「11/04/1867」

44.

Finalmente, quel giorno tanto atteso con trepidanza era quasi arrivato: mancava così poco che non riusciva a stare fermo con le proprie gambe, saltava da una parte all'altra e quando stava seduto non poteva fare a meno di rialzarsi e stiracchiarsi, muovendosi in avanti e indietro per la stanza.
«Quanto ancora ne avrai da fare?» chiese scocciato Yoongi, ormai irritato da quel comportamento attuato ormai da troppi giorni, sempre più insistente e impaziente.
«Due giorni, solo due, non mi buttare fuori di casa!» lo pregò a mani giunte e inscenando un lieve inchino. I muscoli gli bruciavano, non stava più nella pelle.
Jimin si era appena preparato per uscire, aggiustandosi il gilet a dovere e stringendosi le bretelle. I due, quella sera, avevano infatti preso la decisione di fare un giro assieme, dato che Kook non era mai stato abbastanza libero per dedicarsi ai suoi amici.

Neanche Namjoon vedeva da diverso tempo: anche se viveva nella sua stessa città, ormai, non lo andava a trovare da Natale e si sentiva realmente in colpa per questo: come biasimarlo, però, dato che era rimasto sempre barricato in casa ad aspettare che fossero le mura a dargli la giusta ispirazione. Tutto quanto era testimoniato dal proprio polso che pulsava insistente ogni qualvolta riprendeva a muovere la penna sul foglio, sporcando il lato della mano di inchiostro, poiché incline a trascinarlo mentre scriveva.
A Jungkook mancava l'aria di fuori, quella fresca atmosfera pulita che si infiltra dentro il naso, dandogli quell'aura paradisiaca di cui tanto era rimasto a corto.

Una volta fuori di casa - Yoongi aveva preferito rimanere a casa a provare al pianoforte, non gli piacevano tanto delle uscite senza alcun senso - i due amici si guardarono complici, mettendosi in posizione, come se dietro la riga di un campo di atletica, pronti per scattare in quella corsa che avrebbe decretato chi dei due era il più veloce. Sarebbe stato un onore per il vincitore e motivo di vanto.
Corsero, corsero come il vento aveva comandato loro e giunsero fin dove il soffio era in grado di condurre, neanch'esso capace di comprendere realmente cosa fossero le distanze. Passo dopo passo, balzo dopo balzo, ognuno di essi che comprendeva attimi passati con entrambi i piedi distaccati dal suolo, non era altro che una similitudine del volare.
Volare! Volare, stavano volando in lontananza, chissà dove! Mancò loro il fiato, perché stavano ridendo nel frattempo e, dopo non molto, la loro fronte divenne imperlata per il sudore e il loro stomaco non resse più.
Fortunatamente per il loro orgoglio, si fermarono per prendere fiato nello stesso identico momento, decretando la sfida terminata in un pareggio.

Jungkook si guardò intorno, cercando di vedere quanto il buio consentiva. «Dove siamo?»
«Credo vicino agli Champs Élysées. Vedo la strada, in lontananza.» Jimin la indicò, ancora con il fiatone e Kook annuì, riuscendo anche lui a capire la loro posizione.
«Pensavo avremmo fatto un giro e basta, magari avremmo incontrato qualcuno e avremmo colloquiato normalmente.»
L'affermazione del ragazzo, a quanto pare estremamente stordito, fece ridacchiare Jimin incredibilmente, il quale scosse il capo. «Tu, parlare con qualcuno? Dai, tu sei voluto uscire anche se ti sarebbe andato bene rimanere a casa per conto tuo. E non hai affatto intenzione di parlare con nessuno, vuoi stare nel tuo, osservare la bellezza della natura.»
«Mi conosci vecchio.» mise le mani in tasca, prendendo a camminare in avanti e con capo alto: il collo era tanto stanco da lasciare la testa poggiata impigrita sulla parte alta della schiena, canticchiando distrattamente.

Jimin rimase lì dietro, osservando la sua andatura. Era traballante, non era sicura: era stanca, logorata. Era tutto tranne che pieno addosso, anzi, mancava di vari muscoli, era incredibilmente magro, probabilmente a causa del lavoro ultimo e anche perché non aveva mai avuto l'abitudine di avere dei pasti regolari.
Sebbene fosse così poco perfetto, per Jimin era un ragazzo stupefacente, in tutta la sua magnifica figura. Era più alto di sé ed era sempre stato così, fin dal primo giorno in cui si erano incontrati. Deglutì, un brivido gli percorse il corpo quando si ricordò dell'evento, che continuava a voler dimenticare.

Strinse i pugni e cominciò a seguirlo, arrivandogli a fianco.
«Jungkook, che cosa mi racconti?» chiese dolcemente, con un sorrisetto.
L'altro alzò le spalle: «Credo le solite cose, viviamo assieme: quello che andava prima va anche adesso, quindi non ho proprio nulla di originale da raccontarti.»
«Qualche aneddoto? Qualcosa che non so? Avrai qualcosa di interessante, no?»
Jungkook rifletté, sfregando le dita contro il mento, pensoso. «Sai, trovo che la morte più interessante che vorrei provare sia quella tramite il veleno, giusto perché mi sentirei così potente da essere riuscito a mandare giù tutto quanto. Cicuta, caratteristico, no?»

Jimin annuì, nascondendo il suo orrore a riguardo.
«Magari qualcosa di più bello...?»
«Quando ero un bambino, mi presi una cotta per una ragazzina più grande, era solita andare in chiesa e stare tutto il tempo nell'oratorio. La vedevo sempre lì. L'anno dopo il me di nove anni rimase incredibilmente frustrato quando venne a sapere che aveva preso i voti.» alzò le spalle ancora una volta. «Ah, che dire, anche Cristo mi stava dicendo che non era la mia strada, quella.»
Jimin rise, trovando il commento alquanto divertente.
«E tu? Hai qualche aneddoto da raccontarmi?»
Il biondo annuì sempre in un sorriso, senza allontanarsi dal suo fianco, come se, se l'avesse fatto, avrebbe perso Jungkook per sempre in un buio inconfondibile.

«Anni fa Yoongi stavamo giocando assieme nel cortile di casa e ci sporcammo tutti quanti col fango, dato che aveva appena piovuto. Abbiamo dato la colpa ad un inesistente uomo giunto tra le mura che noi abbiamo scacciato valorosamente. Dicemmo che voleva derubarci!»
Kookie rise, addolcito dal ricordo. «E per il fango addosso a voi, come avete fatto?»
«Tutto questo dopo esserci puliti da capo a piedi.»
Annuì: scaldò il cuore ad entrambi, incredibilmente vulnerabili dal passato.

«Siete stati scaltri, ma chissà che farebbe adesso quell'inesistente uomo se si ricordasse dei vostri volti: vi inseguirebbe per prendervi a bastonate.»

Jimin, il quale nel frattempo rifletteva, interruppe la sua risata mentre stava cercando le parole giuste per iniziare la conversazione tanto importante che doveva affrontare, ovvero il motivo per cui aveva spinto Jungkook ad uscire, quella sera.

Allora arrivò a porsi un'altra domanda, che richiedeva un ragionamento alla quale nessuno di loro era mai arrivato.

«Jungkook, perdonami se cambio argomento» il suo tono si era fatto improvvisamente serio e aveva perso tutta la sua allegria «Non credi che sia strano che nessuno, ma proprio nessuno, si sia ricordato delle vostre facce? Nessuno ha dato alla polizia una vostra descrizione? Onestamente, ho sentito parlare solamente del crimine all'Opéra, ma se ti dico che hanno chiuso subito il caso, senza neanche ascoltare i testimoni, che stai certo che c'erano, vuol dire che ho ragione e che c'è qualcosa sotto.»

Jungkook rimase zitto per qualche secondo, forse minuto, a guardare dritto davanti a sé e quegli alberi mossi dal vento. Solo alla fine sgranò gli occhi, illuminato dal ragionamento di Jimin, e poggiò le mani sulle sue spalle, sul punto di urlare per essere finalmente giunto alla risposta.
«Chim, mio padre!»
Il biondo apparve non capire. «Tuo padre?»
«No, Jimin, mio padre, c'entra tutto con mio padre, è da lì che è partito tutto! È l'unico motivo per cui qualcuno ce l'avrebbe a morte con me!»

«Qualcuno ce l'ha a morte con te?» chiese confuso l'amico. Ah, già, lui non sapeva nulla delle lettere e teoricamente non avrebbe dovuto sapere nulla per evitare che si preoccupasse.
Deglutì, accortosi di aver rivelato ciò che doveva rimanere segreto.
«Non intendevo dire che qualcuno ce l'abbia realmente con me, solo che potrebbe essere... un motivo...» mentì, a capo basso, rendendosi conto di non essere affatto in grado di raccontare frottole in situazioni del genere, ovvero sia sotto pressione sia euforico a causa della scoperta.

«Jungkook.» lo guardò seriamente.

Se c'era qualcosa da dire, allora Jimin era tenuto a conoscerlo e così accadde: il maggiore fece silenzio, durante il racconto riguardo ciò che aveva intuito stesse accadendo in Italia, nel mentre lo osservava a braccia conserte, duro e severo.
Jimin annuiva ad ogni frase, incitandolo a continuare, intrigato soprattutto per il modo peculiare in cui si scambiavano i messaggi, e sussultando alla fine.

«Quindi Lambert è lì con Taehyung, potrebbe fargli del male, e tu non hai fatto realmente nulla? Hai creduto che quelle lettere potessero essere vere? Nulla toglie che sia tutta una sua trovata! Come fai a sapere che Tae stia realmente bene? Non hai la certezza e tu sei un irresponsabile, santo cielo.»
Preoccupato, portò il palmo sulla propria fronte, incredulo.
«So che è lui, ne sono certo: me lo sento, è il mio istinto che mi sta portando dalla parte giusta, posso assicurartelo.»

Jimin risultò così scettico e spossato, talmente in pena per il suo amico che il cuore aveva cominciato a battergli più velocemente del normale.
«Stai calmo, questo è il motivo principale per cui non te l'ho detto.» il minore mise le braccia sulle spalle del biondo, tentando di farlo calmare.

«E Yoongi? Yoongi lo sa?»
Jungkook si morse il labbro, emettendo un mugugno incomprensibile che voleva nascondere la conferma.
«Siete dei bastardi! Abitate nella mia casa e mi tenete all'oscuro di una faccenda così importante?» aveva iniziato a strillare, tanto che l'intensità della voce insolitamente acuta era prossima alla soglia del dolore.
«Non fare l'offeso, Yoongi l'ha capito da solo!»

Uno scorcio di luna fece capolino sopra di loro, ma non era nella fase di piena e per giunta anche coperta dalle nuvole, per cui non fu possibile contemplarla in tutta la sua bellezza. Mancava da un pezzo la sua divina presenza e da allora era diventato tutto così incompleto.

Avvertirono entrambi il fruscio degli alberi lì vicino, che si alternava a soffi di vento, e anche degli zoccoli dei cavalli che battevano incessanti sullo stradone degli Champs-Élysees.
Una folata fece scompigliare i capelli di entrambi e i lembi delle loro giacche divennero ribelli, divincolandosi.
Jimin si morse le unghie per la preoccupazione, togliendosi quella pellicina ribelle al fine di distrarsi almeno un minimo, invano.
«L'ho fatto per te, Chim. Devi stare tranquillo, con Tae va tutto bene, mi scrive sempre messaggi in codice. Solo lui sarebbe tanto scaltro da capire come mandarli senza farti scoprire. Io mi fido di lui e so che ce la farà e che ci rivedremo tra due giorni e che non ci separeremo più.»

L'amico annuì, imponendo al suo stomaco di rivoltarsi in preda all'ansia. Jungkook si fidava di Taehyung e Jimin si fidava di Jungkook: non si trattenne nell'avvicinarsi nuovamente, per attirarlo a sé in un secondo abbraccio, ancora più saldo, nel quale avvertirono tutto il calore che entrambi avevano in corpo, primo per tutti l'incavo del collo, bollente come una coperta d'inverno.
«Se ti capitasse qualcosa perché tu ti sei lasciato andare ed io perché convinto dalle tue parole, non me lo permetterei mai.» sussurrò, dolcemente quanto intimidito.
«Stai tranquillo.» gli accarezzo il capo, riuscendo anche ad avvertire il profumo floreale dei suoi capelli. «Non mi accadrà nulla, sono abbastanza bravo a scappare. Tu dovresti saperlo, mh?» gli tirò una risata.

Erano diventati davvero buoni amici, dimenticandosi di tutti i trascorsi e considerandoli come ciò che li aveva spinti l'uno all'altro. Come avrebbe fatto senza Jungkook? Adorava parlare con lui, scherzare, ritrovarsi in biblioteca a leggere qualche libro e osservarlo scrivere con tanta passione e dedizione. Era amore fraterno.

«Mi riaccompagni a casa?»

Esaudito il desiderio, Kook rimase fuori da quella magnifica casa, dalle luci di qualche candela accese all'interno nel salone e nella stanza di Jimin al piano superiore, intravedibile tramite i drappi carmini delle tende.
Non se la sentiva di ritornare lì dentro, perché la notte era così lunga che era davvero un peccato sprecarla in quella maniera, rintanandosi ancora tra le quattro mura e commiserarsi per aver perso tempo. Non pioveva né c'era tanta umidità, piuttosto un po' di vento tiepido a tratti arrabbiato.
Dentro il taschino interno della giacca aveva un pacchetto di sigarette: aveva smesso da diverso tempo, consapevole dei rischi che esse causano, ma l'unico antistress che aveva a disposizione. Si era ripromesso che, una volta per conto proprio, avrebbe consumato la prima dell'anno, sperando che nessuno lo disturbasse. Sebbene fosse splendido scrivere quel libro, ormai il proprio mondo, era consapevole di stancarsi come poche volte; inoltre lo stress per la situazione di Tae, la propria impotenza, erano apparentemente combattuti con una tranquillità che invece era nascosta tutta dentro di sé.

Rigirò l'accendino tra le dita, mentre, dall'ombra proiettata sulla finestra, osservava la figura di Jimin che abbracciava quella di Yoongi, il quale probabilmente era rimasto senza parole e confuso da un affetto tanto improvviso. Sorrise leggermente, abbassando il capo e girandosi, camminando in tranquillità tra il suono delle lucciole del viale.
Il fumo volò verso l'alto e Jungkook lo osservò scappare via, come spaventato anch'esso da sé.
Come biasimarlo: vai via, fumo, vai via! Avrebbe ascoltato, chiudendo gli occhi, la strada tanto calma.

Preso dai suoi pensieri, ripensando a suo padre e Taehyung, distratto dall'atmosfera notturna e anche da quella sua seconda sigaretta - aveva tempo, per cui le consumava - non si rese conto dei passi dietro di sé di una improvvisa figura.

«Buonasera.»
Jungkook saltò a causa dello spavento, facendo cadere per terra il cilindro ancora acceso e consumato per metà.
Una ragazza dai capelli lunghi si presentò davanti a lui con un suo sorriso grande da un orecchio all'altro il quale mostrava anche un minimo dei brillanti denti. Aveva una frangetta non folta che portava per metà dietro le orecchie ed altri ciuffi lasciati cadere sulla fronte e parte sugli occhi. Alla luce della notte apparivano grigi, ma, facendo attenzione, si rese conto della loro tinta bionda.

«Soyeon?»

«Jungkook!» esclamò la ragazza, saltando felice. Indossava una camicetta bianca con le maniche a sbuffo, un corpetto marroncino, che le fasciava il busto e le evidenziava il seno, e una gonna dello stesso colore la quale arrivava fino ai piedi. Per una sera di inizio primavera era vestita troppo leggera e fu proprio la prima cosa di cui Jungkook si accorse, dopo il cambiamento dell'acconciatura.

Soyeon era inconfondibile per i suoi corti capelli biondi, lontani dalla moda attuale e lontano dai canoni della bellezza in voga tra le ragazze!
Non attese neanche un secondo per sfilarsi la propria giacca e poggiarla sulle sue spalle, senza che potesse dire una parola o fermarlo.
Ella sorrise, stringendosela e riscaldandosi, talmente colpita dalla sua buona azione, anche se l'avrebbe dovuto aspettare, conoscendolo.
«Come va?»

«Ero qui in giro con... con un amico, sai. Ultimamente sono molto occupato e non esco molto, ho approfittato un mio buco per farmi un giro e godermi appieno questa serata.»
Lei annuì, comprensiva, in un'allegra risatina.
«Quindi sei tornato a Parigi, no? Mi avevi detto di dover andare via e quindi non sapevi per quanto.»
«Già, sono passati quasi due anni, ormai. Per faccende lavorative sono rimasto in città, altrimenti sarei tornato a casa mia, in Austria, fin da gennaio. Anche se mi mancava la primavera qui, i primi alberi in fiore non sono poi tanto male.»
Lei ritrovò ad essersi completamente d'accordo con le sue parole e allora volse gli occhi verso il lungo stradone, ricolmo ai lati di siepi dalle quali spuntavano i molteplici colorati fiori di giorno e scoloriti di notte, che ugualmente erano tanto caratteristici.

«So che non sei tornato per me, figurati.»
«Oh, ti prego, evitiamo di parlare di questioni sentimentali, che mi viene un attacco nervoso.» ci scherzò su, facendo ridere anche lei.
«Dai, racconta. Come mai? Che è successo di questo tempo?»
Il ragazzo mosse il dito in negazione. «Prima le signore.»

«Lavoro in una fabbrica, ho smesso di fare la prostituta da quando mi hai lasciato. Nel senso, avrei dovuto farlo prima per principio, ma quando ti ho visto andare via ho capito che la mia vita non era fatta per essere trascorsa in quella maniera, che ero molto di meglio di quello che dimostravo.»
Jungkook ridacchiò, cominciando a camminare con lei accanto e con le mani dentro le tasche. Le porse il pacchetto delle sigarette, che lei accetto volentieri, e per lui fu il turno di afferrare tra le dita una terza.
«Di' la verità, eri così incazzata con me che volevi farmi vedere in qualche maniera che eri meglio di tutto quello per cui stavo andando via.»

Lei annuì, buttando fuori il fumo da quelle sue labbra dipinte di un rosa chiaro che le impreziosiva il volto e gli donava una eleganza giovanile.
«Ti ho odiato, ma quando ho scoperto il valore di me stessa, in grado di non dipendere da alcun uomo, mi sono sentita su un livello che credevo di non essere mai in grado di raggiungere. Per cui grazie.»

Essendo ormai la giornata delle scuse, «Scusami. La mia peculiarità è quella di fare scelte sbagliate in ogni dove. Ho tentato di migliorarmi col passare del tempo, ma credo che questa caratteristica mi rimarrà per sempre, qualsiasi cosa io tenti di fare.»
Non metteva in dubbio che ci siano state così tante persone, durante il corso della propria vita, che l'abbiano odiato dal profondo del loro cuore e abbiano desiderato che sparisse dalla faccia della terra, ma ormai si era abituato alla sensazione del senso di colpa ed era diventato più pratico ad addormentarsi la notte, ignorandolo.
Finì anche quella sigaretta ed emise qualche colpo di tosse: di solito non era mai arrivato a consumarne tre tutte assieme, per cui si vide costretto a rimettere quella custodia al proprio posto, nei pantaloni.

«Vivi sempre lì, vero?»
La ragazza annuì in un mugugno. «Non mi sono mai spostata, anche se avrei dovuto dimenticarmi di tutto quello che ho passato dentro quelle mura. Ad averceli, i soldi. Riesco a malapena a mangiare e avere qualcosa di decente addosso.»
Aveva ragione: le sue clavicole erano più pronunciate e le braccia erano più sottili, inoltre gli zigomi erano più spigolosi. Si era convinto che era solamente un'illusione creata dalla poca illuminazione, ma si convinse quando glielo fu rivelato.
«Mi dispiace. Io vivo a casa di questo mio amico, tentando in qualche modo di guadagnare qualcosa da questo lavoro. Sperando che vada a buon fine, anche se ogni tanto penso a come potrebbe andare. Male quindi, al contrario delle mie aspettative.»

Lei gli osservò il profilo e gli chiese se faceva ancora lo scrittore, ricevendo un'affermazione come risposta.
Era stupido, il modo in cui si era talmente ossessionato su qualcosa, come se la sua vita dipendesse completamente da esso. Come se fosse nato per questo! Cresciuto ed educato col passare del tempo a provare quelle giuste emozioni da scrivere su un pezzo di carta nella combinazione che dimostrava tutto il suo ingegno poetico.
Era stupido, certo, perché poteva anche buttarsi su qualcos'altro, ciò che lui avrebbe consigliato comunemente a chiunque. Che uomo è uno che non riesce neanche a seguire i propri consigli?

Gli chiese di raccontargli tutto quanto, di tutti quei mesi, perché voleva proprio sapere come se l'era passata.
«Se mi hai lanciato qualche maledizione, appena andato via, sono spiacente per starti per deludere. Il '65 è passato bene, anzi, credo che sia stato uno degli anni migliori della mia vita.» esitò, incerto se Soyeon avrebbe tenuto la bocca cucita. Perché no? Del resto, a chi avrebbe dovuto dire tutte le sue questioni private? Per vendicarsi? «Mi prometti che non dirai a nessuno ogni cosa che ti sto per dire? Non emetterai mai un fiato a riguardo?»
Lei annuì, rimettendo su quel sorriso, che adesso era diventato colmo di curiosità.

Le chiese di mettere la mano destra sul cuore e di giurare, come fosse solenne, l'affare.
Doveva fidarsi? Si era fidato per tempo, di lei, ed era una buona ragazza. Conoscendola, nei mesi addietro, si era reso conto che nascondeva i segreti come una tomba, poiché fedele e di parola.
«Mi sono innamorato.»
«Quindi te ne sei andato per questo?» lei alzò un sopracciglio, poggiando le mani strette a pugno sulla vita.
«No, No! Non è per quello.» si grattò il capo «Diciamo che è una conseguenza, quella. Sta di fatto che, quando sono stato costretto ad andare via, io e Taehyung, il mio carissimo... amico, sì, amico, riguardo quell'avvenimento lo posso definire ancora amico, abbiamo fatto fuori una persona che mi stava accollando da così tanto tempo, ovvero mio padre. Te ne ho parlato, di lui, no? Ecco, io e Tae siamo dovuti scappare fuori Paese e siamo rimasti lì per mesi e mesi.»
«Cliché. Sebbene non sappia leggere a dovere, conosco la trama di qualche romanzo. Puoi tenerti la tua storiella per te: scontato, il fatto che tu ti sia innamorato di lui, anche dal modo in cui ne parli. Sei arrossito!» scoppiò a ridere, portando delicatamente il palmo sulle labbra, aggraziata.

Il fascino dell'amicizia e della fiducia lo convinse a parlare e a confidarsi.
Degli altri ragazzi non disse nulla, perché lei, portando gli occhi verso l'alto, si rese conto, tramite quello scorcio di luna, che essa era già alta e si era fatto realmente tardi.
"Domani si lavora" commentò simpaticamente, salutandolo e saltellando via allegra dalla conversazione.
«La mia giac-» fece per dire Jungkook, ma poi gli si bloccarono le parole e sorrise, decidendo di tornare a casa senza il proprio indumento. Avrebbe detto a Jimin se l'era tolta per un paio di minuti, giusto il tempo necessario per un ragazzino di comparire dal nulla e di fregargliela.


Una volta arrivata nel luogo dove quell'alto uomo la stava aspettando, gettò la giacca sulla scrivania come se fosse uno straccio, anche se esternamente costoso.

«Bella giacca, signorina, da dove l'avete presa? Sembra di buona fattura.»
Profumava ancora della pelle di Jungkook e Soyeon ci rise su.

Si poggiò con la schiena al muro, guardando l'uomo seduto dietro alla scrivania e illuminato da una semplice lanterna che scriveva incessantemente su quel foglio di carta.
«Quell'idiota in Italia non ci ha mica detto che Jungkook e Taehyung stanno assieme: notizia incredibilmente succosa per cui avrei scommesso la mia casa, per quanto scontata, ma finché siamo stati ad aspettare una risposta c'è voluta che scendesse la manna dal cielo. Anzi! Ci sono voluta io, la paladina, che venisse ad aiutare voi uomini.»
«Non ti pago per vaneggiare, ma per estrapolare informazioni da quel ragazzo.»

Lei alzò le spalle. «Bene, ho fatto quel che dovevo fare: il mio lavoro è finito, buonanotte.»
Si tolse i ciuffi più corti dalla fronte portandoli all'indietro, in una maniera talmente seducente da catturare lo sguardo dell'uomo. «Non è finito il tuo compito, anzi: è appena cominciato. Quando Kim tornerà in Italia farà lo stesso Lambert e finalmente potremo concludere quello che abbiamo iniziato.»
Roteò gli occhi al cielo. «Parli come se fossi realmente una complice che ne capisce qualcosa di questa storia. Vorrei solo andare a casa, vivere la mia vita, magari nella ricchezza grazie alla ricompensa che ci spetta e poi non preoccuparmi mai più di dover vendere il mio corpo.»
Quella che aveva detto a Jungkook era ovviamente una menzogna, dato che non si sarebbe mai messa a consumare le proprie dita appresso a dei marchingegni che non erano adatti per la propria finezza e delicatezza.

«Non è facile come credi, perché qui siamo noi che andiamo contro due fazioni: i nostri nemici e i nostri alleati. Come la vuoi la ricompensa, grande?»
«Esorbitante, ovviamente!» esclamò, come se fosse la cosa più scontata al mondo, alzando anche gli occhi al cielo come si era abituata a fare.
«Allora rimani dalla mia parte.»
Si alzò dalla scrivania, permettendo alla luce di quella lanterna, posta al suo angolo, di illuminare più chiaramente il suo volto. Ne venne fuori una forma allungata, dalle labbra carnose, il tutto incastonato su un corpo dalle spalle larghe e molto alto.

Chi se non l'imponente Kim Seokjin, in quel suo studio posto all'ultimo piano dell'editoria che tanto aveva scalfito tutta quella vicenda.
«Parteggi per me, allora, mia fidata alleata: la prima cosa da fare sarà quella di fingere di essere dalla parte di Ménétios Lambert, il quale desiderio è di farla pagare a Jeon Jungkook nel modo più crudele possibile, ovvero sfruttando a suo piacimento tutte le informazioni riguardanti il suo carissimo amichetto per fargli del male. E per fare cosa? Spingerlo a prendere il suo posto, e farsi torturare amaramente. C'entrano le questioni personali e, di certo, non è affar mio chiedergliele. Perché non me ne importano: la cosa più importante è imbrogliare anche quell'omuncolo, facendo lui credere di essere dalla sua parte, ma tradirlo e catturare Jeon e Kim per l'assassinio di Auguste Jeon del maggio del '65 e riscattare la nostra ricompensa: andranno al patibolo in men che non si dica, perché criminali in fuga.» commentò con entusiasmo. «Eppure, se riuscissimo a prendere anche Lambert e mandarlo in prigione incriminandolo come rapitore, riuscirei a prendermi in qualche maniera anche le sue proprietà. Sai, lui è un uomo molto ricco: fai il conto, avresti come ricompensa il doppio di quello che ti sarebbe stato destinato, assieme alla casa di Lambert a Parigi, tutta per te. Se la vuoi, potresti prendere anche quella che sta in Italia, nessuno ti ferma. Io, tanto, le abitazioni già ce le ho.»
Lo sguardo ingordo e avido dipingeva il suo viso, mostrandolo raccapricciante come mai lo era stato.

Indubbiamente, Kim era un bell'uomo, ma in quella situazione pareva come se si fosse dimenticato cosa fosse la bellezza.
Soyeon era deliziata per il piano rispiegatole ancora una volta: immaginarsi quella grande quantità di denaro era fantastico e non vedeva l'ora di avercelo tra le mani, come ricompensa di tutti i sacrifici fatti.
«Per te la notte non finisce qui, no?»
«Ho appuntamento con un vostro dipendente. Spero che lui abbia ricevuto abbastanza denaro per pagarmi una buona ora.»

Soyeon si morse il labbro e passò un dito su di esso, alzando un sopracciglio: era il suo mestiere, quello, ovvero l'essere seducente e tirar fuori la malizia dagli uomini, spingerli a dare il peggio di sé solamente con qualche parola.
Lei si avvicinò al suo corpo possente e poggiò la mano dalle sottili dita con delicatezza, azione che di solito faceva impazzire tutti quegli spregevoli esseri.

Le faceva schifo, ma amava avere del denaro ed essere bella allo stesso tempo.

Seokjin scosse il capo. «Non funziona su di me.»
Lei lanciò il braccio in aria, sospirando. «Non dirmi che anche tu sei come Jungkook: sarebbe proprio il colmo.»
«Mi interessa solo il denaro, non certo una donna, né un uomo. Perché perdere tempo davanti a pratiche tanto futili? Tu saresti in grado di prenderti tutte le mie proprietà ed io ne goderei, se fossi debole.»

Avido di denaro: sbavava dietro ad una banconota profumata e fresca di stampa e osservare una monetina dorata; era proprio questo il suo modo per eccitarsi. Era diventato tutto buio, in quella stanza, dato che aveva spento anche l'unico lume, impedendo alla ragazza di fare i suoi soliti giochetti. La sensualità era quel che più non temeva, poiché anche lui un grandissimo esperto di finzione e capiva quando un attore stava recitando su quel palcoscenico della vita.
Scoppiò in una risata, quando Soyeon se ne fu andata, la quale risuonò per tutta la cavità del proprio corpo e rimbalzò su ogni parete, come se tutte non avessero intenzione di assorbire quel terribile suono.

Troppo facile, troppo facile! Quel piano stava funzionando nella migliore maniera e adorava così tanto giocare con le vite di ognuno di loro. E così Jungkook e Taehyung avevano una relazione sentimentale: perché non sfruttarla a proprio vantaggio, per arrivare più celermente al traguardo tanto desiderato?

Si avvicinò all'unica, piccola, finestra, di quello studio - non gli piaceva tanto la luce - e intravide come la Luna stesse scappando dal proprio sguardo che le incuteva terrore. Il suo sorriso deliziato dal profumo della ricchezza che diventava sempre più parte del proprio patrimonio, basato sulla cultura quanto stupidità degli individui, accresceva a dismisura, divenendo orrido.
Tutto volle scappare da quella visione cupa. Brillava di malvagità, era quel mostro più pericoloso che fosse mai esistito sulla faccia della terra: l'avaro, il culmine di tutti gli stereotipi, colui che ne racchiudeva ogni caratteristica.

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