「05/05/1865」
25.
Il viaggio fu estenuante, tra le colline e i monti, mostrando il paesaggio meraviglioso dal finestrino del treno a vapore. Ci vollero ben due notti per raggiungere la Vienna del regno degli Asburgo ed in ognuna di esse si addormentarono l'uno sull'altro, avvolti dal calore dei loro corpi e delle loro giacche a causa degli spifferi di vento che provenivano da fuori. La loro cuccetta stretta e angusta era l'unica cosa che potevano permettersi, se non volevano andare da uno Stato a l'altro a piedi.
Parlarono diverse volte, ma le conversazioni non furono mai scherzose, né profonde e filosofiche; piuttosto, erano concentrati ad osservare il mondo fuggente lì fuori e le ore che passavano. Jungkook fu per tutto il tempo rannicchiato alla finestra, e l'unica volta in cui lo scambio di parole durò più tempo, fu quando decisero che nomi assumere una volta giunti sul suolo austriaco. Taehyung avrebbe avuto il cognome Denis, quello di sua madre nubile, e Jungkook avrebbe continuato a tenere il sofferto nome di Boyer. Erano entrambi distrutti da tutti gli eventi che erano stati costretti a subire e gli addii che avevano dato.
L'affitto della nuova casa sarebbe stato pagato grazie ai risparmi di Taehyung, almeno per il primo mese. L'unica difficoltà del parlare con il proprietario era la lingua differente, perché fu complicato riuscire a capire quelle parole francesi pronunciate con un incomprensibile accento tedesco, sebbene il venditore si vantasse di conoscere ben quattro lingue, compreso inglese ed italiano.
Taehyung quasi non si strozzò dalle risate appena sentì l'uomo pronunciare una frase in italiano: l'aveva sentito parlare qualche volta ed era certo che fosse una lingua molto più fluente e melodiosa di quanto l'uomo voleva testimoniare.
Quello fu l'unico vero momento allegro della giornata, perché, anche se ebbero le chiavi prima del tramonto del sole, entrambi erano tristi.
Il maggiore aveva detto addio a sua sorella e chissà quando mai l'avrebbe rivista. Jungkook si odiava per aver condannato quel ragazzo ad una vita misera per causa sua: un'altra delle sue cattive decisioni. Non si pentiva per aver ucciso Jeon Auguste, ma per aver coinvolto Taehyung.
«Taehyung» gli posò una mano sulla sua spalla, cercando di fargli alzare il capo. «Mi dispiace. Davvero.»
«E di cosa, Jungkook? Non ti scusare, ti prego. So che passerà tutto subito e che qui vivremo magnificamente ed in tranquillità, non saremo disturbati e non ci preoccuperemo più, finalmente.» cercò di tranquillizzarlo, ma senza successo, poiché non riuscì a trattenersi di tirar su col naso. Per cui si rese conto di essere stato scoperto. «È che mi chiedo se mai potrò rivedere mia sorella o se sarò io a vederla crescere fino a quando non avrà raggiunto l'età che ho adesso o, nel migliore dei casi, fino a quando non saremo vecchi, sperando che, raggiunta una veneranda età, continui a parlarmi con lei come un tempo.»
Poggiò la mano sulla porta in economico legno della loro nuova casa, che in realtà era solamente una piccola stanza, dove era complicato vivere in due.
«Certo che prima o poi la rivedrai, Taehyung! Se parti con questo pensiero è normale che ti convinci che non succederà mai. Stai tranquillo, prima o poi torneremo nella nostra Parigi. Per quanto Vienna sia bella, dalle strade grandi e colma di alberi che riempiono i polmoni di aria fresca, non può essere comparata con la nostra amata casa. Finirà tutto, te lo prometto.»
Taehyung ridacchiò con malinconia, girandosi verso di lui. «Da quand'è che tu, Jeon Jungkook, sei così positivo? Si sono forse ribaltati i ruoli?»
L'altro ricambiò alla stessa maniera, dopo aver sobbalzato all'ascolto per la prima volta del suo vero cognome dalla voce di Taehyung. E non poteva negare che lo sapesse pronunciare estremamente bene, come se stesse producendo del miele dalle sue labbra. Ripetilo, ripetilo ancora.
«Sì... esatto. Mi fai questo effetto, Kim Taehyung. Aah, cosa mi hai fatto? Di solito ce l'ho con il mondo.»
«Forse sta andando tutto bene perché hai capito che non vale la pena avercela con il mondo. Il mondo ha ragione in quello che fa, magari ci mette tutto se stesso nel tentare di renderci tutti felici e ci rimane triste se lo siamo anche noi e combina altri pasticci.»
«Sei sempre un sognatore, tu. Apri questa casa, voglio vedere quanto fa schifo.»
Lo ringraziò mentalmente per avergli anticipato la sua parte di affitto per quel mese, promettendosi che domani sarebbero andati a cercare lavoro, altrimenti sarebbero finiti per strada.
Ai loro occhi sembrò abbastanza stretta appena ci entrarono, dato che c'era solamente la zona della cucina assieme a degli arnesi, un tavolo da pranzo con due sedie senza neanche una tovaglia e una piccola finestrella che dava sul giardino dell'inquilino al piano di sotto. Jungkook si avvicinò ad essa e solo allora si accorse che la zona giorno era separata dalla zona notte da un sottile muro: in quella piccola stanzetta ricavata c'era solo un letto ad una piazza che aveva base e testa incastrati tra le due pareti ed una piccola scrivania con una sedia molto scomoda; fortunatamente c'era un piccolo armadietto accostato al muro dove poter inserire i vestiti.
«Dai, meglio di niente.» commentò Taehyung osservando gli arnesi da cucina appesi al muro.
«Non c'è neanche un divano per fare a turno a chi deve stare sul letto.» commentò Kook scocciato dalla stanza da letto.
Tae aggrottò le sopracciglia e lo raggiunse, notando che quell'appartamento non solo era piccolo, ma era anche stato pensato per una persona singola e dunque con un letto unico.
«Almeno hai lo scrittoio.» si grattò il capo, cercando di notare il lato positivo della faccenda.
«Va bene ho capito, mi dai il cuscino e le coperte ed io dormo per terra.»
«Non ci penso neanche! Non riesco a dormire senza un qualcosa di morbido dove poggiare la testa.»
«Allora facciamo un cuscino con le penne del primo struzzo che trovo a passeggiare per strada.» commentò Kook con ironia, sedendosi sul letto e molleggiando sopra per provare quanto fosse comodo.
Era comodo quanto un pezzo di legno, ma era sempre meglio di quel vero e proprio tronco che aveva a casa di Hoseok e Minsoo.
«E se provassimo a condividerlo? Non voglio né dormire per terra né lasciarti dormire per terra.»
«Apprezzo quanto tu sia dolce e premuroso, Tae, però saremmo stretti come due sardine.»
«Se non ci proviamo, che ne sappiamo?» gli rivolse uno sguardo quasi di sfida alzando un sopracciglio.
«Aspetta cosa-»
Senza preavviso Taehyung si buttò su di lui, lasciandosi sfuggire una piccola risatina mentre Jungkook si divincolava.
«Ooh, finiscila, ci entriamo in due.» lo ammonì scherzosamente, al fine di farlo smettere di muovere e picchiarlo usando unicamente la forza dei polpastrelli. Sembrò essergli tornata l'allegria, dimenticandosi temporaneamente dell'addio a sua sorella e Parigi.
«Sono stretto vicino al muro. Facciamo cambio?» propose Kook dopo qualche secondo di silenzio nel mentre cercavano di capire quale fosse la posizione più comoda per entrambi.
Il moro alzò gli occhi al cielo, mettendo una gamba sopra quelle dell'altro al fine di scavalcarlo. «E va bene, vado io vicino al muro, però se poi cadi di notte mi metto a ridere.»
«Se cado la notte ti trascino a terra e rimani tu a dormire lì. Oppure dormi sulla sedia, o ancora impari a riposare in piedi come un cavallo.»
«Come sei crudele» rispose, mettendo su un finto broncio, per poi continuare a spostare la sua gamba sopra quelle di Kook, compiendo l'errore di guardarlo negli occhi mentre compiva questa operazione.
Ovviamente entrambi smisero di ridacchiare non appena accadde ciò e Jungkook cercò di spostare lo sguardo qualche secondo dopo l'imbarazzante silenzio, sperando che le sue guance non gli fossero diventate rosse. Si spostò con il corpo, dandogli dunque più spazio per mettersi al posto che doveva prendere, girandosi dalla parte opposta.
«Sai... sai una cosa, forse dovremmo alzarci. Mettere a posto le cose dalle valigie e cucinare qualcosa,» si mise seduto, di spalle a Taehyung, che lo guardava confuso per il cambio repentino di atteggiamento. «Ho fame, tra poco mi digerisco lo stomaco.»
«Non credo ci sia nulla da mangiare, ovviamente. Siamo appena arrivati.» gli rispose mettendosi anche lui seduto a gambe incrociate. Appena provò a mettergli una mano sulla sua spalla Jungkook si alzò e prese la giacca che aveva malamente buttato sulla scrivania prima di cominciare quella polemica sul letto e se la infilò nuovamente.
«Vado a comprare qualcosa allora. Ci vediamo tra un'ora.» gli rispose con tono fermo.
«Jungkook...» alzò una mano come per fermarlo, ma poi la riabbassò, non sapendo cosa dirgli. Allora annuì.
«Non ti perdere, mi raccomando.»
«Va bene.»
Rimase seduto sulle fresche lenzuola che prese tra le dita, pensoso. Forse era stato troppo avventato e, anche se c'era ormai confidenza tra di loro, non era così profonda da permettersi di comportarsi in quella maniera.
Sperava veramente che adesso nulla cominciasse ad essere diverso, voleva che rimanesse tutto uguale al passato.
Gli piaceva com'era il passato trascorso con Jungkook e non l'avrebbe scambiato per nulla al mondo, lo rendeva sovrappensiero.
Doveva ammettere che Jungkook lo rendeva felice e sperava che quella parte di lui mai sarebbe scomparsa.
D'altronde, era lui che aveva reso la Luna così speciale, ogni volta che sorrideva nella loro direzione.
Per quanto avesse potuto convincersi, lei era solo un pezzo di roccia e polvere, non era viva, non sorrideva, ma era comunque tanto magica e le serate passate al suo cospetto erano così spensierate che ormai la sua mente aveva costruito una cornice fatta dalle infinite stelle dell'universo che intrecciavano il loro moto con quello delle allegre e ballerine lucciole.
Come due lucciole nella nebbia
noi volavamo spensieratamente.
Nel fumo dell'aria fredda e buia
io gridav'i pensieri follemente.
Vedev'il cielo chiar e senza nuvole,
realtà più nitida mai avvenuta,
con chiazze del certo non sfuggevole;
mi chiedo s'adesso l'abbia perduta.
Bellezza di un fiorito bocciolo
er'il modo in cui correvam al vento,
col fresco che mi sfiorava le guance.
Col tuo riso non er più da solo.
Non son più sicuro, io lamento,
la nebbia è qua, nostalgia è grande.
Pensò che se l'avesse scritto sarebbe stato un sonetto perfetto e l'avrebbe benissimo aggiunto al suo libro di poesie: poi si ricordò che tutto il suo lavoro colmo dei suoi più personali pensieri era rimasto a Parigi e, chissà, forse buttato da qualche parte, solo perché un ammasso di carta realizzato da un fallito.
Ridacchiò leggermente, ancora a malincuore: magari avrebbe imparato a scrivere in tedesco, un giorno, e avrebbe trovato lavoro ad una casa editrice di Vienna.
Oppure no, no, stava solo fantasticando.
Il passato è passato, il suo destino l'aveva deciso lui stesso e avrebbe potuto benissimo fermarsi da solo prima di arrivare a quella sorte, ma gli piaceva così tanto avere la testa colma di pensieri che proprio non riusciva a frenarsi da giungere a quelle pene.
Era proprio un uomo del suo tempo e della sua corrente letteraria, che lui avrebbe continuato a vivere a pieno fino alla sua morte, anche se tutto il mondo avesse continuato ad andare avanti.
Gli piaceva così tanto dare la penna al suo cuore e farsi travolgere da quell'impetuosa tempesta di pensieri che ogni volta lo avvolgeva, trasformandosi puntualmente in un ciclone.
Fortunatamente per loro, realizzarono tutto quello che avevano prestabilito e dopo neanche un mese e mezzo riuscirono finalmente a trovare un lavoro di tutto rispetto per entrambi. Entrambi, quel giorno di metà giugno, strinsero i grembiuli al petto, sperando di sporcare i vestiti il meno possibile, altrimenti li avrebbero danneggiati irreversibilmente con quella quella pittura di colore bianco, che avrebbero usato per affrescare le pareti esterne di un istituto scolastico di istruzione inferiore situato appena fuori Vienna. Fortunatamente non c'erano più i ragazzini, dato che la scuola era appena terminata, il che aveva fatto immaginare ai due gli urli di gioia dei bambini che saltavano fuori dalle aule, scappando ai severi maestri, che continuavano ad inseguirli con delle lunghe righe.
"Dovete dipingere tutto l'esterno della struttura entro un mese e dovete essere celeri, poiché poi si passerà alle aule interne."
Cercò di comunicare loro il direttore della scuola, un uomo dalla pelata che all'esterno rifletteva la luce del sole come fosse uno specchio e che era tutto in tiro, con lunghi e pesanti pantaloni, sebbene l'estate sarebbe iniziata dopo una settimana.
Ovviamente, il suo francese era più comprensibile di quello del venditore del loro appartamento, ma anche se non lo fosse stato non si sarebbero neanche azzardati a deriderlo, perché era l'unico lavoro che avrebbe assicurato loro una paga per tutti i mesi estivi.
«Taehyung, non so come si faccia. Potrei finire per dipingere su di te.»
Alla fine si era sistemato tutto tra di loro: non che fosse mai accaduto niente di grave, certo. Appena Jungkook tornò a casa quella sera, poggiò sul tavolo tutto ciò che aveva comprato con un bel sorriso sulle labbra, ovvero delle carote, delle zucchine, del pane e un paio di cornetti, di cui dovette ammettere di aver trovato troppo poco burro nell'impasto rispetto a quello a cui era abituato, per cui non fu molto di suo gradimento.
Fu una bella serata, quella, e alla fine riuscirono a stendersi sul letto assieme e anche a dormire bene, cosa che continuò a ripetersi per le notti successive, anche se nessuno dei due si accorse mai che, a turno, uno poggiava il proprio corpo su quello dell'altro, beandosi del calore che credevano provenisse da uno dei loro sogni.
«Devi solo stendere il pennello lungo la parete, non credo sia tanto complicato.» chiese fingendo un tono di superbia, ma che non riuscì a nascondere una nota di interrogativo nella voce, perché effettivamente neanche lui sapeva da dove cominciare.
Erano convinti che l'unico modo per non fare danni era non cominciare.
Taehyung si avvicinò con il pennello dalle setole spesse appena intinte e diede la prima passata, accorgendosi con orrore che il colore non si attaccava tanto facilmente alla superficie ruvida dell'esterno e che quindi ci sarebbe voluto molto più tempo di ciò che pensavano.
«Sto già meditando di cambiare lavoro, ma non possiamo, altrimenti il mese prossimo ci sbattono fuori.» sospirò, prendendo il secchio da terra con tutta la forza possibile in modo da non piegarsi per terra. Ma quello fu un grave errore, poiché le sue braccia non erano in grado di sopportare un peso tanto grande e furono sul punto di far cadere il contenitore pieno fino all'orlo della vernice bianca nella quale ci si poteva specchiare.
Un po' di liquido - molto - finì lungo tutto il braccio di Tae, mentre altro sporcò i suoi pantaloni, le sue scarpe e il terreno, facendogli emettere un urletto impanicato.
«Ecco, vedi, non sono buono.»
Jungkook scoppiò a ridere a vederlo tutto sporco di bianco, tanto da doversi piegarsi in due, per quanto era esilarante la scena.
«Quella vernice ci serve per pittare, non per travestirci da fantasma!»
Taehyung poggiò il secchio di latta per terra sbuffando e portando gli occhi al cielo, senza ricambiare le risate dell'amico. «Davvero, se cominciamo così non finiamo mai e non veniamo pagati.» precisò stringendo le braccia al petto, senza più curarsi dei propri vestiti, che sicuramente sarebbero finiti nella spazzatura una volta averli utilizzati per quel lavoro durante quei mesi.
«Siamo in una scuola adesso, quindi almeno per oggi voglio comportarmi come un bambino. Hai idea di quanto tempo fa ho smesso di comportarmi infantilmente?» chiese ridacchiando, ma esprimendo quel suo profondo desiderio. Si girò verso Taehyung guardandolo negli occhi, tale da fargli capire quanto ci tenesse a divertirsi con lui come due infanti.
«Quanto tempo?»
«Credo... credo da quando mia nonna è morta ed io ho vissuto con mio padre tutto il giorno.»
Taehyung gli posò una mano sulla spalla dolcemente, cercando di dare conforto a Jungkook che teneva adesso gli occhi fissi verso il basso e si era chiuso in se stesso con la postura, avendo frenato improvvisamente l'entusiasmo.
«Adesso è tutto passato. Voglio solo ricordarti che uno dei motivi per cui siamo qui è perché ho deciso assieme a te che ti meriti una vita migliore di quella che stavi conducendo. E vorrei farti provare tutto quello che hai perso.»
Jungkook si morse il labbro, tenendo il collo incurvato verso il basso, addolcito dalle sue parole così sincere ed altruiste. Aveva rinunciato alla sua normale vita soltanto perché desiderava che la propria trascorresse al meglio.
«Qualunque cosa, dalla più stupida a... non lo so, quello che vuoi tu. Sei... sei un ragazzo magnifico, hai fantastiche qualità, non soltanto quella di saper mandare a fanculo in mille modi diversi chiunque non ti vada a genio,» risero entrambi, «ma sai fare tanto altro, hai tante cose dentro di te e se avessi vissuto un'esistenza meno travagliata e colma di timore, saresti diventato tu stesso uno scrittore di successo. Chissà, ci saremmo incontrati alla Mabillon anche prima o forse tra qualche anno.»
«Ma ormai è andata così e ci conosciamo già. Alla Mabillon non ci rimetteremo più piede, ovviamente. E ancora una volta sono in debito con te. Stronzo, mi fai sentire sempre così in colpa con tutte le tue parole.» commentò adesso con un piccolo sorriso.
«Mi prometti che smettiamo di parlare di questo argomento allora? Abbiamo cambiato vita, è diventato tutto diverso, noi in questa esistenza siamo due comuni amici che non si riescono a far capire da nessuno poiché parlano una lingua diversa, vivono in un mondo tutto loro e che ancora vivono gli anni migliori della loro infanzia. O meglio, adolescenza. Si sa che le amicizie migliori si fanno durante l'adolescenza: d'altronde siamo ancora due ragazzini, come vuoi che si comportino due giovani di 22 e 24 anni? Quando ne ho compiuti venti non mi ero neanche reso conto essere un adulto e non mi sento tutt'ora tale, mi sembrava ieri che ai miei sedici guardavo al me del futuro. È passato così tanto da allora, ma è come se io non fossi cambiato, come se fossi ancora un adolescente nel pieno della sua giovinezza. Facciamo finta di essere degli irresponsabili ragazzetti di sedici anni e dimentichiamoci sia del passato sia del presente.»
Jungkook annuì, rivolendogli un sorriso «Va bene, te lo prometto. Sarebbe realmente sciocco non prendere l'occasione di cambiare vita, adesso che abbiamo nomi diversi e possiamo conoscere chiunque di diverso. Sai, me lo ero sempre chiesto se, in una situazione del genere, avrei continuato a pensare al passato o sarei andato avanti.»
«Ovviamente entrambi.» gli rispose, spiazzandolo «Certo, guardare sempre al passato non va bene, ma come potremmo divertirci assieme se ci dimentichiamo anche degli attimi felici passati assieme?»
«Incredibile come il tuo modo di parlare a volte mi faccia così confondere, ma allo stesso tempo capire ogni cosa» allora prese il pennello dalle spesse setole intinte di quel candido bianco dal secchio e lo rigirò tra le dita. «Quasi quasi comincio a credere che la mia vita sia più bella di quello che ho sempre creduto.» sorrise, stendendogli una bella pennellata di vernice sulla guancia senza che l'altro se ne potesse accorgere e contestare.
Taehyung rimase con gli occhi sgranati e spalancò la bocca sul punto di urlargli contro, ma non riusciva a trovare quale tra i tanti insulti che conosceva era adatto per Jungkook. Soprattutto, non sapeva in quale tra le più violente maniere l'avrebbe dovuto picchiare, tanto che rimase fermo lì, immobile, senza muovere neanche un muscolo.
«Allora, non hai più voglia di giocare, pivello?»
«Vuoi proprio che te la faccia pagare eh, brutto stronzo!» gli urlò contro, inizialmente con un tono serio, ma che aveva un sorrisetto sulle labbra, tale da dimostrare la poca serietà dei due.
Jungkook, una volta scappato via di qualche metro tra le risa, gli fece la linguaccia. «Non mi prendi, non mi prendi, non mi prendi! Sei solo un vecchio brontolone, esci fuori dalla tua copertura e dal tuo faccino liscio e senza rughe!»
«Vuoi la guerra, Jeon Jungkook? Allora guerra avrai!»
Era così musicale il modo in cui il nome di Kook usciva dalle labbra del più grande, come se fosse una poesia, come se fosse un flauto la cui melodia veniva suonata con grazia ed eleganza. Entrava in contrapposizione con il modo in cui adesso Taehyung stava inseguendo Jungkook, fingendosi una belva assetata di sangue e di vendetta, come se stessero giocando a fare il lupo e la pecorella. Tae corse nella sua direzione il più velocemente che poteva, alzando i ginocchi come se volesse imitare la corsa di un ghepardo per finire in vantaggio e vincere quel gioco, tenendo tra la mano il pennello sporco di vernice bianca che gocciolava sull'erba, togliendone il colore, al fine di dare al ragazzo la punizione che si meritava, tanto aveva osato.
«NO!» urlò il bruno impaurito, scappando via attorno all'istituto, alla ricerca di un posto che Tae non aveva visto e che quindi poteva fungere da nascondiglio fino a quando la vernice del pennello non si sarebbe seccata, ma rideva così tanto che avvertiva i polmoni e la pancia bruciare dal dolore causato dalla gioia.
«Lo stronzo sarai tu, non mi prenderai mai!!» esclamò con tutta l'aria che aveva in corpo, anche se farlo era stato un grave errore, dato che gli serviva per continuare a scappar via.
«Ah sì? Eppure ti sto raggiungendo, lumaca!»
L'unico vantaggio di Taehyung era quello di essere in grado di riuscire a non ridere tanto mentre correva, tanto da permettergli di avvicinarsi all'amico, sempre più impanicato di stare per sporcare i suoi vestiti.
«No, no, no, vattene via! Non voglio che tu mi faccia del male!» finse degli urli spaventati e si rannicchiò al suolo una volta che si rese conto di essere troppo stanco e privo di ossigeno per poter proseguire la sua fuga. Chiuse gli occhi ed allungò le mani davanti in segno di difesa, ma questo non bastò per frenare Taehyung dallo sporcargli tutta la camicia ancora abbastanza pulita e parte dei pantaloni, senza risparmiarsi parte del viso.
«AHHH mi sta ammazzando, mi sta ammazzando!» gridò Kook: forse ci mise troppo impegno in quella recitazione, tanto da parere vera e da far fermare realmente Taehyung, che adesso si era poggiato sulle proprie ginocchia, facendo sì che le gambe di Jungkook fossero tra di esse.
«Ti sto ammazzando, mh?» chiese con tono cupo, troppo cupo per essere ancora di un gioco.
Jungkook allora aprì gli occhi sorpreso da quel cambio repentino di umore. «Taehyung-»
Oh sì, sì che era un gioco quello, lo diceva quel sorriso malefico che aveva Tae sul volto, che andava da un orecchio ad un altro, fiero di se stesso per essere stato in grado di catturare quella preda difficile che tentava di travestirsi da lepre e di correre velocemente, quando in realtà non era altro che un pollo.
«Sei un fifone, come un coniglio. Ne hai proprio le fattezze, Jeon Jungkook, e il carattere.»
Proprio musicale era il modo in cui lo pronunciava, pareva che lo stessero suonando un'orchestra di archi. «Jungkookie. Jungoo. Kook. Koo. Kookie.» disse Taehyung lentamente, adesso a sguardo quasi distratto, che passava in ogni punto dove aveva fatto finire la vernice sul corpo del bruno.
«Che stai facendo?»
«Trovo un nome per te.»
«Jungkook.»
«Ti chiamavo così anche quando eri Jungkook Boyer. Non sento di star chiamando te quando pronuncio il tuo nome.»
«Mi pare molto logico il fatto che tu voglia cambiarmelo, allora.» rispose con del sarcasmo l'altro, osservando le pupille di Tae che si spostavano da una parte all'altra del suo volto, facendolo sentire quella situazione un tantino scomoda.
«Kookie. Mi piace Kookie. Sento che quando lo pronuncio sto dicendo il nome di Jeon Jungkook. Il tuo nome vero, non fittizio. Sento il vero te, nessun'altra maschera.» pronunciò con tono basso, quasi roco.
Jungkook si abbassò al suolo con la schiena involontariamente, spinto da Taehyung che pareva avvicinarsi sempre più con il busto.
«Kookie. Kookie va bene, va benissimo, Taehyung, però alzati adesso.» gli chiese, cercando di indietreggiare un altro po' con la schiena.
«No! Io faccio le regole del gioco.» protestò infantile, prendendo i polsi di Jungkook e tenendogli fermi per terra tra le sue mani, per impedirgli di muoversi.
Tae si avvicinò sempre di più al viso di Jungkook, guardandolo negli occhi con sguardo quasi perso, facendo sudare freddo l'altro. Cosa intendeva ottenere con quell'atteggiamento? Cosa era sul punto di fare?
«E... che gioco è...?» chiese quasi impaurito nel ricevere una risposta.
Impaurito del ricevere quella risposta che da lui non avrebbe mai voluto avere. Lui no, lui no. Sperava che fosse tutto falso, non poteva permettere che i vermi che già mangiavano il suo cervello se ne impadronissero totalmente e lo facessero fuori, magari facendogli provare sensazioni ed emozioni sbagliate. Vermi, quali vermi? No, no, ti prego, Taehyung, ti prego, non essere causa della rovina.
Jungkook era certo che una volta intrapresa quella strada non ci sarebbe stato più alcun ritorno, poiché gli ostacoli da affrontare erano molto più ardui di quelli proposti all'andata. Serrò gli occhi e girò il capo, facendo poggiare la propria guancia al terreno e non riuscendo a far smettere il suo petto di andare su e giù all'impazzata, cercando più ossigeno di tutto quello presente sul pianeta.
No, no, no, non doveva permettere al suo cuore di battere tanto da fargli avvertire quell'orrida stretta che aveva sempre temuto.
Taehyung te ne prego, non condannarmi a quella sorte che sono certo essere in grado di intraprendere.
Perse dei battiti non appena sentì le setole morbide sporcargli tutta la guancia; poi Tae scoppiò a ridere e gli lasciò i suoi polsi. Jungkook aprì l'occhio destro, intravedendo il volto del moro colmo di allegria e che tratteneva le lacrime di divertimento.
«Te la meritavi questa vendetta, Kookie. Adesso siamo tutti e due sporchi di vernice, almeno sappiamo che vestiti metterci nei prossimi mesi a questo lavoro.»
«Quello che forse dovremo almeno cominciare.» commentò Jungkook alzandosi velocemente e tenendo il capo voltato, facendo smettere di ridere Tae.
«E su, dai, scherzavo, non tenermi il broncio.»
«E c'era motivo di-» si girò verso di lui coi pugni stretti e con un'espressione imbronciata, stringendo poi le braccia al petto. «Stronzo.» brontolò. Taehyung non ci aveva neanche pensato a quello che aveva fatto, tanto gli era sembrata un'azione scherzosa e quasi genuina, ma Jungkook si era... spaventato! Ma non spaventato come se avesse visto un fantasma, non quel tipo di spavento: quel tipo di spavento che ti fa sperare di essere in un sogno, quello spavento di stare sul punto di cadere nel baratro più pericoloso di sempre, quello spavento nell'immaginare Taehyung proseguire l'azione, e non aveva affatto idea di come avrebbe reagito se ciò fosse mai accaduto. Forse si stava immaginando tutto; forse doveva solo vedere quella situazione da un'altra ottica; forse era lui che si stava creando tutti i problemi senza che ce ne fosse alcuno. D'altronde Tae non si era accorto di ciò che aveva fatto! Le sue sopracciglia erano corrugate, Jungkook si stava immaginando ciò che non era accaduto ed immediatamente divenne rosso sulle gote, sul naso e sulle orecchie.
«Kook cosa stai-»
«A lavorare! Andiamo a lavorare, per favore. Stiamo ciondolando da troppo e abbiamo consumato anche tanta vernice!» strillò il più piccolo tenendo gli occhi serrati e le mani sulle guance per coprirle.
Cos'è che lo faceva comportare così diversamente? Cosa c'era di differente dal passato? Perché, adesso che erano partiti lontano da Parigi, pareva come se non fossero più in grado di correre come liberi al vento come avevano fatto in passato?
Come se fosse realmente tutto diverso.
Questo gli doleva tanto il cuore: che altro aveva fatto di sbagliato?
«Andiamo, Koo- Jungkook.»
Taehyung si alzò da terra quasi con un briciolo di tristezza. Jungkook in realtà non intendeva fargli perdere tutta la sua allegria, quella era l'ultima cosa che desiderava! Anzi, no, non era neanche l'ultima, non lo desiderava affatto. La felicità di Taehyung era così bella, era essa che faceva da casa.
Sospirò, non poteva tirare indietro quello che aveva appena detto. Erano così strani quegli attimi dove l'imbarazzo regnava tra di loro, entrambi non avevano richiesto che questo accadesse, volevano ritornare sulla loro magnifica collina sotto la loro amata Luna, che in Austria era la stessa, ma pareva non emanare la stessa luce.
Una volta tornati a casa quella sera, completamente sporchi di vernice da capo a piedi, Jungkook non perse attimi a togliersi i suoi vestiti sporchi e a cambiarsi, sempre in quel religioso silenzio interrotto solo qualche volta da frammenti di conversazione.
Non erano arrabbiati l'uno con l'altro, non c'era realmente motivo che il gelo aleggiasse tra di loro: adesso però nessuno dei due si faceva avanti per dare le proprie scuse.
«Non ho fame, vado a dormire.»
Taehyung sospirò, annuendo verso di lui. Sapeva che Jungkook non stava già bene fisicamente a causa dei tanti pasti che aveva avuto l'abitudine di saltare nei mesi precedenti, un po' per mancanza di tempo, un po' per il poco denaro, ma proprio in quel momento non poteva impuntarsi di cenare assieme, come se non fosse successo assolutamente nulla.
Dal letto si poteva vedere la finestra, per cui se Taehyung si fosse affacciato l'altro se ne sarebbe accorto e non voleva ascoltare altre sue parole: desiderava solamente silenzio, quel silenzio che fischia nelle orecchie. Per cui si appostò accanto al muro dalla parte della cucina nella direzione della finestra, al fine di non farsi vedere da Kook, e si sedette per terra a gambe incrociate, osservando solo quel misero spicchio di Luna che regnava nel cielo, quasi impotente in quell'immensità. La preferiva nella sua forma tondeggiante, allegra, sorridente, che gli sussurrava che non aveva nulla da tenere.
Avvertiva il respiro tranquillo di Jungkook non molto lontano, il che significava che si era addormentato e lui poteva muoversi più liberamente.
Emise un altro sospiro. La Luna era così diversa, non pareva la madre che tanto amava, pareva sciupata, scarna, triste, proprio come lui stesso: tale madre, tale figlio.
Quasi riusciva ad intravedere la lacrima calda della Luna rigarle le sue rocce, ma poi si rese conto che la grande Signora era solamente lo specchio delle sue emozioni e che era la sua carne ad essere bagnata da quella lacrima disgraziata.
Si passò un dito sotto l'occhio, guardando le dita umide in confusione: perché adesso desiderava esplodere come mai prima, perché era più impanicato e disperato di qualsiasi altro momento della sua vita?
Non desiderava urlare e non l'avrebbe mai fatto, non avrebbe mai dato voce ai suoi pensieri martoriati dalla dura realtà.
Cosa aveva fatto di tanto sbagliato? Cosa aveva spinto Jungkook a comportarsi duramente con lui dopo essersi spinti a quel punto così lontano?
Oramai non poteva più tornare indietro e, anche se avesse voluto, non l'avrebbe mai fatto. Si stese per terra, sempre senza togliere gli occhi dalla Luna, attendendo che gli desse consigli nei suoi sogni più profondi, quelli che non sarebbe mai stato in grado di ricordare, salvandolo da quell'orribile situazione di abbandono.
Jungkook a volte era improvvisamente freddo a causa di qualcuna delle sue azioni e ciò gli faceva desiderare così tanto di ritornargli ad essere amico come quando lo erano sul Montmartre.
Si sentiva così solo, adesso che aveva abbandonato tutto e tutti per lui e adesso che desiderava solamente lui.
Chiuse gli occhi, addormentandosi sulle fredde pietre, senza che si coprisse in qualche maniera, dato che con quel clima quasi estivo non gli serviva affatto.
Si stavano ferendo a vicenda e non lo capivano, desideravano entrambi che quella situazione terminasse, ma non avevano idea sul come farlo, né perché fossero mai arrivati a quel punto.
La Luna glielo sussurrò durante il suo sonno, quella notte, ma Taehyung non se lo ricordò mai.
Se desiderava solamente Jungkook ci doveva essere una ragione, ma purtroppo non era in grado di comprenderlo perché si riesce a farlo solo quando si sente il cuore bruciare fino ad esplodere, per cui quella non era ancora l'occasione esatta.
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