「11/01/1867」
41.
Se avesse potuto scegliere seguendo i propri desideri più passionali, senza indugio avrebbe deciso di rimanere con Jungkook e prendere quel treno assieme per poter tornare a casa. Tuttavia, bisognava ricordare come quel treno non conducesse verso la cara Austria e la loro Vienna, ormai la nuova città, luogo adattissimo in cui vivere e cominciare una nuova vita. Ma da quando avevano scoperto che nessuno li ricercava più, quella scusa si era un attimo allentata e nessun motivo li teneva avvinghiati a quel luogo paradisiaco, costernato di bei ricordi. Ciò che era migliore da compiere, era andare via da Parigi e scendere verso Firenze, la lontana località che era sempre parsa remota, come fosse dall'altra parte del globo.
Doveva permettere ad entrambi di inseguire i loro sogni, era così stranito quando si rese conto che non era l'amore ad essere la forza maggiore dell'universo.
Entrambi erano giunti davanti a quel treno in partenza, Taehyung con un paio di valigie, una per ogni mano, che sorreggeva senza sforzarsi più di tanto, poiché i suoi averi erano poco e nulla e ciò che le riempiva erano i vestiti che Jimin era stato disponibile a prestare; anche lui non smise neanche per un attimo dell'essere affranto ma rassegnato dalla decisione.
Quella mattina non era lì con Jungkook, perché il ragazzo aveva esplicitamente chiesto di lasciarlo con Taehyung, in modo da dargli l'ultimo addio il meglio che poteva.
L'ultimo bacio prima dei successivi mesi se lo erano già scambiato prima di entrare nella stazione, di nascosto da tutti gli sguardi indiscreti.
Nostalgico, umido, speranzoso e paziente per gli altri baci che non arrivarono mai, contrariamente alle solite attitudini. Jungkook si offrì volenteroso di poggiare le valigie sul vagone al posto dell'altro, ma quest'ultimo si rifiutò categoricamente: sapeva benissimo che l'avrebbe fatto distrarre e l'avrebbe spinto, con il solo sguardo, a non partire più. Ecco perché neanche lo stava più guardando, non doveva essere trascinato nelle debolezze.
«Taehyung, volevo solo salutarti come si deve. Potresti... girarti?» chiese speranzoso. Gli parve come se Tae fosse algido, poiché non si mosse per realizzare la sua richiesta, né proseguì nel camminare assieme alle sue valigie.
Aveva corso, qualche metro prima: non era in ritardo, poiché la partenza era prevista per dieci minuti dopo, ma comunque il respiro accelerato non accennava a terminare, probabilmente a causa della voce di Jungkook, soave, diafana, musicante delle note della malinconia, come se il suo corpo ne fosse lo strumento, che l'aveva appena richiamato.
Taehyung scosse la testa. Se si fosse voltato, avrebbe ceduto.
«Mi dispiace, Kookie, ma sei la mia debolezza. Se mai dovessi rivedere il tuo viso e sorriso, finirei per lasciar cadere queste valigie per terra perché non mi importerebbe più nulla.»
«E a te importa.» sottolineò in disdetta la sua conclusione.
Le spalle di Taehyung, viste da quell'angolazione e distanza erano davvero intriganti: non che non lo fossero in altre posizioni, ma quella era proprio la migliore.
Il moro annuì, proseguendo di qualche altro passo più avanti.
Straziante: la sensazione che stava avvertendo era paragonabile a quella di centinaia di spade che lo avevano appena trafitto, provocando un rumore sordo. Spade sguainate, la punta di ogni lama era entrata con dolcezza all'interno del suo petto, e aveva proseguito ad essere così cauta in modo da poterlo uccidere più lentamente, in un mare di speranze della vita, quando invece ciò che gli spettava non era altro che il dolore eterno e l'oblio.
Taehyung chiuse gli occhi: il dolore lo avvertiva anche se stava accadendo solo nella sua testa. Temibile.
«Tornerò presto. Lambert mi ha detto ad aprile e sono sicuro che rispetteremo i tempi.»
"E se tu decidessi di restare, perché quel luogo ti piace troppo? Come potrei anche solo biasimarti per questo?" Avrebbe desiderato chiedere, ma la sua lingua non fu abbastanza forte, poiché rimase aggrovigliata e avvertì che non era quasi più in grado di deglutire. La sua bocca era arida, priva di parola.
Fu allora che, quando Taehyung riaprì gli occhi, che Jungkook li chiuse, dandosi il cambio.
Immaginò che niente di tutto quello stesse accadendo, così malinconico. Avvertiva forse del masochismo in se stesso, che non si era opposto più dopo la discussione iniziale.
Ce l'avrebbe fatta a sopportare: mesi prima era stato per lunghi periodi senza Taehyung, non era cambiato nulla rispetto al passato.
Insomma, ma chi doveva prendere in giro? Era cambiato proprio tutto. Credette che dietro quelle sue palpebre non ci fosse il treno fatto di fredde lamine di ferro e che emanava vapore dalla ciminiera, ma ci fosse il cielo limpido della notte, decorata in ogni dove da quelle magnifiche stelle, sognatrici quanto lui.
Pensò alla sua figura che allargava le braccia, sopra quel manto d'erba del colle che ormai faceva parte della sua lontana memoria, sebbene fosse presente a Parigi.
Quelle ore che passarono, sembrò come se non esistettero: gli parve che, dal momento in cui il treno era sparito dalla sua vista, gli fosse comparso davanti direttamente proprio quel cielo. Montmartre era così bella la sera e non avrebbe mai smesso di ripeterlo. Non era bella, era proprio un incanto, come se fosse un paesaggio di quelle storielle che si raccontano ai bambini per renderli attoniti e far loro credere dell'esistenza della magia. Si era steso per terra, su quel vecchio terreno che conservava ancora le impronte del corpo sue e di Taehyung; allungò una mano, credendo di star per afferrare una fonte di calore.
Lo sperò fino in fondo.
La Luna non c'era neanche, per aiutarlo.
Era da un po' che non alzava gli occhi per osservare quanto fosse spettacolare: gli mancava come se lei fosse il suo ossigeno, come se non fosse in grado di vivere senza quella donna del cielo. Jungkook stringeva i denti e le chiedeva, pure se era coperta da quel manto delle nuvole invernali, di proteggerli entrambi, e di portare il messaggio del suo viso.
Quando avrebbe rivisto la Luna, allora, avrebbe visto il volto di Taehyung, felice, perché anche se non erano vicini, erano assieme a loro modo.
Quando avrebbe visto la Luna in tutta la sua bellezza, senza le nuvole a coprirla imbarazzata, allora sarebbe significato che tutto era giunto ad una fine e l'angoscia avrebbe smesso di esistere.
Poggiò la mano sul proprio cuore, quella che non aveva afferrato nessuna fonte di calore, e avvertì come nel suo petto ci fosse un tamburo che andava a ritmo della musica della natura.
Era sicuro che il suo e quello di Taehyung continuassero ad avere lo stesso ritmo, poiché sulla stessa lunghezza d'onda, parte dello stesso strumento musicale.
Perché l'aveva fatto, perché l'aveva lasciato andare? Gli ripeteva sempre di amarlo ma non aveva lottato abbastanza per ribadirglielo e adesso stava andando avanti con la convinzione che era il modo migliore per dimostrare i suoi sentimenti.
Gli sarebbe mancata anche solo la sua mano: non sarebbe stato impaziente ed incontentabile come Orfeo, si sarebbe fidato della sua Luna: gli bastava solo quella mano, il calore di Taehyung trasmesso attraverso la luce di quella madre comune.
Probabilmente si addormentò: non ne fu sicuro, ma la cosa più certa era quella che quel calore che richiedeva lo avvolse proprio dove ne aveva più bisogno ed aveva il profumo che desiderava.
Se non fosse stato per quella sera, nella quale capì, come stare accanto ad una persona anche non fisicamente, probabilmente non avrebbe avuto più per mesi l'armonico sorriso.
Di giorno in giorno, Jimin rimase sempre più stupito da Jungkook, seduto alla scrivania ore ed ore quasi ne fosse incatenato, come una prigione.
Eppure a lui piaceva stare lì: rifiutava anche di giungere in salone per poter consumare il pranzo o la cena. Uno di quei giorni aveva saltato anche la colazione poiché aveva scelto la notte come momento più produttivo della giornata. Non gli serviva dormire, non era abbastanza stanco e gli bastavano dalle cinque alle sei ore di riposo, senza altre pause. Si era dimenticato per quanto tempo era in grado di stare diligentemente seduto senza venir distratto da niente e nessuno. La penna volava veloce tra le sue dita, come un fulmine, e in un batter d'occhio il foglio era colmo di inchiostro. Si sentiva così fiero di se stesso quando lasciava la sedia da sola per stiracchiarsi e notava il quantitativo di carta che aveva imbrattato.
Proprio quando percepì il morso pungente della fame, tipico del mezzogiorno, avvertì qualcuno bussare alla biblioteca domestica, stanza dove lui stava, e si affrettò a mostrare il suo viso con un grande sorriso sulle sue labbra.
«È successo qualcosa?» chiese, quando il bel ragazzo biondino fece capolino davanti a sé con uno sguardo serio e preoccupato, che si mordeva il labbro ansiosamente.
Intuì cosa gli stava per chiedere, ma la risposta provenne da un mugugno pensoso e una scossa del capo. Non aveva tempo per andare a mangiare, non quando nella storia stava facendo accadere qualcosa di interessante. Già al capitolo otto, ma senza ancora una singola idea di titolo.
Seokjin voleva gli intrighi e lui era ben lieto di donarglieli. Del resto non era il pubblico quello che doveva soddisfare di più, poiché si sa che la gente legge qualsiasi cosa le viene proposta, soprattutto se se la ritrova a capitoli sul giornale locale; la preoccupazione principale riguardava l'editore stesso, per cui era attento a curare ogni singola virgola. Non applicava più lo stesso metodo del passato: ciò che produceva, se corretto grammaticalmente, era perfetto perché presentato nella sua mente in una cornice magnifica, ovvero il suo immenso genio. Solo alla fine avrebbe rivisitato l'opera per constatare la coerenza tra i vari capitoli: non era molto un tipo che riusciva ad essere coerente con se stesso, ma non esserne totalmente in grado non significava non poter intraprendere ugualmente quel lavoro. Più adesso ci pensava, più credeva che anni prima era stato davvero uno stupido a dubitare di se stesso in principio.
Forse, sapere che quell'opera aveva più chances che mai nella pubblicazione, lo aveva incitato ancora di più nello scrivere. Tanto, sarebbe stata perfetta a prescindere! Perfetta perché sua.
«Sapessi almeno di che parla quel mostro che ti sei messo a scrivere di tanto gusto. Due settimane sono passate da quando Taehyung se ne è andato? Da una parte sembri distrutto, perché ti vedo sempre a lavorare come un disperato, ma dall'altra sembri così allegro.» allargò le braccia, Jimin, che non riusciva a capire la sua logica. Non era il ragazzo che aveva ripetuto più volte che avrebbe dato di matto senza Taehyung?
Jungkook si stiracchiò per la seconda volta, poggiando il collo sullo stipite della porta, e mugugnando.
L'amico gli chiese insistentemente se avesse dormito quella notte, ma la verità era che l'altro non lo sapeva affatto. Probabilmente i suoi sogni si erano confusi con la realtà dell'aver dormito, poiché gli era parso di essere giunto in quella dimensione creata dalla sua stilografica; se non aveva dormito, voleva dire che i personaggi erano comparsi realmente davanti al suo viso spensierato.
Che giorno era? Non lo sapeva neanche più? C'era la Luna piena? Non era affar suo, quella donna gli trasmetteva ugualmente la presenza di Taehyung anche con il semplice soffio di vento proveniente dalla sua bocca.
Il sospiro di quella bellissima donna che ballava nella notte assieme alle passioni di entrambi i ragazzi che erano volati nel cielo in turbine di emozioni, di nostalgia?
Il cuore di Jungkook batteva, se batteva era vivo, vivo perché animato dall'amore.
«Che hai preparato di buono?» chiese allora il minore, sistemandosi i capelli tirandoli indietro — Jimin abbassò il capo, deciso a non assistere all'azione, piuttosto indietreggiò di qualche passo.
«Timballo di carne. Ricetta di casa Min, questa volta.» gli sorrise cordiale. «Ma poi mi racconterai di che parla quella storia?»
Jungkook annuì con frenesia, tuttavia sicuro che non glielo avrebbe detto finché non fosse arrivato alla fine. Ce l'aveva tutta nella sua mente, oltre gli appunti di Seokjin che ormai sapeva a memoria, poiché sembrava che avesse vissuto quelle situazioni di persona e che le avesse provate sulla sua pelle.
Quel segreto nascosto tra la carta e l'inchiostro che Jungkook era restio a tenerlo per sé un altro po', era principalmente la storia di un uomo, fallito quanto ricco, che da anni passava ogni suo dormiveglia, prima di lasciarsi andare all'ebbrezza del sonno, a ripensare al suo passato, a ciò che aveva compiuto negli anni precedenti e che lo aveva reso il miserabile che era. Sebbene le vesti, non era altro che un'orrida figura, quel tipo di persona che da giovane odiava e che sperava di non diventare mai, altrimenti avrebbe commesso suicidio. Il colmo qual era? Quel tipo di persona era troppo ricco e felice per la propria vita, senza alcun problema sociale, per potersi togliere la vita da solo. Si immaginava allora che, ogni tredici del mese, giungesse da lui un uomo mascherato che gli affliggeva una morte violenta in nome di Marte. Essersene andato in pace o meno? Jungkook aveva già scritto delle tende decorate per ogni singolo dettaglio e di come la luce giungesse azzurrina in quella stanza, illuminando il volto vecchio dell'uomo, colmo di rughe e svuotato della gioia di vivere, la quale aveva volentieri ceduto il posto al voler essere sopraffatti dalla morte, arrivando così ad una dimensione più clemente della vita. Pure l'Inferno gli andava bene, ma nulla sarebbe stato estenuante come rimanere in vita, parlare con gli altri uomini di buone maniere e baciare il palmo delle mani alle donne, fingendo di farlo per cortesia e non per costrizione.
Giungeva dunque, più volte, questa sagoma indistinta tra l'oblio delle ombre, come se si stesse nascondendo dalla luce, oltre che dalle persone: l'essere indossava una maschera da tigre, ma i suoi occhi erano realmente allungati come se fosse un animale feroce, sebbene non li lasciasse vedere. Lo stava per sbranare vivo, quell'essere, ma ad ogni tredici del mese c'era qualcosa, magari la sua buona stella, che lo frenava e lasciava l'uomo in vita, come se lo desiderasse o anche lo meritasse.
L'essere, mezzo uomo e mezzo animale, dalla forma cangiante a seconda delle sue emozioni e dalla lucidità, era sempre sul punto di realizzare il suo desiderio, ma non ci riusciva. Dopo esattamente 13 anni passati a meditare su quella belva, la mente dell'uomo fu spinta a credere che l'essere lo stesse finalmente sbranando, maciullando, sgranocchiando i suoi ossicini nella sua bocca, mentre rimaneva la sua testa sul comodino, colmo di sangue denso, che colava fino a terra, i cui occhi facevano finta di fissare, quando invece erano coperti da una patina bianca, i quali però esprimevano soddisfazione e liberazione.
Cosa aveva fatto di tanto cattivo anni prima, nella sua vita? Aveva ucciso, dato senza pietà delle anime innocenti alla condanna della pena di morte, in qualità di giudice che era. La vittima più grande? Sua moglie, l'unica donna che avesse mai amato più di qualsiasi altra cosa.
L'aveva sbranato lui stesso.
Ironia della sorte, immaginava che la fantomatica tigre, mentre si cibava dei suoi organi e tessuti, avesse le sembianze da uomo, così come aveva fatto in passato con la sua donna.
Risvegliarsi o essere sopraffatti e addormentarsi fino a raggiungere l'eternità?
Non poteva togliere anni al suo corpo, ancora in forze per continuare a fare tanti altri chilometri di cammino, ma nessuno gli avrebbe detto niente se ad esserne l'artefice fosse proprio qualcun altro?
Se stesso nelle sembianze di qualcun altro. Pareva un tantino più realizzabile, in questa maniera.
Il timballo era realmente delizioso.
Delizioso così come lo era il brusio della carta affrancata, appena passata attraverso la cassetta postale e che toccò il pavimento con una leggerezza quasi impercettibile, paragonabile alla massa di una foglia.
Jungkook alzò velocemente lo sguardo, quasi fosse un gatto all'erta, il quale notò immediatamente quella tipica carta: avvicinandosi, si rese conto che la utilizzava solamente una tra tutte le persone che conosceva. Non riuscì a trattenere quel sorriso e i suoi occhi brillarono. Portò la lettera al petto, senza emettere un suono, e tornò a sedersi al tavolo accanto a Yoongi e Jimin, i quali erano già passati a gustare un po' di frutta, tra cui mele e mandarini.
<<«Stai esplodendo dalla felicità, ma non abbastanza. Solitamente urli, oggi che ti succede?»>> chiese il maggiore tra tutti quanti, il quale provocò allegria in Jimin, lì vicino a lui.
«Oggi mi andava di conservare la mia voce.» mentì. Semplicemente, aveva perso tutte le parole, non sapeva come esprimersi. «Tae mi ha scritto, non avevo dubbi che non avrebbe perso tempo.»
Kook abbassò gli occhi con le gote arrossate dalla dolcezza. Dopo qualche attimo passato ad accarezzare quella carta profumata giallognola, profumata di lavanda e segnata con la particolare firma di Taehyung, tolse con attenzione il sigillo, in modo da non rovinarla, e la lesse, sotto gli occhi dei suoi amici.
Jungkookie!
Sono così felice di essere qui, a Firenze, in questa cittadina magnifica, colma di opere artistiche da togliere il fiato. Allo stesso tempo, sono combattuto, perché so che ti sarebbe piaciuta tantissimo, dunque hai perso un'occasione magnifica. Ma la vita è lunga, scommetto che ti rifarai in futuro e visiterai — visiteremo — tutti i posti che ci mancano da vedere e che tanti hanno consigliato. Dicono che Venezia sia bellissima ugualmente e Roma sia incredibile, su un altro pianeta. Mi vengono i brividi solamente a pensarci. L'arte italiana è qualcosa di stupefacente, ma non posso dire lo stesso della lingua: è musicale, ma trovo che sia abbastanza spassoso l'accento. Sto già imparando alcune parole, credo che sia fantastico, così quando sarò tornato a casa saprò ben tre lingue, ovvero francese, tedesco e italiano. Comunque, ho appena iniziato i corsi che il signor Lambert mi ha designato: attualmente sto frequentando dalla mattina fino alla sera una bottega vicino alla Cattedrale, con una pausa pranzo di un paio d'ore nella quale posso fare anche un giro per la città. Incredibilmente, sono già a buon punto per la realizzazione del mio primo quadro: il mio maestro mi sta istruendo per tutte le tecniche del dipinto ad olio e ho deciso proprio di iniziare con un soggetto che amiamo tantissimo, ovvero la luna. Avrei disegnato te, ma non ti avevo davanti, quindi avrei sbagliato i tuoi peculiari dettagli, mi sarebbe tanto dispiaciuto. Quando torno, però, ti metti in posa e ti fai dipingere, e questi sono ordini. In pochi giorni ho imparato tanto, sono davvero euforico, significa forse che ho talento da vendere e che ho sempre tenuto nascosto, mostrandolo solo in rare occasioni? Mi è sempre piaciuto il disegno e vedere che quelle linee assumono sembianze nitide non mi fa che essere soddisfatto di me stesso. A te, invece? Spero che il tuo libro stia procedendo bene, ci penso ogni notte, anche ai tuoi successi e mi piacerebbe sul serio ricevere una tua risposta.
Ciao, Jungkookie, ti voglio bene.
Jimin, intanto, si era avvicinato a lui per sbirciare nella lettera, e sogghignava contento.
«Il fidanzatino sente la tua mancanza.» ridacchiò, facendolo arrossire.
Ah, pensarci gli provocava sempre rossore sulle gote.
Ed era quasi mistico.
Si avvicinò anche Yoongi, con una forchetta in bocca che dondolava con abilità, ma che gli toglieva anche la visuale oltre il naso.
«Che carino, Taehyung è proprio un ragazzo d'oro.» poggiò una mano sulla spalla di Jungkook, scrollandola.
«Carinissimo, solo una cosa-» tolse la posata dalle labbra «in Italia gli hanno anche insegnato a scrivere in questo modo? È molto più elegante la calligrafia, adesso, mi piace.» commentò.
Il bruno aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso l'amico in confusione, non riuscendo proprio a comprendere a cosa si stesse riferendo.
«È sempre stata così, non l'ha cambiata.»
«Ma sì invece, guarda,» ribatté, indicando un rigo e poi gli altri successivi «la acca e la elle le faceva con la pancetta. Me lo ricordo benissimo, qualche giorno fa stava riordinando la sua roba per partire e ho notato una penna stilografica, per cui l'ho presa e lui stava lì, quindi l'ha provata per farmi vedere quanto la punta scivolasse bene sulla carta. Mi ha anche detto che la sua scrittura, per alcune lettere, assomiglia a quella di una ragazza: così ordinata e delicata, per esempio la acca e la elle. Dai, non me lo sono inventato. Avrà fatto anche corsi di calligrafia ed avrà imparato subito. Non mi stupirei, quel ragazzo è un genio.»
Lo scrittore, non più fallito, mise nuovamente la lettera sotto il suo sguardo e la analizzò con più attenzione, controllando anche ogni angolazione.
«Dai, adesso non fare il serio e non sembrare ossessivo,» lo scrollò nuovamente e Jimin gli tolse il foglio dalle mani «si sarà esercitato anche per migliorare quello.»
Jungkook scosse il capo freneticamente, alzandosi in piedi di scatto. «No! Una volta Tae mi ha confessato quanto trovasse carina la sua scrittura. Va bene, gli sembrava quella di una ragazza, ma non l'avrebbe mai cambiata. Questo mi sembra un controsenso.»
«Magari ha cambiato idea, stai calmo.» commentò il biondino, porgendogli nuovamente il foglio. Gli sorrise, quando smise di agitarsi anche solo con il respiro che nel frattempo aveva accelerato, per cui approfittò del momento per chiedergli di uscire durante il pomeriggio, dato che ultimamente Jungkook stava passando anche troppo tempo sui libri e vedeva la luce del sole direttamente da giorni, aveva il timore che l'amico di fosse dimenticato di quanto fosse calda: una vera e propria salvezza in quei freddi giorni d'inverno, che durante il mezzogiorno offriva riparo a tutti quanti.
Il minore non poté opporsi nell'accettare la proposta: tanto era a buon punto e quella lettera l'aveva fatto distrarre in maniera irreparabile, per cui si disse che avrebbe ricominciato il giorno dopo, oppure quella notte, momento della giornata dove l'ispirazione arriva come se cadesse dal cielo sotto forma di pioggia.
Sebbene tutte le distrazioni, non poteva fare a meno di pensare ad un dettaglio: Taehyung era solito dare alla Luna il suo nome proprio, con la lettera maiuscola.
Ma nessuno stava mentendo: a Taehyung piaceva davvero quella città e, se avesse potuto, si sarebbe trasferito lì; la sua vita era da un'altra parte, per cui non sarebbe mai potuto accadere. Era vero anche il fatto che passeggiava per un paio d'ore al giorno per visitare tutte le strade di Firenze e che era molto impegnato nella bottega.
Tuttavia, era proprio il signor Lambert che era il suo maestro.
La bottega aveva giusto un cavalletto e un paio di sgabelli, poi tutte le librerie dove erano posizionati i libri d'arte e le varie tele poste per terra. La stanza era piccola ma non angusta, bastava e avanzava per due persone. Gli dispiaceva che Lambert fosse lì a fissarlo tutto il giorno, per istruirlo.
Era di ottima compagnia, poiché parlavano dalla mattina alla sera e non si vedevano solo al mezzogiorno e alla notte, dove Taehyung andava a dormire in un piccolo appartamentino non tanto lontano da lì. La posizione era ottima e non avrebbe potuto desiderare di meglio, poiché dal suo balcone in via dei Servi poteva intravedere quel magnifico scorcio di Santa Maria del Fiore e restarne ammaliato ogni alba, il momento che considerava migliore per ammirarla in tutto il suo splendore.
Le luci del cielo, a quell'ora, rendevano l'architettura, un pezzo stesso della natura, quasi fosse una montagna particolareggiata, diversa, ma simile a tutte le altre.
In bottega, non vedeva affatto le luci della giornata cambiare e diventare diverse ad ogni ora, poiché era concentrato sul suo lavoro come se fosse solamente quella l'unica cosa importante.
Certo, la Luna era la donna migliore tra tutte quante, avrebbe dovuto descriverla nel modo che lei meritava, come se stesse realizzando il ritratto di sua madre, per cui spendeva tempo ed energie ad aggiustare un dettaglio apparentemente insignificante. Lambert lo spingeva a dare qualche pennellata per modificare le sfumature. "Quando pensi che un lavoro sia quasi finito, stai pur certo che sei ancora alla base. Ci vorrà molto di più per renderlo reale: devi poterlo tastare con le tue dita".
Il maestro gli aveva mostrato i vari dipinti che aveva fatto e Taehyung ne era rimasto ammaliato: il più bello raffigurava un paio di mani giunte, colme di dettagli e che Taehyung avvertiva di poterle toccare con le proprie dita.
Il suo punto di arrivo era una tale perfezione e avere un uomo di tale bravura come insegnante non poteva fare altro che spronarlo a fare sempre meglio.
«Quando potrò scrivere a casa? Mi mancheranno più di oggi, prima o poi...»
«Quando finirai questo quadro, potremmo cominciare a pensarci. Non voglio che tu stia sempre attaccato alla tua vita a Parigi, sebbene tu voglia tanto bene a tutti loro, ma trovo che debba avere la mente settata su questo lavoro, almeno per un po' senza distrarti. E se ti dovesse venire la nostalgia di casa e decidessi di lasciare tutto seduta stante, assieme al tuo talento?»
Taehyung si morse il labbro e riprese a muovere il pennello tra le dita, con calibrata potenza, che non era altro che delicatezza.
Dopo qualche secondo di silenzio, Ménétios decise di intervenire nuovamente, poiché la conversazione si era interrotta.
Essa era avvenuta proprio due giorni dopo essere arrivati a Firenze, prima che giungesse quella lettera a Parigi.
«Vuoi tanto bene a quel ragazzo, Jungkook, vero?»
Taehyung sorrise, imbarazzato.
«Sì, tantissimo. Io lo chiamo Kookie, a volte, ovvero il diminutivo di Jungkookie, un nomignolo che gli ha affibbiato mia sorella.»
Era così addolcito dal pensiero che abbassò il pennello e rimase a pensare, fissando la trementina giallognola.
«Dimmi di più, voglio sapere di più di te, Taehyung. Siamo amici, no? Gli amici si conoscono. Per esempio, io una casa qui vicino dove abito con mia moglie e il mio unico figlio. Mia moglie è italiana, Penelope, per questo ho deciso di trasferirmi qui: avevo delle radici su cui basarmi.»
Era palesemente un modo per tirargli fuori qualcosa dalla bocca con la lingua annodata.
La risposta dell'altro non tardò ad arrivare: «Per un po' ho vissuto a Vienna con Jungkook, invece. Quasi due anni fa, sono arrivato lì, più o meno. È stato un anno e mezzo stupendo, che non scambierei per nulla al mondo.»
«Sei molto legato a lui, mh?» chiese incuriosito, poggiando la mano sotto al suo mento.
Tae annuí, muovendo distrattamente il pennello sulla tela, attendo però a colpire sempre lo stesso punto per non avere disparità cromatiche.
«Sì. Avrei volentieri disegnato lui come primo quadro, se lo avessi avuto davanti, ma non è stato possibile. Quando tornerò, per forza, gliene dipingerò uno: sarebbe bellissimo in un suo ritratto, più del solito. E, invece, ho preferito un dipinto riguardante la Luna, che posso osservare sempre e ogni sera posso rinnovare il mio ricordo. Anche lei è importantissima, sia nella mia vita sia in quella di Jungkook.»
Ménétios annuì, comprensivo e interessato. «La luna? Trovo che sia un ottimo soggetto. Molto introspettiva e neanche troppo da principianti.»
Tae annuì, grato che avesse compreso la sua situazione.
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