「19/10/1864」

17.

Quella lettera che aveva lasciato sul comodino gli aveva causato un assurdo groppo allo stomaco, infatti non riusciva neanche camminare. Chissà che reazione avrebbe avuto Jimin quando avrebbe scoperto che se ne era andato: quel ragazzo era già debole a causa di altre motivazioni e aveva deciso di mettersi pure lui in mezzo.
Che crudele che era stato.
L'aveva fatto per il bene di Jimin stesso, ma aveva mai preso in considerazione il fatto che quello non fosse il suo bene? No, no: era un bene superiore che Jimin non era in grado di vedere, quindi era giusto così e il meglio per tutti e due.

Forse per Jungkook no, era un po' complicato girare di nuovo per le strade come fosse un barbone, ma ci avrebbe fatto l'abitudine.

Nel mentre era proprio nel mezzo dei suoi pensieri che tanto avrebbe voluto reprimere, delle voci che gli urlavano incessanti tutti i suoi errori, vide una figura nera camminare nell'ombra, la quale lo fece sobbalzare. Si morse il labbro per evitare di urlare quando essa si avvicinò al ragazzo, che aveva preso la valigia e la stava usando come scudo di fortuna.
Serrò gli occhi di istinto, sperando che non fosse nessuno di pericoloso.

«Scusami ragazzo, per caso hai da accendere?»
Jungkook alzò il capo tentando di vedergli il viso.

Rimasto pietrificato all'inizio, annuì freneticamente e allungò la mano nel taschino interno della sua giacca, per tirar fuori il suo accendino.
«Dovrebbe funzionare ancora, non lo provo da un po'»
L'uomo alzò il sopracciglio, sebbene Jungkook non riuscì a vederlo, e prese l'oggetto dalle mani del ragazzo.
«Ci vuole molta forza di volontà per non fumare un gioiellino come uno di questi. Grazie comunque.» ringraziò, dopo aver fatto rigirare tra le dita un piccolo cilindro: poi lo portò tra labbra e lo accese, restituendo l'accendino a Jungkook e cominciando a fumare.

«Di nulla...» si guardò in torno, rendendosi conto che tra i tanti pensieri era finito in un luogo che non aveva mai visto prima di allora. «Dove mi trovo?»

«Vicino Place des Vosges. Ragazzo, non dirmi che ti sei perso.» commentò l'uomo, provocando nubi dalla bocca.
Jungkook annuì, rannicchiandosi al suo posto e rigirando l'accendino tra le sue dita. Aveva un vago ricordo di quella zona, quella strada quel vicolo colmo di ombre alla luce della notte.

Ma quando c'era stato? Quand'è che aveva rivissuto quei momenti e quelle sensazioni? Se alzava il capo poteva notare un lampione con luce spenta e che non era stata accesa; le pietre del viale, rigorosamente nere, erano inumidite dal clima di metà ottobre, si cominciava a sentire il freddo che trapassava la pelle arrivando fino alle ossa, provocando innumerevoli brividi; in lontananza poteva sentire le voci delle persone che echeggiavano, dalle strade più ampie, colme di allegria.

Jungkook allora alzò il capo verso l'uomo, con una vaga ipotesi su dove si poteva trovare, ma doveva solo constatarlo: «Chiedo scusa, sai per caso se c'è qualche bel luogo per divertirsi qui nei dintorni?» disse alzando un sopracciglio, in modo da fargli intendere cosa gli stava chiedendo.
L'uomo alzò l'angolo delle labbra e fece cenno col capo. «Continua dritto per questa strada, non te ne pentirai sicuramente.»

Nella propria mano aveva soltanto un misero accendino e neanche sapeva se aveva ancora il suo pacco di sigarette.
«Ti va se ti vendo il mio accendino?»
«Sento che questa domanda me la sta ponendo un pazzo. Come fai ad essere in grado di rinunciare al così buon sapore del fumo? Io non potrei mai farne a meno, sei un uomo molto forte e di buoni propositi.»
«Perché io al tuo contrario non ne sono così dipendente: il fumo mi ha sempre fatto schifo, con tutto il suo sapore orribile di bruciato misto alla sensazione di soffocamento nella gola. Cinquanta franchi per questo gioiellino e non ne parliamo più. Ci stai?»

L'uomo non esitò neanche un secondo per allungare la sua mano dentro il portafogli, che era inserito nella tasca, per tirar fuori la cifra pattuita. Jungkook lo guardò con riconoscenza, per poi mettere i soldi in tasca e alzarsi dall'angolo umidiccio dove era rimasto a lungo tempo seduto con le gambe strette al petto. Gli erano ritornati alla testa tanti ricordi, che si rese conto erano di un anno e mezzo prima: perché non si era accorto fin da subito che era lo stesso posto che aveva visitato assieme a suo padre la notte in cui cambiò tutto l'andamento della sua vita! In particolare perché quel lontano giorno aveva compiuto il suo primo crimine, ponendo fine alla morte di un uomo.

Quel lontano giorno in cui lui aveva ucciso e in cui lui si era abbassato allo stesso livello di un viscido verme. In quella notte a Place des Vosges aveva proprio toccato il fondo. Deglutì, sentendo il ribrezzo percorrergli tutta la gola fino ad avvertire un amarognolo sapore sulla lingua. Dopo tutto quel tempo aveva anche avuto il coraggio di ritornare e non se ne vergognava, ma continuava ad andare dritto affinché trovasse qualche giusta persona con cui sfogarsi per tutto quello che era successo, per tutto quello che aveva fatto.

Notò una ragazza, seduta su un muretto, dai capelli corti e dal colore biondo, con gambe incrociate e con un abbigliamento che di solito non vedeva indossare dalle ragazze che andavano abitualmente in giro per la città: la veste era di colore nero, con qualche pizzo sulla generosa scollatura; verso il basso, era malconcio e dalle sfumature grigiastre, il che permetteva di intravedere una porzione delle sue scarpe; infine portava al collo una collanina che glielo stringeva come fosse una molla e dello stesso colore del vestito, ma con decoro retinato. Sebbene sembrasse essere in malandate condizioni, era tranquillamente seduta con la schiena leggermente inarcata ed occhi rivolti verso il cielo, permettendo al suo décolléte di apparire nella sua ampiezza, con sopracciglia inarcate in una smorfia annoiata.

In lontananza c'erano un altro paio di ragazze vestite quasi alla stessa maniera, sicuramente di bell'aspetto e di forme prosperose. La ragazza su cui Jungkook si era concentrato era molto più magra rispetto alle altre, lo si poteva osservare in particolare dalle sue sottili braccia scoperte. Jungkook si chiedeva soprattutto come facesse a stare sbracciata quando il freddo aveva già cominciato a far parte della stagione autunnale. La vide allungare la mano dentro la tasca della sua sottoveste e tirar fuori una sigaretta senza alcuna esitazione e portarsela alle labbra una volta averla accesa.
Kook strinse la banconota da cento franchi che l'uomo gli aveva dato e si avvicinò quasi timidamente alla ragazza. Era molto carina.
Si soffermò in particolare sulle sue iridi di colore scuro e sulle palpebre ricche di trucco dalle sfumature marroni, il quale si accoppiava bene con le lunghe e fitte ciglia. Si accorse del suo mento terminante quasi in una punta e rimase colpito dalla perfezione del suo naso, così come rimase scioccato dalla sua pelle priva di impurità in ogni parte scoperta.

«Buonasera...» disse Jungkook in imbarazzo, cosa che fece alzare un sopracciglio alla ragazza, la quale non si aspettava che sarebbe stata interrotta. Lei trattenne uno sbuffo e spense la sigaretta sul muretto, lasciandola cadere per terra.

«Quaranta franchi all'ora, pagamento immediato.»
Allora il ragazzo tirò fuori i soldi dalla tasca, facendo un sospiro di sollievo e mostrandoglieli: «Ne ho abbastanza per un'ora e... qualche minuto. Ti ricordi di me?»
Lei alzò leggermente un angolo delle sue labbra, prendendo i soldi dalla mano di Jungkook e mettendoseli nella propria tasca, mentre l'altro attendeva la risposta. Alzò gli occhi verso di lui, scendendo dal muretto e osservandolo da capo a piedi: era un po' sporco ovunque, ma non importava, dato che aveva quel viso attraente e quei bei capelli e forme seducenti. Gli occhi di Jungkook gli risaltavano il bel colore pesca delle sue labbra. D'altronde, era lo stesso ragazzo che, circa un anno e mezzo prima aveva preferito parlare con lei piuttosto che richiedere silenzio ed obbedienza.

«Oggi però faccio uno sconto, venticinque franchi all'ora. Ci state per due ore, monsieur?» lei si morse il labbro impaziente, cosa che fece ridacchiare Jungkook.

Prese il polso del ragazzo, cercando di attirarlo a sé e quindi permettendogli di seguirla. Tuttavia il bruno le strinse la mano, chiedendo indirettamente di fermarsi, cosa che le fece sgranare gli occhi e girarsi verso di lui, poiché realmente poche volte accadeva che un uomo le afferrava il palmo e le dita in modo così delicato e rassicurante.
«Posso sapere finalmente il tuo nome, mademoiselle?»
Lei si fece scappare un sorriso sincero e addolcito dal suo comportamento, che non era assolutamente tipico di tutti quegli uomini con cui aveva di solito a che fare, i quali erano solo impazienti di usare il suo corpo come se stessero mangiando del pane. Come avrebbe mai potuto dimenticare un gentiluomo come lui!

«Sono Soyeon.»

«Il mio nome è Jungkook. Spero passeremo una bella serata allora, Soyeon.»

Distesi sul letto a piazza matrimoniale e dopo essersi consumati senza prendere neanche fiato, la ragazza cadde esausta a fianco a lui, con il capo biondo scompigliato e intenta a prendere fiato. Entrambi erano stati in grado di offrire il meglio che potevano, sebbene l'uno lo facesse per sfogo e l'altra per disperato lavoro.

«Soyeon,» la chiamò, ancora col fiatone, tanto che lei voltò il volto verso la parte destra «perché lo fai?»

«Vendere il mio corpo?» tornò a guardare il soffitto, coprendosi il petto privo di vestiti con la coperta e giocando col suo lembo.
Jungkook annuì e si girò dalla sua parte.
Non si erano mai interessati a lei così tanto, tutti gli altri viscidi uomini: Jungkook non si stava lamentando neanche per essere rimasta ferma.
«Non lo so. Tu perché sei andato via di casa?»
Gliene aveva parlato, mentre stavano andando nella piccola casetta di Soyeon.

«Perché ho dovuto.»
Lei non si aspettava una risposta tale, dalla quale riuscì a capire quanto il ragazzo fosse sofferto; altre persone le avrebbero dato uno schiaffo e ordinato di stare zitta per la sua curiosità malaccetta. Deglutì, chiudendo gli occhi e beandosi della morbidezza del cuscino sotto al suo capo e del calore che i loro corpi avevano generato sul lenzuolo.
«Ero andato a vivere da un mio amico, Jimin. Insomma, non era neanche un mio grande amico, ma credo di essermi legato tanto a lui nelle settimane in cui abbiamo convissuto. Si è preso cura di me, come se...»

«Come se te lo meritassi.»

«Già. Proprio quello.»

Tra i due calò il silenzio, nel quale Jungkook allungò la mano per afferrare quella di Soyeon e stringerla tra le proprie, giocando con le sue unghie. Nel frattempo si era girato su un lato, per poterle parlare meglio.

«Poi ho pensato che non fosse giusto, per Jimin. Insomma, vivevo senza andare a lavoro, quindi a sue spese, in una casa meravigliosa, in cui non mi è mancato nulla, totalmente diversa dall'altra casa, che condividevo coi miei amici. Prima di andare da Jimin vivevo con loro, ma poi uno dei ragazzi mi ha cacciato via, dicendo di averlo fatto per il mio bene. Sai che avevo fatto a loro? Avevo rubato tutti i loro soldi, che avevano sudato per guadagnarsi. Mentre io, senza lavoro, avevo continuato a fare la bella vita, a bere, a fumare, a non curarmi di loro. Avevo paura che succedesse la stessa cosa con Jimin, non se lo merita.»

«Lui almeno lo sa il perché?»
Jungkook fece un mugugno in segno di dissenso.

«Non potevo dirglielo. Ormai non so più quali siano le parti della mia vita che ho raccontato e quali siano quelle che sto tenendo tutte per me.»

Lei si voltò verso Jungkook, poggiando la sua fronte su quella del ragazzo, ed entrambi chiusero gli occhi, beandosi della sensazione di avere qualcuno dai comportamenti tanto dolci al proprio fianco.
«Ho ucciso un uomo, Soyeon. Proprio con queste mani, quelle che ti hanno stretta e con cui continuo a toccarti. Eri presente quella sera, mi ricordo il terrore nei tuoi occhi da lontano, mentre ordinavo a quell'altra ragazza di andare via. Ti sto sporcando con tutto quello che ho di marcio ed ho sporcato tutto il viale dietro di me. Se mi giro indietro, riesco a vedere... riesco a vedere quello che ho fatto che mi perseguita ogni giorno e che ha fatto di me quello che sono adesso.»

Lei gli sorrise, toccandogli una mano con la propria e carezzandola. «Tanti sono gli uomini che ne uccidono altri. Se sei pentito, sarà come se non fosse accaduto nulla.»

«Il problema è questo: non sono affatto pentito. Sebbene mi causi un grande malore, quell'uomo stava facendo del male ad una donna e... e non potevo permettere che lui continuasse. Quella ragazza stava subendo una condanna deplorevole e chissà quante volte è successo a lei e ad altre. Ti hanno toccata e ti hanno violata con prepotenza.»
Lui deglutì, trattenendo un piccolo singhiozzo dovuto ai ricordi che stavano riaffiorando. «Per questo ho chiesto come mai vendi il tuo corpo. Mi fa male pensare a tutto quello che siete costrette a subire per un po' di denaro. Vorrei... vorrei darti qualche banconota in più, davvero, ma non ne ho. Scusami tan-»

Fu fermato da un suo sibilo di silenzio, fatto sulle sue labbra. «Sei nobile e puro, Jungkook.»

«Non sono un tanto bravo ragazzo come mi descrivi.» si fece sfuggire una risatina malinconica. «Sono estremamente invidioso e impulsivo. Ho così paura di ferire gli altri con il mio carattere, come ho già fatto tante volte, ma cercando di farlo peggioro la situazione.»

«Ognuno ha i propri difetti e i propri pregi. Se hai paura di ferire le persone col tuo carattere accarezzale col tuo lato buono e permetti loro di usarti un'arma così come una medicina.»

Jungkook sorrise sinceramente a quel consiglio e Soyeon ricambiò con dolcezza, rimanendo per qualche altro secondo in silenzio.

«Da piccola mi dicevano che ero tanto bella.» esordì, attirando l'attenzione del bruno.
«Mamma mi accarezzava i lunghi capelli biondi con le sue mani dalle unghie lunghe, tanto che fungevano da pettine. Poi avvicinava le unghie al mio volto e accarezzava anche quello. Ed io rimanevo seduta davanti allo specchio a sorbirmi tutti quei complimenti. L'unica cosa che odiava erano i miei occhi dal colore marrone, uguali a quello di mio padre, che l'aveva lasciata per un'altra donna. Quanto invidiavo mio padre, ma quanto l'ho odiato per avermi lasciato da sola con lei. Per lei ero una principessa che sarebbe diventata una modella. Ero dotata della bellezza che lei non aveva mai posseduto ed era invidiosa, tanto invidiosa. Lei non voleva che diventassi famosa per la mia bellezza, non lo desiderava neanche minimamente. Una notte scoprii che era pazza. Quando avevo diciassette anni e non mi ero ancora addormentata, sentii i suoi passi avvicinarsi verso il mio letto.»

La sua narrazione si bloccò e Jungkook notò che i suoi occhi stavano cominciando a diventare rossi e in essi si stavano formando delle lacrime, per cui le prese la mano e le diede un bacio su di essa, cercando di farla essere il più tranquilla possibile: sentiva che in quella storia c'era tanto dolore e doveva fare sì che non le pesasse.

«Ha sussurrato. E sai cosa ha detto con quel sussurro? "Addio principessa". Sgranai gli occhi e mi resi conto che stava per buttarmi un secchio di acqua bollente in volto, che aveva l'odore di qualche sostanza acida. Rotolai dall'altra parte del letto e scappai via. Jungkook, non ho mai avuto così tanta paura in tutta la mia vita. Mia madre era... era pazza, l'ho odiata così tanto e... la odio ancora, per colpa sua la mia vita da ragazza normale terminò quella notte ed i miei sogni svanirono nel nulla.»
Stava tremando dal terrore.
Un terrore simile a quello che lui provava per suo padre e si sentì così simile a lei.
«Per cui da tre anni vivo così. Ho sfruttato la mia bellezza per guadagnare dei soldi e questo piccolo appartamento, questi vestiti per attirare più clienti possibili e del trucco.»

«I tuoi capelli però li porti corti, prima erano lunghi.»
«Li ho tagliati la prima volta. Lui me li aveva accarezzati e quando se ne è andato ho vomitato dal disgusto. Era viscido e le sue mani anche. Tutto coperto di peluria, il suo ventre estremamente grande, la sua età il doppio della mia, la sua voce bassa. Aveva anche baciato i miei capelli, erano diventati suoi.» deglutì, cercando di reprimere le immagini vivide del ricordo. «Una volta finito mi sono avvicinata allo specchio e li ho tagliati senza ripensamenti.»

«Mi dispiace.»

«E di cosa, non è colpa tua.» Si concentrò sugli occhi di Jungkook, abbandonando ogni visione del passato, altrimenti era certa che avrebbe rigurgitato una seconda volta.

«Mi dispiace che gli uomini siano tanto crudeli con le donne. Vorrei tanto fare qualcosa, almeno per te, che ormai conosco, seppur siamo ancora degli estranei.»

«Ci siamo raccontati ciò che tenevamo nascosto della nostra vita. Non penso che siamo ancora estranei.»
Jungkook annuì, eppure sapeva che qualcosa non l'aveva raccontata.
Perché trovava così importante quel periodo della sua vita passato a guardare la luna assieme a quella persona dalla quale era stato brutalmente separato?
Perché trovava così importante quella persona?
Perché se ne era andato proprio da lui?
Perché era così importante ricordarselo in quel momento?
Perché adesso che la sua mano era sulla guancia di Soyeon gli tornavano in mente sensazioni del passato, le cui immagini non era in grado di ricordare, ma era sicuro che le aveva vissute?
Perché era certo che Taehyung c'entrasse qualcosa?
Perché ogni volta che ripensava al suo nome avvertiva un vuoto allo stomaco e dell'incalcolabile nostalgia?
Perché voleva solo ritornare a sfiorargli le dita?
Perché si sentiva così bene con Soyeon, ma sapeva che la felicità e la pace era altra?
Perché?

Se mai lui avesse saputo cosa il suo inconscio l'aveva spinto a fare quando erano entrambi ubriachi, quella notte in cui vide per l'ultima volta il viso di Taehyung.

«Qualcosa non va?»

«Non ti ho detto una cosa.»

«Che cosa, Jungkook?» rispose con voce roca, poggiando la sua testa sotto quella del ragazzo e stringendolo a sé, con un'espressione di beatitudine.

«Che a volte faccio del male perché i miei sentimenti sono più forti di me.»

«Non è colpa tua, ma dei tuoi sentimenti. Tu mi trovi bella?»
Fu spiazzato dalla domanda e strabuzzò gli occhi, tuttavia senza interrompere quell'abbraccio.

«Mi piacciono... i tuoi occhi. Sono belli.»
«E il mio corpo? Lo trovi bello?»
Deglutì, ancora confuso. «È caldo. E morbido. Adatto da tenere stretto.»

Diceva il vero. Non gli piaceva dire che era bello e basta, bello non era la parola giusta. La bellezza è relativa, mentre la figura che aveva davanti a sé non era relativa, ma reale, in carne ed ossa.

«Lo chiedo a tutti quanti gli uomini. La loro risposta è stata sempre che sono molto seducente, sono quella che volevano, non una persona con un passato, con dei sentimenti, con del calore, con un cuore, come mi hai trattato tu. Vorrei che non finisse, questa serata.»

«Non facciamola finire.»
Soyeon staccò allora la testa dall'incavo del collo e ritornarono a guardarsi negli occhi.
L'universo gli stava dando un'altra possibilità, impietosito dalla sua disperazione. Non era importante la persona che aveva accanto a sé, se fosse uomo o donna, ma avrebbe voluto eliminare tutte le urla del suo capo che si scontravano le une contro le altre.

Per l'ennesima volta, avvertiva che sarebbe uscito pazzo dallo sconforto e dal peso delle sue cattive azioni, che avevano inevitabilmente ferito coloro a cui voleva bene.
Non si meritava nessuno, tantomeno la benevolenza dell'universo intero, che sperava di congiungerlo di nuovo a cospetto del Sole, rivelandosi come uno dei suoi figli pentiti.

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