「13/04/1867」

46.

Sebbene non ci fosse più una sera senza le nuvole, quella lì era particolarmente serena, il che aveva permesso ai quattro ragazzi coinquilini di andare a fare un giro in città tutti assieme: era da tempo che non prendevano una decisione così spensierata, poiché l'idea principale era quella di andare in luoghi desolati per mettersi a ballare tutti assieme.
La trovata l'aveva avuta Mathilde per scherzo, ma Hoseok, Namjoon e Minsoo furono lieti di accodarsi per spendere delle splendide ore assieme, cosa che non accadeva da chissà quanto tempo.
Gli ultimi momenti tanto belli risalivano a quando Jungkook viveva ancora con loro, prima che cominciassero i veri e propri problemi, l'odio e il ribrezzo reciproco.

Tuttavia, anche se Minsoo e Namjoon vivevano di nuovo assieme, ormai, non potevano fare a meno di comportarsi con imbarazzo, sempre per quello che l'altro avrebbe potuto pensare.
Hoseok fungeva da magnifico mediatore, non perché litigavano spesso, anzi: permetteva loro di avere un minimo di comunicazione.

Camminando lungo le strade desolate di Parigi nella giovane notte, a turno emisero qualche urlo, per poi scappare via, attendendo che qualche signora dalla finestra li maledisse con una vestaglia e un cappellino da notte, mentre reggeva una lanterna sperando di osservare i volti dei maleducati. Non erano solo signore, ma anche uomini: uno, anziano e dal capo costellato dalla corta e bianca peluria, urlò loro di rimando, mostrandosi con una mazza fuori alla porta. Chi lo poteva biasimare, quel pover'uomo? D'altronde, era già la terza volta che erano passati, disturbando il suo sonno ristoratore.
I giovani scoppiarono a ridere e a Mathilde quasi mancò il fiato, dato che non era abituata a farlo durante una corsa così estenuante.

Hobi le allungò la mano, perché potesse prenderla e stare al loro passo: l'allenamento da ballerina non era abbastanza per soddisfare quelle condizioni, perché tutto sommato lei rimaneva sempre una ragazzina piuttosto gracile che necessitava comprensione.
Il rosso si era accorto già da tempo che potesse soffrire di asma, ma era rimasta tutta un'idea, sperando che si stesse sbagliando.
«Hobie, possiamo fermarci? Sono stanchissima.» chiese stremata, col sudore che già le colava dalla fronte, per cui fece segno agli altri due, rimasti dietro, di seguirli dentro un vicolo dove quel vecchio non avrebbe mai guardato. Il ragazzo si appoggiò sulle mattonelle della palazzina, le quali erano umide e gli bagnarono tutto il palmo; inoltre una folata di vento fu eccessiva, causandogli dei brividi di gelo.

Si appostarono lì, scivolando per terra, su quella strada sporca, e il conducente dovette poggiare il capo al muro dietro di sé, per permettere ai suoi polmoni di respirare a dovere.
Fece scivolare gli occhi su Namjoon e Minsoo, i quali si erano inizialmente seduti vicini, ma poi il secondo si era spostato di circa un metro da lui, certo che stesse occupando i suoi spazi.
Hobi desiderava così tanto che tornasse la normalità fra loro due, i quali sembravano essersi appena conosciuti, quando assieme avevano vissuto tante di quelle ragazzate che in passato potevano anche definirsi fratelli. Era triste.

Si fece distrarre dalla voce di Minsoo, il quale fece notare a tutti quanti delle note che provenivano da una stradina lì vicino. Se lo stava immaginando? No, erano reali. Prese la guida del gruppo e li condusse più avanti,  seguendo il suono avvertito dal suo udito: più si avvicinavano, più quelle note parevano provenienti da una fisarmonica e non si sbagliava a credere che la distanza tra loro e lo strumento musicale si stesse riducendo.

«Buonasera!» esclamò la minore, verso quell'uomo che indosso aveva solo degli stracci, capelli grigi alla cute e scarpe trasandate dalle quali entravano spifferi di vento. L'unica protezione, oltre alla giacca stracciata, era una sciarpa di lana in vermiglio, che non impedì all'uomo di risponderle con un largo sorriso, dal quale si potevano intravedere i denti ingialliti e storti.
«Mi piace molto ballare, sa?» lui annuì, senza emettere alcun suono dalla bocca. «Potrebbe suonare qualcosa che io e il mio amico potremmo ballare?» chiese con cortesia, tuttavia fu rimproverata da Minsoo, il quale le prese la mano e la tirò indietro, dicendole di non importunare quell'uomo, dato che magari, dopo una lunga giornata, era troppo stanco per realizzare i suoi desideri.

«Avevi detto che potevamo anche ballare!» protestò a voce bassa e sommessa, ma quando lei fu rassegnata e prese a camminar via, mentre Hoseok le portava una mano sulla spalla con dispiacere, questa volta in accordo con il maggiore, l'uomo che avevano lasciato lì dietro cominciò a suonare qualcosa di diverso da ciò che aveva prodotto fino ad allora.
Non usava le parole per comunicare, ma la musica: non era di appannaggio popolare, anzi, era una fine melodia udibile solamente nei teatri, dai grandi compositori, accessibile solo alle persone più ricche.

«È Chopin.» commentò il maggiore, impuntando i piedi e fermando anche gli altri ragazzi. Lui conosceva la melodia perché era a contatto con quel mondo altolocato, anche se, ancora, il suo lavoro da librettista continuava ad essere un fallimento e realizzava solamente le più scarse opere.
In quello, aveva sempre pensato che lui e Jungkook fossero simili, logorati dal dannatissimo desiderio della scrittura, lui influenzato dalla musica, l'altro influenzato dall'anima.

Minsoo si chiese come mai quell'uomo, che apparentemente non aveva parola, a conoscere un pezzo talmente sofisticato e classico, che fece saltare Mathilde sul posto e la spinse involontariamente a sistemarsi in prima posizione: Hoseok la seguì, di fronte a lei.
«Come sa...» era ancora stupefatto, ma l'uomo gli sorrise, simpatico, mentre muoveva le dita sui tasti della fisarmonica come se stesse tessendo abilmente quella melodia.
Lo sguardo dell'uomo era, sebbene tutto, in un turbine di tristezza, dato che non poteva rispondere e il ragazzo se ne accorse, avvicinandosi lentamente, mentre Hobi e Mathilde iniziavano a ballare per strada — per la prima volta sotto delle luci che non erano di casa!
Namjoon si incuriosì della prima scena, aizzando le orecchie per poter sentire quello che si stavano dicendo.

Ma non sentì niente, niente di niente, in quel silenzio governato solamente dalla musica. L'uomo, incapace di parlare, mostrava solo la sua più grande sofferenza del non avere la propria musica incastonata nella gola, come tutti, per cui voleva deliziare tutti quelli che poteva con le proprie conoscenze e capacità.
Nessuno sapeva, solo l'uomo stesso, che era stato parte dell'orchestra del grande teatro di Parigi, anni prima, aveva visto così tante bellezze ed era anche giunto a cospetto di quel grande compositore, ma poi era caduto in miseria a causa delle sue decisioni in campo economico, mandando in rovina la propria vita.

Quanto avrebbe voluto dire, a quel giovane ragazzo, che brillava di luce negli occhi, di continuare a sperare nella propria passione logorata e dannata! E di essere felice per ciò che possedeva!
Namjoon non lo sentì neanche, ma fu come se colse il suo messaggio.
L'uomo era muto fin dalla nascita, ma gli era stato impossibile non essere invidioso della possibilità altrui di colloquiare e di dare consigli. Chissà quanti saggi consigli sarebbe stato in grado di dare, se avesse potuto!

Nel frattempo, Hobi fece volteggiare Mathilde in aria, cauto nell'utilizzare le punte con delle scarpe poco adatte, mentre la reggeva per la vita sottile.
In quel frangente, si rese conto, dalle sue curve che diventavano ogni giorno sempre più pronunciate, che non era più la bambina che aveva incontrato due anni prima, ma stava crescendo in una donna, ancora troppo immatura, ma bella come un fiore, leggiadra come una farfalla, esile come un ramo decorato dalle molteplici foglie verde acceso dalla vita.
I capelli nero pece erano il suo tratto più peculiare, talmente elegante da renderla d'altri tempi, quasi di una bellezza divina, classica e greca, grazie anche a quegli zigomi pronunciati e portamento fiero. Unicamente sublime, il cui unico desiderio era quello di essere finalmente abbastanza brava per potersi esibire di fronte ad un vasto pubblico: già l'emozione di essere per strada le faceva agitare lo spirito, incredula.

Nam si avvicinò a Minsoo, abbastanza da far toccare le loro spalle, e allora entrambi si voltarono verso l'altro, con imbarazzo.
«Dovremmo cominciare ad incamminarci. Il componimento è quasi terminato.» disse all'amico, allontanandosi di mezzo metro, scottato: come al suo solito.
Namjoon annuì, «Grazie mille, monsieur.»
La fisarmonica agile rallentò pian piano e i due ragazzi sullo sfondo conclusero assieme, con una semplice piroetta sul posto e poi il ritorno alla posizione iniziale, prendendo un grande respiro, seguito da un sorriso pienamente soddisfatto.

Andarono tutti via di lì, Hobi e Mathilde controvoglia, ma continuando a saltellare mano a mano per quella strada desolata, dove neanche le donne assonnate uscivano fuori al balcone per potersi lamentare.
Gli altri due rimasero indietro, assieme, proprio quello che avrebbero voluto evitare. O meglio, che Minsoo avrebbe voluto desiderare. Arrivati sul Pont des Arts, Namjoon rimase con i piedi impiantati a terra, senza attraversarlo, lasciando che l'altro raggiungesse i due allegri.

Fino a metà ponte Minsoo non si accorse della sua assenza, ma poi avvertì che il solito alone che lo seguiva mancava e si voltò.

«Namjoon! Che stai facendo?» gli sorprendeva che non avesse alcuna ragione, neanche l'osservazione del panorama: gli occhi erano impiantati verso terra, particolarmente verso i propri piedi.
«Mi tengo a distanza. Tu vai da loro e stai tranquillo.»

La proposta gli fece aggrottare le sopracciglia e, involontariamente, portò un passo nella sua direzione, per cui Namjoon indietreggiò di uno.

«Che ti prende?» domandò esasperato, trattenendosi dal non corrergli contro per evitare la sua fuga.
«Cosa prende a te. Sono stanco che tu mi continua ad evitare anche se sono vicino a te più del dovuto, perché a te fa ribrezzo come sono. Non è colpa mia, non ho deciso di essere io così e seppure io ci stia provando, ci sto davvero provando a tornare indietro alle mie vecchie abitudini, ma-» la sua voce tremò e quella volta indietreggio non per la vicinanza, ma per la mancanza di forza nelle sue gambe. Scosse il capo, sconsolato. «ma non ci riesco. Vorrei tentare di essere quel "normale" che tu vuoi che io sia, ma la mia normalità è questa: la normalità è quello che ti fa essere felice ed io non sono felice se sono costretto a farmi qualche pensierino su una donna anziché su un uomo. Se il tuo timore è quello che possa farmeli anche su di te, ti sbagli, perché sei un mio amico e mi farebbe proprio... impressione.»

Non era curante del fatto che potessero esserci altri ascoltatori nascosti: per cui contava solamente la Parigi deserta e quel ponte dove c'era solamente Minsoo, il cui capo scuro si confondeva con la notte, diventando parte dello sfondo.
«Mi dispiace. Se per te sono malato, allora, mi dispiace davvero tanto. Ma anche le persone non normali e malate si meritano degli amici. Minsoo, ti prego-»
La voce poi, fu talmente bassa che l'interessato non fu più in grado di udirla, anche perché Namjoon aveva piegato le sue ginocchia poggiandole per terra, con la schiena incurvata verso il basso e le mani che gli coprivano gli occhi, mentre esternava tutta la frustrazione raccolta nei mesi.

"Ti prego sii un mio amico" aveva pronunciato con un fil di voce, che rimase in parte nelle corde vocali, impotente di tirarlo fuori.
«Se devo chiedere il perdono per come sono, allora perdonami, ma non odiarmi.»

Il minore non si era accorto dei passi del ragazzo nella sua direzione e di come adesso erano estremamente vicini. «Nam, non ti odio. Tutto, fuorché odiarti. L'odio è un sentimento vile e, sebbene provi fastidio per molte cose, sia autoritario, a volte permaloso, con terribile carattere tale da farlo pesare anche a te, io non provo odio verso di te. Non mi hai mai fatto nulla di male. Tranne quella volta in cui mi hai scambiato il caffè con l'orzo: ti odio solo per quello.» ad entrambi il ricordo rubò una risata sommessa, che fu interrotta quando Minsoo poggiò una mano sulla spalla dell'altro, la quale azione lo fece sussultare per quanto improvvisa.

«Torniamo da Hobi e Mathilde. Se non ci vedranno si preoccuperanno.» disse premuroso, guardandolo dritto negli occhi. «E non scusarti mai più per come sei: dovrei essere io a scusarmi con te, seppur quest'abitudine sia ormai più forte di me. Cercherò io di cambiare, per tornare gli amici di una volta.»
Probabilmente quella era una delle poche volte in cui quel ragazzo rivolgeva qualcosa in tono tanto calmo e premuroso e questo fece un grande piacere a Nam, il quale avvertì la sua amicizia che pian piano si stava ricostruendo tramite quelle semplici parole.
«E poi, vuoi sapere un'altra cosa che odio di te, oltre l'orzo?»
Strabuzzò gli occhi, spingendolo a continuare. «Il fatto che tu sia ancora buttato depresso sul letto a riflettere su quanto la tua vita faccia schifo, perché uno stronzo ti ha lasciato; e che tu non abbia ancora deciso di alzarti e andare a trovare un uomo, non un ragazzo, che sia molto più bello, affascinante, colmo di carattere, migliore di quel Yoongi. Forse quello che è successo è tutto ad opera del filo dannato del destino: anche le mie parole sono parte di esso, perché ti spingeranno verso qualcun altro. Se vuoi tornare davvero ad essere mio amico,» gli strinse le dita, al fine di dargli abbastanza carica. «torna a fare dei quadri decenti perché inspirato dall'amore che provi verso qualcun altro che non sia lui. Perché Yoongi non ti merita.»

Namjoon tenne il capo chino sulla presa ferrea di Minsoo, riflettendo per qualche secondo. Perché era ancora così attaccato al suo ricordo, seppur fosse passato più di un anno da quando aveva scoperto la verità?
«Non posso sopportare l'idea di aver causato tanto male a tutti voi, fin dall'inizio, separandoci, perché io sono scappato via con Yoongi, logorando i nostri rapporti. È stato tutto inutile e sono stato solo uno sciocco, credendo che valeva la pena perdere tutto, perché destinati a durare per sempre.»
Ecco, quello era il vero motivo per cui a Yoongi non riusciva a rinunciare proprio, sebbene pian piano avesse capito che in realtà lui non lo meritava affatto.
«Si è preso il mio primo bacio colmo d'amore e di speranza. Ha preso una parte di me e l'ha demolita tra le sue stesse mani.»

Nuovamente, la sua voce tremolò, nella disperazione, nella frustrazione, nel desiderio di tornare indietro per poter cambiare le sue decisioni, impedendogli di baciare quel vile. No, non era un vile, non sapeva come definirlo: con lui, inevitabilmente, aveva vissuto i momenti più belli della sua vita, che conservava nel cuore come se fossero un sogno lontano, come i sogni d'infanzia. Si portò una mano sul petto, asciugandosi l'angolo degli occhi, in una smorfia di dolore: Minsoo poggiò allora il proprio mento sulla sua spalla, avvolgendolo grazie alle sue braccia e permettendo all'ormai ritrovato amico di dargli spazio nell'incavo della spalla.
«È stato un errore, ma agli errori si può sempre rimediare. La tua decisione, te lo voglio ricordare, è stata un effetto a catena per tutte le cose belle che sono successe agli altri. Jungkook finalmente è felice con Taehyung e questo non sarebbe mai accaduto se non se ne fosse andato; Hoseok ha conosciuto quella ragazzina tanto allegra e sono così bravi, che un giorno potrebbero realmente esibirsi sul palco. Sangue, sudore e lacrime sono serviti. E a me, adesso, hai appena dato la forza di rimettermi a scrivere qualcosa di talmente bello che non sarò più un librettista, sarò il librettista e realizzerò opere teatrali in lirica, tragedie o commedie, che rimarranno nella storia e di cui sentiremo parlare tra anni ad anni, così come ci si ricorda di Eschilo o Euripide. Poi, Namjoon, rifletti su una cosa: sei davvero innamorato di Yoongi tanto da essere pronto a lasciarlo andare da qualsiasi parte purché lui sia felice o sei solo ossessionato dall'idea di lui che ruba una parte di te?»

Incredibile, non riusciva a concepire che gli stesse parlando proprio Shin Minsoo. La chiacchierata con Yoongi, quella sera, probabilmente l'aveva fatto rinsavire.

Quella domanda finale non aveva risposta: Minsoo non fu in grado di vederlo, ma gli occhi di Namjoon sgranarono, accogliendo quella rivelazione.
Non era mai stato realmente innamorato di Min Yoongi. Certo, gli voleva bene come farebbe un amico, si capivano come dei veri amici, ma non aveva trovato ancora l'amore, così come Jungkook e Taehyung, ad esempio. Solo dai loro sguardi aveva notato come fossero uniti e come le loro emozioni fossero sincere. Per questo, dopo essersi separati a suo tempo, lui stesso testimone della lontananza di Kook da Vienna, il loro legame non si era infranto: perché ogni decisione, presa dalla persona amata, è quella giusta, dato che provoca in essa la felicità. Se fosse stato innamorato di quel ragazzo sarebbe stato male un paio di giorni, magari una settimana, ma l'avrebbe lasciato perdere e sarebbe stato felice per lui, perché vale la pena arrendersi pur di non far del male a chi si ama.

Ovviamente, era solo una dannatissima scuola di pensiero, la sua, non la pura verità: odiava quanto non fosse abbastanza forte, in realtà. Ma doveva imparare a convivere con quello che era il proprio carattere, con la sua gentilezza, col desiderio di fare del bene. Se avesse saputo della lettera di incoraggiamento che a suo tempo Kook aveva spedito a Jimin, sarebbe stato invidioso di come altre persone fossero in grado di "prendere ciò che si desidera, anche con la forza."
Non era così, affatto: se fosse cambiato, allora sì che sarebbe stato anormale, non per le sue tendenze sessuali.
Sotto quel cielo, come al solito annuvolato, Namjoon promise che quella notte stessa sarebbe dovuto correre alla ricerca di un uomo, perché la vita era fatta per quello, ovvero la speranza nel destino.

Namjoon scappò via subito dopo, facendo cenno a Minsoo in modo che lui potesse capire. Non lo trattene, ma quest'ultimo rimase fermo in quella posizione, inginocchiato sul pavimento sporco e colmo delle cicatrici  impartite dalle ruote delle carrozze, osservando la sua figura che svaniva nell'oscurità.
«Minsoo!» esclamò Hoseok, che, assieme a Mathilde, era corso indietro non appena resosi conto della loro assenza. Il suo sguardo preoccupato, che l'interpellato non vide, parlava chiaro.
«È andato via, ma tornerà presto. Penso stia andando a cercare quello che lui desidera, sperando che faccia questa volta una scelta giusta.» proclamò, rimanendo focalizzato su quella lontana nebbia che offuscava i vari palazzi all'orizzonte.

Minsoo aveva ragione, aveva ragione, aveva ragione! Sperava di essersi chiarito veramente con quel suo amico, ma, in quel momento, la priorità non erano gli altri, ma se stesso, il quale doveva ricercare urgentemente la felicità che meritava. Basta piangersi addosso, commiserarsi, soffrire per qualcuno che non lo aveva mai voluto realmente e, finalmente, imparare ad amare come si deve, partendo dall'emozione come medicina.
Abbastanza lontano dal ragazzo lasciato lì, tirò un urlo, che nessuno degli altri fu in grado di udire, poiché ovattato dall'atmosfera notturna.
Corse, corse più lontano che poteva, perché sapeva che correre lo rendeva libero, sebbene la stanchezza che ne derivava. La libertà era felicità, correre era la libertà: correre era la felicità? Ma se la felicità era l'amore, allora era tutto collegato? Sarebbe giunto verso l'amore tramite una semplice corsa?

Chiuse gli occhi, non ne voleva sapere di dare ascolto al buon senso: non aveva mai dato ascolto al buon senso e non avrebbe cominciato in quell'istante solo perché l'avrebbe fatto chiunque altro. Solo perché l'amore solitamente non si trova in quella maniera, tramite il connubio tra libertà e felicità, allora significava che non era possibile trovarlo?
Poteva anche andare a sbattere contro un muro, non gliene importava: si fidava del suo istinto e della sua passione e sapeva che l'avrebbero condotto nel giusto luogo.

«ATTENZIONE!»
Caddero, come fantocci in una tempesta, perdendo l'equilibrio ed incontrando la strada.
Namjoon sgranò gli occhi, nella caduta, incredibilmente sorpreso da come lui avesse solamente immaginato che avvenisse un incontro del genere. Improbabile, ma non impossibile.
«Mi scusi, potrebbe fare attenzione a dove mette i piedi? Vorrei tornare intatto a casa, se non le dispiace!» l'uomo aveva violentemente urtato braccio, spalla e gomito destri - per fortuna non la testa, mentre Nam non si era fatto nulla.
Quest'ultimo provava così tanto imbarazzo che il colorito rosso si spinse fin sulle orecchie, cercando di allontanarsi un minimo dal suo corpo.

«Santo cielo, mi dispiace, non volevo.» si alzò velocemente in piedi, allungando la mano allo sconosciuto, cortesemente. Andava bene l'immaginazione, il primo incontro romantico, l'istinto, ma aveva fatto del male a qualcuno, a quanto pareva: era dimostrato dai lamenti sommessi dell'uomo.
Notò di come le sue spalle larghe potessero essere tanto robuste da rompere esse stesse il pavimento, sebbene fosse stato incapace di difendersi.
«Chiedo umilmente scusa, monsieur, non guardavo dove stavo andando, lasci che la aiuti.»
L'uomo provò a rifiutare la sua proposta, ma fu costretto a lasciare che il ragazzo lo prendesse da sotto le spalle con tutta la sua forza e lo portasse lì vicino dove c'era una panchina. Notò di come si era fatto male anche al fianco con l'urto, rendendo ostile una camminata senza dolore. Era abbastanza intero per poter tornare a casa, ma il senso di colpa di Namjoon era così opprimente che fu spinto a sedersi assieme a lui su una panchina lì vicino.
Non erano molto distanti dagli Champs de Mars.

«Si sente davvero bene?» che stupido, davvero. Non poteva perdonare il suo istinto se lo portava ad essere pericoloso: questo solo perché aveva chiuso le sue dannate palpebre!
«Sto bene, non preoccuparti, veramente.» la premura di Namjoon aumentò quando si rese conto che l'uomo aveva portato una mano sulla testa, per cui provò ad intervenire, ma fu fermato sul nascere. «Sono solo spossato dalla mole di lavoro che ho ultimamente.»
Dalle poche luci dei lampioni stradali, intravedeva pochi tratti peculiari del viso, tra cui le labbra carnose e i ciuffi di capelli scompigliati che gli davano un aspetto più ribelle e giovanile.
Rimasero in silenzio per un po', mentre il minore osservava che fosse realmente tutto a posto.

«Sono un incosciente, mi spiace-»
«Vai,» lo interruppe. «ti sto solo facendo perdere tempo. Se stavi correndo vuol dire che hai una meta importante da raggiungere, no? Altrimenti perché avresti dovuto avere fretta?»
Nam abbassò il capo, con imbarazzo riguardo le sue azioni scioccamente infantile, indeciso se confessare o meno le sue motivazioni.
Optò per la verità: tanto quell'uomo non l'avrebbe più rivisto, non ci sarebbe stato motivo di mantenere qualche senso di colpa nei suoi confronti.

«Non stavo andando da nessuna parte. Per la verità, ho voluto correre perché mi sento così libero e, correndo, so che potrei forse raggiungere la felicità. La libertà è la felicita, ho pensato, incoscientemente.»
L'uomo si voltò verso di lui, colpito dalle sue parole.
«E come mai volevi raggiungere la felicità? Non voglio farmi gli affari tuoi, vorrei solo capire come mai mi sono guadagnato questo livido alla spalla.» gli strappò così una risata e abbassò il capo, nuovamente in imbarazzo.

«Perché mi manca.» rispose, dopo qualche attimo passato nell'indecisione di dare fiato alle parole racchiuse nella sua gola. «In una maniera assurda, se posso aggiungere. Mi dispiace che il vostro malore sia capitato a causa mia, vorrei rimediare, davvero.»
L'uomo scosse il capo, incredulo dall'insistenza dell'altro e anche dalle sue parole sconnesse:  tornò a guardare in avanti, massaggiandosi un nervo teso sulla parte infortunata.
«Per cortesia, dovresti andare a casa e smettere di pensare a queste tue debolezze: non ti conosco, ma so che più si è sentimentali, più si è deboli, per cui finiscila e vai a casa. Inoltre, io sto più che bene.»
Namjoon annuì, ancora spiacente adesso, soprattutto per averlo importunato il più del dovuto.

Pensandoci, anche a lui non sarebbe piaciuto un contatto con qualcuno così a lungo, soprattutto con uno sconosciuto che voleva solamente trovare con chi lagnarsi. Non disse altro, si alzò da quella panchina e proseguì nel cammino a capo chino, questa volta lentamente e attento a dove stava andando.
L'uomo lasciato indietro si morse il labbro, incerto se l'avesse offeso in qualche maniera. Non che gliene importasse più di tanto, odiava solamente che nella mente di qualcuno dovesse essere ricordato come duro e scorbutico, che detestava parlare.
«Scusami!» lo richiamò, alzandosi dalla panchina reprimendo il dolore dell'ormai livido al fianco.

Namjoon si girò, alzando leggermente il capo e lo sguardo da terra. Sembrava un cane bastonato e all'uomo venne il dubbio se lo stesse facendo involontariamente o per suscitare qualche senso di colpa in lui.
«Come ti chiami? È opportuno sapere colui che, con onore, non è scappato via ma mi ha soccorso.» gli rivolse un sorriso cordiale.

Namjoon pronunciò il suo nome con un fil di voce, immobilizzato dalla sua domanda: nessuno sconosciuto si era mai interessato a lui più di come fanno gli sconosciuti. A quanto pare, quell'uomo era diverso, aveva quel briciolo di interesse in più, sembrava più attento ai dettagli. Il suo nome era un dettaglio, dunque, ma un dettaglio importante e ciò gli faceva piacere.
Dopo qualche attimo in cui si sentirono solamente i grilli festeggiare, Kim Seokjin pronunciò il proprio.

Il giorno dopo, un'altra alba bussò alle finestre di casa Park, facendo svegliare i dormienti ragazzi dal loro sonno ristoratore. Per la prima volta dopo mesi Jungkook e Taehyung avevano dormito assieme, solo dormito, abbracciandosi con affetto, inspirando ognuno l'essenza dell'altro, che era tanto mancata. "Temevo di non rivederti mai più" aveva confessato la sera prima lo scrittore, prima di addormentarsi avvolto dal manto della tranquillità.

La paura era stata talmente violenta da essere arrivato a biasimarsi per le proprie decisioni, sebbene non avrebbe mai potuto saperlo in anticipo. Aveva riferito ogni cosa ai suoi tre coinquilini - non c'era più motivo di tenere nascosto nulla - e più che spiacenti per un atto istintuale commesso anni prima, non potevano essere altro.
Yoongi, mentre l'amico stava comunicando la confessione di Soojin, aveva espresso un dubbio verso quella ragazza. I suoi comportamenti erano strani, davvero strani, ma erano spinti dal dolore e questo Jungkook l'aveva percepito: poteva assicurarlo, la giovane era sincera e trasparente come il vetro.
Si era tutto concluso senza alcuna decisione, ma con la promessa di dover fare qualcosa al più presto.

Ritornando al letto di quella mattina, appena Kook aprì gli occhi, poiché il sole era entrato attraverso la fenditura tra una tenda e l'altra, rimase a fissare il volto tranquillo e bello, come mai se lo sarebbe potuto ricordare, di Taehyung. Ogni secondo che passava, più riteneva che fosse una divinità.
Fu costretto ad alzarsi di scatto, facendo svegliare anche quell'angelo, quando Jimin aprì la porta di camera loro senza alcun preavviso, causando loro spavento.
«Il signor Kim è venuto a casa nostra richiedendoti, ancora.» sottolineò la frase con frustrazione, mentre si stava ancora aggiustando i capelli scompigliati. Jungkook sbuffò, tentato di ignorarlo per rimettersi a dormire, ma dato l'orario prossimo alle undici - anche il suo stomaco aveva iniziato a brontolare - decise di dargli ascolto e scendere giù in salone, dopo essersi vestito in fretta e furia con una giacca stropicciata e scelta senza alcun criterio.

«Rimani qua, non preoccuparti. Devi dormire e risposarti.» rassicurò Taehyung, che aveva tentato di trovare anch'egli qualcosa da mettersi.
Non replicò, ma gli sorrise con dolcezza, per poi scambiarsi un bacio sulle labbra, che tanto erano loro mancati.

Kook poi scese in soggiorno, stropicciandosi gli occhi e subito si rese conto di Kim Seokjin, seduto sul divanetto verde selva di fronte alla porta, che, con mani poste sulle ginocchia e una postura estremamente composta, mostrava la sua solita cordialità nell'incontrarlo.
«Mi dispiace per l'attesa, ieri è tornato un mio amico dall'Italia e quindi abbiamo parlato fino a tardi, per cui mi sono svegliato a quest'ora. Chiedo venia per la mia poca professionalità.»

Jin evitò di deriderlo di fronte ai suoi occhi, dato che sapeva perfettamente che quel suo amico Taehyung non era solamente il caro amico che diceva essere.
«Non preoccuparti affatto, non ce n'è motivo. Piuttosto, sono venuto qui a chiedere per il tuo libro. Recentemente mi hai detto che avevi finito la prima stesura, quindi il tuo intento era quello di prendere una piccolissima pausa, poi iniziare a revisionarlo. Non erro?»

«No, è corretto.» si grattò il capo, indeciso su quali potrebbero essere le eventuali reazioni al proseguo. «Tuttavia, pensavo di finirla qui. Questo è il libro, prendere o lasciare. Non ho intenzione di continuare, tornerò a casa, lontano da Parigi, il prima possibile.»
Seokjin sgranò gli occhi, incredulo: come poteva permettersi di mandare all'aria tutto quanto? Se Lambert fosse venuto a saperlo avrebbe dato di matto e avrebbe inseguito Jungkook e Taehyung fino a Vienna e li avrebbe fatti fuori con le sue mani! Non poteva permetterlo, se desiderava ancora quella ricompensa tanto bramata.

«Hai stipulato un contratto e adesso devi rispettarlo. Che uomo saresti se non sai neanche mantenere la parola?» commentò acidamente, non sapendo come arrampicarsi sugli specchi per convincerlo a cambiare idea.
«Magari non lo sono, magari sono solo un bambino, ancora: i bambini non dovrebbero avere lavori di questo calibro, non crede? Il suo progetto è destinato ad andare in fumo, io non voglio più parteciparvi.»
Se Soojin aveva ragione, era meglio scappare via il prima possibile, lasciando ogni traccia del passato nel passato, senza alcun ripensamento.

Proprio quando Jin fu sul punto di rispondere, dalla porta d'ingresso lì vicino - Jungkook, intanto, non si era ancora andato a sedere su uno di quei divanetti ma era rimasto sulla soglia del salone - provenne il busso di un paio di nocche, che lo fece per un attimo distrarre dal discorso iniziale. Non perse neanche un attimo e davanti a sé si trovò davanti la figura di un suo caro amico, che non vedeva da tempo, anche se abitavano di nuovo nella stessa città. «Namjoon? Che cosa ci fai qui?» chiese in confusione e sorpresa.
Non lo vedeva da tanto tempo, ma non ebbe neanche il tempo di realizzare la sua presenza.

«Sono venuto a trovarvi! Devo comunicarvi una mia decisione. Disturbo?» mise il naso nell'ingresso della grande abitazione, ma l'altro tentò di fermarlo, invano.
«Per la verità stavo-»
«È una questione di estrema importanza. Voi che ne siete esperti: soprattutto te e Taehyung, vorrei un vostro consiglio.»
Temette che potesse tirare in ballo la loro relazione con quell'ospite in casa e non sembrava affatto il caso, soprattutto pericoloso e azzardato.
«Nam-» lo prese per le spalle. «ho il mio capo in salone. Non sarebbe meglio rimandare il discorso a... a più tardi? Magari puoi aspettare in cucina, non so, tanto qui abbiamo quasi finito. Io e il signor Kim-»

Namjoon aggrottò le sopracciglia, avvertendo quel nome estremamente familiare. «Signor Kim?»
Allora si allontanò abbastanza da non avere più la presa delle dita di Kook su di lui ed anche il giusto per potersi girare lentamente e osservare chi fosse la figura in questione, di cui aveva sentito il nome in tempi tutt'altro che remoti.

Non riuscì a capire se voltarsi fu una cosa positiva o negativa. Incontrare il suo sguardo, rimanere senza fiato, imprecare il fato per essere stato così diabolico: eppure, di giorno, baciato dai raggi dell'allegro sole primaverile che faceva capolino dalla finestra, quel suo volto dalle labbra carnose era molto più peculiare e reale di come lo era stato la sera precedente.
Perse un battito: santo cielo! Era forse lui l'uomo contro cui si era scontrato intrecciando così i loro destini, influenzati anche dai sentimenti? Anzi, no, stava delirando, non poteva essere. Ma se era lì, se qualche ente indecifrabile aveva deciso di farli scontrare ancora voleva dire che c'era un perché.

«Salve.» pronunciò, senza fiato.
«Quale piacere, Namjoon. Sono lieto di comunicarti che la mia spalla sta bene, difatti l'incidente di ieri è rimasto recluso solamente alle prime ore.»
Gli sorrise. «Sono felice.»
Jungkook aggrottò le sopracciglia, entrando nella stanza in confusione ed indicando prima uno poi l'altro. «Vi conoscete?»

«A causa di un piccolo inconveniente, ma è tutto risolto.» lo rassicurò l'uomo, prendendo la giacca posata sul braccio del divanetto assieme al suo cappello e poi alzandosi, nella sua solita eleganza. «Bene, credo che sia risolto anche questo affare. Se è così che stanno le cose, direi che non c'è motivo di insistere.»
Lo scrittore rimase esterrefatto dal cambiamento repentino di tono e idea. «Mandami il manoscritto alla casa editrice e, se sei addirittura abile quanto Virgilio a scrivere un capolavoro senza bisogno di un'attentissima revisione, non esiterò alla pubblicazione. In un modo o nell'altro, tra qualche giorno sarai ufficialmente licenziato. Tolgo il disturbo.»

Mentre Jin passò accanto ai due amici, rivolse uno sguardo particolarmente attento a Namjoon, con le palpebre leggermente socchiuse, cosa che l'interessato trovò estremamente seducente. Solo i suoi occhi, neri come la pece, furono in grado di farlo indietreggiare di qualche passo, colpito come mai prima d'ora dall'odiosa freccia.
Chi era lui? Mai neanche l'aveva incontrato o visto oppure non ci aveva mai parlato senza che lo considerasse come un ragazzino sciocco che corre per la strada. Neanche sapeva la sua età: anche se pareva giovane, doveva avere sulla trentina. Né le sue passioni: forse sapeva solo la singola informazione sul suo lavoro.
Ecco, il suo nome non gli era mai parso nuovo, ma l'aveva letto così tante volte nei pacchi che anni prima si offriva di consegnare al posto di Jungkook al servizio di poste: il destinatario era sempre stato Kim Seokjin, proprietario della casa editrice per cui, a quanto pare, Jungkook aveva trovato lavoro e appena perso, per questioni che non conosceva.

«Che parere volevi chiedermi?» intervenne allora Jungkook, quando in quella casa non ci fu più alcuna traccia di Seokjin, tutt'al più era rimasta l'essenza di cannella che il suo corpo emanava.
Namjoon cadde dalle nuvole, sbattendo ripetutamente le palpebre.
«Namjoon?»
«Tu e Taehyung siete partiti per trovare la felicità. Santo cielo, volevo chiedere se fosse opportuno anche per me partire, farmi una nuova vita, tentare di fare qualsiasi cosa, ma credo che tutto quanto invece mi stia spingendo a rimanere.» gli disse, diminuendo il tono della voce di parola in parola.

L'amico parve non capire e, con una scossa del capo, richiese indirettamente di rispiegare il concetto.
«Non importa. Kook, rispondimi, devo saperlo: tu cosa credi che sia meglio fare, seguire ciò che l'istinto offre o riflettere? Essere l'artefici del proprio destino oppure lasciare che sia il destino a decidere per te?»
Rimase un attimo spiazzato, non sapendo proprio cosa rispondere, dato che non aveva compreso il contesto.
«Secondo me... secondo la mia esperienza personale, ritengo che sia giusto agire come si desidera e non lasciare che il destino ti affligga. I segni che magari puoi vedere sono solo...» si morse il labbro, cercando le parole giuste «quello che vedi tu, qualcosa che non esiste, ma che noti perché è quello lo scopo che devi raggiungere. Non ti riesco a dare una spiegazione su due piedi, magari ci sediamo e-»

«No!» lo interruppe, in agitazione «Non c'è tempo, devo sapere. Per l'amore, per la speranza, per la voglia di cambiare, tu cosa faresti?»
Una semplice parola tra quelle, gli fece accendere la lampadina e  Kook lasciò che la sua mandibola cadesse leggermente, guardando la porta dietro di lui.
«Per qualunque cosa sia successa, muoviti! Fai quello che è giusto fare, con prudenza!» gli urlò, spingendolo fuori, al fine di potergli dare simbolicamente coraggio il meglio che poteva.
Sperava che, almeno, non facesse alcuna mossa azzardata che avrebbe compromesso la sua incolumità.

Jungkook non conosceva Kim Seokjin, neanche Namjoon lo conosceva. Ma quest'ultimo sapeva che per la prima volta in tutta la sua vita, se gli era stata scoccata una freccia e aveva provato il tanto noto colpo di fulmine, significava che c'era una motivazione ed essa era la sua volontà. La mente è più forte della carne e il desiderio dell'amore sarebbe stato ben ascoltato e retribuito, perché era quello che si meritava e sentiva proprio nel suo cuore che nulla sarebbe andato storto. Era giunto da Jungkook per chiedergli se andare via o meno, cambiare vita perché Parigi non gli riservava altro che brutti ricordi, delusioni - sperava di dirlo guardando Yoongi negli occhi, ancora con quel briciolo di rancore che serbava per lui, ma sfortunatamente non era neanche tra i presenti, infatti era come al solito lontano dall'ingresso nella stanza dove era posizionato il pianoforte. La nuova vita prevedeva anche l'amore! L'amore, avrebbe finalmente trovato qualcuno che fosse buono, gentile, senza freddezza e senza segreti nascosti o vecchie fiamme. Lo desiderava, lo meritava.
Parigi era la sua città: riserbava ancora molte altre sorprese.

«Seokjin!» esclamò, non badando alle formalità e correndo verso di lui, lasciando anche la porta di casa aperta, tanto da mostrare a Jungkook la scena, per cui si era incuriosito, ma per cui provava anche tanto timore. Namjoon era abbastanza in gamba e non avrebbe spifferato ai quattro venti di essere interessato agli uomini, non prima che si fossero fidati l'uno dell'altro.
«Seokjin,» l'uomo intanto si era fermato sul posto, ascoltando il ragazzo che prendeva fiato a fatica, a causa della corsa colma di ansia. «possiamo fare una camminata assieme? Lo so, la spalla sta bene, ma dato che il fato ci ha fatti rincontrare per queste circostanze, perché non ne approfittarne?»

Era bellissimo, Seokjin, davvero bellissimo. Era proprio l'uomo più bello che Namjoon avesse mai visto.
Eppure, non aveva mai ancora visto quel suo ghigno spaventoso, che in quel momento indossava, ancora di spalle. Si stupiva, per la sua abilità nel mettere su dei piani e quel Namjoon ci era caduto con tutte le scarpe.
«Mi chiedevo perché tu non me lo avessi ancora chiesto. Ti stavo aspettando.»

Gli sorrise con dolcezza.

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