「21/04/1867」

48.

Durante quella domenica di Pasqua, Jimin aveva avuto la premura di invitare tutti quanti al tavolo della sua sala da pranzo e per l'occasione aveva anche assunto un paio di signore che potessero occuparsi sia della pulizia della casa sia della cucina, dato che nessuno di loro quattro era abbastanza bravo come cuoco per pensare a così tante persone. Ovviamente, Taehyung era seduto accanto a Mathilde, la quale aveva al suo fianco anche Hoseok; il trio era quello che più era vivace tra tutti i commensali. Jimin, posto a capotavola, si alzò in piedi, fermando il chiacchiericcio e risuonando il coltello sul vetro del bicchiere, producendo un rumore chiaro e assordante, ottenendo l'attenzione di tutti quanti.
I commensali si voltarono nella sua direzione. Tutti i loro amici erano lì, gli invitati di Natale e in più anche Seokjin che, per qualche strana decisione dall'alto, era entrato in una realtà più intima di quanto lui si meritasse.
Non lo poteva ancora vedere di buon occhio, lui, per questione di principio: da capo dell'azienda che era quasi divenuto, a declassato perché Jin aveva deciso di risvegliarsi dal letargo.

«Credo sia doveroso, prima di tutto, augurarvi una buona e gioiosa Pasqua.» ricevette dei cenni da parte degli altri e allora anche Mathilde ed Hoseok, che ancora stavano ridacchiando per conto loro, prestarono attenzione a Jimin. «Secondo, vorrei ricordarvi il motivo per cui oggi siamo riuniti qui, in questo giorno di festa, davanti allo stesso cibo: il vero intento non era affatto quello di stare assieme e passare una bella giornata, ma per tentare di averne migliori in futuro.»
Iniziò prendendo di riferimento l'uomo di cui tutti loro ormai sapevano.
Minsoo allora intervenne, fermando Jimin nel discorso, chiedendo come facevano ad essere sicuri di quello che stavano dicendo: potevano anche sbagliarsi, quella ragazza, Soojin, che sia Tae sia Kook avevano citato, poteva starli solamente prendendo in giro.
Ricevette da entrambi delle risposte di disapprovazione, perché Ménétios era risultato troppo ambiguo ed era impossibile che lui fosse realmente innocente: fatto sta che avrebbero ideato un piano che prevedeva anche una marcia indietro, in casi estremi.

Allora Jin si mise in piedi, prendendo la parola e tenendo il capo chino verso quel piatto colmo di carne con contorno di piselli, perché sarebbe risultato essere troppo complicato rivolgere gli occhi a tutti quanti. Spiegò tutto quello che, qualche giorno prima, gli era venuto in mente. Shakespeare aveva scritto una tra le sue diverse tragedie che trattava di un principe, Amleto, che pur di far confessare a suo zio di aver ucciso il re, suo fratello, fece sì che si mettesse in scena un'opera teatrale la cui storia riprendeva tratti speculari alle vicende reali per vedere la sua reazione. Perché no? Perché non riprodurre quello che già un grande aveva dato a loro? Non avrebbero copiato nulla, anzi: c'era da prendere solamente uno spunto, perché attraverso tutte quante le loro competenze e influenze sarebbero stati in grado di farcela in circa due mesi, se tutti avessero collaborato celermente.
Namjoon gli aveva raccontato per filo e per segno l'occupazione e gli interessi di ognuno di loro. Minsoo, Minsoo! Lui era un librettista, il quale viveva nella miseria per la sua poca fama; ma Yoongi era stato un direttore d'orchestra, pianista e inoltre compositore a tempo perso, prodigio fin da giovane che aveva deciso di ritirarsi al fine di inseguire, errante, le proprie passioni.

Si chiesero allora come mai non ci avessero mai pensato. Yoongi allora che avrebbe fatto, si sarebbe presentato come nulla fosse a teatro per riprendere il suo posto, dopo chissà quanti competitori che erano contenti di poterlo superare?
«Non dovete preoccuparvi,» li tranquillizzò. «porto indosso la nomea di Kim Seokjin: in un modo o nell'altro, riuscirò ad avere un giorno per la rappresentazione e lo spazio per Yoongi. Poi, Yoongi sceglierà Minsoo come librettista e per la rappresentazione dovrete scegliere solamente degli attori di fiducia, perché volete rendere quest'opera il gioiello tra i gioielli, con le migliori presenze, provenienti da altre parti della Francia.»
Allora il suo sguardo ricadde su Jungkook e Taehyung con un sorrisetto, ed entrambi capirono cosa intendesse dire.

Prontamente, Jungkook rispose: «Ma io non so cantare! Non posso fare qualcos'altro? Faccio lo scrittore, dovrei aiutare Minsoo, oppure occuparmi della scenografia!» tentò di togliersi di dosso l'impegno, ma ottenne solamente uno sbuffo da parte di Seokjin.
«Hoseok e Mathilde invece si possono occupare dell'aspetto coreografico: oltre a chi di voi che starà sul palco — rigorosamente camuffati in volto — ci saranno anche altri attori e ballerini, come è giusto che sia.» proseguì imperterrito.

Yuqi lo interruppe con le braccia strette al petto, osservandolo con un sopracciglio alzato. «Da come hai detto le cose, pare che anche io debba recitare.»
Il suo tono duro esprimeva l'evidente scocciatura, soprattutto perché stava venendo comandata a bacchetta da qualcun altro.
«Dato che Jungkook non è stato evirato da piccolo,»
Si sentì un "ma perché proprio io come esempio?!" dall'altra parte del tavolo «penso che una presenza femminile sia importante in una tragedia.»
Minsoo annuì in accordo, ridacchiando in dispetto verso Yuqi che aveva cominciato a fissarlo con sdegno.

«E tu che farai?» chiese Jimin, che era rimasto in silenzio fino ad allora.
Con ovvietà alzò le spalle: «Io devo cercare di trovare Lambert, in questo lasso di tempo, e diventare un suo amico stretto tale da portarlo a teatro, esattamente quel giorno. E Minsoo sarà seduto accanto a noi, per cui anche lui si accorgerà delle sue espressioni: se non vi fidate di me, dovreste fidarvi di lui, no?»
Namjoon, in tristezza, gli afferrò la mano involontariamente, suscitando in Seokjin degli inaspettati brividi, probabilmente dovuti alle sue mani gelate, oppure al suo senso di premura suscitato da quella frase, la quale aveva un che di sconsolato.

Nam era già così fiducioso in Jin, e ci teneva così tanto a farglielo notare.

Taehyung, ascoltando, non aveva fiatato neanche per lamentarsi o scherzare sulle proteste di Jungkook, poiché le parole che pian piano venivano dette non facevano altro che portargli alla mente i ricordi di due anni prima, quando, nello stesso periodo, a lui venuta l'idea del "piano perfetto". Ma quante ripercussioni esso aveva causato? Si chiese se, comunque fosse andata, era stato giusto, perché tanto le cose sarebbero state tali tramite qualsiasi tragitto. Roma la si raggiunge con così tante strade, eppure non cambia di fattezze.

Eppure, da quando Jungkook gli aveva comunicato tutto ciò che Soojin gli aveva detto, non poteva sentirsi responsabile per le disgrazie che altri volevano causare loro.
«Fatemi essere il protagonista, qualsiasi cosa dobbiate fare. Contadino, principe, pulitore di stalle, non mi importa: voglio vedere il suo volto colpevole con i miei stessi occhi, dopo che abbiamo condiviso la stessa stanza per mesi.»
Vile, bugiardo, ingannatore, codardo. Non era il tipo di persona che provava odio verso qualcuno, anche se gli aveva causato una grande delusione, ma con Lambert era diverso: non voleva fare male a lui, ma a Jungkook, in definitiva, e aveva sfruttato i loro rapporti affettivi a suo piacimento, sperando di trarne più vantaggio.
Jungkook si era voltato verso di lui, in ricerca di una spiegazione. «Tae, si tratta di lirica.»

Allora, gli rivolse un sorrisetto: «Tu mi sottovaluti.»
Nessuno ebbe da ridire, per cui Minsoo si limitò a fare cenno col capo e confermargli la sua parte.
Giunsero all'accordo di rivolgersi ad un modista per i vestiti dell'opera, la cui realizzazione non sarebbe dovuta essere eccessivamente complessa, perché questo avrebbe compromesso la tempistica.
Namjoon era così favorevole all'aiuto che Jin stava dando loro: la sua sincerità, la poteva percepire dagli occhi, che erano così lucidi, nitidi e che non nascondevano nulla: puri, trasparenti, come un vetro splendente. Quale uomo sarebbe stato in grado di mentire con quello sguardo? Solo un essere non umano.

Il ragazzo era talmente fermo riguardo le sue decisioni: aveva deciso che avrebbe imparato ad amarlo comunque, quelle erano le sue decisioni e perseguirle era l'unico per poter essere felice, perché la felicità la si può raggiungere solo tramite la perseveranza e la credenza prima di tutto in se stessi.

«Quindi io chi dovrei essere?» chiese nuovamente Yuqi, una volta che ebbero finito quel pranzo e il discorso si era apparentemente completato. Non si sarebbe mai completato, obiettivamente, perché erano tutti quanti ferventi: specialmente Mathilde, in quell'ambiente, che, da quando Jin aveva messo assieme i concetti di sé e quello del teatro, il suo volto si era illuminato come mai prima di allora.
La donna delle pulizie stava passando per il tavolo per sparecchiarlo: vennero tolte le posate, i piatti, i tovaglioli e solo alla fine i bicchieri.
Taehyung aveva osservato con lo sguardo tutti i suoi movimenti ed alzò gli occhi dalle mani della signora quando ella se ne andò dalla stanza. Decise di ignorare la domanda di Yuqi, anche se aveva aperto la strada alla sua idea. «Minsoo, voglio aiutarti a scrivere, se non è un problema.»

Jungkook, che si era alzato e aveva teneva poggiate le mani sulle sue spalle, per fargli anche un massaggio per sciogliergli i nervi, dato che il suo sguardo da troppo tempo cupo lo stava facendo preoccupare, provò ad accarezzarlo leggermente: doveva assolutamente parlargli in privato, perché non sopportava quando era così pensieroso.
Gli prese la mano e, senza dire alcuna parola, lo tirò a sé fuori dal salone, nell'ingresso, sebbene le sue proteste, mentre tutti gli altri proseguivano a parlare per conto proprio.
«Taehyung, che ti prende?» gli chiese, mostrando la sua preoccupazione ed accarezzandogli la guancia sinistra, togliendosi così un ciuffo di capelli che gli era finito sui capelli.

Scosse il capo. «Niente.»
«Niente?»
«Sei solo invidioso perché sicuramente Minsoo vorrà avere un mio aiuto per la stesura dell'opera.» tentò di stuzzicarlo, fingendo una risatina per evitare altre domande. L'unica cosa che ricevette fu un'alzata di sopracciglia.
Evidentemente Tae non voleva ancora esprimere le sue preoccupazioni, ma andava bene, perché sapeva che avrebbero parlato quella sera prima di addormentarsi nello stesso letto, come facevano di solito. Se non si sentiva pronto, non doveva forzarlo: si limitò a dargli un piccolo bacio sul naso, in una posizione in cui era certo che nessuno stava rivolgendo loro lo sguardo, anche per la loro intimità.

«Voglio sentire come canti in lirica, sono curioso. Sarà miele, il suono che produrrai?»
Quella domanda gli provocò un vero sorriso: «Sarà una sorpresa, per te come per tutti gli spettatori a teatro, quella sera.»
Si guardarono negli occhi, colma di quella preoccupazione, eppure di speranza, che non aveva smesso di correre nelle loro vene neanche per un secondo.
I loro volti tanto vicini, il loro calore, i loro corpi, i loro respiri, la loro essenza.
«Ti amo.» disse Jungkook, dopo qualche secondo passato in silenzio. «Nel caso tu dovessi scordarlo.»

«Non me lo scorderò mai.» rispose, stringendogli la mano, dita incastrate tra le altre dita, come in un reticolo. Anche Kook era preoccupato per quella decisione di gruppo: era sicuro fidarsi ciecamente di Kim Seokjin? Cosa aveva di tanto accattivante, come poteva attirare solamente con la sua eloquenza? Non se lo sarebbe scordato mai che lo amava, mai, neanche per un secondo della sua vita, non serviva che Jungkook lo ripetesse. Tuttavia, ogni volta, sembrava come la prima, nella quale lo stomaco di entrambi si era rivoltato molteplici volte.

Quando tutti quanti se ne furono andati, con appuntamento alla settimana successiva, alla stessa ora di pranzo, Jungkook e Taehyung rimasero entrambi davanti alla porta ormai chiusa, con Jimin e Yoongi che avevano entrambi salito le scale, lasciandoli da soli.
Aveva già fatto sera, eppure non era sembrato, come se il tempo fosse fuggito dalle mani per la poca attenzione di entrambi.
Le loro dita erano così vicine l'una all'altra che ne approfittarono per unirle nuovamente, come sempre, scaldando i loro palmi, come se il sangue di entrambi stesse passando per vene che li collegavano, rendendoli corpi unici.
«Siamo da soli.»
Tae fece cenno con un sussurro sommesso, senza smettere di osservare il legno della porta davanti a loro.

«Perché ho paura davanti a tutto questo? Vorrei così tanto fermarli, dire la mia, cercare di organizzare tutto quanto, urlare, far capire loro che è sbagliato.»
«Perché l'abbiamo già vissuto e sappiamo che non porterebbe a nulla di buono.»
Kook annuì, ma poi gli venne da sorridere, abbassando gli occhi sulle loro mani. «Tu dici?»
«Secondo la società non siamo nulla di buono.» rispose, ma ciò spinse solamente il minore a tirarlo a sé, in modo che i loro nasi potessero toccarsi. Chiusero gli occhi entrambi, portò la mano sul suo collo, carezzandolo nella zona inferiore all'orecchio, suscitandogli molteplici brividi.

«La società non trova che sia buono nessuno di noi. Eppure esistiamo, continuiamo a fare quello che vogliamo fare, perché è la nostra vita, per cui possiamo amare, pensare, decidere qualsiasi cosa. Siamo liberi, Taehyung, siamo liberi di vincere. E un giorno, lo giuro su me stesso, sulla mia stessa vita, che andremo a vivere in una bellissima casetta in campagna e vivremo tante di quelle esperienze che ne racconteremo a valanghe, a vicenda, quando saremo vecchi, sulla sedia a dondolo. Vedremo assieme gli anni del Novecento, tenendoci la mano alla mezzanotte, mentre, accanto a noi, ci sarà il nostro cagnetto, o qualsiasi altro animale che vorrai.»

Quella proposta gli fece sciogliere il cuore e il suo sorriso divenne grande e dalla forma quadrata, come il suo solito quando era al settimo cielo: un bacio, in quel momento, non poteva essere negato.
Chissà quanti secondi passarono, labbra contro labbra: così tanti che Taehyung li stava rincorrendo con tutto se stesso, perché voleva continuare a tenerli per sé. L'immagine così bella, paradisiaca, non poté fare a meno di essere impressa nella mente, come se l'avessero già vissuta, con colori vividi, e sensazioni chiare. Poteva anche avvertire l'odore casereccio e il tessuto della coperta di lana che avrebbe portato addosso per scaldarsi.
«Ti amo. Ti amo, ti amo, ti voglio bene.» ripeté ancora Jungkook, tra un bacio e l'altro, perché non poteva fare mai a meno di quelle parole, come se, se non l'avesse ribadito, non sarebbe stato più vero oppure non sarebbe stato abbastanza.

Nel momento in cui presero fiato, Taehyung prese l'iniziativa di voltarsi verso il salone, con i suoi eleganti divanetti e le finestre dal classico tendaggio.
«No. Aspetta, facciamo qualcosa di diverso.» lo fermò Jungkook, capendo che voleva andare a fondo anche quella sera. Per carità, non aveva nulla in contrario, però voleva che non fosse tanto monotono come sempre. Non che fosse realmente monotono, insomma, il senso è quello.
Taehyung era visibilmente confuso, ma rimase a fissarlo con lo sguardo mentre corse via, percorrendo tutto il salone e passando sotto l'arcata al centro della parete, finendo nel grandissimo spazio con colonnato e che comprendeva un balcone interno. Non era più tanto usata quella parte della casa, perché del ballo non si preoccupava più nessuno, tra di loro. Tempo per ballare non ne avevano, perché sarebbe significato sprecarlo. Quel bellissimo salone, nato come sala da ballo, che aveva sicuramente accolto i genitori di Jimin nella loro prima danza, così come era accaduto anche per i suoi nonni.
Chissà se si erano guardati così come Taehyung in quel momento stava guardando Jungkook, avvicinandosi a lui, prendendogli la mano ed inchinandosi cortese, come farebbe un vero principe, forse anche più leggiadro. Gli baciò il dorso, senza mai distaccare i loro occhi, entrambi che quella sera riflettevano il colore delle scure tenebre.

Quando si avvicinarono l'uno all'altro, Tae non lo prese così come avrebbe fatto il principe con la sua principessa, ma si presero come due persone che si amavano, stringendosi in un abbraccio che coinvolgeva il movimento dei piedi, su quella musica prodotta dal battito del cuore.
Chissà se anche gli altri che avevano ballato lì erano promessi in matrimonio gli uni alle altre, ma per amore.
«Questo è molto meglio che fare l'amore. Quello lo potrebbe fare qualsiasi altro essere umano.»
Kook, dopo l'osservazione dell'altro, gli avvolse le braccia attorno al collo, lasciando nuovamente che i corpi fossero avvolti dal calore scaturito solamente dal loro fiato.
Un fiato che risuonava di mille parole, ma che non diceva neanche una. E quando mai avrebbero potuto immaginare che un giorno sarebbero stati avvolti da quell'amore muto?

Jimin e Yoongi, stavano osservando la scena dal piano superiore, tramite il balcone interno, in silenzio, con le vestaglie da notte. Il primo diede una gomitata al pianista, indicandoli e facendo un sorriso eccessivamente largo, trattenendosi dal saltellare per la felicità.
Se non avesse dovuto stare zitto avrebbe certamente urlato, per cui Yoongi alzò gli occhi al cielo, anche lui addolcito dalla scena, ma tirò via lo spione nella sua stanza, perché l'ultima cosa che loro due volevano erano dei ficcanaso.

Ballarono ancora, avvolti dal manto che i corpi erano, assimilando la perfezione di quel momento, così paradisiaco ed etereo. Se si concentravano, potevano anche credere di vedere le nuvole sotto i loro piedi.
"Mi sento il responsabile", ecco che cosa voleva dirgli, ma le sue labbra e le corde vocali si rifiutavano. Per qualche strana ragione, sentiva che doveva starsene zitto, forse perché avrebbe rovinato il momento; meglio avere solo lui quel peso, che entrambi.
A centro sala, iniziò a spostare le labbra verso il basso, baciandogli il collo, per cui allentandogli il colletto. Non ci volle più di tanto a Taehyung per prendere il ragazzo in braccio, ritornando a baciarlo sulle labbra, e per camminare assieme verso la prima stanza più vicina. Scelsero la sala utilizzata specialmente per la lettura, con la scala a chiocciola che portava in quella adibita alla musica.

Baci, uno dietro l'altro, imperterriti, innumerabili, colmi di passione imperitura.
Se la Luna li avesse osservati, sarebbe stata fiera di loro, dei suoi figli.
Ma la Luna non c'era, non poteva neanche udire quella melodia tessuta nel silenzio delle loro anime, che si intrecciavano sempre più ogni giorno che passava. Erano armonici, i due amanti, ma la parola amante era errata e non esprimeva realmente cosa erano.
Uniti nello stesso corpo, stesso cuore, pensieri connessi: erano parte dell'arte stessa.

Un paio di giorni più tardi, Minsoo era seduto sul letto matrimoniale della stanza che condivideva con Yuqi, ed era appena stato sorpreso dalla ragazza nel bel mezzo di una crisi silenziosa, nella quale aveva stretto i capelli con entrambe le mani.
La ragazza era rimasta visibilmente colpita dalle sue parole colme di fastidio e rabbia, ma per una volta preferì non biasimarlo, perché aveva reso già presente il fatto che non avesse alcuna idea su come realizzare un progetto così importante, dopo che non aveva avuto mansioni degne di nomea per parecchio tempo. Viveva in miseria e sulle sue spalle pesava tutta la famiglia: menomale che Namjoon, nel breve periodo in cui era stato lì, si era dato da fare nella consegna dei giornali alle porte dei cittadini, e Hoseok da qualche mese aiutava un uomo per le sue bancarelle del mercato.

Si sedette accanto a lui, dandogli carezze sulla schiena, con il tocco più tranquillo che poteva.
La sua voce era rotta e da un momento all'altro era ovvio che sarebbe crollato in un pianto di sfogo. Si lamentò di non essere abbastanza capace di fare ciò che era la sua occupazione. Quanti erano i compositori che avevano scelto lui come librettista? Forse un paio, ma il suo nome era stato ingiustamente oscurato, mettendo in evidenza l'altro protagonista. Varie volte era successo di aver venduto le proprie idee ad altri librettisti, per guadagnare qualcosa, perché da solo non aveva la più pallida idea di come fare. Non piaceva? Ah, sotto alcuni punti di vista, lui e Jungkook erano talmente simili! Stesso destino, stessa follia. Non era abbastanza buono e per la prima volta gli era stato affidato un incarico veramente importante, ma la sua mente era vuota.

«Soo...» tentò di scuoterlo Yuqi. Alle sue aspettative troppo alte che si frantumavano tutte assieme si aggiungeva anche il senso di colpa per essersi rivolto male, dicendo di lasciarlo stare, verso quella ragazza che lo amava e che lo voleva solamente consolare. Sapeva che lei ci stava male, se si rivolgeva bruscamente, eppure accadeva comunque, con menefreghismo dei suoi sentimenti. Gli dispiaceva così tanto, sperava che non sarebbe degenerata ogni cosa prima che lei potesse capire che non era mai stato quella persona.
«Potresti cercare di fare qualcosa, senza ispirarti ad altri. Dovresti essere diverso da ogni cosa. Il vecchio è vecchio: focalizzati sulla tua immaginazione.» consigliò, con interesse da compagna, ma anche fraterno. Erano cresciuti insieme, dopotutto: come potevano non sentirsi amici quanto due fratelli.
«Sii te stesso, sii il Minsoo che conosco io.»

«E che dovrebbe fare il Minsoo che conosci tu? Produrre idee inutili, non essere in grado di pensare a qualcosa di concreto, che possa piacere alla gente?»
Era realmente difficile convincerlo che forse stava avendo solamente un blocco, magari causato dallo stress e dalla pressione. Senza di lui non potevano cominciare.
«Il Minsoo che conosco io non si inventa le cose, ma se le ricorda.» fu allora che l'altro alzò lo sguardo, lasciando cadere le braccia accanto ai suoi fianchi, dato che ormai non servivano più per sorreggere il capo.
Se le ricordava! Che voleva dire che se le ricordava?
Cosa fa uno scrittore, cosa fa un artista?

Quel mondo così splendido che aveva osservato così tante volte nei suoi mondi, apparendo tanto lontano da sveglio quanto vicino da dormiente, nel quale si era sentito di cadere.
Visualizzò un ragazzo, sotto un melo, disteso a prendere l'ombra durante quel pomeriggio soleggiato, che si stava quasi addormentando. Ma, con gli occhi socchiusi, notò la figura di una giovane che stava scappando via da un uomo che la stava inseguendo maligno.
Il ragazzo corse da lei, prendendole la mano e decidendo di proteggerla.
Non aveva già vissuto tutto quanto in un sogno, nel quale il ragazzo era se stesso e quella giovane era Yuqi, decidendo di proteggerla per sempre? Non era simile, sotto certi aspetti, la sua storia con quella di Taehyung, il quale aveva deciso di tenere Jungkook lontano da suo padre?

Nei suoi sogni pareva così reale, ma lo era perché semplicemente non era un sogno.

Scrisse la bozza di tutta l'opera in un paio d'ore alla scrivania della camera di Jungkook, includendo anche le battute più importanti, compreso il finale mozzafiato e immaginando i momenti di entrata dei ballerini.

A proposito di ballerini: Mathilde, nel frattempo, non era a casa. Aveva mentito, la mattina, dicendo che avrebbe raggiunto Hobi a lavoro, perché non aveva nulla da fare quella giornata e di leggere qualche libro per perseguire la sua istruzione era fuori discussione, perché il giorno prima era andata avanti anche più di quello che avrebbe dovuto. La giornata doveva essere dedicata al ballo e al perfezionamento, come se stesse limando la punta di un diamante, la quale doveva essere splendente. Le grand-jête le mancava, come passo: lo sbagliava sempre, finendo per cadere per terra oppure lo eseguiva incompleto.

In quella mattina prossima alla fine di aprile, lei aveva deciso di avvicinarsi a quel luogo che tanto era stato parte dei suoi sogni. Il mento le era alto, davanti al colosso di quello splendido teatro, di cui osservava le sue fattezze, rimanendone talmente incantata da non riuscire neanche a respirare. I capelli corvini, raccolti in una coda di cavallo, erano talmente lunghi che le arrivavano, in quella posizione, anche sotto al sedere; i suoi occhi erano sgranati ed iridescenti. L'esterno del teatro assomigliava alla facciata di un tempio greco e difficilmente riusciva ad osservare chiaramente la punta del timpano, per quanto era in lontananza.

Non sapeva se l'avrebbero fatta entrare, ma una volta, in quei mesi, aveva parlato con Namjoon e, sempre con abbastanza tatto, gli aveva chiesto di raccontargli qualcosina di quel luogo: Minsoo si era categoricamente rifiutato da sempre, perché aveva già capito le intenzioni sconsiderate della ragazzina, ma Namjoon non si fece problemi a raccontare i dettagli del luogo nella sera in cui aveva conosciuto Yoongi. Certo, non diede a vedere quanto fosse ferito al ricordo, ma provò a rimuovere la figura del ragazzo dal suo immaginario, riducendolo ad un momento passato da solo. C'erano delle entrate dal retro, che Yoon solitamente utilizzava per non farsi fissare dalla gente dopo una composizione musicale che aveva perfettamente eseguito. Nessuno sarebbe stato tanto maleducato da indicarlo, ma gli sguardi non potevano essere impediti e lui odiava anche il singolo sguardo, perché la soggezione era troppa.
La ragazzina prese un gran respiro, intravedendo l'entrata principale e annuendo a se stessa. I vestiti che aveva indosso non erano i migliori esistenti, ma malandati poiché la gonnellina era stracciata verso il basso e il bianco le si era sporcato. Era una contadinella, nulla di più.

Vide lontano quella ragazzina che passeggiava con un abito elegante, mentre stava a fianco della sua amichetta con cui colloquiava cortese. Entrambe erano dello stesso rango, per cui si capivano e magari, se l'avessero vista, avrebbero fatto battute anche su di lei, magra persino al volto, con gli zigomi evidenti, perché mangiava sì e no due volte al giorno, anche la porzione più piccola perché preferiva lasciare le maggiori ai lavoratori di casa, che si affannavano tutto il giorno per mantenere anche lei, la piccola che non faceva nulla per rendersi utile. Aveva anche meno energie del solito perché ultimamente ballava spesso, quindi era inciampata un paio di volte nel tragitto, rischiando di cadere di faccia a terra. Le ragazzine avrebbero riso con gusto, non sapendo che le sue gambe erano davvero deboli e, presa dalla frenesia, si dimenticava spesso di stiracchiare i suoi arti all'inizio e alla fine dell'allenamento. Hoseok non aveva mai voluto tutto quello e il giorno prima le aveva chiesto di fermarsi a riposare un pochino, avendo notato la sua frustrazione.

Sull'omicidio che suo fratello e Jungkook avevano commesso non aveva mai dato una sua visione, rimanendo sempre taciturna, preferendo che gli altri la vedessero come l'innocente bambina che era sempre stata, fin da quando l'avevano conosciuta. Cosa pensava, dunque? Che la felicità andava preservata e, se in quel momento, credevano che fosse l'unico modo per non soffrire più, allora avevano fatto bene. Il diritto alla felicità era l'unico che bisognava rispettare, perché quello alla vita veniva solo dopo, a seguito della gentilezza, dell'empatia e anche compassione.
La sua felicità, in quel frangente, era quel teatro e solamente se stessa poteva procurarsela. Notò un ballerino alto stare accanto all'entrata, che era stata accuratamente descritta da Namjoon; il ragazzo teneva tra le dita una sigaretta e non si preoccupava del passeggio, perché il luogo in questione si trovava lontano da occhi indiscreti. La ragazzina si morse il labbro e decise di superarlo, anche perché non le aveva detto nulla neanche quando le aveva rivolto uno sguardo infastidito. Evidentemente l'unica cosa che sperava facesse era sloggiare.

Sapeva come muoversi in quel luogo, perché non aveva mai smesso di tenere nella tasca del sottogonna la cartina del teatro che aveva rubato a Taehyung l'ultima sera prima che lui e Jungkook partissero per l'Austria, sapendo che le sarebbe servita un giorno o l'altro. Era stata lasciata sul tavolo, abbandonata: non serviva a nessuno, allora!
Corse per tutti i corridoi e si nascose nella stanza più vicina, dalla porta aperta, quando si rese conto che qualcuno stava passando di lì. Fortunatamente era solamente un inserviente, nulla di cui preoccuparsi.
Si perse, salendo le scale da una parte e dall'altra, per cui decise di entrare in uno dei loggioni. Era tutto vuoto, tutto tappezzato del rosso elegante che aveva sempre immaginato, come se davanti ai suoi occhi le si fosse presentata una realtà che era non aveva mai pensato potesse divenire tale, parte solamente dei suoi sogni più profondi. L'unica pecca era che fosse buio, nel teatro stesso.
La sedia che lei riusciva ad intravedere, intarsiata, pareva finta, per quanto elegante era. Quanto avrebbe voluto essere come una di quelle ragazzine che aveva visto fuori, tanto ricche che potevano permettersi di andare a teatro tutti i giorni.

Chiuse la porta dietro di sé, rimanendo nel buio del suo loggione: neanche aveva notato le scale del foyer intravedibili solamente affacciandosi alla balconata, perché troppo presa a nascondersi da chiunque fosse nel teatro, impaurita dall'essere rimproverata e non avere più il permesso di andare lì.
Sarebbe stato bello aspettare l'accensione delle luci, ma Hobi sarebbe tornato per l'ora di pranzo. Obiettivamente, temeva più che lui si arrabbiasse, in tutta quella storia; per cui, dopo aver assaporato l'oscurità profumata della cultura e del suo sogno pungente, sarebbe tornata a casa. Si tastò le gambe, da sopra la gonna, avvertendo quanto non fossero ancora sode a cosce e polpacci; almeno, non abbastanza. La sua dieta era davvero povera, la resistenza che aveva acquisito era effimera rispetto a ciò che le serviva realmente. Aveva provato a mangiare qualche patata in più, da qualche mese, ma oltre a darle energia non faceva granché, poiché la spendeva tutta assieme. Era anche deboluccia nel sistema immunitario e non poteva fare nulla contro il freddo insistente che provava.

Voltò il capo quando si rese conto che una persona aveva aperto la porta del loggione in cui si era sistemata.
«Chi è là?» non poté distinguere la figura, dato che la luce dietro di lui lo rendeva interamente un'ombra scura.
Emise qualche mugolio sommesso e si avvicinò gracilmente e con dispiacere, pronta a ricevere una ramanzina. «Mathilde, che ci fai qui?» chiese l'uomo, prendendola per l'avambraccio, a momenti largo quanto lo stesso polso.
«Seokjin? Sei tu?» chiese con voce flebile e occhi sgranati, sentendo pian piano l'ansia che le lasciava il corpo, con la consapevolezza di essere stata salvata da una figura amica.
«Che ti salta in mente, perché ti trovi qui? Dovresti essere a casa tua, non qui, di nascosto. E come sei entrata?»

Con capo basso, rispose che era stato Namjoon, un paio di mesi prima, che gli aveva detto qualche dettaglio su un'entrata nascosta; inoltre stava utilizzando anche un'utilissima cartina, perché non stava più nella pelle e non poteva aspettare di entrarvi quando ci sarebbe stata la loro rappresentazione teatrale. Ci voleva troppo tempo! Aveva aspettato abbastanza.
«Ti riaccompagno a casa. Non è prudente stare qui adesso, verremo rimproverati entrambi.»
Al che lei aggrottò un sopracciglio, confusa. Era ancora una ragazzina, ma non era di certo stupida, perché, anche se spendeva tutto il suo tempo a commentare solo questioni allegre, non significava che, in silenzio, non pensasse razionalmente.

«Jinnie, come mai sei qui, se non hai neanche tu il permesso per starci?»
«Dovevo parlare con il proprietario per assicurarmi che si potrà mettere in scena.»
«E allora perché sei qui, in questo loggione?»
«Perché ho visto una figura che entrava qui e non ti ho riconosciuto, l'ho seguita e basta.» mentì. «Pensavo fossi qualche ladro o che so io, un intruso, ecco. Lo sei, ma sei pur sempre tra i miei conoscenti.»
«Perché non sei entrato prima?»
Mathilde era stata lì dentro ad osservare il nulla da almeno una ventina di minuti, per cui era impossibile che chi l'aveva seguita avesse aspettato tutto quel tempo.
Come se la storiella avesse una falla.
«Ho controllato tutti i loggioni, non ho visto in quale sei entrata.»
«Avrei sentito le porte chiudersi da quelli qui accanto. Non sono chiusi, ma il suono si sarebbe propagato fino a me.»

Poteva essere giovane, ma non era più una bambina ingenua, a cui serviva suo fratello per addormentarsi. Aveva perso definitivamente quell'abitudine quando dovette addormentarsi per la prima volta nella casa di quegli estranei. Adesso sapeva dormire da sola.
Quei quattro ragazzi con cui aveva condiviso casa gli avevano insegnato così tanto senza neanche saperlo.
«Jinnie, potrei sapere cosa stai tenendo nascosto?»

Non era possibile, essere in procinto di farsi scoprire da una ragazzina!
Si abbassò alla sua altezza, poggiando le sue mani sulle spalle di lei.
«Non sto tenendo nascosto nulla. Sono sincero. Perché dovrei mentirti? Non ne avrei ragione.»
Lei annuì.

«Non ti credo, ma quando vorrai dirmelo, dimmelo. Lo si vede dai tuoi occhi, che menti.»
Cercò di trattenere lo sguardo allarmato: sembrava essere in grado di leggere la sua vera essenza, cosa di cui non erano stati in grado nessuno dei suoi amici, anche se erano circa una decina di anni più di lei, con più esperienza nel riconoscere chi affabula. Persino Namjoon! Era rimasto incantato da sé perché era un magnifico attore, credendo che l'anima notata fosse pura e trasparente come l'acqua di un ruscello.
«Ti riaccompagno a casa.» disse autoritario, voltando velocemente gli occhi per non far notare la sua espressione. Se lei l'avesse detto agli altri, che sarebbe successo? L'avrebbero creduta? No, non l'avrebbero fatto, perché Jin non aveva motivo di stare lì se non per ciò che loro già sapevano, del tutto giustificato.

Fortuna che le luci erano spente e lei non aveva potuto notare una cassetta posta all'angolo. Senza ombra di dubbio, quello era il loggione nel quale andava solitamente e aveva nascosto lì un'arma letale, perché non si sapeva mai, soprattutto quando Jungkook aveva accettato di lavorare per lui. Bastava un attimo e sarebbe andato a riprenderla dal posto più improbabile di tutti, per cui aveva pagato un'ingente somma per avere il silenzio del capo sorvegliante.
«Seokjin, la verità è sempre la scelta giusta.» provò a dire sottovoce, senza opporre resistenza all'essere trascinata via, dato che avrebbero potuto ricevere strane occhiate da chiunque sarebbe passato.
Sbuffò infastidito, perché se avesse potuto sarebbe tornato indietro a prendere ciò che stava in quella valigetta. A quanto pare avrebbe seriamente aspettato di fare quella stupida commedia e quindi gli toccava stare ai patti.

«Vuoi che vada prima a parlare con quell'uomo o preferisci che ti imbavaglio, dato che stai cominciando ad essere irritante? Non ho niente da nascondere.»
Sbuffò nuovamente, quanto lei emise dei mugolii sommessi, probabilmente impaurita dalle sue parole.
«Va bene, ti faccio anche conoscere. Chissà, ti vede bene e ti assume come ballerina a tempo pieno.» disse con ironia, anche se un bavaglio glielo voleva mettere ugualmente.

E va bene, l'ipotesi di prendere l'arsenico che teneva nella valigetta per poterlo dare a tutti i ragazzi coinvolti nella faccenda, una goccia per ciascuno, nel prossimo incontro finalizzato all'organizzazione dell'opera teatrale per incastrare Lambert, era andata in fumo. Anche se lo avevano già eccessivamente stancato e voleva solamente che li portasse dalla polizia, vivi o morti, per prendere la sua ricompensa, doveva dunque aspettare ancora un altro po'.

La storia che avrebbe usato, ovvero il fatto che si era solamente autodifeso da quei due pazzi criminali, facendo loro credere di voler solamente prendere del tè assieme prima di ammazzarlo, sarebbe potuta essere molto coinvolgente quanto interessante, per gli agenti.
E tutti gli altri? Forse gettati in una fossa comune, magari proprio sotto il terreno della stessa casa di Park. Dannazione, appresso a quelli lì aveva perso chissà quante giornate ed era ora anche di sbarazzarsi di Lambert. Gli avrebbe fatto credere che a lui spettava metà della ricompensa, ma gli spettava solamente lo stesso avvelenamento. E Soyeon? Era una sciocca, se le avesse offerto di diventare sua moglie per tenerle chiusa la bocca, non avrebbe detto nulla in contrario, anzi.

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