「13/04/1867」
45.
Quelle rotaie che graffiavano i binari, provocando un fischio che dava alla testa tanto da provocare dolore ai timpani, si fermarono presso la banchina della stazione di Parigi, davanti alla quale Jungkook stava aspettando trepidante, sbattendo freneticamente la suola per terra e teneva le dita incatenate fra di loro, con ansia. Il pavimento era tanto interessante da non riuscire a togliervi lo sguardo, anche perché era incapace di muoversi in qualsiasi maniera.
L'aria torbida di fumo, già di prima mattina raschiava i propri polmoni, tuttavia lui continuò ancora a prendere profondi respriri, tentando di calmarsi in qualche maniera. Doveva essere unicamente felice, ma proprio non ce la faceva a non essere preoccupato: avrebbe rivisto anche quell'uomo, Lambert.
Notò che accanto a sé c'era una donna con la mano stretta a quella minuscola di un'esile bambina con un fazzoletto sulla testa e il nasino all'insù. Si addolcì davanti al suo sguardo curioso e alla sua boccuccia socchiusa, rivolta ai binari, che probabilmente vedeva per la prima volta in tutta la sua breve vita. Indossava un vestitino molto povero, eppure più ricca di gioia dell'esistenza rispetto ad un uomo adulto, anche a se stesso. Non che fosse ancora incline a struggersi e ad odiare la vita così come aveva fatto tra il sessantatré e sessantaquattro, probabilmente il suo periodo più oscuro, ma adesso era semplicemente spaventato. Avrebbe desiderato scappare via piuttosto che scontrarsi con la realtà.
Chiuse le palpebre e portò entrambe le mani su di esse, stropicciandosele: non aveva dormito abbastanza la notte prima ed era distrutto.
Mentre aveva tenuto la testa poggiata su quel morbido cuscino e lo sguardo fisso sulla volta della stanza, aveva riflettuto incessante su questioni intangibili e che andavano al di là della semplice filosofia, sconfinando nell'immaginario.
Nulla gli garantiva il fatto che tutto quello che i suoi sensi coglievano, fosse reale: nuovamente quel pensiero stava diventando una sorta di fobia nella sua mente e non riusciva proprio ad andare via, seppure le urlasse contro di lasciare il posto a delle idee più concrete e poco malsane.
Se fosse stato l'unico in tutto l'infinito universo, perché si stava preoccupando di scontrarsi con quell'uomo? Qual era il suo timore, che potesse essere tutto reale?
La realtà avrebbe comportato alla sua eventuale morte, ma alla consapevolezza che il suo amore fosse stato vero; la finzione prevedeva una sicurezza dentro la propria bolla di sapone e la certezza che nulla lo avrebbe potuto scalfire tranne se stesso.
La finzione aveva tante prove veritiere quanto fandonie: semplicemente, poteva essere che la propria mente avesse costruito attorno a sé una grande confusione pari ad un mondo che sembrava reale, ma che non lo era, per cui avrebbe continuato a vivere fino a quando non si fosse provocato la morte. Se gli organi e il corpo erano una trovata dei propri sensi, allora era una menzogna il fatto che potessero consumarsi con l'andare del tempo. Magari era proprio il cervello e il pensiero che si deterioravano e perdevano tanti tasselli fino a vedere il mondo distrutto, la morte.
Il ragionamento era il motivo per cui non si era concesso il sonno ristoratore che si meritava.
Allora Lambert non esisteva, ma era la propria paura quella che rendeva il proprio mondo nero, uccidendosi per conto proprio? E Taehyung? E Taehyung?
Aveva deglutito a quel pensiero e, sulla panchina della stazione, durante l'attesa, aveva fatto lo stesso, incredibilmente scosso, come colpito dalla verità che non voleva affatto accettare.
Non definiva più cosa era Tae, i suoi pensieri si andavano confondendo l'uno sull'altro, provocandogli ancora una volta un malore celebrale.
Fu scosso quando avvertì il suono della locomotiva che si avvicinava sempre più lentamente alla banchina, emettendo un fischio in grado di spaccare i timpani.
La bambina si coprì orecchie e sua madre la abbracciò, dandole conforto.
«Tranquilla, Amélie, non è niente, non è niente.» si rifugiò sotto l'abito della donna che toccava fino a terra e per cui lì era scuro e sporco.
Jungkook tornò a concentrarsi su quel grande colosso, incredibilmente fantastico per la capacità con la quale poteva portare con sé sia il proprio peso sia quello di tutti i passeggeri, il tutto che contava qualche tonnellata.
Giurava di averlo intravisto, tra quei finestrini, la sua inconfondibile testa, con capelli di colore scuri, sebbene all'ombra paressero vera pece, simili alla tonalità di Yoongi. La forma era quella che portava a non farlo dubitare; inoltre, aveva notato che indossasse uno tra i suoi soliti abiti, color sabbia, assieme alla camicia di tessuto doppio, come al solito rovinata e sgualcita.
Sorrise, sentì dei brividi ad osservare, tramite i finestrini, la sua figura che si avvicinava sempre di più all'uscita. Anche se i sensi lo stessero ingannando, era l'imbroglio più bello che ci potesse mai essere.
Si era ripromise di chiedere a Tae se fosse reale, quando sarebbero stati da soli.
Il ragazzo sul treno stava con capo basso, poiché dietro di sé c'era proprio l'uomo, con sguardo severo mascherato dalla finta cordialità, che opprimeva Taehyung più di quanto si potesse pensare. Era una scena raccapricciante, perché Jungkook fu capace di osservare la mente di egli attaccata psicologicamente, come se emanasse grida di aiuto. Lo vedeva, stava trascinando i bagagli fuori dalla carrozza.
Fu così preso da osservarne i movimenti, che non si rese proprio conto di un'altra figura che, correndo, finì per scontrarsi contro di lui, facendolo cadere per terra come se fossero entrambi dei sacchi di patate.
«Santo cielo, mi dispiace!» esclamò sottovoce, sbrigandosi ad alzarsi e a riprendere quel bagaglio a mano che le era caduto. Era una ragazza, infatti, con un capello di paglia posato sul capo e un foulard che era posto attorno al collo al fine di non mostrare maggior parte del suo volto, dato che la copriva fin sotto al naso. Inoltre, possedeva una montatura di finti occhiali da vista con lenti dal diametro abbastanza corto, perché non permise di nascondere il piccolo neo posizionato sotto l'occhio. Quando parlò, Jungkook si rese conto delle labbra intinte dal colore rosso e non poté non notare le iridi cervone.
«Che diavolo...» sussurrò Kook, mentre la osservava ricomporsi, tirando ogni tanto uno sguardo all'indietro, sperando di non essere vista da nessuno, in questo caso Lambert che era intento a tirar giù il proprio bagaglio dal treno. Fu proprio la prima cosa di cui si accorse, il ragazzo, e non ci volle volle più di qualche secondo per collegare i punti tramite le linee, ricordandosi che Taehyung aveva parlato anche di lei nella lettera in cui spiegava come aveva capito il doppio gioco di Lambert. «Voi?»
Anch'egli si era ricordato di Soojin appena la vide: e come poter confondere quel viso angelico baciato dal diavolo, poiché bella, seducente, ipnotica, inconfondibile?
«Devo andare, buona giornata.»
«Seo Soojin, mi dica cosa sta succedendo.» le intimò, prendendole il polso. Si era ricordato anche il suo nome! La bellezza aveva i suoi contro e in quelle situazioni erano proprio svantaggiosi.
Si divincolò, pregandolo con lo sguardo e continuando a fissare Lambert dietro di loro.
«Non sono io che devo spiegartelo, ti prego, lasciami andare, Taehyung ti saprà dire meglio. Se mi vede mi farà del male.»
La sua paura era vera, tanto vera da essere tangibile e percepibile anche da se stesso.
Certo che quella finzione faceva di tutto per credersi reale e ce la stava facendo senza tanti sforzi.
Le lasciò il polso, permettendole di andare via, correndo il più veloce che poteva, col rischio di andare a sbattere contro qualcun altro.
Rimase per qualche secondo fermo lì ad aspettare, riflettendo sul da farsi mentre sgambettava via. Doveva distogliere velocemente lo sguardo, per evitare di essere notato, ma per un frangente di secondo si rese conto di come non voleva che andasse via, neanche per sogno si poteva perdere un'occasione del genere.
Prese un bel respiro, caricando le parole, e mise le mani a coppa, per emettere un grande urlo.
«Dieci!»
Esclamò con tutta la forza che aveva in corpo, attirando l'attenzione di Taehyung, Lambert e soprattutto Soojin, che voltò leggermente il capo, fermandosi per un attimo, e annuì velocemente, riprendendo a scappare via.
Aveva capito, fortunatamente, e tirò un sospiro di sollievo.
«Dieci dannatissimi comandamenti un uomo deve seguire, perché rubare? Quale gusto ci prova nel prendere un cavallo di qualcun altro e darsela a gambe!»
«Jungkook?»
Chiese confuso Taehyung, punzecchiandolo ripetutamente con un dito sulla spalla, attendendo che si girasse. L'interessato sobbalzò, portando lo sguardo sui due che avevano soggiornato in Italia e rivolse loro un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«Oh, perdonatemi!» sobbalzò, abbracciando stretto Taehyung come prima cosa, anche se non provò la solita sensazione dell'amore e della felicità che lo distruggeva così tanto da rendere il cuore in fiamma ogni volta che lo rincontrava, poiché la sua mente era concentrata sulla ragazza che era appena andata via, dandosi in quella maniera tanto bizzarra l'appuntamento alle dieci di sera — erano appena passate quelle di mattina — nell'unico luogo parigino dove si erano mai incontrati.
«Che stava succedendo?» chiese Lambert, con le braccia conserte, confuso dall'uscita insolita di Jungkook.
Difatti Taehyung, da quello sguardo serio che aveva, si lasciò sfuggire una lieve risata.
«Dieci comandamenti?»
«Mi sono girato un attimo e ho visto un uomo slegare in lontananza il cavallo da una carrozza. L'ha preso ed è scappato! Inaccettabile, proprio adesso, un minuto fa!» brontolò, roteando gli occhi al cielo.
Taehyung ne fu evidentemente confuso, ma fortuna che Lambert era dietro di sé e non fu in grado di vedere la faccia di colui che non credeva a quella storia neanche se confermata dall'imperatore.
"Ma tu non eri miope?" Fortuna che non lo chiese, perché se Jungkook aveva avuto la necessità di mentire, c'era un perché e avrebbe dovuto aspettare fino a quando non fosse stato lui a spiegarglielo.
«Va bene, stai tranquillo che la polizia lo acchiapperà. Vogliamo andare a farglielo presente? Sei un testimone.»
Scosse il capo. «Che se la vedano loro, oggi voglio stare con te.»
Si sorrisero, complici.
Carina la scenata da uomo devoto alla Chiesa, così da togliere anche qualche piccolo sospetto rivolto all'omosessualità, se a Lambert fosse mai venuto in mente.
«Come è andata a Firenze?»
«Ti ho portato il quadro!» esclamò allora il maggiore, entusiasta, indicando un pacco incartato piatto e rettangolare che teneva afferrato con la mano sinistra.
«Lo dovremmo mettere a casa, allora. Magari quando torniamo a Vienna lo mettiamo lì, anche se non c'è chissà quanto spazio. Ma quello si trova: tu che dici?»
Ménétios non perse neanche un attimo ad intervenire, contrariato da quella proposta appena avanzata, perché lasciarli andare via da Vienna sarebbe significato niente vendetta e questo non poteva affatto permetterselo: «No! Perché non a Parigi? In quella bella casa, casa del vostro amico Park Jimin! Potete abitare lì ancora per un po' e godervi la vostra città natale.»
Quell'uomo non era reale, nulla era reale, non doveva aver paura. «Per la verità,» un altro sorriso complice, poi entrambi si girarono verso l'uomo, con serietà. «non possiamo stare da Jimin come fosse una casa vacanze, credo che mi abbia ospitato fin troppo. E adesso che ho quasi terminato di scrivere il mio libro, mi manca solo l'ultimissima revisione, giusto un'altra giornata, ma anche di meno, proprio pochissimo, è proprio giunto il momento di ritornare alla nostra vera casa.»
Lambert scosse il capo. «No! Taehyung non vuole tornare, vuole andare a Firenze ancora, con me, e vuole che ci sia anche tu. Oppure Parigi, l'arte contemporanea di Parigi è bella!»
Esilarante come lui stesse cercando di arrampicarsi sugli specchi, vulnerabile contrariamente all'immagine che nel corso dei mesi si era creato di lui. Era un uomo insignificante e aveva il sentore di essere in grado di sconfiggerlo con la sola risata e mento alto. Non esisteva.
«Taehyung?»
«Firenze è bella, ma abbiamo lasciato casa a Vienna, pensando di ritornare lì dopo le feste di Natale e Capodanno, però non è stato così. Almeno dobbiamo passare a dare una controllatina.»
Le palpebre dell'uomo si chiusero, lasciando solamente una minima fessura per vedere: sembrava starsi arrabbiando senza mostrarlo eccessivamente. Chissà perché Soojin aveva paura di lui così tanto da avere il terrore negli occhi come se si parlasse della belva più mostruosa immaginabile.
«Taehyung, avevi preso una decisione.» il suo tono era duro, quasi intimidatorio.
«Non è di tua proprietà, non puoi dirgli dove andare, dove rimanere e se può o meno fare un salto da casa sua.»
Non era reale, ma Jungkook era potente ed era in grado di sovrastarlo: non era l'età che li faceva uno migliore dell'altro, prevedendo una riverenza dei confronti del primo, ma era l'insieme della persona in sé.
Lambert era viscido, anche bassino rispetto al ragazzo di ventiquattro anni, dopo qualche mese venticinque.
Jungkook era possente, magari non di muscolatura, ma solo con lo sguardo, colmo di sicurezza che aveva acquistato dopo quella notte fitta di ragionamento.
«Kookie...» lo fermò anche Taehyung, scuotendolo per la giacca. Non aveva mai visto Ménétios arrabbiarsi e, in base alla disperazione di Soojin quel giorno, non avrebbe mai voluto saperlo, perché era orribile e solo ciò che aveva architettato prevedeva ciò di cui era capace. «Non ti preoccupare, Kookie, davvero. Ha ragione a dire che così facendo non sono di parola.»
Si avvicinò a lui tanto da potergli sussurrare all'orecchio, lontano dall'udito del terzo. «Troveremo un altro modo.»
Annuì con lo sguardo, che in quel frangente fu più importante di qualsiasi altro discorso oppure di tutte le parole del vocabolario messe assieme.
Presero tutti i loro bagagli, Jungkook aiutando entrambi, e si diressero verso casa di Jimin, anche assieme all'uomo. Doveva sembrare tutto normale, no?
Non molto lontano c'era una carrozza che li aspettava, con un cocchiere gentile il quale teneva le redini ad un bel cavallo dal manto scuro come la notte, quando lo sua criniera.
Fu una vera impresa stare tutti quanti assieme e parlare tranquillamente, senza che potesse fuoriuscire un minimo fiato riguardo la verità che in realtà si conosceva.
Come se le ore fossero scappate dalle dita, fugaci, come se i momenti fossero davvero effimeri e ridotti ad una quantità indeterminata e relativa, il sole se ne andò, lasciando spazio all'oblio e alle nuvole che ostentavano a rimanere imponenti nel cielo, formando una sorta di infrangibile e solida cupola.
Jungkook si appostò davanti alla porta della sua vecchia casa, all'oscuro di Namjoon, Minsoo, Yuqi, Hobi e Mathilde.
Controllò l'orologio da taschino, rendendosi conto che l'orario indicava che le dieci stavano quasi per arrivare; lo rimise a posto, inclinando la testa all'indietro e poggiandola sul muro. Se Soojin si fosse presentata lì, avrebbe potuto anche significare che aveva intenzione di spifferare la conversazione a Lambert, ma in qualche modo si fidava di lei.
Forse perché anche il più abile attore non sarebbe in grado di convincersi tanto da provare del vero dolore, così come era ritratto in quei grandi occhi, pietosi.
Poteva star sbagliando, ma non intravedeva alcun'altra scelta per sapere di più.
Tenne le palpebre socchiuse, quasi sul punto di addormentarsi, stanco di tutta la pressione che avvertiva sul proprio corpo e mente, sempre più opprimenti ogni giorno che passava.
Temeva che alla fine sarebbe esploso, per quanto era la pressione.
«Jeon?» sentì una voce gracile e tremolante avvicinarsi. La notò, in un abito diverso da quello sfarzoso dell'ultima volta: non riusciva a capire quale fosse la sua vera condizione sociale, ma non credeva che fosse importante per comprendere ciò che gli avrebbe sicuramente detto. Caso contrario, doveva trovare un modo per cui lei avrebbe parlato.
«Soojin, eccovi. Ben ritrovata.» le disse, con un sorriso sul volto: l'ironia la si poteva percepire sia nel tono, sia nella struttura formale della frase, che lui odiava.
I capelli erano raccolti in una crocchia e alcuni ciuffi, mossi, le finivano fin sul petto, la cui pelle era esposta.
«Volevo vedervi, mademoiselle. Credo che sappia le mie motivazioni.»
Prima di partire con le domande, doveva capire se poteva effettivamente fidarsi.
Soojin scosse il capo, che tenne rivolto verso il basso, con sguardo perso nel vuoto. Intravide le ciglia estremamente lunghe, che la decoravano così come fa un singolo rubino sulla corona del re, dato che è la somma di tutte le sue peculiarità a renderla così affascinante.
«Prego? Non sento la vostra voce.»
Non rispose, non ancora. Probabilmente aveva avuto lo stesso pensiero previdente di Jungkook.
La sua ironia e disprezzo si tramutarono in fastidio.
«È maleducazione non rispondere quando qualcuno è cortese con lei.»
La giovane deglutì e, se Jungkook fosse stato in grado di vedere, si sarebbe reso conto che dalla sua fronte stava scendendo una gocciolina di sudore freddo.
«Non ho mai detto che dovevamo incontrarci, siete stata voi, madamoiselle, a capire cosa intendevo, questa mattina: probabilmente per la vostra coscienza sporca, non crede?»
La voce del ragazzo era talmente severa che la stava trafiggendo senza che lui se ne potesse rendere conto. Indietreggiò di qualche passo, portando la mano sul proprio stomaco: era palese quanto quella spada fosse letale, per lei.
«Madamoiselle, le chiedo di parlare.» Jungkook si avvicinò a lei e le prese il polso, scuotendola, come accaduto quella mattina.
Mai le avrebbe fatto del male per via della sua morale, ma a lei venne da urlare e si lasciò scivolare per terra, lasciando che le proprie ginocchia si scontrassero con quel freddo pavimento. L'abito color sabbia si sporcò più di quello che già era, e l'altro rimase impietosito da lei, ma non si scompose più dei primi secondi, nei quali cercò di capire cosa stesse facendo.
Era unicamente distrutta, niente di cui preoccuparsi.
«Soo-» «Jeon Jungkook.» lo fermò, prima che potesse dire altro.
I loro sguardi, allora, si scontrarono, quando lei alzò il capo di scatto, mostrando tutta la sua paura.
«Non mi parli così, ve ne prego.» chiese con un fil di fiato. «Anche lui è violento con le parole, agendo sulla mia psiche fino ad avere un danno irreparabile. Non sono cattiva, sono solo stanca.»
Jungkook rimase in silenzio per qualche secondo, analizzando quelle parole, che trasudavano verità.
O era una grande attrice, una delle migliori, o era realmente spiacente. «Dimmi di più.»
Decise di non usare più il tono formale, poiché non ce n'era bisogno.
«Lambert. Vuole vendicarsi con te, usando Taehyung come esca.» Le sue supposizioni, allora, erano corrette. «So che siamo su due fazioni completamente diverse, io sono tra i cattivi e tu... tra le vittime, i buoni, colui che sta vivendo un'epopea pericolosa e stressante. Lo so benissimo, lo riesco a percepire solamente standoti qui accanto, ma quello che ti sto consigliando è realmente di scappare via, perché né tu né io sappiamo di cosa è in grado realmente, quell'uomo. Mi ha demolita, il mio corpo è pieno di sfregi, graffi, ferite, segni di schiaffi perché lui ha voluto così e non ho rispettato la sua volontà. Sono stanca, stanca, Jeon Jungkook» la sua voce era realmente stremata e si comprendeva quanto avesse la necessità di urlare. «Sono stanca di questa vita. E sono anche una masochista, perché non posso fare a meno di stare con quell'uomo. Quel grandissimo bastardo, perché ho imparato ad amarlo e a volergli bene e, anche se conosco la sua vera natura, non riesco a separarmi da lui. Sembra docile, un cagnolino, ma le sue intenzioni vanno al di là dell'aspetto esteriore.»
Soojin doveva sapere il perché, era ovvio che lo sapesse. Viveva con lui, organizzava dei piani assieme, era la sua assistente che trattava come una schiava. Amare? Amare quell'uomo dall'aspetto così mostruoso?
«Per favore, Soojin, dimmi anche il perché: perché lui è così ossessionato da me? Cosa ha contro Taehyung, perché si sta approfittando di lui per arrivare a me?»
Lei lo guardò seriamente, senza alzarsi dalla strada sporca, impotente di fare forza sulle gambe.
«È per una cosa che hai fatto tu.»
Jungkook annuì, sapeva già cosa, e non poteva di certo condannare del tutto quell'uomo per volersi vendicare, magari per aver fatto del male ad un suo amico, sebbene non l'avesse mai incontrato prima d'allora. Forse era uno degli uomini che, quella sera a teatro, era seduto accanto ad Auguste e aveva visto tutto.
«L'uccisione di Jeon Auguste. Lo so già, è inutile che me lo ripeti: basta che adesso sappia le motivazioni di tutta la sua cattiveria.»
Soojin scosse il capo, fermandolo immediatamente. «No, no, Jungkook. Non è stato quello che ha acceso la scintilla di odio.»
Era talmente seria che la tensione arrivò a livelli massimi ed estremi, prossimo realmente ad esplodere. Che altro aveva fatto di tanto sbagliato? Provò a fare qualche esame di coscienza, in quei drammatici secondi di silenzio che ebbero la funzione di intervallo fino alla risposta.
Poteva essere un uomo a cui si era rivolto bruscamente in un negozio? No, motivo troppo futile.
«1863.» proclamò lei, facendo in modo che neanche il vento potesse accorgersi della parola, se non Jungkook stesso.
«Come? Cosa è successo quattro anni fa?»
«Gérard Lambert. L'hai ucciso, hai ucciso quell'uomo con una semplice bottiglia che giaceva abbandonata al lato della strada. Eri in preda alla collera, ma hai fatto fuori il fratello di Ménétios senza pensarci troppo. Hai conficcato dei vetri nel suo stomaco con forza, avvitandola fino a quando tutto il sangue non fosse uscito e lui sarebbe finito per terra inerme. Lui era lì, Ménétios era lì, quella sera, e vide il volto di tuo padre. Cominciò a ricattarlo, gli chiese soldi ogni giorno, ricattandolo, estrapolandogli tutto il denaro e ogni goccia del patrimonio.»
La notizia fu come un bagno freddo: rimase con gli occhi sgranati e i ricordi di quel giorno affiorarono nella sua mente violenti. Non avrebbe mai creduto che un giorno, un uomo, lo avrebbero distrutto così, senza pietà.
«Ménétios mi disse che tuo padre era così avaro che comunicò che l'artefice di tutto eri stato tu, suo figlio ed era con te che doveva prendersela. Voleva del denaro da te.»
«Mio padre mi ricattava di sua volta e mi sollecitava a trovare un lavoro, come fare lo scrittore. Gli scrittori di grande fama erano quelli che più guadagnavano, a detta sua, assieme a tante altre figure professionali proposte. Lo scrittore era quello che mi faceva meno schifo tra tutte quelle.» teneva ancora lo sguardo perso nel vuoto, ormai. Le condizioni sua e quella si Soojin si erano invertite, ma lei non voleva commentare quello che gli aveva appena detto, ad alta voce. Era solo dispiaciuta.
«Quando è morto, Ménétios ha preso la decisione di perseguitare te, il vero artefice, per avere vendetta.»
«Come sa di Taehyung?» chiese senza indugio.
«Ha fatto delle ricerche e sapeva che al tuo fianco, all'omicidio di Jeon senior, c'era un altro ragazzo. Ha scoperto che quel ragazzo lavorava alla Mabillon sotto il nome di V e che il suo vero nome era Kim Taehyung. Inoltre, ha pagato tutti quanti al fine di tenere la bocca cucita sui volti dei due omicidi, perché doveva essere lui colui che avrebbe avuto la sua vendetta. Ti ha cercato per lungo e il largo. La sua rabbia era così folle che siamo andati per la Spagna, per la Prussia, per l'Austria, chiedendo a chiunque del tuo nome, ma nessuno ci ha mai risposto. Certo, eri Boyer, sei sempre stato Boyer e le nostre ricerche sono state inutili, se non fosse stato per una giornata in cui tu e lui, non vi siete scontrati, cadendo per terra. Stavate correndo come due pazzi.»
Rivelazione: si sentì uno stupido per essersi comportato come un bambino e sciocco, poiché si era messo a correre tra le strade di Vienna, credendo che non avrebbe causato alcun guaio. Le conseguenze erano state esorbitanti e non aveva idea di come aggiustare il tutto. Solo perché per un attimo si era creduto il paladino della giustizia ed aveva salvato una ragazza qualunque dall'essere sottomessa, solo perché era una donna! Lei non meritava del male.
Neanche Soojin meritava del male, né tantomeno un malore psicologico come quello che lui aveva intenzione di causarle, se non avesse parlato.
Le donne sono dei gioielli, delle rose da preservare.
Non sapeva se aveva fatto bene o male a proteggerla, allora — o forse sì.
«Non posso essere spiacente per la morte di Arsene. So di non essere un eroe, non posso imporre giustizia sul mondo intero, ma ho dato a quell'uomo ciò che si meritava. Era un bastardo, accecato dalla cupidigia: era infiammato e desiderava solo soddisfare i suoi desideri. Che uomo è uno che si comporta in questa maniera!» esclamò, come se fosse la cosa piu strana di quel mondo, alla quale, però, non avrebbe mai trovato risposta.
«Oh, Jungkook, perché un così bravo ragazzo come te è finito in una situazione tanto spiacevole? Come mai l'universo ha deciso di punirti, sebbene tu faccia tutto quanto a fin di bene, sebbene la tua purezza?»
«Non sono puro: aspiro a diventarlo, ma non lo sarò mai. Ho commesso tanti sbagli: ne ho perso il conto.»
«Tutto per non fare del male a nessuno. Jungkook, tu non conosci l'egoismo, non l'hai mai conosciuto e mai lo conoscerai.»
E lei come faceva a saperlo? Era una strega? Certo, certo, questo spiegava la sua incondizionata bellezza, più splendida di qualsiasi altro diamante, pure quelli che erano dispersi per tutto l'universo. Lei era la luce, era magnifica, sublime! Era una strega, non c'era dubbio: altrimenti non sarebbe stata in grado di conoscere fatti tanto privati, che aleggiavano nella mente di Kook da tempo, sconnessi e ancora privi di filo logico.
Magari era solo brava a capire le persone, perché solo tramite quelle affermazioni da parte sua il ragazzo poté rendersi conto di ciò che cercava di comprendere da sempre, invano.
Non conosceva l'egoismo, era solo buono e non meritava quel supplizio più di quanto Ménétios era destinato ad avere un'esistenza misera nell'inferno.
Lei, l'angelo più bello che avesse mai incontrato, rappresentata come diavolo, lo aveva condotto verso quella rivelazione. Se anche quella volta fosse stata un'invenzione della sua mente, poteva solamente chiedere grazie per aver creato un essere tanto bello, che non era neanche pensabile.
E, se lei era perfetta e impossibile da ricreare oppure pensare, come poteva essere davanti a sé? Allungò la mano verso di lei, toccandole la guancia, per avere la certezza che esistesse. Non si fidava dei sensi, ma erano scarsi ed impossibilitati a ricreare una donna tanto speciale agli occhi del mondo.
Esisteva, la realtà esisteva: lei era perfetta e lui era talmente sciagurato che credeva di essere in grado di immaginarla per conto proprio.
Tutto esisteva, tutto. Quel dubbio che gli era venuto la notte precedente scomparve e tutto ritornò ad essere ragionevole, vivo, reale: per cui anche Lambert lo era e la cazzata che aveva fatto e che si era ripercossa fino a quel momento, quattro anni dopo.
«Che cosa ha fatto di tanto particolare quell'uomo per essere amato da te, una ragazza tanto meravigliosa?»
In quel mondo c'era di meglio.
Stava per tirare fuori il suo fiato, per rispondergli, ma una voce squillante fece capolino da fuori alla porta di casa.
«Perché tutto questo-»
La giovane lì davanti aveva i suoi soliti capelli rossi raccolti in una treccia ampia. Non era ancora pronta per andare a dormire, anzi: Yuqi era ben preparata, come per un appuntamento galante.
Si poggiò al muro opposto a quello su cui stava Kook, con braccia conserte e sopracciglio alzato, in attesa di una spiegazione. «E Tae? Che fine ha fatto?»
Jungkook deglutì, certo che lei avesse capito male le sue intenzioni: stava solamente parlando con quella giovane, non c'era motivo di essere drammatici! «Scema, non è come pensi, stavo solamente parlando con questa ragazza. Io e lei-»
«Mi scusi, signorina, non volevo affatto rovinare il suo sonno ristoratore» indicò la sua camicetta sotto al corsetto esteriore che era tutta stropicciata e i cui bottoni erano fuori dalle loro asole. «Sonno, certamente, non lo metto in dubbio.» Soojin si inchinò leggermente, in segno di riverenza, sebbene Yuqi fosse anch'essa una ragazza e anche più piccola di lei. «Polvere sugli occhi, sulle guance, profumo, ben conciata. Ha una bella cera, signorina, ha forse appena cominciato a frequentare qualcuno che le fa battere il cuore?»
Nel suo inchino, si lasciò sfuggire un leggero sorrisetto, che fu visibile solamente al pavimento che era sotto di lei.
«Appena cominciato?» chiese Jungkook, esterrefatto. Del resto, aveva appena avuto conferma che Soojin fosse incredibile nell'intuire anche le questioni private.
Yuqi sgranò gli occhi, certa di essere stata colta con le mani nel sacco, sebbene fosse scesa solamente per controllare se tutto stesse andando bene.
«Non so chi sia,» cercò di dire con la massima tranquillità che poteva. «ma credo che sia troppo frettolosa. Jungkook, di sopra c'è Minsoo, stai tranquillo, nessun altro.»
Si lasciò tradire dalla sua estrema preoccupazione e dal modo in cui aveva posizionato le braccia al fine che nessuno sorpassasse la porta d'entrata, anche se non era ancora sorta una tale intenzione. Mettersi sulla difensiva non era altro che una spinta istintuale, che lei maledisse quando Kook se ne rese conto.
«Nel mio caso è vero che stavo solamente parlando con Soojin, ma tu dovresti vergognarti.» le disse, con disprezzo, facendola sospirare. «Dove hai fatto andare gli altri questa sera? E Mathilde anche, l'hai fatta andare con quei tre dementi in giro per Parigi a fare chissà che perché tu dovevi fare chissà cosa con chissà chi?»
Lei sospirò per la seconda volta, colpevole, ormai costretta a non poter nascondere più null'altro. «Ti spiegherò tutto, te lo prometto, Jungkookie, ma tu non dire nulla a nessuno, tantomeno a Minsoo. Ti prego, sei un mio amico.»
Osservò il suo sguardo, impreziosito da una polvere marroncino, che era supplichevole.
Aveva le sue ragioni e, a quanto pare, non era nessuno per non poterle rispettare. «Non lo fare mai più, sia chiaro. Hai una dignità ed io ti voglio bene, Yuqi.» le disse premuroso come potrebbe fare un fratello. «Manda via chiunque sia quell'uomo: lo dico per te, e rifletti.»
Yuqi annuì e Soojin si offrì insistente per accompagnarla fino al piano superiore, lasciando che Jungkook tornasse a casa sua, dove i ragazzi lo attendevano. Come al solito, la castana era arguta soprattutto con le sue competenze comunicative, dunque non fu molto difficile entrare in quella casa senza un vero e proprio benestare.
Ella ridacchiò, quando quella figura, dalle mani e gambe sottili e già spogliata fino agli indumenti intimi, riprese tutto quanto e scappò via senza dire alcuna parola. Yuqi salutò la figura con gli occhi, i quali emettevano anche dispiacere nei suoi confronti.
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