「16/04/1867」

47.

Namjoon non aveva la più pallida idea di come le cose fossero finite in quella maniera, entrambi distesi sullo stesso letto, con occhi socchiusi, l'uno di fronte all'altro. Si era preso il lusso anche di togliersi le scarpe, perché dopo tante ore ai piedi avevano cominciato a fare male e la pianta necessitava di respirare almeno un minimo.
Incredibilmente, era stato uno tra i privilegiati che avevano visto Kim Seokjin senza la sua bellissima e mai aggrinzita giacca, ma aveva scoperto che sotto portava delle bretelle del colore della terra che tiravano su i suoi calzoni. La sua dimora era incantevole ed era estremamente riconoscente per l'averlo fatto entrare in casa senza attendere più di tanto.

«Perché non mi dici di più di Jungkook? Non so altro, oltre la sua decisione di partire. Ieri, era venuto a casa vostra per esprimere le sue ragioni, vero?»
In effetti era così. Erano passati solamente tre giorni da quando Seokjin e Namjoon avevano deciso di passeggiare insieme ma furono i più intensi che Nam aveva mai avuto l'opportunità di vivere ed ogni secondo di più poteva essere sempre più certo che il suo cuore fosse malato da quel battito frenetico e si sentiva davvero perso per quell'uomo, non solo per la sua bellezza, ma anche per il modo di parlare elegante, i suoi modi di fare, tutto quanto di lui.
La prima sera avevano deciso di andare ad un bar assieme e si erano ubriacati — o almeno, lui era sicuro di essersi ubriacato, per cui non si ricordava di preciso cosa aveva detto. Di certo aveva tirato fuori la storia del cagnolino che trovò davanti alla porta di casa da piccolo, infreddolito, che poi morì una settimana dopo tra le sue braccia e per cui era ancora dispiaciuto, imperdonabile. Si ricordava solamente di come si era trovato nel letto di un'abitazione estranea, poi aveva notato la figura possente di Seokjin avvicinarsi all'altro lato del letto matrimoniale e occuparlo.

La seconda giornata si erano raccontati del più e del meno, accorgendosi che le vite di entrambi erano così entusiasmanti. Seokjin amava il suo hobby artistico e non vedeva l'ora di osservare un paio di suoi nuovi quadri, anche se Namjoon aveva ribattuto, dicendo che fossero troppo classiche, dato che non gli piacevano le forme e figure irregolari e sconnesse che cominciavano ad andare di moda in quel periodo. A Jin piacevano così, reali, perché ciò che fuoriusciva dalla mente di quell'altro ragazzo doveva essere sicuramente puro oro. Viceversa, Namjoon era particolarmente interessato al lavoro dell'altro, così colmo di responsabilità da essere così potente e avere un nome. Gli sarebbe piaciuto, ma non era nelle condizioni tali da non provare ansia quando aveva tutti quei compiti importanti sulle spalle ed essere il centro principale dell'organizzazione.
Era rimasto semplicemente ad ascoltare, in quel grande salone. Dall'abitazione, Jin pareva così ricco e nobile che non gli sarebbe servito neanche lavorare.
La seconda giornata era passata come fosse stata un soffio di vento e quell'uomo, un tempo sconosciuto, era diventato colui di cui credeva conoscere più cose.

Nella notte tra il secondo e il terzo giorno, entrambi presero delle lanterne e corsero in giro per quella grande abitazione, ridendo e scherzando come degli infanti e a Namjoon piaceva proprio così. La purezza scaturita da quell'evento, fu quella che gli fece accendere il cuore più di tutte, rendendo esso stesso la vera torcia.
Quel tour non era finalizzato a comprendere quante e quali stanze ci fossero nella villa, ma erano diretti verso la stanza da letto, dove si sarebbero nuovamente addormentati assieme, come la sera prima, da amici.

Nel terzo giorno tornò a casa per dire ai ragazzi che fine avesse fatto, senza scendere troppo nei dettagli: bastò dire che Jin era un suo amico, senza neanche sottolineare il cognome, dato che Yuqi conosceva alla perfezione chi fosse quell'uomo.
Casualmente, quel pomeriggio giunsero proprio Jungkook e Taehyung lì da loro, con sua grande sorpresa, i quali raccontarono a tutti loro la vicenda con Lambert e il caso ancora aperto, per cui la loro decisione di partire il prima possibile, quando ci sarebbe stato un treno per l'Austria.

«Secondo me, dovresti fermarlo, Jungkook. E anche Taehyung, ovviamente. Non puoi lasciare che se ne vadano: insomma, almeno dovresti dirmi come stanno i fatti. Il mio miglior scrittore se ne è andato senza neanche darmi una spiegazione esaustiva e tu sei la mia unica speranza per togliermi il dubbio. Spero che io non c'entri affatto e che mi sia comportato bene.» gli disse di spalle, mentre si stava togliendo la propria giacca. Nam notò le bretelle incrociate poggiate sulle sue spalle larghe e possenti, che gli causavano un involontario spalancamento della bocca, in una posa da pesce lesso, per quanto era incredulo per la bellezza che aveva davanti, inumana.

La sera del terzo giorno era tornato da Seokjin e gli aveva fatto trovare un enorme banchetto per cenare insieme e ciò gli aveva fatto sciogliere il cuore. Dormirono insieme, ancora: l'imbarazzo non si era creato, dato che la piazza era molto grande e faceva sì che ognuno fosse per conto proprio.
Quello, invece, era il quarto giorno, passato assieme come gli altri a parlare, parlare, parlare di tutti i ricordi che a loro venivano in mente: era un'esperienza mistica, ma la terribile consapevolezza che in un futuro a lui prossimo sarebbero terminati quei ricordi tangibili nella propria mente, era un affranto.

«Non vuole sentire ragioni. L'ha detto chiaro e tondo subito dopo la notizia: "non provate a convincermi, non vi ascolto".»
«E perché? Che cosa c'è di tanto importante?» voltò il capo leggermente, rimettendo le gambe sopra il materasso dopo aver gettato le scarpe altrove senza alcuna premura e si era avvicinato a Namjoon diversamente dal solito: le distanze erano minori.

Nam deglutì, sentendo le farfalle agitarsi nel proprio stomaco e le gote diventare rosse come poche volte era mai accaduto.
«Nam, ti prego. Hai capito quanto a me non piaccia che si tengano nascoste delle cose, soprattutto se per me quella persona era importante e ci avevo confidato. Poi è finito per dare forfait: non credi sia infantile, Namjoonie?»
L'interpellato non rispose, rimanendo con la testa sul proprio cuscino e dopo ciò Jin fece lo stesso, di fronte a lui, in modo da far concatenare i loro sguardi.
Le loro dita erano così vicine che si sfiorarono e nessuno le distolse, anzi: Seokjin, dopo qualche secondo, afferrò con la mano opposta le cinque dita del ragazzo, in modo da incrociarle con le proprie.

«Joonie... per favore.»

«Kook mi ha chiesto di tenerlo un segreto. E poi, io non ti conosco ancora. Nel senso, so tutto di te e riesco a sentire ogni cosa: percepisco qualcosa di incredibile in te e so che tra di noi... c'è fiducia.»
Jin si avvicinò di qualche centimetro di più, al fine di essere distante giusto un minimo dalle sue labbra.
«Se due persone si conoscono da poco, non significa che non si conoscono. Se si riesce a leggere l'anima dell'altro è perché quella persona è da tenere stretta. Io mi fido di te.»

Nam strinse gli occhi e la stretta al petto lo costrinse a mettersi seduto, distogliendo il suo viso dal fiato caldo dell'altro.
«Jin, posso dirti i miei segreti, non quelli degli altri. In passato ho subito... delle delusioni: mi fido di te, ma anche quella persona di cui mi fidavo di più mi ha tradito ed ho paura che questo possa ricapitarmi. Non ti posso accusare di nulla o partire prevenuto, ma non riesco più ad evitarlo, ormai.» prese una pausa drammatica ed un grande respiro, al fine di calmarsi gli spiritelli che nel suo corpo avevano cominciato ad agitarsi, ovvero i brividi a causa dell'ansia. «L'unica cosa che non sai di me, è che io sono omosessuale. Di conseguenza, anche il mio trauma rilegato a Yoongi.»

L'aveva detto, tirato fuori con tutta la forza del mondo. Adesso Jin l'avrebbe allontanato, lo sapeva.
Tuttavia, la sua consapevolezza si affievolì, quando il maggiore strinse maggiormente la mano che ancora teneva afferrata e che non accennava a lasciare, facendogli segno di tornare nella posizione precedente senza alcun timore.
Namjoon ebbe un sussulto e subito tutti gli spiritelli si sciolsero, calmandosi.
«L'avevo già capito.» Come? Come aveva fatto? Era davvero così prevedibile? Seokjin sorrise dolcemente, nuovamente i loro occhi si incrociarono e Namjoon capì che probabilmente l'aveva notata nel proprio sguardo, la disperazione per l'amante perso.
Quale amante? Non conosceva alcun amante, non sapeva neanche chi fosse più, Yoongi, e finalmente, incontrandolo in qualche abitazione o anche per strada, non avrebbe finto di essere un amico sebbene avesse una frattura indelebile nel cuore.
La sua gentilezza era superata mille volte dalla vittoria.

Le loro labbra erano talmente vicine, che a breve avrebbero potuto toccarsi, ma ancora Seokjin non prendeva l'iniziativa e questo snervava tanto Namjoon, il quale stava aspettando: erano ormai dieci minuti che erano lì, l'uno di fronte all'altro, senza combinare nulla o muoversi in qualsiasi maniera, come ipnotizzati.
«Se ti baciassi adesso,» intervenne il minore, spezzando l'atmosfera creatasi. «sarebbe il mio primo bacio. Perché sì, voglio che sia il mio primo bacio, dato che è una scelta personale a chi dare il primo bacio. Saresti una persona importante. Per cui, io ti piaccio?»

Tanto valeva chiedergli ciò da subito per evitare delusioni successive. Jin rimase a guardarlo negli occhi, facendo sì che pian piano sulle sue labbra comparisse quel dolce sorriso che Namjoon si era abituato ad osservare, come se ormai potesse divenire la realtà di tutti i giorni.
«Certo che mi piaci, se no non farei tutto questo!»

Non ebbe neanche il tempo di completare la frase, che le loro labbra combaciarono in un bacio goffo, disperato, speranzoso, insostenibile per quanto stesse smuovendo le farfalle nello stomaco del più giovane, rendendolo pazzo, pazzo di quell'uomo conosciuto da così poco, ma di cui conosceva già tutto: soprattutto perché Namjoon riusciva a leggergli l'anima attraverso quegli occhi puri, luccicanti, veritieri. Non mentiva ed era certo che se lo meritava tutto; era fiero che quel primo vero bacio fosse dedicato a lui.
Jin non aspettò ad allungare le mani dietro la sua schiena, spostandole verso il basso e facendolo mugugnare.
Il suo sorriso si allargò, ma per Namjoon parve ancora dolce: con gli occhi chiusi e i sensi con la ragione che avevano smesso di funzionare, non se ne accorse proprio che era stato interpellato un sottilissimo ghigno dipinto con tale delicatezza da sembrare opera di un timido artista.
Eppure c'era! Le sensazioni c'erano e Kim era talmente abile a tenersele per se che di giorno in giorno si stava convincendo che avrebbe dovuto fare l'attore a teatro, non uno sciocco uomo triste, dietro la scrivania, a cercare modi per diventare sempre più ricco.

Era così malefico che a momenti si poteva definire anche l'intrigante diavolo: si sentiva tale, era così in gamba ad ingannare chiunque avesse davanti! Con Jungkook era stato semplice, ma il suo cambio di comportamento repentino lo aveva preoccupato, ancora aveva scoperto qualcosa. Con Namjoon invece era così semplice che gli pareva di star giocando con delle bambole o marionette, le quali facevano tutto quello che lui voleva. Era così appagante! Non doveva pensare a nulla di tanto elaborato, bastava solamente essere se stesso, ovvero un uomo dall'aspetto affascinante. Quell'idiota pendeva dalle sue labbra e non era passata neanche una settimana.
«Namjoon.» si distaccò leggermente da lui, cosicché potessero nuovamente guardarsi negli occhi: notò che erano colmi di piacere e passione e desiderava che continuassero.

Non gli faceva ribrezzo, anzi: era sempre stato piuttosto neutro a riguardo, non gli interessava, perché per il suo scopo principale avrebbe fatto di tutto, anche prendere quel cuoricino già ferito tra le sue mani e stritolarlo senza alcuna pietà. Per cui non gli tangeva la questione: era pur sempre un qualsiasi ragazzo trovato per strada disperato, inoltre non nelle migliori condizioni economiche. Se fosse stato un principe o un duca, magari si sarebbe fatto un pensierino e sarebbe stato anche disposto ad imparare per l'occasione qualche lingua straniera. Si fa di tutto, per i soldi!
«Jin?» rispose sottovoce, poiché essa era priva di alcun fiato.
«Namjoon, ti prego, raccontami di quello che è successo con Jungkook. Merito di saperlo, non riuscirei a dormire questa notte.»

Oltre a mordersi il labbro perché neanche lui avrebbe voluto dormire quella notte e sarebbe stato lieto di tenere entrambi svegli con pratiche ben poco noiose, il minore rifletté qualche secondo, per poi terminare in un sospiro. Alla fine, aveva ragione: non si meritava di avere nascosta la verità, seppure quello doveva essere un segreto. Era certo, inoltre, che quel bacio non se lo fossero scambiato solamente perché Jin voleva disperatamente delle risposte e quindi un modo per convincerlo: perché avere tali comportamenti fin da prima di aver saputo implicitamente che gli piaceva?
Quello che non sapeva, era che lo stesso Namjoon era sempre stato una sua pedina, fin dal momento che l'aveva visto nella casa di Park e quindi di Jungkook. Era stato celere, su quel divano, a collegare i punti e a tirare fuori quel suo solito ghigno, nel processare le informazioni.

«Però non dirlo a nessuno, ti prego, avverto la tua sincerità e lo sai benissimo che per me sei importante, seppur anche una nuova conoscenza. Mi fido di te.»
Non l'avrebbe detto a nessuno perché era un uomo di parola, ma quella dichiarazione di fiducia se la poteva benissimo risparmiare, perché tanto lui stesso si dichiarava l'essere più vile che avesse mai conosciuto.
Namjoon proprio non aveva pensato all'eventualità che lo stesse utilizzando fin dall'inizio, che avesse capito tutto quanto e che già sapesse che fosse omosessuale.

Doveva ringraziare la cara Soyeon dalla lingua lunga che, la prima volta che si presentò a casa sua, nel lontano milleottocentosessantacinque, fu ben favorevole a dire tutto quello che Jungkook le aveva confidato, da amico e da amante. Anche che avesse un amico, Kim Namjoon, con cui aveva litigato per le questioni di identità sessuale e che era andato via da Parigi.
Era proprio lui, quel Namjoon, che si era presentato alla porta di casa Park!

Chissà quante volte, nel suo studio, aveva letto le informazioni, che aveva raccolto da quella ragazza, su Jeon Jungkook: sapeva a memoria la vita da lei conosciuta, anche del suo amico Kim Taehyung, con cui aveva perso contatto dopo l'estate, contro la sua volontà.
La fiducia non la bisogna dare neanche alle persone più care e vicine, perché esse possono tradirti, così come fece Soyeon, unicamente per la proposta di avere un'ingente quantità di denaro.
Come aveva fatto a trovarla e a bussare alla porta della sua piccola abitazione, proprio nel giorno in cui Kook aveva fatto le valigie ed era andato via? Semplicemente, l'aveva visto scendere da quella piccola palazzina per caso e per sua grande fortuna fu quello in grado di controllare tutto il gioco. Jungkook! Quello che era stato visto all'Opéra per l'uccisione di suo padre!

Sulla sua testa e su quella di Kim Taehyung era stata affissa una grossa taglia, soprattutto per il tentativo patetico di scappare. Patetico inoltre perché correlato di lacrime e dolore per l'ipotetica perdita di uno e dell'altro. C'era, quella sera, come poteva non esserci? C'era sempre stato e fu semplice, per la sua mente furba, intelligente e scaltra, ricordarsi i volti di tutte le persone sconvolte quella sera, per poter allestire un piano perfetto al fine di condurre quei due ragazzini nella sua trappola. Pagò a tutti loro una piccola somma di denaro, misera rispetto alla grande ricompensa, per il loro silenzio.

Già da tempo aveva fatto un accordo con Ménétios Lambert, amico di vecchia data, e, se prima aveva intenzione di rispettare i patti e di aiutarlo per poter avere la sua vendetta e quindi rifiutare i manoscritti di Jungkook per spingerlo sempre più sull'orlo della disperazione e dunque al suicidio per la troppa pressione da parte di suo padre e le troppe delusioni dalla casa editrice ammirata e unica speranza, in quel teatro cambiò completamente idea e quindi decise di agire per conto proprio.
Avrebbe fatto scacco matto: gli scacchi sono un gioco per persone intelligenti, proprio come lui, no?

Quanti soldi avrebbe ricavato, tramite quell'investimento proficuo? Avvertiva già i franchi nelle proprie tasche che risuonavano allegri. E poi, oltre ai soldi, si era guadagnato il divertimento e la soddisfazione di vincere.
Vincere, perché Namjoon non tenne la bocca chiusa su nulla: gli disse ogni dettaglio, riguardando Taehyung, Lambert e come avevano fatto a comunicare per tutto quel periodo senza che lui se ne accorgesse.

"Quel grandissimo bastardo di Lambert!" Gli venne da esclamare, ma fortunatamente si trattenne. Infatti i patti che lui stava fingendo di rispettare erano altri. Seokjin teneva Jungkook a Parigi a scrivere quel libro, Lambert invece teneva Taehyung a Firenze e, una volta separati, avrebbero fatto in modo che nessuna lettera giungesse da loro, controllando attentamente le poste. Lui aveva fatto la sua parte! Secondo il lettore, per quale motivo quella lettera con la richiesta d'aiuto, quel giorno di gennaio, comparve per terra dopo il suo arrivo?
Il suo intento era proprio quello di evitare che comunicassero. Infatti, quando si sarebbero sentiti isolati, i complici erano certi che ci sarebbe stato un litigio potente fra l'uno e l'altro perché non si erano fatti sentire per così tanto tempo e si biasimavano a vicenda, per essere stati così lontani, seppur vaneggiavano la loro unione tanto potente. Ovviamente, non sapeva ancora che erano uniti da una relazione ancora più forte. Col litigio, entrambi i loro mentori, lui e Lambert, avrebbero fatto in modo di condurli in una fabbrica abbandonata fuori città, in modo da poterli far scontrare. Con pistole tra le mani, la polizia sarebbe intervenuta e li avrebbe presi, vivi o morti, dando agli organizzatori di tutto ciò una ingente somma di denaro da dividere per due e inoltre Lambert avrebbe avuto la sua vendetta. Ma, forse, Lambert desiderava solo la vendetta, perché a detta di Namjoon stava chiedendo a Jungkook di giungere a Firenze tramite le parole finte di Taehyung.
Tipico suo: impulsivo, credente nei suoi piani per lui immacolati, in realtà senza alcuna via d'uscita concreta. Sapeva bene com'era, Ménétios, ed era più che certo che l'avrebbe soffocato nel sonno senza alcuna pietà. Oppure avrebbe fatto fuori Taehyung davanti agli occhi di Jungkook, unicamente per provocargli la disperazione più grande, esattamente come quella che aveva provato quando era stato ucciso suo fratello davanti ai propri occhi proprio da quel ragazzetto che si credette paladino della giustizia. Il colmo più grande? Se l'avesse ucciso, l'avrebbe fatto con una bottiglia mezza rotta, come riferimento più che evidente al rancore provato nei suoi confronti.

«Ho capito tutto.» disse con voce innocente e comprensiva. «Per me, unicamente per me, dovreste fare qualcosa per evitare che quell'uomo li insegua e faccia loro del male. Jungkook è un bravissimo ragazzo ed ero fiero di averlo sotto la mia ala di protezione, non solo come dipendente e scrittore, quindi parte della mia collezione, ma sarei stato fiero se avessimo avuto un buon rapporto, anche di cortesia, non dico amichevole. È sempre stato così cortese nei miei confronti.»
Namjoon ridacchiò, poggiando la testa sulla spalla dell'altro, e poi accoccolandosi nell'incavo, per inspirarne il profumo. «"Jungkook cortese", sembra essere proprio una battuta. È così diverso dal ragazzo che conoscevo io, credo che sia davvero maturato: adesso sta diventando un uomo, grazie a Tae, che l'ha cambiato. A Natale loro ci sono venuti a trovare, te l'ho raccontato, no? Tuttavia ho omesso di dire come si vedesse che fossero anime gemelle. Prima ero arrabbiato con lui: tutto il dolore, la mia partenza per la Baviera, erano stati causati dal fatto che lui avesse espresso il suo disprezzo verso di me, e poi sono giunto a scoprire che aveva raggiunto la mia stessa sorte.»

Anche Seokjin, questa volta realmente, lo trovò un fatto ironico. Strinse Namjoon a sé: oltre alla finzione, gli serviva qualcosa con cui scaldarsi, perché quella sera era incredibilmente fredda rispetto alle altre e la finestra era rimasta aperta per qualche strana ragione.
«Vieni qui.» gli disse, togliendoli il volto dal petto dove si era pian piano spostato, e trasportandoglielo nuovamente verso l'alto al fine di poterlo baciare ancora. Non provava assolutamente nulla, poteva assicurarlo, ma era un passatempo e un modo per non congelarsi il naso e le dita dei piedi, che strofinò contro il tessuto dei suoi pantaloni.
Mugugnarono entrambi e i mugugni si tramutarono in ansimi, quando il maggiore si mise sopra dell'altro: le gambe di quest'ultimo erano strette e tra l'altro paio di ginocchia, in una posa paragonabile ad un cagnolino tutt'altro che docile.

Namjoon gli strinse il volto tra le mani, facendo sì che risuonassero per la stanza tanti altri schiocchi.
«Sai cosa fa un uomo che si vuole liberare di tutti i suoi problemi?» disse sottovoce, senza attendere neanche mezzo secondo per riprendere a baciarlo.
«Cosa?» i suoi ansimi divennero più acuti, poiché avvertì centinaia di brividi lungo il collo causati dalle labbra carnose di Seokjin che gli stavano lasciando una scia di baci.
«Li fa fuori.»

Nuovamente, Nam non fu in grado di rendersi conto di quel ghigno malefico. Lambert voleva giocare con il fuoco? Allora avrebbe assaggiato la foresta infuocata che l'avrebbe assalito fino a divorarlo vivo, non lasciando null'altro che semplici ceneri scure sul terreno morto, come lui.

Notò lo sguardo esterrefatto, quando smise di baciarlo sul collo con l'intenzione di passare ad un'altra zona. Per la prima volta, avvertì quella sfera malsana di Kim Seokjin, che in un primo gli piacque a dismisura, sentendosi così fortunato ad avere sopra di lui quell'uomo che preannunciava pure un ingegno al di fuori del proprio immaginario.

La mattina dopo, Namjoon bussò alla porta di casa Park ripetutamente, non curante del vicinato che stava ormai dormendo — dunque neanche dei loro dolci sogni.
«Jungkook, ti prego, non partire, non partire!» Accanto a lui stava proprio Seokjin, che aveva proposto di alzarsi da quel dannato letto, perché avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per passare delle notti indimenticabili. Glielo promise con un ultimo soffice bacio che sarebbero state splendide, perché era un ragazzo d'oro che se le meritava, ma quello che c'era da fare prima di tutto era aiutare Jungkook, sostenendo che non era un suo amico, ma gli voleva bene comunque.

«Jungkook! È importante, abbiamo la risposta!»
Continuò a strillare per un po', dunque Jin lo aiutò a bussare alla porta con più insistenza, dato che sembrava che non ci fosse proprio nessuno lì dentro. Tuttavia, dopo cinque minuti buoni di attesa, dovettero fermarsi con entrambi il pugno a mezz'aria dato che davanti a loro si presentò una figura dai capelli corvini e una vestaglia da notte indosso. Namjoon sgranò gli occhi, deglutendo dal timore e indietreggiando di un passo senza che se ne rendesse conto.
Jin lo spinse in avanti, capendo che quello fosse Yoongi, che aveva visto diverse volte a lavorare nella casa editrice, assunto da Jimin.
Per un attimo si dispiacque, poiché avvertiva, attraverso il palmo della mano che toccava la sua schiena, quanto imbarazzo provasse in quella situazione: Namjoon voleva solamente sparire dalla faccia della terra.

«Sono Kim Seokjin, credo che tu sappia che sono il tuo capo. Ricerco, anzi, ricerchiamo Jungkook Jeon, per una questione estremamente importante.»
Yoongi li guardò con un sopracciglio alzato. «Se è qui per Kook, mi spiace dirle che non posso farla entrare, poiché lei è il mio capo lavorativo e non della mia vita privata e non può chiedermi di farla entrare così come non può chiedere a Jungkook di riceverla. Namjoon, che non ho idea di cosa ci faccia qui con voi. Posso farlo entrare, perché un amico di tutti e tre, ma che riserverà comunque una sberla in fronte perché mi ha svegliato nel mezzo del mio riposo, che sa bene essere estremamente importante per il mio sonno leggero. Quindi puoi scegliere di entrare e ricevere una sberla, oppure andartene via e tornare cortesemente domani mattina, con il mio superiore che rimane fuori da casa mia perché mi sono stancato di averlo tra i piedi.» disse il tutto con una freddezza incredibile, la quale seppur possedeva un minimo di ironia.

Non rispose nessuno dei due, dato Namjoon era rimasto fermo alla questione della sberla in fronte, ricatto che faceva spesso anche ai tempi in cui erano stati assieme e che ogni volta gli aveva fatto ridere, per cui Yoongi fu sul punto di chiudere la porta, ma Seokjin la fermò con la pianta del piede, scaltro.
«Sappiamo come fermare Lambert: Jungkook non dovrà più scappare.»
Yoongi riaprì la porta con gli occhi sgranati, rivolti verso Nam. «E lui come sa di... come sa di Lambert?»

«Doveva essere un segreto, lo so, lo so benissimo-» Jin lo aiutò a spingere la porta contro la forza di Yoongi al fine di poterlo far entrare in casa e permettergli di mettere piedi sulla scalinata lì di fronte gridando il nome di Jungkook che rimbombò per tutte le mura.
Yoongi guardò Seokjin, il quale ormai era entrato in casa sua, il primo con occhi stretti e braccia incrociate.
«Kim, mi auguro che dirai presto a che gioco stai giocando.» gli disse, senza usare più neanche il formale.
«Allo stesso che hai giocato tu. Lieto però di essere colui che l'ha salvato da quel bastardo che gli aveva rovinato la vita.»
La risposta fu tale da farlo sussultare e tranciare la sua anima in due, difatti essa sanguinò, il suo senso di colpa si disperava e divincolava nel suo corpo ormai troppo stretto per un essere tanto abnorme.

La certezza della pace era andata a farsi benedire e rimase attaccato dalla consapevolezza che Namjoon non lo aveva mai perdonato.
Seokjin, mentre tentò di andare nel salone, l'unica stanza che conosceva, fu fermato da uno scatto di ira incontrollato di Yoongi, che lo portò ad afferrare il colletto e cravattino, i quali gli graffiarono il collo.
«Prova solamente a fargli del male un minimo ed io ti ammazzo. Non sto scherzando, Kim Seokjin.» lo minacciò, attendendo di sentire i versi soffocati dell'uomo davanti a sé e di spalle. Non li avvertì, anche se sarebbero stati appaganti, perché il maggiore era stato tanto veloce e previdente da afferrare il cravattino in avanti, unico punto di tutto il suo corpo che poteva essere vulnerabile, se non si possedeva alcuna arma con sé. Namjoon nei giorni prima gli aveva raccontato del caratterino particolarmente suscettibile dell'"amico" Yoongi, per cui quasi se la aspettava, una azione del genere.

«Sono qui per riparare ai tuoi danni.» sogghignò in una maniera che gli diede davvero ai nervi. «Ti consiglio di lasciarmi stare, se non vuoi che il tuo caro amichetto ti odi.»
Lo ascoltò.
«Hai vinto.»
Amava vincere.

Intanto, al piano superiore, Namjoon aveva svegliato tutti e tre i ragazzi aprendo le prime porte che trovava, sperando di non perdersi in quella grande abitazione che visitava per la prima volta. Jimin fu il primo e poi, nella stanza degli altri, notò i bagagli  pronti per essere posti sulla carrozza di un treno.

«Signor Kim,» scese dalle scale Jungkook preoccupato, dopo aver sentito quello che aveva da dire Namjoon. «per quale motivo ci disturbi a quest'ora? Perché sai di Lambert, perché vuoi aiutarci? Come vorresti farlo?»
"Perché lo sapeva", era già chiaro ed era visibilmente in panico per la lingua lunga di Namjoon e la sua incapacità di tenere informazioni per sé. E lo considerava maturo! Abbastanza in grado di capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato! Invece, aveva confidato troppo in lui e aveva commesso un errore, sperando che esso sarebbe rimasto lì, senza che poi molti altri sapessero cosa avesse intuito dal comportamento di Lambert.

Seokjin alzò lo sguardo e gli rivolse l'angolo della bocca allungato verso l'altro, inoltre si era posizionato in maniera tanto elegante da togliere il fiato, con mani nelle tasche e spalle aperte, inoltre con il peso del corpo spostato verso la gamba destra, cosicché il fianco in questione fosse spostato verso l'esterno.
Era intrigante poiché consapevole della propria potenza e forza d'animo, così come lo era dell'autostima.
«Shakespeare, Amleto. Faremo come lui. Stai certo che non fu un vigliacco e non scappò in un'altra nazione, credendo che fosse l'unico metodo per continuare a vivere.»

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