「10/12/1866」

38.

Gli occhi di Jimin diventarono sfavillanti non appena lesse chi era il mittente di quella lettera: questa volta non gliela aveva mandata in occasione del suo compleanno, ma giusto per fargli un saluto e per raccontargli un po' come stava andando da lui. Da Jungkook, che era rimasto in Austria e che, per quei mesi, non aveva più avuto l'intenzione di ritornare nella sua città nativa, se la stava passando abbastanza bene. V, così lo chiamava ancora, gli stava facendo passare i giorni più belli della sua vita e ogni giornata che trascorreva si rendeva conto che era veramente innamorato di quel ragazzo. Inevitabile avere la testa messa completamente in disordine per quel giovane dalla bellezza eroica e marmorea: ogni emozione era nuova, le stava scoprendo tutte quante, si stava realmente rendendo conto di come fosse bello ridere per così tante cose - più di prima - sempre con fitte più intense del cuore che gli piaceva provare e per questo il più delle volte si definiva masochista.
A Jimin faceva piacere anche immaginare la sua voce tramite le parole che teneva scritte davanti a sé: era incredibile quanto quel ragazzo fosse in grado di farlo sorridere così tanto, migliorando la sua giornata esponenzialmente. Non lo sapeva il perché, anche se a causa sua era stato male per un certo periodo di tempo: forse era il modo sincero in sui si era scusato con lui, così dispiaciuto e alla ricerca di misericordia e clemenza, che gli aveva inculcato l'idea che Kook fosse proprio una brava persona e un bravo amico. Anche se era possibile parlarsi sempre, non importava, perché anche il solo pensiero reciproco di tanto in tanto bastava e rallegrava la giornata di entrambi.
Sorrise ancora di più, quando giunse alla fine della lettera.

"Taehyung ed io abbiamo preso una decisione. Per la verità, mi ha convinto lui, io ero un po' scettico, ma forse non sarà tanto male come idea. Sai, vorremmo tornare a Parigi per una settimana circa, per passare assieme le festività natalizie e andarcene dopo l'inizio del nuovo anno. Essendomi riconciliato con Namjoon, rincontrarmi con lui sarà molto bello, soprattutto perché poi non ci siamo sentiti più. Neanche con gli altri ho avuto qualche contatto, per cui non so se alla fine Nam è tornato a casa loro oppure è rimasto nella vecchia casa di Tae. Poi, lui non vede sua sorella da chissà quanto tempo, per cui è stato questo il motivo che mi ha persuaso del tutto. Sarebbe meraviglioso passare un Natale tutti assieme riuniti attorno allo stesso tavolo, ma a causa di diverse complicazioni non sarà possibile. Fa nulla: io e Tae abbiamo deciso di andare da una casa all'altra a trovare tutti quanti, compresi te e Yoongi. Ah, a proposito, come va con Yoongi? Spero bene e che voi due siate innamorati così come lo sono io di questo ragazzo fastidioso che mi sta accant "
Mancava una lettera, sostituita da una riga di inchiostro, probabilmente perché Taehyung stava giocando con Jungkook e così facendo gli aveva fatto sbavare la scritta.
Jimin rise, immaginandosi la dolce scena dei due che si atteggiavano come dei bambini.
"Bene, l'ho cacciato via, adesso continuo. Partiremo il 21 e arriveremo a Parigi il 23, se ovviamente il treno funzionerà alla perfezione. Ma suppongo di sì, non ci deluderà e passeremo delle buone feste. Ah, Jimin! Mi manchi un pochino tanto, non vedo l'ora di riabbracciarti."

Jimin sorrise ancora: mai avrebbe immaginato che sarebbe stato così rallegrato da quel ragazzo che aveva incontrato una sera al bar e con cui aveva deciso di passare la notte.
Il corso degli eventi e il destino avevano fatto di tutto per andare in suo favore, quella volta, per cui non poteva non rendere felice Jungkook di ricambio: era in dovere di fargli un meraviglioso regalo e sapeva già quale.
«Min Yoongi!» urlò, al fine di chiamare il suo ragazzo dall'altra stanza, che era intento ad armeggiare con qualche libro e varie carte. C'è da aggiungere che aveva deciso di aiutare Jimin nel suo lavoro per poter tirare avanti - anche se teoricamente avrebbe potuto vivere di rendita, ma sarebbe parso che aveva scelto Jimin solo per pura convenienza, cosa che non era affatto vera. Min Yoongi, il direttore d'orchestra, invece? Il suo nome aleggiava ancora nell'aria soprattutto dopo che lo avevano avvistato girovagare di nuovo per Parigi: per cui la decisione che a lui sembrò la migliore fu quella di annunciare il suo ritiro a vita privata fino a data da destinarsi.
E semplicemente fecero passare la loro amicizia come normale conoscenza fin dall'infanzia, - come difatti lo era - perché a prescindere non potevano rivelarsi come coppia. Non sarebbe stato pericoloso, ma addirittura suicida.

«Eh, che c'è? Ti sto aiutando con questo tizio qui. Ha scritto un sacco di pagine e devo sorbirmele tutte quante io. Ti pare giusto?»
Jimin ridacchiò, per cui si alzò dalla scrivania e camminò verso la stanza comunicante al suo ufficio dove si era posizionato Yoongi. Le pareti erano tappezzate di librerie ricolme di tomi così come nella stanza di Jimin e in ogni dove vi era profumo di carta: l'odore della nuova e quello della vecchia si mescolavano in un intruglio spettacolare.
«Certo che mi pare giusto, sai quante volte l'ho fatto io. Mi sono dovuto leggere tantissimi romanzi da capo a coda.»

«Ma perché non scartare già da subito quelli che sono scritti male o che non vanno bene in generale? Perdiamo solo un sacco di tempo.»
«Perché tutti devono avere una possibilità. Magari quel giorno in cui l'autore ha scritto il capitolo che tu definisci "fatto male" lui non stava bene psicologicamente, ma poi si è ripreso con un finale mozzafiato. Se lo escludi dall'inizio, poi finisci per aver perso un capolavoro solo per la tua pigrizia.»
«Ma sono solo uno, non ce la faccio da solo, sono ottocento pagine.»
«Si leggono in quattro giorni e anche di meno.» alzò un sopracciglio fiero e sicuro.
«Solo perché tu sei abituato e sai leggere velocemente. I libri non sono tanto importanti per me e lo sai, ma se uso le mie mani sul pianoforte, quelle sì che sono celeri.»
«Non solo sul pianoforte: anche su di me le tue mani sono celeri, no?» chiese con malizia, incrociando le braccia al petto e poggiandosi con la schiena allo stipite della porta. Fu così soddisfacente osservarlo arrossire sotto quegli occhiali da lettura e sotto quei ciuffi dalle punte grigiastre.

«Non è il momento di provocarmi così, altrimenti non mi sbrigo più con questo libro.» deglutì, ritornando col capo chino sui fogli.
«Invece devi farmi davvero un favore Yoon, proprio adesso. Nel senso che ti alzi da quella scrivania e riprendi a leggere il libro più tardi o anche domani.»
Yoongi alzò un sopracciglio, confuso, in attesa di una spiegazione più chiara.
«Devi andare a parlare con Namjoon e risolvere la questione una volta per tutte.»

Quasi il maggiore non scoppiò a ridere a seguito di quella richiesta. Non per cattiveria nei confronti di Nam, ma semplicemente per quanto fosse stata fatta su due piedi e senza un rilevante motivo.
«Ma abbiamo già chiarito. Quando l'ho mollato è finito tutto, poi non l'ho rivisto più. A proposito, che fine ha fatto?»
Jimin alzò gli occhi al cielo, roteandoli. «Lo dici come se aveste litigato e quindi è diventato un estraneo per te e non dovessi mai più rivederlo neanche per sbaglio.»
«Ma come mai questa richiesta improvvisa, dopo che tu stesso non volevi che stessi con Namjoon per mettermi con te?»
«È un regalo di Natale, sono disposto a fare uno sforzo. Anche perché ormai so che ti ho per me e non ho paura. Quel ragazzo poi non mi hai mai fatto nulla di male direttamente, per cui potrei provare anche a farci... amicizia?»

Detto ciò lanciò la lettera sulla scrivania, in modo che Yoongi potesse afferrarla tra le mani e leggerla attentamente.

Ci stette un paio di minuti, annuendo ogni tanto ed addolcito da qualche frase, ma alla fine Yoongi sospirò. «Chim, capisco che tu voglia bene a Jungkook, ma non si può fare. Sono ferite indelebili che non posso sanare con una semplice conversazione. Per me e per lui non sarà mai più come un tempo e di certo andare lì e chiedendogli di cantare assieme delle melodie natalizie davanti al camino, con tutti gli altri, d'altronde a casa tua dove ormai posso dire che abito anche io per quanto spesso ci sono, sarebbe solo una grandissima figura di merda. Mettendomi nei suoi panni, riesco a percepire la sua frustrazione anche se non vorrei farlo. Ho fatto una scelta ed è quella di stare con te.»

Jimin annuì, comprensivo. «Ci starebbe male, non lo metto in dubbio. Ma forse provare a ricostituire un buon rapporto, almeno di amicizia, sarebbe la cosa migliore. Da quel che ho capito dalla lettera, Namjoon potrebbe anche essere rimasto da solo in casa vecchia di Taehyung: se lo dice Jungkook, vuol dire che lo farebbe, dato che sono stati grandi migliori amici e quindi lo conosce come le sue tasche. E sai che triste un Natale passato da solo...» commentò, sperando di farlo impietosire.

«Più che altro ho paura di quello che lui mi potrebbe dire. Sono passati mesi e chissà su quant'altro ha rimuginato e quante altre parole ha desiderato rivolgermi, soprattutto perché quanto l'ho preso alla sprovvista è rimasto spiazzato e senza troppe parole. Non voglio essere scannato, perché so di avere torto. Ma il torto per lui è la mia ragione e non riesco proprio a trovare qualcosa di sbagliato in essa, anche se effettivamente so di aver sbagliato.»
Il maggiore fece incrociare le dita fra di loro e poggiò il mento su di esse, nel mentre i gomiti si sorreggevano sulla scrivania, in tutto con parvenza di riflessione.

«Secondo me anche tu avresti tanto da dirgli, perché hai capito dove hai torto e dove hai ragione. Affrontare tutto con sincerità non potrà fare altro che raffigurarti come una persona abbastanza matura e capace di intendere e di volere senza nessun comportamento infantile.»
«E che gli dico, "vieni a festeggiare Natale con tutti noi?" Ma poi non sappiamo neanche se vive ancora da solo: secondo me dovrei parlargli e chiedere di riconciliarci solo se effettivamente non ha persone con cui passarlo e sarebbe triste. Altrimenti, se ha fatto pace coi suoi amici, sinceramente non intendo farlo, perché non avrebbe tanto senso e con che faccia mi presenterei?»
«Però fallo, prova a farlo per bene, se lo trovi.» chiese il biondo quasi in supplica.
«Tanto lo so che lo stai facendo solo per Jungkook: se non fosse stato per lui non avresti mai e poi mai avuto una richiesta simile. Devo essere geloso?» alzò un sopracciglio, malizioso, e ciò gli fece scuotere il capo freneticamente per indicare la negazione.

«Sono tutto tuo. E poi, Jungkook è innamorato perso. Anche se fossi libero, sarebbe contro la mia morale mettermi in mezzo ad una relazione colma d'amore e purezza.»

Yoongi si alzò dalla scrivania, avvicinandosi a lui e così accarezzando con il palmo della mano la guancia di Jimin, riscaldandola dolcemente.

«Non c'è giorno in cui io non ripensi a quello che ho fatto, ma poi mi ricordo che non sono io che controllo i miei sentimenti. E mi dispiace, dato che sono anche troppo freddo quando abbiamo "risolto" la situazione già quando ci siamo confrontati mesi fa.» mimò delle virgolette immaginarie e introdusse dell'enfasi. «E non la risolveremo mai, diciamoci la verità: sono ricordi indelebili che hanno segnato le nostre vite e la sua e non possiamo fare altro che imparare tutti quanti, ma purtroppo lui ci deve venire a perdere e lo conosco abbastanza da dire che la sua perdita lo porterà sempre verso il basso. E sono egoista per averlo lasciato, me ne rendo conto, ma sono fatto così e non mi ci vedo proprio a mettere me stesso da parte anche per qualcuno a cui voglio bene. Perché indubbiamente, sebbene il barlume di fastidio per la sua reazione, gli voglio bene, ma non sarà mai più come un tempo. E quando eventualmente parleremo sarà tutto così strano e imbarazzante che forse non riusciremo neanche a guardarci in faccia, poiché sembreremmo solo ridicoli. Certo, penso a me stesso, ma se voglio evitare di farlo disperare perché dovrei farlo?»
Jimin alzò un sopracciglio, avvicinandosi al suo volto con un sorrisetto malizioso. «Egocentrico. Parli come se lui abbia pensato a te ogni giorno negli scorsi mesi e si sia disperato come un dannato. Le persone hanno altro da fare, non stanno a pensare a te.»

«E invece ti dico di sì.» replicò, in quella conversazione il cui tono schizzava celere. «Lo conosco abbastanza per dirti che ha pensato quasi ogni giorno a te e a come vorrebbe spaccarti le ossa, se avesse abbastanza forza.»
Nuovamente uno sguardo di scambi maliziosi e furono sempre più vicini l'uno alle labbra dell'altro.

«Siamo due grandissimi bastardi anche se ci amiamo tantissimo.» disse il biondo interrompendo i brevi secondi di silenzio in cui il pianista si era avvicinato ancora di più al suo volto.
«Il mio motto di vita è prima se stessi poi gli altri.»
«Non puoi negare che tu sia stato per primo un bastardo a non parlargli neanche per esprimere la tua decisione di tornare da me. Gli hai dato speranza per qualche mese e poi l'hai distrutto tutt'assieme. Non ti sto a giudicare certo, ma questo è il mio pensiero e penso che sia stato anche io crudele a non spingerti opprimente nel rivelarglielo. Tra bastardi ci si intende, Yoongi.»

«Come mai tutto questo moralismo improvviso? Di solito tieni per te la cruda verità, dato che siamo abbastanza in grado di intenderci per capirla entrambi.»
Jimin alzò un sopracciglio, con complicità. «Verissimo. Continuerò a fare il moralista finché non andrai a parlargli e dovrai sopportarmi.»
«Posso sopportare per due settimane. Natale arriva tra poco.»
«Ci sono anche i prossimi Natali. Ce ne sono in abbondanza fino alla fine dell'umanità.»
Allora Yoongi sbuffò, allontanandosi da lui e roteando gli occhi. «Ma tu guarda che devo fare per far sì che tu faccia un regalo di Natale al tuo amico. E non sai neanche se gli piacerà abbastanza! Magari stando tutti a tavola scoppierà una grande lite, oppure non parleremo affatto, oppure-»
«E chissà di chi sarebbe la colpa se tutto questo accadesse. Ti conosco vecchio, quindi so che accenderesti tu i vari fuochi: tutti tranne quello del camino, per la tua immensa e imponderabile pigrizia.»

«Lo prendo come un complimento. Però non voglio fare figure di merda, quindi non ci vado comunque.»
A Jimin caddero le braccia, poi si ricompose mettendosi su con la schiena e si mise a grattare il capo finché non gli arrivò un'illuminazione.

«Mi spiace dirti che se non andrai da lui, la penitenza sarà niente sesso per due mesi.»

Giurò di averlo visto impallidire. «Questi sono ricatti. Ma appena torno stasera, tu ti fai trovare pronto in camera da letto.»
«Non ti stancare troppo, poi non hai abbastanza energia per me.»

Era assurdo che Yoongi dovesse sottostare ad ogni desiderio di Jimin solamente perché si trattava di Jimin e molte volte si rimproverava per quanto venisse continuamente demolito dalla sua dolce voce dai tratti provocatori.

Eppure stava andando a cercare Namjoon così come gli era stato richiesto e non solo perché c'era di mezzo un ricatto: il dolce sorriso del biondino era l'unica cosa a cui aspirava tra tutto ciò che esisteva al mondo e smorzarlo non era proprio un'opzione contemplata, se aveva in mano dei mezzi per evitarlo.
"Pensare solo a se stesso" era sempre visto nei termini di non stare male facendo male al suo ragazzo, astuto come ragionamento.
Si stava già facendo buio dopo le brevi luci pomeridiane, per cui si affrettò ad accelerare il passo per andare in quella casa indicata da Jimin dove un tempo abitava il suo amico Taehyung.
Pioveva pure, per cui si dovette sorbire tutto quel freddo senza neanche avere un ombrello sotto cui ripararsi, dato che aveva cominciato quando ormai era già troppo lontano da casa. Tipico.

«C'è nessuno in casa?» bussò quasi prepotentemente e neanche lo si poteva biasimare dato che era zuppo da capo a piedi: che giornataccia. Inoltre se avesse contrato Namjoon si sarebbe dovuto anche trattenere tutto il fastidio in corpo perché non sarebbe stato un modo carino per riconciliarsi.
Si morse il labbro, preso dal grande fastidio dato che neanche un'anima si era presentata dietro quella porta, come se la casa fosse disabitata. Senza neanche accorgersene il suo pugno finì sulla porta, provocando un tonfo che parve risuonare per tutte le mura.
Si allontanò da lì a denti stretti: quella sensazione gli raschiava bruscamente la gola e, per un attimo, in tutta cecità, sperò che Namjoon si fosse tolto la vita per la solitudine.

Quando capì la gravità del pensiero si tranquillizzò, dicendosi che tanto non lo aveva sentito nessuno, né altri avevano assistito alla scena nella quale appariva tanto pericoloso. Si era visto allo specchio alcune volte, quando era in preda alla rabbia e si era fatto timore da solo: quegli occhi e denti stretti, quella vena che rigava la sua fronte coperta da i suoi capelli corvini alla cute; le sue mani le cui unghie erano conficcate nei suoi palmi mostravano altrettante vene.

Non era arrabbiato solo per la pioggia, ma si doveva sfogare in qualche modo, dato che stava andando a cercare quella persona che testimoniava quanto lui fosse un egoista. Lo sapeva, ma non voleva più avere le prove davanti a sé. Glielo avrebbe fatto nuovamente presente e l'avrebbe usato contro Yoongi. Preferiva che Namjoon tenesse tutti i segreti per lui e che, anzi, li dimenticasse completamente.

Un altro pugno al muro lì vicino. Gli faceva male la testa, gli stava esplodendo, solamente a causa dei ricordi. Ovviamente le sue azioni passate non l'avevano lasciato per un singolo giorno da quando si era confrontato con Namjoon: lui era venuto a conoscenza della verità e di quanto fosse un grandissimo bastardo. Non doveva pensarlo, non doveva pensare questo su di lui, non era tale, non era una carogna. Solo se stesso può definirsi in quella maniera, non altri. Neanche Jimin, ma Jimin non lo diceva sul serio: lui scherzava, mentre Namjoon lo pensava seriamente e quando lui ritornava nella sua mente aveva sempre quella cattiva considerazione.
Era una brava persona come era un bravo pianista e direttore d'orchestra. Questo era il suo personaggio ed odiava che altri lo cambiassero.

Uno dei motivi per cui non voleva dire a Namjoon la verità era che si conosceva benissimo e che sapeva quello che sarebbe successo. A pugni stretti, lasciando che la pioggia scivolasse lungo i suoi capelli, i suoi vestiti e il suo corpo, poggiò la sua fronte sul muro, emettendo dei lamenti a denti stretti.
Controlla la rabbia, è inutile comportarsi in questa maniera.

Bussò di nuovo, sperando che fosse un tentativo con migliore riuscito. Da una parte voleva aiutare Jimin, dall'altra voleva soddisfare i suoi desideri malati. Fece un gran sospiro, tenendo la testa tra le sue mani. Egoismo fino a un certo punto, Jimin era più importante e Namjoon in passato era stato una brava persona.

«Namjoon? Sei in casa?»
Gettò per terra il coltellino che aveva nel taschino, per prevenzione. Che diamine gli veniva in mente, quanto malata era la sua psiche se non arrivava a sopportare minimamente il pensiero critico degli altri su se stesso?
Quando ancora era un bambino non ne era soddisfatto e lo odiava, ma adesso non affrontava più tali considerazioni con quell'innocua infantilità. Lo teneva nascosto, se ne vergognava, incuteva paura anche a se stesso, a tratti.

Parlare e far cambiare opinione era la strada più matura da scegliere, considerando che ormai era un uomo.
Gettò anche quel pacco di fiammiferi che teneva conservato nell'altro taschino interno, lasciando che si bagnassero e divenissero inutilizzabili.
Deglutì. Doveva farlo per Jimin: oltre a fare pace con lui doveva crescere, anche se a lui non aveva mai mostrato questa sua faccia.
Neanche a Namjoon, né a nessuno.
Doveva rimediare prima che qualcuno fosse venuto a scoprirlo e tutti avessero cominciato ad allontanarlo.

«Namjoon, se sei qui, cortesemente, vieni ad aprire la porta.»
Magari era l'indirizzo sbagliato. Allungò la mano nella tasca dei pantaloni per controllare il foglietto scritto con la calligrafia elegante di Jimin, ma era sfortunatamente anch'esso zuppo.
Gettò la testa all'indietro, emettendo un verso scocciato.
«Grazie vita, non serviva ribadirmi quanto tu mi odiassi.»

Non ebbe neanche il tempo di concludere quell'esclamazione che avvertì la serratura della porta davanti a sé sbloccarsi, proprio ciò che stava aspettando.
«Namjoon?» lo chiamò, con un sopracciglio innalzato, in confusione. Come mai ci aveva messo così tanto ad andare ad aprire la porta e non gli aveva risposto neanche per una volta?
Mostrò uno scorcio di ombre, quasi come se all'interno si trovasse un corpo in grado di assorbire ogni tipo di luce, lasciando soltanto un alone buio.
La porta fu aperta abbastanza da permettere al pianista di addentrarsi coraggiosamente in quel pozzo oscuro senza neanche una candela e neanche uno di quei fiammiferi che aveva appena gettato per terra.
Era cosciente che accanto a lui c'era qualcuno: non poteva mica essere abitata da un fantasma quella casa, no?

Le assi di legno cigolarono sotto i suoi piedi e la rabbia di qualche minuto primo si tramutò in paura, che pian piano attanagliò tutto il suo corpo a partire dalle dita dei piedi e che salì pian piano attraverso dei brividi che si propagarono così come fanno le onde causate da una gocciolina lungo la superficie immobile di un laghetto.
Il freddo fu sostituito dal suo respiro affannoso e caldo: volle scappare, ma sarebbe stato un insulto a se stesso correre via come un coniglio, dato che era giunto fino a lì trascurando quel romanzo che doveva finire di leggere.
«Namjoon, se sei tu, cortesemente, vieni fuori.» sussurrò, con una nota tremolante della sua voce. La schiarì con un colpo di tosse: non voleva mostrarsi fragile davanti al ragazzo che si nascondeva dietro le ombre. «So che ci sei, non fare scherzetti. Non mi piace. Già sono zuppo, non ti ci mettere anche tu.»

«So che hai paura.» ricevette come risposta, in quel buio pesto, e, subito dopo, avvertì la porta di ingresso chiudersi bruscamente a causa di una folata di vento.
Gli parve davvero di essere dentro un pozzo abbandonato, in quel momento.
Sobbalzò sul posto a seguito di quella voce cupa e bassa che risuonò nel suo orecchio. L'alito caldo del ragazzo provocò un'altra ondata di brividi che addirittura gli causò uno spasmo del collo verso destra.
«Non ho paura.»
«Perché sei qui? Non credo di aver richiesto di parlarti. Puoi andare anche via di qui.»

Yoongi strinse i pugni ma poi fece un grande respiro e si controllò di nuovo, come sempre. «Sono qui per parlarti e magari giungere ad una sorta di trattato di pace.»
Nelle ombre percepì quella sua risata colma di ironia pungente.
«E perché?»
«Credo di aver sbagliato e voglio ricominciare.»
Jimin avrebbe dovuto ringraziarlo in ginocchio dati gli sforzi enormi che stava effettuando.

«E come mai lo credi? Yoongi, ti conosco, dimmi la verità. Non mentire più con me, non ne vale la pena. Perché dovresti mentire, te ne vergogni? La verità non è mai una grande vergogna per chi la dice, perché se qualcuno dovesse provare vergogna dovrebbe essere il corso degli eventi che ha permesso che ciò avvenisse.»
Stava forse cercando di togliergli le colpe per quello che gli aveva fatto? Non era quindi colpa sua? Solamente il corso degli eventi doveva provare vergogna? No, lo conosceva abbastanza, voleva cercare di estrargli la verità solamente tramite le sue frasi colme di poesia.
«Lo credo perché mi sono ricreduto. Ho riflettuto e ho cambiato idea.»
«E vuoi tornare con me? Sei venuto strisciando? Mi spiace dirti che è proprio ora di mandarti a fanculo, mio caro. E per giunta, stai mentendo. Tu sei sicuro delle tue scelte e sebbene rifletti mille volte su una singola cosa continuerai a credere di aver fatto giusto. Solo il lavaggio del cervello potrebbe apportare in te qualche cambiamento minimo. Sei troppo sicuro di te, Min Yoongi.»

Bastardo. Entrambi si conoscevano bene come se fossero l'uno la tasca dell'altro.
Non si poteva mentire: solamente il silenzio poteva nascondere una menzogna e Namjoon non se ne era potuto accorgere perché Yoongi non era mai stato in silenzio e non aveva mai tenuto una questione di tale calibro tutta per sé, prendendolo dunque per fesso.
Ma poi Nam capì tutti gli stratagemmi e non dunque non poté più imbrogliarlo in alcuna maniera.
Yoongi era diventato un libro aperto e conosceva ogni singolo angolo della sua psicologia, che anche lo stesso credeva fosse inesplorato.
Tutto tranne il suo lato violento cresciuto tramite l'infantilità.

«Non voglio tornare con te. Voglio essere tuo amico.»
«Falso. Non lo faresti mai, diciamo la verità. E dai, ormai puoi anche smettere di sorprenderti.»
Namjoon era molto più abituato al buio rispetto all'altro ragazzo, per cui vide le sue palpebre spalancarsi senza che Yoongi se ne potesse accorgere.

«Non lo farei mai, va bene. Va bene, andiamo a parare sulla verità, dato che adesso hai imparato a leggere la mia mente meglio di come un chiromante legge il futuro. Solo su di me suppongo. Va bene, diciamolo pure: sono qui perché mi dà fastidio quanto tu pensi che sia un bastardo e voglio rimediare.»
«Esattamente, lo penso. Sei stato uno stronzo. Ma davvero tanto. Non riesco proprio a capire come facciano le persone a immagazzinare dentro di sé una così grande riserva di cattiveria. Non riesco proprio a capire.»

Il suo tono sprezzante era così fastidioso: strinse i pugni e serrò le palpebre, impedendo di mostrargli la sua frustrazione e rabbia tramite lo sguardo. Poi se era in grado di rendersene conto tramite solamente il respiro più accelerato, allora era anche un grande investigatore.
Solo per quel singolo sospettato.
«Un grandissimo stronzo. Senti la mia voce? La senti? Vaffanculo.»
Era certo che avrebbe espresso tutto il suo disprezzo quella sera, dato che in primavera era stato preso alla sprovvista e non in grado di replicare.
Ripeté l'offesa al suo orecchio, usando di nuovo quel suo alito caldo, il quale arrivò fino al suo collo, accarezzandolo come se fosse una mano ricolma di spine, piacevole quanto doloroso e pungente.

«Smettila. Non sono venuto qui per sentirmi tutte queste parole rivolte contro. Ho capito da solo che avrei anche potuto evitarlo, non mi serve che mi fai da eco.»
«L'eco risuona e fa cadere le valanghe, certo che servo. Voglio che tu ti senta in colpa nell'animo, non voglio che tu mi chieda scusa.»

«Non l'avrebbe mai detto il Namjoon che conosco io.»
«Quel ragazzo è morto quando gli hai distrutto il cuore.»
«Pensavo che fossi più intelligente di così. Ti sei lasciato disperare qua dentro come un mendicante, senza neanche avere un briciolo di luce, neanche quella di una candela. Credevo che ti saresti rialzato più forte e che per farmi vedere quanto fossi un cretino avresti ripreso a dipingere e fossi divenuto qualcuno di successo. E invece no: ti sei lasciato logorare. E questo è quello che dovrebbe fare qualcuno che combatte?»
Allungò la mano, toccando il mento di Namjoon, avvertendo delle spine lungo tutta la superficie: quel che un tempo era seducentemente glabro era diventato sporco e poco curato, simile sempre proprio ad un vagabondo.
«Dipendevi così tanto da una persona da non essere neanche in grado di rialzarti da solo?»

«Tu eri il mio ragazzo, non il mio maestro di vita e filosofia. Non mi puoi dire che non potevo dipendere da te. Io ti amavo e tu mi hai gettato per terra. Mi sono sentito un ammasso di spazzatura, buttato poiché non più utile. E se mi vieni a dire che davvero mi hai mollato perché dovevo avere più indipendenza, sono qui pronto per darti uno schiaffo in pieno viso, per ridurre il tuo bel visino bianco in una macchia rossa. Te ne darei anche più di uno, per la verità.»
«Non te lo verrò a dire. Non sei tu quello che ha appena detto che non devo mentire? Ecco, appunto. La verità è che semplicemente mi piaceva un altro: mi è sempre piaciuto un altro, e tu mi servivi per farmelo dimenticare. Ma non ci sei riuscito, perché io e Jimin siamo fatti per stare assieme sin dal primo momento in cui ci siamo incontrati dall'infanzia.»
«Va bene, adesso fammi presente quale punto della faccenda ti ha fatto ricredere, perché ti sei appena contraddetto e non me la racconti giusta. Avanti, ce la fai a non mentire?»

Deglutì, tenendo sempre gli occhi chiusi. Namjoon si accorgeva di ogni suo singolo movimento, perché pareva come se al posto della vista utilizzasse a trecentosessanta gradi tutti gli altri 4 sensi.
«Mi ha fatto ricredere il fatto che se fosse successo a me avrei dato di matto.»

La scusa più credibile che fu in grado di trovare semplicemente perché era vera.
Namjoon sbatté ripetutamente le palpebre, incredulo. Yoongi non stava finalmente mentendo?
«Per cui, tu ti sei innamorato di Jimin e hai fatto di tutto per averlo ma solamente dopo tanto tempo ce l'hai fatta e non era affatto troppo tardi poiché ce l'avevi ancora nel cuore. E quando mi hai lasciato, hai poi pensato a come ti sentiresti se Jimin facesse a te la stessa cosa che tu hai fatto a me.»
«Sì.»
Oltre ad essere una menzogna, era la verità.
Ci aveva davvero pensato in passato, ma l'aveva poi rimosso dalla sua mente poiché non aveva affatto intenzione di logorarsi per un'ipotesi, ma poi se l'era dimenticata.

«Nam, voglio ricominciare e voglio esserti amico, anche se continuerà ad essere una relazione tanto strana da desiderare di ritornare ognuno a casa propria ogni volta che ci incontreremo. So che tu hai ancora speranza in me, quella piccola parte di te desidera così tanto che io molli Jimin anche per tua pura soddisfazione di sentire delle scuse da parte mia, anche se questo potrebbe farti del male poiché quello che vorresti solamente è tenermi al tuo fianco, come se fossi un trofeo, ma devo deluderti. Ho desiderato quel ragazzo per così tanto tempo che la prima cosa che farei se lui dovesse piantarmi così come ho fatto io con te, sarebbe togliermi la vita nel modo più veloce e indolore conosciuto, senza neanche accorgermene, in modo da andare nell'altro Regno fatto delle tenebre che mi merito, distrutto dal karma che non ha neanche provato a risparmiarmi. E, se devo essere sincero, quando Jimin parla di Jungkook con così tanta allegria, non posso che essere geloso, geloso come non mai, perché nessuno oltre a me può toccarlo.»

Namjoon fece un sorrisetto, portando alla mente di come, all'inizio, Jimin e Jungkook si erano frequentati per un po'. E come dimenticarlo: a seguito di quella discussione lui era scappato di casa. Ma la sua parte umana priva di rancore fermò le parole in gola: era successo più di due anni prima, non c'era motivo di far ingelosire Yoongi, ricordandoglielo. E se davvero avesse deciso di togliersi la vita, nel caso di cui Jimin fosse andato da qualcun altro?
«Hai detto a me che avrei dovuto essere forte e ricominciare tutto daccapo per stampare il mio nome in questa umanità, ma tu sei proprio un ipocrita.»
«Te l'ho detto perché ti conosco bene e so che ne saresti davvero in grado. Io sono tutto fumo e niente arrosto.»
Era corretto, così giusto che si fece scappare una risata, scuotendo il capo, coinvolgendo anche Namjoon.

«Avevi un'alta considerazione di me, adesso credo di averti deluso.»
«Per adesso. Ma so che sei in grado di riprendere a fare tutto ciò che ti rende unico. Da quando mi hai incontrato hai smesso di disegnare come sapevi fare. Ed eri così bravo. Quando, una sera, ho controllato nel tuo blocco dei disegni ho sgranato gli occhi. Non capivo perché non li facessi più. Non te l'ho mai chiesto.»

«Ero innamorato. Quando sono felice non uso altre emozioni e la mia vena artistica si placa. Ciò che mi faceva andare avanti in quei disegni erano la rabbia, la potenza, la riflessione su quanto il mondo fosse cupo e colmo di amaro. Una tempesta, una tempesta come lo era il mio cuore. Poi ti ho incontrato e al posto della tempesta si è presentato un arcobaleno.»
«Ho distrutto un genio. Namjoon, torna a casa tua, dai tuoi amici e riprendi quelle dannatissime tele assieme ai pennelli tra le tue mani. Usa tutta la rabbia che hai verso di me, se non trovi altre emozioni come fonti, ma sfruttala e diventa qualcuno. Hai talento fino alla punta dei capelli, mi dispiace che tu te ne sia scordato e, se vuoi farmi un regalo di Natale, anche se non lo merito, è quello di mostrarti alla tua apoteosi.»

In un altro luogo di Parigi, quel giorno, il sorriso di Yuqi fu talmente luminoso da essere in grado di irradiare tutta la casa e addirittura i suoi paraggi. Si alzò in piedi e cominciò a saltellare presa dalla felicità; corse via dalla cucina e giunse nella stanza da letto sua e di Minsoo, pronta per esclamare la notizia, per cui era tanto entusiasta, che era appena giunta tramite quella lettera.
Si rese allora conto del ragazzo girato di spalle, il cui viso era rivolto in direzione della finestra e le spalle erano evidenziate solo dal sottile tessuto di cotone della sua camicia; rimase col fiato sospeso e le palpebre si fecero socchiuse, quasi col desiderio di chiudersi, convinta di star vivendo un sogno.
«Minsoo?» i suoi capelli scuri e corti gli coprivano solamente una piccola porzione del collo, tanto che si potevano intravedere quelle vertebre custodite dal lembo di pelle.
Proprio in quel momento lui si era incurvato probabilmente per poter allacciarsi le scarpe, ancora con la cravatta da sistemare.

«Yuqi, adesso vengo in salone. Sto finendo di vestirmi.» le fece notare in tono piatto, che non faceva trasparire alcuna emozione. Di solito si atteggiava così quando qualcosa lo turbava, ma lei non ci dava più troppo peso, ormai. Chiunque può avere brutti pensieri e non doveva biasimarlo per questo, ma doveva solo lasciarlo stare per un po'.
Eppure la notizia appena giunta le aveva illuminato la giornata tanto da non poter attendere più.

«Jungkook torna a casa.» disse solamente, facendo sgranare gli occhi del ragazzo, il quale terminò di compiere la sua azione e dunque dalle sue mani cadde la seconda delle due scarpe con cui stava armeggiando.
«Stai scherzando spero.» chiese con freddezza, tuttavia senza mai girarsi.
Lei prese un grande respiro - senza farsi sentire - e rispose con una breve negazione, che cercò di rendere tanto fredda come erano state le parole dell'altro.
Stava diventando sempre peggio con lui, ogni giorno che passava pareva come se non ci fosse più quel legame di profonda amicizia che si era instaurato fin dall'infanzia.

«Mi dispiace.» gli disse, a capo alto.
«Non è colpa tua. Non scusarti.»
«Mi scuso perché sono contenta che lui ritorni, cosa che tu non sei. E so che vado contro la tua volontà, ma voglio che lui ritorni in questa casa per Natale, e vorrei che passassimo delle festività tranquille, felici, come un tempo.»

Lui si fece sfuggire una risata malinconica, colma di disprezzo.
«Credi davvero che possiamo mai rendere tutto come un tempo, improvvisare una recita?» Minsoo si alzò in piedi dal letto, lasciando quell'altra scarpa per terra e camminando in modo più rognoso del solito, ma appena si voltò verso di lei, con le mani nelle tasche e mostrando quel petto scoperto, poiché i bottoni della camicia erano ancora quasi del tutto privi della loro asola e la cravatta effettivamente slegata, la osservò con severità.
Non si accorse di quello sguardo poiché tentava di distogliere i suoi occhi dalla figura imponente e minacciosa.
«Credi davvero che possa accogliere quel ragazzo in questa casa dopo che ci ha lasciati senza darci delle spiegazioni plausibili, dopo aver passato tutte le serate fuori?» scosse il capo con veemenza «Se vuole venire qui rimanesse fuori la porta a cercare di adescare qualche gentiluomo o gentildonna pronti a fargli la carità e dargli qualcosa da mangiare. Da noi non avrà nulla.» terminò talmente crudo da far sì che gli occhi di Yuqi si scontrassero con i suoi. Faceva sul serio.

No. No, non poteva decidere lui quello che dovevano fare tutti quanti. Doveva rendere fede a ciò che decideva la maggioranza: Mathilde sicuramente avrebbe avuto piacere a rincontrare suo fratello e Hoseok non si sarebbe fatto problemi. Oltretutto avrebbe anche dovuto spiegare a Minsoo che Jungkook era fidanzato con il fratello di Mathilde. Non sarebbe stato facile, ma lui non avrebbe precluso la possibilità a tutti quanti di rivedere i loro amici e le persone a cui volevano bene.

«No, non voglio che tu decida per me.» esclamò con fermezza, guardandolo dritto negli occhi e per cui procurandogli una risata.

«So io cosa è meglio per te e per noi. Meglio se quel ragazzo non si fa vedere.»
«Ma io voglio bene a quel ragazzo! È un grandissimo demente egoista che fa sempre la scelta sbagliata, ma non significa che non gli voglia bene!» esclamò con disprezzo verso la decisione di Minsoo. «Non puoi dirmi con chi devo avere amicizie.»
«So cosa è meglio per te.» ripeté, irremovibile.
«E perché sai cosa è meglio per me?» gli chiese, con la voce ormai spezzata. La sua gioia si era trasformata in ripensamento, poiché avrebbe fatto meglio a non dirgli nulla per evitare la discussione e poi non l'avrebbe ferita con una dei suoi soliti discorsi.
«Minsoo, perché lo sai?»

Non ottenne risposta.
«È perché sono una donna, vero? Non è questa la risposta che mi dai sempre, ogni volta, in ogni situazione?»
In effetti le questioni erano diventate più complicate e difficili da sopportare da diversi mesi, poiché gradualmente lei era stata costretta a ricevere sempre la solita risposta: le prime volte gliel'aveva solo fatto intendere, altre glielo aveva proprio detto in faccia, rendendola allibita e senza parole, sebbene lui sapesse benissimo quanto lei odiasse essere quello che era.
«Questa volta non c'entra l'essere una donna o meno. Tra qualche anno sarò tuo marito ed è come se, in un certo senso, lo sia tutt'ora, poiché devo proteggerti.»

«So proteggermi da sola, non mi serve un uomo. So fare qualsiasi cosa da sola.» i suoi occhi erano lucidi per il nervoso.
Il ragazzo rise aspramente. «Non sai scegliere le persone giuste per te.»
«So scegliere bene, per questo all'inizio, quando eravamo piccoli, non avevo intenzione di parlarti.» ammise, guardandolo dritto negli occhi attraverso la sua visione sfocata. «Minsoo, non sarò mai tua moglie se il matrimonio significa stare dietro le direttive di un uomo e non avrò mai figli per un uomo e stare in trappola a causa tua. Voglio essere libera per sempre, perché sono fatta così. Mi piace la libertà e vi rimarrei per sempre.»
«Cambierai idea sul nostro futuro. So che un giorno mi sposerei e avremo una bellissima famiglia.» si avvicinò a lei, tentando di poggiare una mano sulla sua spalla, contatto alla quale lei si sottrasse scuotendo il capo.

«No. Non ho intenzione di farlo, non voglio una prigione.»
«Credi che questa non sia già una prigione? Chiusi in una casa con pochi soldi, poche possibilità, pochi spiragli sul futuro.»
«Se potessi, andrei via.» ammise con l'amaro in gola.

«E perché non lo fai? Perché sei ancora legata a questo posto? Perché rimani qui sebbene tu odi così tanto stare al mio fianco, sebbene ti faccia male e tu voglia librare come un uccellino nel cielo?» le prese il polso con anche troppa violenza. Glielo strinse tanto da far tangere il proprio pollice ed indice fra di loro. Ella continuò a scuotere il capo, mentre lui proseguì. «Perché non mi lasci, perché continui a vivere qui e non ti prendi una casa per conto tuo grazie al tuo dannatissimo lavoro?» era così doloroso essere strattonata tra le lacrime. La schiena della ragazza scontrò il muro provocando un tonfo, le sue lacrime scivolarono dall'angolo delle sue labbra lungo tutto le guance fino a giungere al mento. «Dimostra di meritare il posto dove sei, che hai tanto lottato per avere. Lasciami, se proprio ne hai il coraggio, vai via di qui. Perché non lo fai?»
I suoi gomiti sbatterono più volte sulla parete, ma dalla sua bocca non uscirono affatto che lamenti, adesso terrorizzata.
Le strinse il lembo del vestito in corrispondenza della scollatura, al fine di avvicinarla a sé, ma la ragazza ne era così contrariata che usò tutta la sua forza per rimanere al suo posto e non  muoversi, tale da far strappare quel tessuto.

In preda alla rabbia, Minsoo non si fermò a riflettere se quello schiaffo violento che diede sulla guancia della ragazza fosse giusto o meno.
La pelle le divenne rossa e sgranò gli occhi, trattenendo altre lacrime e mugolii di dolore.

«Perché non lo fai?!» la sua voce cupa e profonda risuonò per tutte le pareti.
«Perché sebbene io voglia stare da sola, io ti amo e non voglio lasciarti. Non voglio una famiglia, ma ti voglio e basta, sebbene questo non sia più tu.»

Lui si allontanò di qualche centimetro, abbassando lo sguardo per non osservare i suoi occhi rossi.
«Fai come ti pare. Non parlerò con quel ragazzo, sappilo. Anche se vuoi un Natale felice, sono coerente con me stesso.»
Uscì dalla stanza e, appena lei fu sicura di essere da sola e lontana da Minsoo, scivolò lungo la parete, abbracciando le proprie ginocchia e poggiando la testa tra esse, bagnando il suo vestito dalle lacrime.

Rimase così per un po', tale che i suoi polmoni non furono neanche in grado di prendere un filo di aria in più, per quanto il cuore stava battendo tanto forte da non lasciare spazio agli altri due organi del petto. Non parlava. Voleva così tanto urlare, disperarsi, divincolarsi e frignare come una matta, ma le sue corde vocali erano private del funzionamento. Vedeva tutto nero, i suoi occhi rimasero chiusi nel dolore. Come faceva un ragazzo tanto bello esteriormente e un tempo anche interiormente ad aver trasformato tutta la sua bontà in cattiveria repressa che doveva sfogare in qualche maniera?

Forse erano passate ore, oppure dei semplici e brevi minuti, che per lei erano parsi un'infinità. Non lo sapeva, non aveva guardato il sole calare, poiché le palpebre erano rimaste serrate.

«Yuqi, che succede? Perché sei qui?» sussultò nel sentire l'unica voce maschile di cui era certa di poter essere amica. Solo allora aprì gli occhi, voltandosi verso il ragazzo dai capelli rossi, che teneva in mano un candelabro, e notando che fuori si era fatto buio.
«Hobi, Minsoo... Minsoo è.. non ce la faccio più...» sussurrò con un filo di voce e mordendosi le unghie.
Hoseok sgranò gli occhi esterrefatto e si piegò verso di lei, sedendosi a gambe incrociate e poggiando le candele per terra, poco più lontano dalla rossa.

«Ti ha fatto qualcosa?»
Si asciugò gli ultimi rimasugli di lacrime dagli angoli degli occhi.

«Mi è arrivata una lettera da Jungkook, il quale ha detto che ci verrà a trovare questo Natale. Ero così felice, poi lui mi ha detto che era meglio se decideva per me cosa fosse meglio.»
Hoseok annuì.
«Mi tratta come... come se fossi un oggetto.»
La sua voce cominciò a tremare di nuovo, per cui poggiò la propria testa sulla spalla del ragazzo.
«Lo sa da quando ci conosciamo che non mi piace essere sottomessa da nessuno e ho sempre voluto essere trattata da suo pari. Eppure non si fa affatto scrupoli da tempo. Ed io mi odio, perché ho così tanta paura, come una gracile donna. Io sono forte Hoseok, io sono forte.»

Altri singhiozzi, si strinse di più a lui, inumidendo la sua giacca.
«Sono debole anche perché piango. Voglio smettere di piangere ma non riesco. Non riesco proprio. Voglio così sparire da questa terra, non sopporto di sentirmi debole e rinchiusa, voglio fare tutto quello che desidero. Seguire le mie passioni, essere felice, essere innamorata di lui senza nessun vincolo, perché mi piace così. È spensierato, è meraviglioso, riesco a percepire meglio il suo cuore. È così fuggiasco. Dovrei lasciare quel ragazzo perché non più quello che conoscevo, ma continuo ad essere innamorata di ciò che è rimasto simile a lui. Il vecchio Minsoo non si sarebbe mai permesso di usare le mie debolezze per spaventarmi. Avrebbe cercato di trattarmi da pari: Hoseok, oggi mi ha alzato le mani per la prima volta, non so fin dove arriverà.»
La strinse a sé, mentre stava singhiozzando come una bambina. «Posso sopportare quanto lui sia antiquato e legato alla tradizione, posso sopportare lui che disprezza chi è come Namjoon o come Kook, ma non riesco a sopportare che lui inizi a disprezzare tanto me da farmi stare male.»

Hobi le accarezzò i capelli, inorridito da quel che stava sentendo e deluso dal coinquilino. «Hai ancora me che crede in te.» deglutì, guardando in direzione della finestra spalancata che lasciava intravedere il cielo colmo di nuvole. Aveva piovuto tutto il pomeriggio, chissà quanto vento era entrato in quella stanza. «E fidati, Yuqi, hai così tanto da imparare su te stessa. Ci sono cose in cui sbagli a credere, per la cosiddetta uguaglianza. Ma stai tranquilla, sei perfetta così. Sei debole quanto potrebbe essere una ragazza e hai paura di un uomo per il suo essere belva così come potrebbe averne paura un qualsiasi altro uomo. Piangi come potrei fare anche io. Rimani così, non cambiare. Rimani libera, se ti rende felice. Continua a combattere per te stessa, anche se questo comporterà fare scelte di cuore per preservarti. È bellissimo come in questa società ci sia qualcuno ancora in grado di andare avanti per quello che è veramente, con la propria testa. Quando vuoi piangere piangi, quando hai paura esprimila, quando vuoi difenderti non trattenerti a tirargli un pugno sul naso. Anche se ami quel ragazzo, il tuo cuore capirà cosa è giusto per te.»
La strinse a sé, lasciando che sfogasse tutte le sue lacrime.

«Anche un uomo che alza le mani su un altro senza alcun motivo è solamente un vile e deve ricevere ciò che si merita, ripagandolo con la stessa moneta. Figuriamoci alzare le mani su di te, donna che insinua di amare.» commentò in ribrezzo. «Sarò pronto a difenderti e farlo nero, se ce ne sarà bisogno.»

Annuì, tirando su col naso.
Sorrisero entrambi quando la piccola ragazzina dai capelli corvini corse da loro a chiamarli con gioia sul viso, la quale venne incrementata ancora di più quando seppe che il suo fratellone stava per giungere a trovarli per natale assieme a Jungkook. "Jungkookie!" esclamò entusiasta. Anche lei si mise a saltellare per la casa, tuttavia non venne fermata da nessuno.
Si è così allegri quando si è piccoli, spensierati e con semplici paure come quella del buio.

Quella sera nuvolosa e cupa fu anche adatta per prendere un bicchierino o forse più in compagnia. Le strade colme di pozzanghere e scivolose erano l'icona del disordine, il freddo era talmente imprimente che mangiava le ossa.
Nella sua lucidità era certo che ciò che aveva fatto e le urla che gli erano uscite dalla gola avevano una giustificazione del tutto plausibile e, sebbene cercasse di trovare dove aveva sbagliato, proprio non riusciva a capire.
Per come era Yuqi si sarebbe aspettato qualche risposta in più, temeva che avrebbe ricevuto qualche calcio nelle zone intime per essere allontanato, eppure l'aveva tenuta a bada come un docile cagnolino e proprio non capiva.

Fortunatamente quella locanda era aperta, poiché era tutta illuminata e lo si poteva notare dalle luci osservabili sia dalle finestre sia dal piccolo vetro sfocato della porta in legno.
La spinse in avanti. La sua testa era talmente colma di pensieri e sensi di colpa che non si rese neanche conto della presenza delle altre persone. Era talmente confuso, come se fossero delle macchie informi che ostruivano il suo passaggio. Andò a sbattere contro alcune di esse, ma non ci fece molto caso: non gliene importava, la sua unica meta era il bancone per prendere qualcosa di forte, in grado di fargli dimenticare tutto quello che era successo.
Ma dove aveva sbagliato, dov'era l'errore? Perché aveva visto la paura negli occhi della ragazza che teoricamente avrebbe dovuto amare? Perché quelle parole tanto pungenti, quel "ti amo" così sofferente lo aveva colpito in maniera differente?

«Posso aiutare?» chiese l'uomo al bancone. Aveva le basette e capelli scompigliati, sfoggiava un sorriso ingiallito e il suo grembiule era colmo di sporcizia e rovinato.
Minsoo annuì. «Il più forte.»
Lui emise un sogghigno. Di ragazzi come lui ne aveva visti davvero tanti, nei pochi mesi in cui era rimasto a Parigi. «Il sesto senso mi dice che è colpa di una donna.»
Il giovane alzò gli occhi dal bancone colmo di imperfezioni e schegge di legno e lo rivolse all'uomo di fronte a sé, mostrando il suo rimorso. «È colpa mia, verso una donna. È colpa mia e non so dove ho sbagliato. Credevo fosse abbastanza forte da sopportare la mia voce e le mie mani, eppure l'ho vista così gracile, oggi.»

Il barista versò la bevanda nel bicchierino del suo cliente e, quando fece per portare via la bottiglia, gli chiese di lasciarla sul tavolo.
«Le donne sono gracili, non disperarti. Le passerà.»
«Non lei, non è debole lei. È la ragazza più forte che abbia mai incontrato e non avrebbe mai mostrato la parte più impaurita di sé. Ho agito stupidamente, ma non voglio scusarmi, non voglio.» ingerì tutto d'un sorso.
«Racconta di più, farà bene sfogarsi.» disse l'uomo, versando un altro po' nel bicchierino di Minsoo.

«Yuqi è la ragazza più forte e indipendente che io conosca, solo che oggi pomeriggio mi sono adirato per via di un nostro vecchio amico che torna a Parigi. Si è comportato male con noi eppure non riesco proprio a capire come lei potesse essere entusiasta del suo ritorno. Le ho detto che era meglio per lei se non si avvicinava a quel ragazzo e lei ha tirato in ballo tutta la storia del "perché è una donna"» bevve ancora e il bicchiere fu riempito di nuovo.
«La natura non si può cambiare, lo sa chiunque, eppure io la assecondo sempre, perché so che i suoi desideri da ragazza finiranno. Credevo che ormai mi sopportasse e avesse capito come ero fatto ed anche una discussione del genere poteva passare. Speravo che considerasse le urla come motivo di risposta, eppure l'ho vista crollare tramite i suoi bellissimi occhi» bevve ancora. Osservò le sue dita tremare e i bulbi oculari parvero fare lo stesso, come presi da qualche spasmo. La lingua e la gola gli bruciavano di già. Ancora, bevve ancora. «L'ho spaventata, le ho dato uno schiaffo in pieno viso, colmo d'ira. Mi dispiace, ma non glielo dirò mai. Non posso smettere di affrontare certi discorsi che lei odia perché sono fatto così, ho le mie opinioni. Siamo così diversi, ma mi piace questo. So che qualcosa è cambiato.»
Ne bevve un altro.

«Come si chiama questo tuo amico?»
Vedeva tutto sfocato, nella sua testa comparve solamente il nome che corrispondeva alla sua risposta.
«Jungkook.»
L'uomo al bancone si lasciò sfuggire un piccolo ghigno. Se c'è Jungkook c'è anche Taehyung.

«Torna in città, no? E quando torna?»
Minsoo mugugnò, versando un altro po' di sostanza nel suo bicchiere. L'uomo gli strinse la mano sinistra, fermandolo dal mandare giù quell'altro.
«Quando torna?»
«Mi ha detto a Natale, verrà a farci visita.» biascicò.

«Ti lascio la bottiglia. Offre la casa.»
Lui ridacchiò, allontanandosi da Minsoo, il quale ormai aveva poggiato la testa sul bancone esausto ma incapace di fermarsi. Si tolse il grembiule macchiato e lo gettò su un sedile lì vicino, in preda all'eccitazione; si sfregò le mani ed uscì dal locale, lasciando tutti i suoi clienti e il suo collaboratore scontenti.
Corse, corse più in fretta che poteva, in quella tenebrosa notte dove la Luna non poteva neanche vegliare per proteggere nessuno: giunse davanti ad una porticina rovinata e bussò con veemenza, dandone anche un calcio.
Si presentò davanti a lui una donna molto più giovane di lui, la quale aveva solo l'intimo addosso: probabilmente l'aveva appena svegliata, difatti teneva ancora gli occhi impastati dal sonno.
«Ménétios, cosa ti prende?»

«Grandi notizie. Quei due tornano in città, finalmente.»
La giovane sgranò gli occhi e staccò quelle due labbra carnose tra di loro, indietreggiando di qualche passo. «È per questo che siamo tornati a Parigi? Li hai trovati? Credevo che non sarebbe mai accaduto.»
«Davvero credevi anche che avremmo avuto una vita tranquilla, che tu avresti potuto essere una ragazza come tante?»
Si avvicinò a lei con quel sorriso maligno sulle labbra, solo come un leone carnivoro era in grado di fare. Poggiò una mano sulla sua schiena, che teneva libera a causa del dolore delle profonde cicatrici. Vi erano ancora i solchi, paragonabili a quelli di un leone.
I loro volti erano talmente vicini che lei era in grado di percepire quell'alito innaturalmente fetido.
«Continuerai ad essere ciò che ti riesce meglio, cara Soojin. Essere il diavolo per mio conto.»

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