. Credo che sia per quello.»
Tae annuì, deglutendo e portando le mani sul viso, lasciandosi scivolare lungo la parete fino a finire per terra.
«Vorrei ritornare ad avere il mio Kookie.»
Il suo Kookie. Jungkook poteva essere di chiunque, ma Kookie era solamente suo.
Perse un battito alle sue parole.
«Jungkook, perché ultimamente mi tratti da estraneo? Non vuoi più scherzare? Non sono forse più tuo amico?» Taehyung alzò il capo verso di lui, con gli occhi pieni di dolore, stringendo le gambe al petto.
Il bruno portò una mano tra i capelli, tirandoli all'indietro e stringendoli tra le dita, quasi a voler smettere di provare quel male al cuore per concentrarsi su altro.
Scosse poi il capo, avvicinandosi verso di lui e chiuse gli occhi, mordendosi il labbro.
«Non pensarlo mai più, non ci sono motivi per cui io non lo sia.»
Gorgoglio nello stomaco, sentiva un forte ed implacabile dolore: si portò la mano su di esso, poiché sapeva per certo cosa il suo corpo cercava di dirgli, ma doveva provare a farlo stare zitto in qualsiasi modo. E che avrebbe fatto il cervello se, oltre alle fitte del suo cuore, si fosse reso conto che avvertiva le farfalle nello stomaco soprattutto quando Taehyung lo guardava in quella maniera supplichevole?
«Tu esisti, vero? Il mio Kookie esiste?»
Jungkook si inginocchiò davanti a lui, afferrando le mani poggiate sulle sue ginocchia che strinse nelle sue. Giocherellò con le sue dita fino a quando notò che dall'occhio destro di Taehyung stava scendendo un rigolo di lacrima lungo il suo viso, che allora non perse tempo a pulir via col proprio indice, avvicinandosi a lui anche con il proprio viso.
«Esiste.»
Gote rosse, orecchie rosse, cuore palpitante.
Che diamine gli stava facendo, cosa era successo affinché arrivasse a quel punto tragico? Cosa gli era preso alla sua mente, era per caso sotto l'effetto di qualche veleno?
Taehyung ridacchiò leggermente e la sua espressione si fece più dolce, sospirando. «Sei arrossito.»
Affermazione che fece sgranare all'altro gli occhi, il quale si toccò le proprie guance disperato. «Oh Dio... sul serio...» abbassò il capo colmo di imbarazzo, senza togliere le mani da esso. «Non volevo, non volevo, scusami.»
«Per cosa?»
«Per essere arrossito. Non volevo.»
«Non ti avevo mai visto farlo, o meglio, non credo di avertelo mai visto fare. Sei carino con le guance rosse.»
Ebbe l'istinto di alzarsi e correre via per l'imbarazzo di quella situazione, ma il fatto che tenesse ancora stretta la mano di Taehyung gli ricordò che doveva rimanere lì, fermo, solamente per lui, perché quello era il loro futuro assieme.
Il sorriso del più grande si allungò, fino a sembrare che andasse da un orecchio ad un altro, un sorriso di quelli che mostrano così tanta allegria tanto da non essere in grado di trattenersi. Jungkook non notò quell'espressione contenta, poiché teneva il capo basso: tossì, cercando in qualche modo di dimenticarsi quello che aveva appena sentito.
«Cosa faccio con Gowon?»
Tae si morse il labbro, adesso lasciandogli le dita e stringendosi le proprie, disturbato dall'aver tirato in ballo nuovamente il nome della ragazza.
«Non voglio dirti di non vederla mai più. Sarebbe cattivo ed egoista.»
«Farò ciò che desideri, se ti fa stare bene. Non voglio litigare ancora.»
«Vorrei solo tornare a correre libero con te, come abbiamo fatto quella volta a Parigi. Non voglio essere rimpiazzato e dimenticato, sarebbe il mio incubo peggiore, quello.»
«TaeTae, magari vorresti raccontarmi perché? Agli incubi c'è sempre un perché.»
Il ragazzo sospirò, abbassando il capo. Aveva giurato che mai e poi mai avrebbe raccontato eventi del passato che aveva cercato di dimenticare: niente di particolare, visti dal Taehyung del presente, forse poiché custoditi nella zona più segreta della sua mente. Incredibile come Jungkook fosse stato in grado di vedere cosa ci fosse là dentro, luogo di cui lui possedeva la chiave, ma che voleva buttare via.
«Sotto la luna piena.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top