「04/07/1864」

9.

Quella notte Jungkook aveva dormito talmente male che non sentiva più la spina dorsale e le ossa del collo, probabilmente perché il materasso nuovo reperito con fortuna non era né uno dei migliori né decente. Sospirò, camminando ancora con i vestiti della notte, verso la stanza di Namjoon ricolma di tele e colori, rendendosi conto che in casa vi erano solo Hoseok e Minsoo ancora intenti a sonnecchiare come dei ghiri. Il letto del suo migliore amico, invece, era ancora intatto e ciò significava che non era tornato neanche quel giorno e che non sarebbe tornato per molto tempo, se non mai più. Ritornò nella propria stanza, aprendo le finestre e facendo entrare la luce di prima mattina e l'aria fresca, respirandola a pieni polmoni: Namjoon gli avrebbe detto di farlo.

E che avrebbe detto Namjoon se gli avesse chiesto consiglio riguardo a suo padre? Appoggiò le braccia al davanzale dopo aver preso una sigaretta, che accese. Perché gli era venuto in mente Taehyung quando doveva concentrarsi su Namjoon? Spense la sigaretta sul davanzale preso da uno scatto di rabbia e la buttò ancora completamente intatta sulla strada sottostante.
Namjoon gli avrebbe detto di affrontarlo e chiudere la faccenda una volta per tutte, adesso che le sue minacce erano diventate ancora più consistenti e c'era di mezzo la sua vita. Si ricordava come padre e figlio avevano nascosto il corpo entrambi in una fossa non molto lontana dal luogo del delitto, nascondendovi assieme quella bottiglia rotta, usata come arma, ancora sporca di sangue.

All'inizio nessuno dei due proferì parola, decidendo di non dire mai nulla a nessuno, perché sapevano entrambi che era la cosa migliore da fare. Non riusciva proprio a comprendere da cosa fosse spinto nel volerlo utilizzare come un forziere colmo di denaro, oppure una vittima sacrificale. Il suo progetto era chiaro, ovvero denunciarlo alla polizia tramite la testimonianza di quella ragazza e quel corpo decomposto nel terreno per poi acchiapparlo con sguardo benevolo e portarlo alla polizia inflessibile, dove intanto avevano affisso un'ingente taglia sulla sua testa. Sperò che lei fosse scappata di lì e avesse trovato un altro lavoro, meno deplorevole, con la possibilità di dormire spensierata e realizzata in un caldo letto; il desiderio era enorme quanto lo era quello di veder ritornare Namjoon e poter esclamare di aver sbagliato con le sue insinuazioni.

Suo padre l'aveva ridotto ad uno straccio, spingendolo a fare qualcosa di cui non era felice e a perdere la sua anima, assieme alla sua stabilità mentale. Non era un caso che si sentisse molto più vuoto ed incapace di affrontare suo padre, perché era certo che non ce l'avrebbe fatta, quella volta, né avrebbe potuto scappare.
Suo padre sapeva dove abitava, ci era andato diverse volte seppure Jungkook avesse cercato di nascondergli l'indirizzo: evidentemente non ci era riuscito e qualcuno glielo aveva riferito, qualcuno dei suoi contatti.
Per un attimo provò di nuovo invidia, perché lui aveva contatti e Jungkook doveva far da solo ogni cosa, da un anno a quella parte.
No, non doveva essere invidioso: voleva forse dimenticare che quell'uomo era lo stesso che l'aveva cresciuto in quella maniera, rendendolo una persona dal carattere pessimo, che era finito per far del male alle persone che gli stavano più vicine di tutte?
Non voleva neanche immaginare cosa aveva passato sua madre.
Forse era stato un viscido verme anche con lei, ma Jungkook non poté mai averne conferma poiché aveva vissuto solo i primi anni della sua vita con lei.

Adesso le idee si facevano più chiare: era lui il diavolo del suo Inferno, non Taehyung, che credeva essere fastidioso, non chiunque altro se non suo padre, l'uomo che l'aveva pian piano manipolato a scendere da solo, senza che Virgilio gli facesse strada o che Cerbero gli bloccasse il passaggio.

Suo padre appariva come un diavolo all'angolo della strada, in lontananza, ma non abbastanza per poter vedere il volto di Jungkook dai capelli ancora arruffati a causa del sonno lasciato da poco.
Dopo che era scappato dal locale, il giorno prima, sperò di non incontrare più il genitore neanche nei suoi più lontani incubi, ma si sbagliò, dato che era proprio lì, vestito di nero, con un cappello che gli copriva la fronte e gli occhi.

Dalla stazza e corporatura riusciva ben a capire di chi si trattasse. No, non la corporatura: il ghigno malefico. Il suo incubo.
Se quello era un incubo, sperava che lo uccidesse, in modo da svegliarsi nel letto della realtà.

Perché quel mondo era così sbagliato da pesargli in quella maniera sulle spalle? Perché i sensi di colpa lo stavano sopprimendo? Perché sentiva di aver sbagliato, ma allo stesso tempo sapeva che era l'unica soluzione possibile? Si portò una mano tra i capelli, indietreggiando dalla finestra e correndo a prendere qualche vestito dal suo armadio malandato. Si vestì in tutta fretta, finendo per inserire i bottoni della camicia nelle asole sbagliate. Gattonò verso la finestra e sbirciò così come fa un cane curioso verso la strada, notando con tutto il terrore che il padre si era sempre più avvicinato, così come fa un fantasma.
Era un incubo. Era un incubo. "Svegliatemi", pregò disperato.

Non fece neanche in tempo a prendere una giacca da mettere addosso o a fare un nodo alle scarpe, che prese una valigia da sotto al letto e cominciò a mettere tutto quello che poteva trovare nella sua stanza. Il romanzo e  tutte le carte erano poggiate sulla scrivania e per quelle aveva bisogno di una valigia o due a parte; i suoi amati libri e la cultura: come faceva a dimenticarli? Non erano molti, sistemati in libreria ordinatamente, ma ognuno di essi aveva uno stralcio di Jungkook e dimenticarsene sarebbe significato lasciare una parte di sé.
Stette quasi per inciampare nei lacci delle sue scarpe, per cui si inginocchiò velocemente e se le sistemò, per correre poi nella stanza di Hoseok e lanciargli il cuscino che aveva preso dal suo letto.
Hoseok però non si svegliava, a causa del suo sonno pesante. Corse a riprendere l'oggetto da terra e glielo scaraventò in faccia ripetutamente, facendo svolazzare qualche piuma in giro per la stanza e riuscendo finalmente ad ottenere qualche mugugno infastidito.

«Jungkook, che stai f-» non riuscì a finire perché ricevette l'ennesima cuscinata in pieno volto, fino a che Jungkook fece cadere il guanciale per terra e cominciò a parlare in agitazione.

«Hoseok, dobbiamo scappare di casa. Mio padre questa volta non si fermerà a sole minacce, lo so per certo! Io me ne andrò con le valigie, ma non posso rischiare che faccia del male anche a voi, quindi per adesso tu e Minsoo dovreste venire via con me, poi potrete ritornare a casa, ve lo prometto-» cominciò senza prendere un filo d'aria, fermato poi dal suo amico dai capelli rossicci.

«Che significa che tuo padre non si fermerà alle minacce? Come fai a saperlo?» chiese, anche lui adesso agitato.

«È qui fuori, l'ho visto, e ieri l'ho incontrato con dei suoi amici che stava bevendo e l'ho sentito dire a loro che mi consegnerà alla polizia e lo conosco, so che userebbe voi come ostaggio. Vi prego» continuò in tono supplichevole, giungendo le mani vicino alle labbra. «vai a svegliare Minsoo e venite via con me.»

«Jungkook, come può-»
Non ebbe neanche il tempo di chiedere spiegazioni che sentì un forte rumore proveniente dalla porta di casa, come se un colosso stesse bussando con forza con l'intenzione di entrare. Jungkook prese il braccio di Hoseok, con occhi sgranati, scappando verso il fondo del corridoio verso la stanza del loro amico ancora addormentato.
Non poteva essere già arrivato! Il ragazzo aveva perso troppo tempo appresso alle robe ed altre appendici futili e ormai l'unica via libera era la finestra della camera di Minsoo vicino al tetto di un'altra casa, dove più volte erano riusciti a salir sopra.
Kook mosse di scatto il capo verso quella via di fuga più vicina e sicura, per poi riportare gli occhi verso quel lungo corridoio che culminava con la porta di ingresso.

Il rumore si trasformò in un boato, cosa che fece impaurire entrambi i ragazzi, i quali notarono il legno incurvarsi verso l'interno a causa della violenza dei suoi pugni.
Che situazione surreale era quella! Quell'uomo pareva essere in procinto di uccidere chiunque in quella casa, ma il figlio non si poteva permettere di perdere gli altri due amici, dopo che ne aveva perso già uno.

Due.

Non poteva rischiare di perderne ancora perché era troppo codardo da affrontare la prigione o la morte. La morte, la disillusa liberazione dell'animo! Era suo padre, come poteva fare tutto questo per arrivare a lui?
La porta di casa fu infine demolita tramite un calcio che nessuno dei ragazzi fu in grado di notare, troppo impegnati a tenere le palpebre strette dalla paura: Jungkook prese il polso di Hoseok e lo strattonò verso la stanza di Minsoo, dato che non aveva intenzione di smuoversi dalla sua posizione immobile.

«Padre, vuoi spiegarmi che cosa vuoi?!» esclamò Jungkook, mettendosi al centro della stanza, interposto tra Hoseok dietro di lui e la valigia vicino alla porta. In risposta l'uomo, già arrivato pericoloso al fondo del corridoio, sogghignò come al solito, afferrando il telaio dell'entrata con la sua untuosa mano.
«Che c'è, adesso non riesci neanche a capire quello che ti sto dicendo?»
Strinse le braccia al petto sotto quel cappotto nero e si avvicinò di qualche passo. «Sei andato via di casa per fare fortuna con la scrittura e adesso mi aspetto che tu sia arrivato a livelli eccellenti e che abbia già pubblicato, con tanti soldi in ricavato. Oppure sei un fallito?»

Jungkook strinse i pugni: dirgli le cose come stavano schiettamente forse gli avrebbe fatto cambiare le idee e l'avrebbe convinto a lasciarlo stare, avendolo così affrontato coraggiosamente.
«Padre, io non ti darò neanche un soldo, perché neanche io ne ho per vivere.» tenne il capo basso verso terra, tuttavia con un tono alto e scandendo bene le parole, in caso lui insinuasse di non aver capito cosa stesse dicendo. «Non sono un burattino che puoi comandare come vuoi, non puoi minacciarmi e aspettare che io tiri fuori soldi che non ho dal nulla. Quelli che mi servono per vivere sono un ulteriore debito che ho con i miei coinquilini, a cui sono molto grato.»

Hoseok alzò lo sguardo verso il capo di Jungkook girato, ringraziandolo con lo sguardo per quell'apprezzamento. D'altronde erano diventati tutti e quattro amici, era il minimo aiutarsi a vicenda, anche se Namjoon ormai non abitava più lì: quante volte avevano diviso le pagnotte, pagate con la moneta guadagnata da Hobi come un mendicante ballerino!

«Figliolo,» lo chiamò il padre con tono più addolcito, avvicinandosi a lui, senza mostrare le braccia fuori dal cappotto, seppure si sentisse il caldo di luglio penetrare attraverso il vento che creava corrente tra le due finestre della casa. «capisco, hai proprio ragione,» iniziò. Si stava avvicinando ancora di più, ed Hoseok poté vedere il gomito dell'uomo uscire pian piano.
Jungkook non ci fece caso, ma l'amico riuscì ad intravedere anche le mani ossute che impugnavano un oggetto che non riusciva ad indentificare.

«Figliolo, sei un fallito, quali che siano tutte le tue giustificazioni. Avevi scelto una strada e non sei riuscito ad arrivare al traguardo come altri ci sono riusciti. Ti avevo minacciato per poter arrivare al tuo traguardo, perché se non va con le buone, tu ci provi con le cattive, no?»
Si avvicinava ancora di più e il suo ghigno si estendeva.

Hoseok sgranò gli occhi non appena si rese conto di ciò che l'uomo aveva in mano e la sua mascella si mosse per urlare qualcosa, ma la sua gola non emise nessun suono, neanche il nome del suo amico per farlo spostare in tempo.

«Se ho un figlio fallito che non mi restituisce tutti i soldi che gli ho dato durante la vita, perché continuare a tenere questo figlio anche sulla faccia della terra?»

Mamma, perché mi hai lasciato da solo su questo mondo sapendo che ci sarebbe stato lui?

Sul volto di Hoseok arrivarono degli schizzi di sangue denso così come finirono sul cappotto di quell'uomo folle. Giunsero soprattutto sul suo braccio, che teneva tra le mani quello che era il collo di una bottiglia dal vetro verde.
Un urlo squarciò l'aria calda d'estate e fece risvegliare dal silenzio tutte quelle palazzine che sembravano case dormitorio.

Minsoo trasalì, finalmente svegliato sebbene tutta la stanchezza e le poche ore di sonno, notando come prima immagine della giornata il capo dell'amico che veniva sbattuto contro il muro più vicino a loro e che scivolava per terra, tossendo e tenendo stretto il proprio stomaco, appena colpito. Strinse i denti e serrò le palpebre, troppo spaventato dal genitore per poter tirarsi su ed affrontarlo così come lo aveva prefissato.
Monsieur Jeon indietreggiò di qualche passo e il suo collo schioccò, assieme alla schiena dalle spalle larghe, rivolgendo un'occhiata raggelante a quei due nella stanza, che erano rimasti talmente scioccati da non essere in grado neanche di colpirgli il capo con violenza, mettendolo al tappeto.
Jungkook mugugnava dolorante, con la camicia infilata velocemente grondante del proprio sangue rosso vivido, che tentò di fermare tramite la propria mano.

L'uomo rigirò l'arma tra le mani, contemplandone per qualche secondo la lucentezza e quanto fosse sfavillante, proprio come l'insania: colpì il muro tramite la parte già rotta e gocciolante, lasciando che i cocci cadessero per terra, rimanendo con il misero collo tra le sue dita.
«Allora, ragazzini, avete da dire qualcosa?» chiese, provocatorio, con una smorfia spocchiosa e sornione.

Minsoo si stropicciò gli occhi e spinse Hoseok dietro di sé, avanzando verso di lui con ostilità e denti serrati, pronto per sferrargli un pugno in pieno viso adesso che non aveva più alcuna arma.
Il fiato gli mancò, quando l'uomo gli bloccò l'azione con freddezza, aggrappandogli il polso e torcendoglielo, il che lo fece sbraitare per il malore.
L'azione lo fece però deconcentrare da Jungkook, il quale si era alzato in tutta difficoltà e barcollante, aggrappandosi al muro accanto a sé per poter avvicinarsi ai due. Minsoo, in sua difesa, aveva tentato di dargli un calcio, ma l'uomo ebbe prestazioni più celeri e muscoli più vigorosi per vincere quel duello, mandandolo a terra con una celere mossa di arti marziali, che previde la torsione del busto del ragazzo.

Quando Hobi fu pronto per intervenire al suo posto, deglutendo dal panico, fu fermato sul nascere dal monsieur Jeon, che alzò il palmo della mano verso di lui.
«Andate via di qui, sono venuto per mio figlio, non per i suoi sciocchi amici.»
Minsoo aveva perso i sensi e non aveva udito quelle ultime parole, che però spinsero Hobi a  correre verso di lui e facendo sì che Jeon li sorpassasse, giungendo davanti al proprio figlio, che intanto era scivolato sulle proprie ginocchia, troppo sanguinante per avere abbastanza forza di affrontarlo.
La testa gli girava come impazzita, non riuscendo a definire i contorni precisi della figura davanti a sé col cappotto.
«Vogliamo finire quello che abbiamo cominciato?» propose, severamente.

Non comprendeva perché suo padre, quel mostro, era giunto da lui col tentativo di ammazzarlo: e dov'era finito quel suo stratagemma per incrementare tutto il suo capitale?
Poteva pure non comprendere quali fossero i suoi contorni, ma vide la luce negli occhi di un folle omicida, che nascondeva la sua vera indole dietro le sue frasi formali, ma che sarebbe stato in grado di commettere genocidi se solo ci avesse preso la mano.
Il collo gli si schioccò violentemente, come preso da un tic nervoso.
«Mi hai disobbedito: sai qual è la fine che spetta ai bimbi che si comportano male?»
Avvertì una stretta in tutto il corpo quando tentò ancora una volta di alzarsi, ma così facendo finì per indietreggiare verso la finestra, dal davanzale troppo basso per garantire sicurezza.

Avvicinò la mano, nuovamente, all'interno del suo giaccone scuro, afferrando qualcosa di più solido e dal colore del metallo e Jungkook avvertì il tremore delle sue gambe, che non riuscirono più a tenersi in piedi. Monsieur Jeon, che aveva il nome di Auguste Jeon, era pronto per dargli il ben servito e sparargli una pallottola in fronte, se non fosse stato per una forte stretta che sentì attorno al collo, che gli fece cadere la pistola per terra e divincolare: Hoseok, quando egli si era distratto dai due, si era deciso ad avvolgere il suo collo con il gomito, in modo che gli mancasse il respiro.

Jungkook fu troppo debole perché si trattenesse dal cadere all'indietro, sorpassando il telaio della finestra aperta e lasciando che la sua schiena incontrasse per prima il vento caldo: gambe e braccia rimasero verso l'alto, nel futile tentativo di aggrapparsi a qualcosa per non cadere dal primo piano e schiantarsi al suolo. Chiuse gli occhi prima che divenisse tutto nero.

Jeon Auguste spinse via il ragazzo che aveva tentato di immobilizzarlo e frenarlo con i suoi intenti facendolo cadere per terra, vicino all'amico privo di sensi, e si affrettò a correre verso la finestra ed affacciarsi: incredibilmente non vide più il corpo di suo figlio, del quale era rimasto solamente un confuso alone di sangue sul pavimento.

Per la verità, Jungkook rimase svenuto per diverse ore, ancora con quella sua camicia incriminata, e solo quando sgranchì braccia e gambe, si rese conto di essere finito su un materasso che non era suo, trasalendo e mettendosi a sedere, avvertendo ancora dolore al ventre, che aggrappò con mano e braccio.
Strabuzzò gli occhi, quando si rese conto che la ferita era stata adeguatamente fasciata con delle bende. Non poteva aver sognato ogni cosa, poiché provava anche delle fitte alla schiena, la quale si era schiantata violentemente sulla strada. Ringraziò di abitare ad un primo piano abbastanza basso, perché altrimenti si sarebbe fracassato il cranio e le ossa tutte assieme.

Non riusciva a vedere quella stanza a causa delle palpebre ancora pesanti ed occhi impastati, ma poteva avvertire un odore familiare, che gli suscitava la sensazione di protezione e di casa.

«Kook, sei sveglio?» chiese una voce che riconobbe all'istante. Il tono era preoccupato ed era sicuro che stesse in pensiero per lui. Perché era lì, cosa l'aveva condotto nella stanza di Kim Taehyung, del quale aveva appena colto la voce proveniente da una sedia posta ad un angolo?
«Spero tu stia meglio» sospirò il ragazzo, dopo qualche attimo di silenzio. «e che la ferita guarisca al più presto. Fortuna che il vetro non è andato in profondità.»

Le immagini di Hoseok, Minsoo e suo padre si fecero ancora più nitide ed un brivido gli attraversò la schiena in uno spasmo.

«Ho provato a fare del mio meglio con la medicazione e con tutto il resto, fortunatamente sei caduto bene e non ti sei rotto nessun osso.»
Tutto sembrava diventare sempre più chiaro: Taehyung stava passando di lì, ignaro che fosse casa di Jungkook, proprio nel momento in cui era caduto dall'ampia finestra e non aveva perso neanche un attimo a prenderlo sulle spalle e portarlo con sé. Il bruno, allora, si ricordò anche del respiro preoccupato dell'altro che poi l'aveva messo sulle spalle.
«Davvero, mi dispiace che tu sia finito in questa situazione. Spero che mi spiegherai cosa è successo, quando vuoi.»
Vide che la sua figura si alzò dalla sedia e fu in procinto di avvicinarsi alla porta per lasciarlo da solo. Voltò il capo verso di lui ed esitò.

«Kook?» domandò nuovamente, sperando che avesse voglia di parlare, sebbene fosse così tanto spaventato e confuso.
I passi di Tae si avvicinarono verso il letto ed egli si accovacciò davanti a lui, poggiando le mani sulle sue ginocchia.
«Buongiorno.»

«Buongiorno...» rispose a fatica a causa della fitta alla ferita. «Da quanto tempo sono qui?»

«Un po' più di ventiquattr'ore, mi stavo cominciando a preoccupare. Come stai?» gli chiese, poggiando la mano sul lenzuolo e stringendolo. «Forse...» rimase a pensare per qualche secondo. «Confuso. Mi hai curato tu?» chiese, indicandosi la pancia fasciata dalle garze. Ricevette in risposta un movimento del capo e un mugugno in affermazione.

«Credo di aver fatto appena in tempo. Chi era quell'uomo?»

Jungkook sospirò, stringendo i propri capelli tra le dita ancora libere. «Mio padre.»
Gli doveva, d'altronde, quelle lecite spiegazioni, per cui Taehyung si sistemò ad ascoltarlo sul materasso accanto, che si trovava alla destra di quello di Kook, udendo delle azioni avvenute la mattina precedente.
«Senti Taehyung,» continuò Jungkook, osservando le sue ginocchia cozzare tra di loro, poiché non voleva guardare l'altro ragazzo negli occhi e provare i sensi di colpa che lo schiacciavano sotto un enorme masso. «mi dispiace per quello che è successo.»

«Non è stata colpa tua, mi hai appena detto che è stato tuo padre a-»

«No, non parlavo di quello. Parlavo di averti abbandonato sopra al monte e di non essere mai tornato dopo quel grande aiuto che mi avevi dato e sapere che tu stia continuando ad aiutarmi sebbene non io non me lo meriti minimamente, ribadisce quanto io sia orribile.»
Alla fine era quello il suo piano, no? Perché si stava scusando?
Taehyung l'aveva addirittura capito per conto proprio, e si sa che quando la vittima capisce il piano del traditore, il primo è giunto alla fine e si accorge di aver definitivamente perso.
«Stai tranquillo, è passato.» gli disse in amarezza, tentando di dimenticare la stretta al petto di delusione.

«Davvero, mi dispiace tanto. Sarei dovuto tornare il giorno dopo, come ti avevo promesso. Ho guastato ogni cosa: temevo di non meritare di conoscere un ragazzo tanto buono come te, non io che sono così... così...»
Non ebbe parole per descriversi, ma rimasero nella sua mente, biasimevoli.
«Il Montmartre non scappa, Jungkook. Ci sarà tempo per tornarci, te lo prometto. Vedremo di nuovo le stelle e, chissà, parleremo ancora di tanti nuovi argomenti.»
Gli strappò un sorriso che fece alzare gli occhi nella sua direzione, riconoscente per la sua pazienza e il perdono che gli aveva concesso.

«Ho perso libri, vestiti, persino il mio manoscritto, dimenticati a casa mia. Se mio padre non li ha bruciati a dispetto quando è andato via, sono ancora nella mia stanza, raggruppati alla rinfusa.» sospirò, in pensiero per i suoi due amici di cui non aveva idea quale sorte avessero incontrato, ma, a detta del genitore, quel giorno sarebbe dovuto morire solamente Jeon Jungkook e nessun altro; sperò che fossero riusciti a cavarsela.

Taehyung allora si alzò con energia, dirigendosi davanti ad un armadio sul fondo della camera «Non ho un manoscritto come il tuo, ma credo che questa raccolta possa fare al caso tuo.» aprì l'anta destra, trovandosi davanti quel ripostiglio interamente pieno di libri sulla mensola inferiore e con quella superiore colma di carta da appunti, senza mai dimenticare l'importantissima penna con calamaio. Aprì anche la parte sinistra e il bruno inclinò il capo per leggere i titoli sui dorsi, notando che quei tomi fossero sia libri tra cui colossi della letteratura sia manuali scientifici, chimici, biologici ed astronomici.
Taehyung tossì per un po' di polvere sul mobile mai adeguatamente spolverato per la poca voglia, ma poi indicò con fare teatrale il suo piccolo tesoro, il quale altro non era che l'eredità da parte di sua madre.

«Il mio santuario. Piccolo ma accogliente.» prese fiero un libro di medie dimensioni dal secondo ripiano e lo passò a Jungkook. «Ecco, ho preso un Flaubert.»
«Grazie, ma...» contestò Jungkook, cercando di scendere dal letto «Credo di star diventando un ospite indesiderato. Puoi anche rimetterlo apposto, non importa. Direi che... io andrei.» terminò, ormai abbastanza vicino alla porta, ma poi barcollando ed aggrappandosi alla maniglia a causa di un giramento di testa.

Senza che potesse replicare, Taehyung avvolse il braccio sotto le sue spalle e lo condusse nuovamente a letto, poggiandolo delicatamente.
«Ti va di mangiare qualcosa?»
Jungkook allora si rese conto che il suo stomaco stava brontolando dalla fame perché non metteva nulla sotto i denti da due sere, per cui annuì alla proposta. «In cucina c'è una scodella di legumi: hai perso molto sangue e devi cercare di rigenerarlo. Però c'è da dire che ti ho preparato anche una gradita sorpresa, perché, quando io e mia sorella abbiamo tempo libero a casa, la mando dal fornaio in modo che mi porti della pasta sfoglia, e poi passa dal fruttivendolo, cosicché prenda delle mele. Il mio dolce preferito è la tarte tatin alle mele, per cui l'abbiamo cucinata per te ieri sera, nel caso tu ti svegliassi.»
Gli occhi di Jungkook brillarono all'udire quell'ultimo nome, tentando di smuovere le gambe per correre verso il luogo nominato ed ignorando i necessari legumi.
Taehyung lo frenò, dicendo che sarebbe andato a prendere il dolce al posto suo e quindi non avrebbe dovuto sforzarsi, ma rimanere a letto coperto da quelle fresche lenzuola.
Contento, riuscì finalmente ad addentare il dolce placando il buco allo stomaco, deliziandosi tramite l'assaggio delle porte del paradiso, constatando che fossero di burro e cannella.

«Jungkook, che altro fai nella vita, quindi?» gli chiese il moro porgendogli un bicchiere d'acqua e risedendosi sul letto di fronte a lui. Quella domanda lo fece riflettere per qualche secondo: che altro faceva Jungkook nella sua misera vita? Essenzialmente nulla, oltre a scrivere e a dannare l'anima dietro quella dannata carta e quelle dannatissime case editrici, non faceva nulla.
Chissà cosa faceva invece l'altro ragazzo: magari, oltre a passare il tempo sul Montmartre, perdeva i pomeriggi in qualche salotto letterario o davanti ad una tazza di caffè, con persone colte come lui.
Bevve l'acqua lentamente, con la speranza di recuperare tempo e di trovare una risposta adeguata in fretta. Taehyung lo stava guardando da prima in attesa.

«Oltre a... oltre a scrivere...» iniziò, esitante «credo di trovare interessanti delle passeggiate all'aperto. Mi piacciono quelle notturne, anche, soprattutto sotto le stelle. Mi piacciono le stelle!»

«Dimmi qualcosa che non so.» ridacchiò soave, poggiando il mento sul proprio palmo, attento ad incitarlo. «Fai solo questo?»
Dimostrava quella semplice, pura e lecita curiosità; non intendeva deriderlo, affermando la propria superiorità, ma voleva solamente conoscere meglio il suo amico.
«Certe volte vado... a cavallo, anzi, ci andavo fino all'anno scorso, prima che mio padre decidesse di perdere le staffe. Io e monsieur Gaillard eravamo soliti fare delle passeggiate diplomatiche su un vigoroso destriero dal manto scuro, mentre parlavamo del meteo e di tanti argomenti frivoli, mentre il venticello smuoveva sia i miei capelli sia la criniera. Purtroppo non ho la possibilità che questo ricapiti più, adesso; soprattutto perché non sono in grado di guidarne uno per conto mio, dato che si sbizzarrivano tutti quanti.»
Il tocco sul cavallo era tutt'altro che gentile e rassicurante, perché provava anche lui preoccupazione di essere scaraventato al terreno, senza mai fidarsi dell'animale.

Il ricordo malinconico fece ridacchiare entrambi, Taehyung spinto da Jungkook
«Ovviamente però non facevo solo questo!» proseguì il minore. «Mi piaceva l'equitazione, ma adoravo andare a teatro e sorbirmi le voci cristalline degli operisti.»
Taehyung annuì convinto, dispiaciuto per tutte le abitudini ormai divenute dei lontani ricordi.

«Io mi cimento in qualche quadro, quando ne ho la possibilità, nulla di che: li conservo nel ripostiglio del sottoscala, assieme a tutti i pigmenti e l'olio, con i pennelli. Devo fare molta attenzione, perché molti sono veleni, derivati da metalli non troppo costosi, e riesco a gestirmi tramite qualche conoscenza chimica acquisita nel corso degli anni. Infatti ho dipinto anche qualcuna delle copertine del mio libro, per renderle più allegra e colorata. Magari un giorno potremmo dipingere qualcosa assieme!» propose, solare, allungando le mani e stringendo quelle di Jugkook senza che potesse evitare il contatto o replicare.

Quest'ultimo perse tutta la parvenza di felicità che aveva acquisito, poiché sul suo volto ritornò il cipiglio di colui che era consapevole di avere accanto a sé quel rivale tanto invidiato, per aver pubblicato con successo. Jungkook avvertì la sua profonda incoerenza ed emozioni contrastanti, combattuto sul come avrebbe dovuto incontrare quel volto sincero con la sua profonda dualità e battaglia dell'animo.

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