「01/ 11/ 1867」
52.
L'autunno era arrivato prima che potessero rendersene conto, come una folata di vento freddo, come quella che adesso stava colpendo senza sosta i visi dei nove ragazzi gli uni affianco agli altri.
Jungkook aveva capo basso e non riusciva a dire una frase di senso compiuto da tempo, andando avanti a monosillabi.
Iniziò a piovere, liberando così il pungente odore dell'erba del prato. Chiedergli di osservare il nome che c'era scritto lì era eccessivo ed inumano. I suoi amici avevano tentato di stargli accanto il più che potevano, anche se da allora il giovane era entrato in uno stato di apatia irrefrenabile. Persino mangiare era diventato un supplizio, per cui la morte divenne quel punto fisso a cui aspirava e, se non la morte, ogni notte in cui si addormentava.
Sperava di dormire tutte le giornate, per evitare di pensare al passato, ma brutti sogni lo destavano ogni volta e paradossalmente pensava ancora di più.
Che c'era di male nel contemplare la morte? Basti pensare ai romanzi epistolari che dal secolo prima avevano narrato delle morti disperate dei loro protagonisti principalmente per amore. Che sia per l'amore per Teresa e il tradimento dei propri ideali nel caso dell'Ortis oppure l'amore per Charlotte per il Werther. Per quante volte Jungkook avesse contemplato il suicidio, neanche aveva il coraggio di farla finita per conto proprio, perché Taehyung non l'avrebbe mai voluto. L'avrebbe tradito senza ripensamenti e chissà quale dolore avrebbe provato, il suo amante lontano.
Forse come il suo in quel momento. Gli vennero in mente le immagini di qualche mese prima, quando Tae giunse sul plotone di esecuzione con un sacco nero in testa e le mani legate. Non ce la fece ad osservare la scena, in lacrima, abbracciato da Namjoon al suo fianco. Vide tutto nero, udendo in lontananza il rumore delle lame tranciare la carne. Almeno non aveva sofferto.
Jungkook pianse per i giorni successivi in silenzio, fino a quando le sue lacrime non terminarono.
Andarlo a trovarlo tutti assieme nel giorno di Ognissanti era un supplizio, perché il nome del suo amato sulla tomba non faceva altro che tranciarlo, come se avesse una lama nello stomaco e venisse conficcata di continuo, eppure continuasse a vivere per poter provare sempre dolore. Ironia della sorte, perenne ironia.
Seokjin, quando avvenne l'esecuzione, si sentì in dovere di mandare qualcuno a prendere il corpo di Taehyung per effettuare una sepoltura dignitosa, perché non si meritava affatto di rimanere per la strada, abbandonato. Sulla tomba c'era scritta la sua data di nascita, il milleottocentoquarantuno, affiancata dal sessantasette. Kim, dallo stesso cognome di Tae, non riuscì proprio a comprendere come mai fossero finiti in quella situazione. Non era quello il piano, la pallottola non doveva finire nella testa di Ménétios, ma avrebbero dovuto collaborare quella sera per poter far redimere i giovani e consegnarli alla polizia, ricevendo la taglia che era stata posta sulle loro teste. Neanche si era mai informato sui numeri: potevano essere pochi, tanti, ma non importava più. Nessuno quella sera avrebbe dovuto sparare verso nessun altro. Eppure Jin fu spinto senza neanche sapere da che cosa. Avrebbe potuto far dire il suo nome a Ménétios ad alta voce e lui ne sarebbe stato fiero, ma provò vergogna in quel momento e volle che nessuno di loro lo venisse mai a scoprire.
Gli altri ragazzi non avrebbero mai dovuto conoscere la verità su Kim Seokjin. Gli dispiaceva di aver preso quelle decisioni, prima per avarizia e poi per puro divertimento.
Erano state proprio le urla di Jungkook, quella sera, a fargli comprendere che era stato un mostro, spinto dagli istinti.
L'uomo si affiancò al bruno, con capo ancora basso.
«Mi dispiace.»
Rispose con un mugolio forzato. «È tutto a posto.»
«Non è tutto apposto, Jungkook. Stai uno straccio da mesi.»
Solamente Mathilde era accanto a loro, con un rosario in mano e le mani giunte, sulla tomba del fratello, pronunciando qualche preghiera in latino, forse l'eterno riposo, mentre lacrimava. La veste nera, invece, era zuppa per la pioggia e sporca per il terreno sulla quale si era inginocchiata. Lei aveva perso tutti i componenti della sua famiglia naturale, ma fortunatamente Hobi continuava a tenerla con sé, trattandola come una vera sorella. Solo avvolta dal dolore, nel quale trattenne le lacrime, si poté notare come la bambina che avevano preso tra le braccia tempo addietro era diventata una donna. Jungkook non aveva alcun diritto di stare male, se la minore non lo era per prima.
Lei fece un ultimo segno della croce e si alzò, lasciando stare i due davanti alla tomba e raggiungendo gli altri.
Aveva fatto una promessa silenziosa al ragazzo, tra tutte quelle preghiere: quella che si sarebbero ricongiunti in paradiso e lui l'avrebbe abbracciata, fiero di tutti i successi ottenuti durante la sua longeva vita. Avrebbe fatto tutto quello che il più grande non ebbe il tempo di compiere e avrebbe sfavillato sul palco, senza smettere mai di ballare: lei e Hobi, infatti, erano stati richiamati dall'insegnante di ballo dell'Opéra, perché erano talmente talentuosi che lasciarli andare allo sbaraglio sarebbe stato un supplizio.
Yoongi e Minsoo, invece, avrebbero continuato a lavorare assieme, con rare litigate, ma come buoni amici, per poter produrre varie opere, incredibilmente talentuosi come duo.
Per Yuqi, invece, quello sarebbe stato l'ultimo giorno passato a Parigi: il treno per l'Inghilterra sarebbe partito a breve e aveva già preparato i suoi bagagli, prefissandosi di andare a studiare le scienze nelle grandi biblioteche, per conto proprio, senza alcun insegnante. Era abbastanza capace per farcela da sola e le bastavano i grandi, come Newton e Galileo ad indicarle la via da seguire, verso le stelle e verso l'universo più profondo e oscuro. Essere libera era il suo sogno più grande e Minsoo lo aveva capito a pieno: dopo che corsero via dalla polizia, quella sera, lui le chiese di parlare e così facendo espresse il motivo per cui lui era scappato via da teatro, lasciando tutti confusi. L'amava davvero troppo per costringerla ad adattarsi a lui e sottomettersi alla vita che la società le imponeva, sapendo che le sue disperazioni l'avrebbero condotto a sfogarsi ancora su di lei. Sebbene si lasciarono, l'amore fraterno non declinò affatto, infatti aveva intenzione di venirli a trovare il prima possibile, con tante notizie da Londra, un luogo dove si sarebbe distaccata completamente da tutte le vicende tragiche accadute. Il librettista non poteva essere che contento sia per lei sia per entrambi, che stavano realizzando i loro sogni.
Yoongi e Jimin, ugualmente, stavano proseguendo una vita assieme, anche se si vedevano di rado, il maggiore preso dalle prove estenuanti e il biondo perché il posto come direttore della casa editrice era una grandissima responsabilità.
Seokjin aveva preferito ritirarsi da quel lavoro, scomparendo dalla società e vivendo assieme a Namjoon, nella piccola casetta dove all'inizio della storia vi erano in quattro, osservandolo dipingere di continuo. Non l'avrebbe mai amato veramente, certamente, ma Nam era la persona più vicina ad un amico sincero che avesse mai avuto, che teneva a lui non per i suoi soldi, ma per come era veramente. E a lui andava bene.
Si sentiva sporco nell'anima per tutto quello che aveva fatto, si sarebbe andato a confessare da un momento all'altro. Jungkook al suo fianco era un peso enorme, da sopportare.
«Ti ha salvato la vita, Jungkook. Si è sacrificato per te, voleva che fossi felice.»
«Lo so.»
«Ti amava così tanto da dare anche la sua vita per te. Porti il suo cuore nel tuo, adesso.»
Rimasero a guardare la data di morte per un altro po', mentre la pioggia picchiettava sull'ombrello di Jin, che poi spostò sul capo dell'altro, coprendogli la testa ormai zuppa.
«L'ho sempre avuto.»
L'affermazione tanto triste fece stringere gli occhi di Seokjin, distrutto.
«Casa vostra in Austria è ancora lì?»
Lui annuì. Qualche loro avere era rimasto di ricordo nell'appartamento ormai abbandonato, che non li avrebbe rivisti mai più sebbene la promessa fatta prima di chiudere la porta di casa.
Si erano giurati di stare sempre assieme, di vivere una vita longeva, di invecchiare assieme! E la Luna era stata testimone di ogni cosa, aveva continuato a sorridere verso di loro, fiera dei loro figlioli.
«Mi manca già.»
Seokjin gli mise una mano sulla spalle, stringendolo a sé per dargli conforto.
"Perdonami, perdonami", avrebbe voluto implorare, ma sapere che per Jungkook non c'era motivo per cui perdonarlo faceva ancora più male e anche lui pianse, silenzioso. Si sentì uno degli scagnozzi del diavolo. Uccidere e mentire erano le cose più brutte che avesse mai potuto fare ed erano venute a capitare assieme.
Le parole di conforto non gli vennero, perché effettivamente non c'era nulla su cui confortare, dato che gli sarebbe continuato a mancare per sempre.
«Andiamo dagli altri. Yuqi parte domani, dovremmo salutarla.»
Kook scosse il capo. «Vengo dopo.» rispose velocemente.
Seokjin, distrutto, gli lasciò il manico dell'ombrello in mano, per poterlo far stare da solo.
Osservò ancora una volta la tomba di Taehyung, Jungkook, e quando fu sicuro che i suoi amici ebbero lasciato il cimitero, si lascio cadere sulla ginocchia e l'ombrello gli sfuggì dalle dita a causa della sua molle presa, volando via.
Non poteva fare niente, niente, era tutto finito.
Neanche qualche artificio magico poteva portare in vita i morti, neanche Orfeo c'era riuscito.
Anche i pantaloni e la sua giacca si sporcarono di fango, oltre alla pioggia.
Lo amava, non avrebbe mai smesso di farlo. Ringraziava, tuttavia, per tutto quello che aveva passato per merito suo. Il giovane alzò gli occhi al cielo, con sguardo addolorato. Taehyung gli aveva insegnato a fargli amare se stesso e il suo passato, perché solamente per quello che è accaduto prima è potuto arrivare ad una tale felicità dopo. Non era pentito nell'aver ucciso quell'uomo, quella sera! Perché era stato così tanto felice negli anni successivi, eppure non si era neanche reso conto che avrebbe continuato ad essere tanto allegro anche con venti assassini alle calcagna, se avesse continuato a scappare con l'amore della sua vita.
Se non gli avesse detto quelle cose, sulla scalinata dell'Opéra, magari Taehyung avrebbe preso una decisione diversa.
Gli aveva insegnato cos'era la felicità, l'amore, la bellezza, l'arte, l'amicizia, la passione, la vita stessa.
Ed era grato per quell'angelo che il cielo gli aveva mandato, anche se non capiva proprio perché se lo fosse meritato. Aveva assaggiato un pezzo del paradiso unicamente guardandolo sorridere e adesso il suo spirito stava volteggiando libero come una farfalla, in mezzo alla natura madre: magari avrebbe raggiunto la Luna, finalmente.
Sperò che Lei potesse portarlo con sé e sperò di poterli osservare nei sogni, felici. Non si sarebbe ucciso di sua mano, ma solo se Tae lo voleva chiamare a sé, allora sarebbe giunto con un dolce sorriso sulle labbra.
Una mano, allora, gli toccò la spalla, dolcemente, accarezzandola. «Alzati, non disperare.»
Era diafana, cristallina, che sovrastava il ticchettio delle goccioline su ogni superficie circostante. La giovane donna lì accanto parve a Jungkook come la Vergine venuta in suo soccorso in un primo attimo, ma riuscì ad identificarla chiaramente dopo qualche attimo in cui si stropicciò gli occhi. Lei gli allungò la mano.
«Soojin?» chiese confuso, in tono flebile e roco, emettendo poi un colpo di tosse. Si alzò in piedi grazie al suo aiuto, osservandone il sorriso rassicurante.
La sua veste, ai lembi rovinata e sporca, era troppo leggera per la stagione e le avvolgeva il corpo sottile finemente. Le dita erano, infatti, ghiacciate e neanche si era portata con sé un ombrello. La crocchia castana era decorata con dei fili dorati, sebbene i capelli fossero scompigliati e qualche ciuffo ribelle cadesse disordinato lungo le orecchie, fin sulle clavicole.
Jungkook, così come farebbe un qualsiasi uomo rispettoso, non perse neanche un attimo nel passarle l'ombrello di Jin e così sfacendo sfilarsi la sua giacca, per poterla dare a lei. Entrambi rimasero sotto la stessa cupola per qualche secondo, fino a che si resero conto che non era più abbastanza giorno per poter stare in un cimitero e che il sole stava lottando per rimanere a galla e non affondare nell'orizzonte.
«E Lambert?» chiese, prendendo la strada che si dirigeva verso casa propria stando sovrappensiero. Aveva infatti deciso di andare a vivere in quella famosa casetta nella periferia di Parigi, dove avevano abitato in principio Taehyung e Mathilde e nella quale erano conservati alcuni dei suoi più cari ricordi.
«Anche lui è sepolto al cimitero, ma non lo va a trovare nessuno, neanche io. La sua tomba, anche oggi, Ognissanti, è priva di alcun fiore. Sono giunta per parlare con te, Jungkook.» disse lei, lasciando il ragazzo confuso. Concluse comunicandogli che sarebbe stato meglio arrivare a casa, perché con la pioggia non si sarebbe compreso granché.
Kook contemplò, allora, più il cielo che la strada e un dolce ricordo affiorò alla mente, ovvero quella notte in cui i due, non ancora amici, erano corsi verso casa di Tae con la giacca sulla testa per non prendersi qualche malanno, passando proprio per quel quartiere. Gli sfuggì un sorriso malinconico.
Giunti alla piccola abitazione, tutto sembrò essere immobile: tutti i mobili erano stati sistemati come lo erano in passato, dal divanetto osservabile appena si apriva la porta d'entrata al tavolo posto nel piccolo cucinino. Nam, per il tempo che c'era stato, aveva spostato un po' di cose, ma Jungkook aveva fatto sì che l'ordine seguisse preciso e perfetto dei suoi ricordi.
«Siediti, ti preparo qualcosa da bere.»
Il ragazzo annuì, sedendosi al tavolo e portando una mano sulla fronte, col cuore pesante.
Soojin si sistemò l'abito umido strizzandone i tessuti possibili e aggiustandosi anche le tasche, colme di qualche oggetto non identificabile.
«Devi cercare di riprenderti, Jungkook. È andata così, non puoi stare a piangerti addosso.»
Annuì con un mugugno.
«Iniziare una nuova vita, ritornare ad essere felice, stare con i tuoi amici. Anche se, più che altro, io sono passata a salutarti: purtroppo non potrò far parte dei tuoi amici. Per il poco che ti ho conosciuto, mi sei sembrato una brava persona, semplicemente una vittima di un gioco orchestrato, molto più grande di te.»
«Era solo un uomo.» obiettò. «O due.»
Lei continuò a muoversi per preparare una tisana fatta di erbe, trovate nella credenza accanto a quella dove le posate erano conservate. «Dove vai?» chiese poi, guardando verso il muro davanti
a sé, tirandosi distrattamente la pellicina dalle dita.
«Da nessuna parte.» replicò la giovane, sedendosi vicina a lui, offrendogli quella tazza con liquido scuro al suo interno, più scuro del solito.
Aggrottò le sopracciglia, l'altro, prendendo la tisana e bevendola tutt'a un sorso, senza neanche pensarci su, ma solo quando la ebbe terminata poté tastare un retrogusto amarognolo in bocca, insolito.
«Cosa ci hai messo qui dentro?»
Lei gli sorrise, portando i gomiti sul tavolo e appoggiando il mento sulle dita incrociate, osservando ogni sua minima azione. Jungkook tossì. «Soojin, che erbe hai messo?»
Improvvisamente ritrovò la parola, dopo tanto tempo, avvertendo l'agitazione assalirlo: sudò dalla cute, continuando ad osservare la ragazza che aveva un'espressione alquanto soddisfatta.
Fece per alzarsi in piedi, ma avvertì una stretta allo stomaco che lo fece inciampare e cadere per terra, cercando di tenere la mano aggrappata al tavolo della cucina.
«Soojin, ti prego, dimmi che dannatissima erba hai messo». la guardò in panico e incredulo per come lo stesse fissando senza alzare alcun dito.
Scrollò le spalle. «Niente di che. Zenzero, camomilla e menta.»
Jungkook, con delle fitte allo stomaco che gli stavano corrodendo già l'organo, tentò di aggrapparsi alla cucina per verificare con tutte le sue forze che effettivamente avesse messo quelle erbe e si accorse che lei non mentiva.
Tossì nuovamente, piegandosi su se stesso.
Lei continuò a starsene tranquilla, stravaccata sulla sedia, con gambe incrociate.
«Oh, e anche un po' d'arsenico. Ho messo tutta la boccetta segreta di Jin. Divertente, no?» ridacchiò per conto proprio, agitando il vetro vuoto sostenuto dalle sue dita sottili, delicate e affusolate. Il ragazzo sgranò gli occhi, afferrando la caviglia di Soojin che gli era più vicina.
«Perché... Soojin, non l'ho ucciso io Ménétios, non avrei mai voluto farlo, è stato Jin a sparargli.» disse affaticato, sperando che potesse comprendere l'errore ed aiutarlo in qualche maniera.
«Ma lo so. Credi che non lo sappia?» rigirò la boccetta tra le dita.
La smorfia di Kook richiedeva evidenti spiegazioni, poiché non riusciva proprio a comprendere il perché delle sue azioni. Eppure si era sempre comportato bene con lei! Non aveva motivo per tentare di ammazzarlo!
«Dimmi, Jeon. Hai mai provato a ricordarti quale fosse il viso della ragazza che quella sera provasti a proteggere da quel pazzo che finisti per uccidere?» Silenzio, non ebbe neanche la forza di risponderle. «Hai mai provato a chiederti perché l'universo stesse orchestrando ogni singola cosa ed ogni evento confluisse in un altro, divenendo sia un effetto sia una causa? Hai mai provato ad andare realmente a fondo della faccenda, senza essere raggirato dalle dolci parole di qualcuno? So bene che la risposta è no: se non lo fosse stata, non saresti sul pavimento dolorante, chiaramente.» la boccetta di arsenico di Jin era così intrigante che la scrutò e studiò per tutto il suo monologo.
«Chi sei... chi sei...»
«Chi sei tu, mi vuoi chiedere? Beh, sono solo una ragazza, non c'è affatto da ridire in questo. Eppure, la mia esperienza di vita mi ha portato a comprendere quanto la normalità e banalità, effettivamente, non portino da nessuna parte. La bellezza, è l'unica cosa che, secondo la società, io possiedo: essa è in abbondanza, mai lo potrò negare, perché è grazie alla bellezza stessa che io sono riuscita a compiere ogni cosa. Ogni cosa? "Quali cose?" ti starai sicuramente chiedendo, se non stessi crogiolante nel dolore per terra. La ragazza in quel vicolo, quella sera, ero proprio io. Già! Sono proprio io che ho causato ogni singola cosa. Mi trovavo per caso, tra tutte quelle prostitute, ma ero così bella e provocante che venivo persino scambiata per una di loro. Ménétios neanche mi aveva riconosciuto, sotto tutte quelle ombre della notte: eppure vidi ogni cosa! Quel suo fratello mi graffiò dovunque con quegli arnesi di ferro e poi tu lo hai ucciso davanti ai miei poveri occhi.» sorrise con follia, tanto da provocargli brividi. Le sue pupille erano talmente strette da confondersi con l'iride cervone. «La pazzia mi ha pervaso, in quel momento, ed il mio cervello ha macchinato in un modo talmente incredibile che non capii il perché. Davanti alla morte, un corpo morto, ucciso da non meno che Jeon Jungkook, si formò una patina davanti ai miei occhi e non vidi altro se non il Diavolo, oscuro, tenebroso, che chiedeva di fondersi alla mia anima. Era un patto, quello! Ci stringemmo la mano e sorrisi come una sciagurata, e subito lui iniziò a muovere la testa al posto mio: colmo di intelletto, Egli riuscì a farmi prevedere ogni cosa, dettagliatamente, in cui bastava solamente che mettessi del mio, la mia mano oscura, per rovinare ogni singolo attimo della vostra vita e di tutti coloro che mi circondavano. Chi è che hai visto quella sera mentre ballava con gli uomini che facevano a turno per arrivare da me? Ti osservavo. Chi è che ha inculcato in testa l'idea di ricattare tuo padre per poter ottenere del denaro, logorandoti? Chi è che ha distrutto i tuoi manoscritti ogni volta che arrivavano alla Mabillon, fingendo dunque che tu cadessi in disgrazia con mente e averi? Chi è che, quel giorno in cui tu e Taehyung vi incontraste per la prima volta, aveva fatto sì che richiedessero del tanto stimato V? Chi, con un cappuccio in capo per non far vedere il mio volto, ha fatto sì che Song Yuqi fosse in quel locale, la sera in cui ha trovato te e l'altro ubriachi e che quindi ti ha ricondotto a casa, in quella reclusione forzata ed autoimposta? Chi è che ha suggerito a Seokjin di giungere da Soyeon, per usarla come alleata, sapendo io stessa che conosceva tanto di Jeon Jungkook? Ah, vuoi sapere un aneddoto? Se non fosse stato per me, Taehyung non avrebbe mai capito da solo che dovesse proporti di far fuori tuo padre: il giorno prima, vestita in stracci e pezze, ero corsa vicino a lui in prossimità del mercato, fingendomi una madre di famiglia, consapevole delle mie azioni, ed urlando ad uno di quei bambini, come "avrei ucciso suo padre se non mi avesse dato del denaro".» alzò le spalle. «Più chiaro di così, del resto. Chi, poi, ha convinto la polizia ad insabbiare le accuse verso Jeon Jungkook e il suo amico, avvistati da tanta gente, quella sera all'Opéra? Non vorrai credere che Seokjin e Ménétios avessero fatto tutto per conto proprio, tramite una somma di denaro effimera ed un occhiolino. Oh già, mi ero dimenticata di dirti che il tuo caro Seokjin, quello che ha la colpa per tutto quello che è avvenuto al tuo amato, ha fatto il doppiogioco fin dal primo momento in cui tu l'hai incontrato. E se non fosse stato per me! Neanche avrei spinto Ménétios ad acciuffarlo. Lui era il braccio, io la mente, palesemente. Chi avrebbe compreso che eravate in Austria, se non tracciando attentamente tutti i movimenti che avevate fatto tramite accurate testimonianze raccolte dai vari spettatori, compresa una donna spaventata che era sia presente su quel treno sia a teatro, qualche giorno prima, durante l'assassinio? Quale sarebbe stato il divertimento, se subito avessi riferito a Ménétios di non andare in Spagna inutilmente ma muoversi direttamente verso il sud-est! Attesi, finché vi vidi in quella taverna. La mia schiena, colma di graffi, rappresenta il leone che è stato in grado di afferrarmi, di divorarmi, eppure essendo fiera di me stessa e della mia imperturbabilità. Il diavolo continuava a mangiarmi le membra, eppure lo udivo di giorno in giorno sempre di più. Lambert, il vero leone? Il vero diavolo? Lui mi puniva fisicamente, ma altro mi puniva spiritualmente. Chi ha proposto a Ménétios di portare Taehyung a Firenze? Chi ha proposto tutto quanto, chi ha fatto tutto quanto? Chi è stata la voce ad ogni idea che tutti quegli uomini parevano aver avuto? No... no! Sono stata sempre io la mente, sempre io: io ho controllato ogni singola cosa, perché potesse giungere al proprio termine e giungere esattamente in questo preciso punto, proprio perché lo avevo deciso io. E chi è che ha chiamato la polizia, dichiando la fine di Kim Taehyung? Anche se, devo dire la verità, non mi sarei mai aspettata che si sarebbe sacrificato al posto tuo; per cui, oggi che ti ho incontrato da solo, dopo mesi passati a casa tua a porte e finestre chiuse, ne ho approfittato per venirti a trovare e darti il colpo di grazia.»
Ridacchiò, facendo volteggiare la boccetta in aria, la quale cadde sul tavolo e si frantumò in mille pezzi, cadendo per terra e anche sul collo di Jungkook, sminuzzati.
«È quando la bellezza e la malizia incontrano l'intelligenza, che avvengono le esplosioni più intriganti possibili!»
«Per... ché.» disse con un fil di voce, mentre il pavimento stava già accogliendo da pezzo quelle lacrime sofferte. Quale essere umano poteva essere talmente crudele da perdere tutto quel tempo della propria vita per vedere un'altra persona crollare?
«Al diavolo non c'è un perché: ancora una volta devo ripeterlo? Mi ha pervaso, quella sera. Chissà quante altre persone saranno vittime di tutto quello che causerò! Non crederti unico, Jeon Jungkook, sei solo uno dei tanti a cui rovinerò l'esistenza pian piano, fino anche non incontrerà la morte. Sei il primo solo perché sei l'uomo che mi ha portato alla pazzia: quelle urla, di quel ragazzo ucciso, sono state così destabilizzanti. Ma ora sto bene, sto bene!»
Kook abbassò il capo.
Che motivo deludente e senza alcun fondamento, per tutta quell'Odissea: era tutto accaduto a causa di una bellissima donna impazzita.
«Ti sei dimenticata di una cosa importante, in questa faccenda: sebbene tutto, io e Taehyung abbiamo capito come amarci, abbiamo-» diceva a tentoni, poi interrotto da lei.
«L'amore, l'amicizia! Questa è la tua morale?» scoppiò a ridere, portando il capo all'indietro e indirizzando il mento verso l'alto. «Morali ridicole, allora. Che fine ha fatto quell'uomo misantropo che tanto era interessante, all'inizio? Distrutto, polverizzato per colpa delle persone stesse.»
Jungkook le strinse ancora di più la caviglia, conficcando in essa le sue unghie, tuttavia non causandole alcuna reazione se non solletico.
«Non importa,» emise con le poche forze che aveva ancora in corpo «non importa il modo in cui ci hai trattato come marionette. Perché ho sempre fatto quello che ho voluto, libero, e sono scappato da tutti i pericoli che mi avevi offerto, correndo verso il paradiso con colui che mi ha cambiato radicalmente la vita. E adesso tu, Diavolo, mi hai dato la possibilità di ritornare da lui, perché lui mi sta chiamando e vivremo, imperituri, assieme, fino a che il mondo non terminerà. Lo rincontrerò, tra le nuvole, sulla Luna. Non mi spetta l'Inferno, quel girone che tanto mi avevano predetto, quello degli assassini. Perché io non sono un assassino.»
Soojin lo osservò, disgustata. «Lo sei, così come lo sono io. Anche se io avrò un posto d'onore: sarò la regina dell'inferno! Solo io sarò imperitura!»
«Non sono un assassino, non ho mai creduto agli schemi che mi stai offrendo. Le mie azioni sono state tutte causate dall'amore e dal mio animo puro. Redimersi o meno, il mio destino è quello di stare con lui, dal primo attimo che ci siamo incontrati. E grazie, grazie Soojin, per tutto quello che hai fatto, perché solo così sono stato in grado di cambiare.»
Aveva le lacrime agli occhi, di gratitudine. Soojin si alzò di scatto, indietreggiando: non aveva premeditato quella reazione, per cui le era del tutto inaspettata. Jungkook sarebbe dovuto crogiolare nel suo dolore fino alla morte, quel ragazzo che l'aveva fatta impazzire mostrandole davanti agli occhi la morte!
La stava ringraziando!
Si scansò alla sua presa, correndo via da quella casa intrinseca di ricordi. Lo lasciò sul pavimento, ansimante dal dolore, ma con un grande sorriso in viso.
Ecco, ecco cos'era la morte! Non era il nulla, non era la sua anima che si sbriciolava e diveniva polvere, non era il vuoto, si sbagliava su tutto quanto: la morte l'aveva ricondotto al Montmartre.
Non credo ci siano grandi morali dietro questa storia d'amore. Oltre all'intrattenimento, al lusus del lettore, coinvolto attivamente nei suoi momenti di ozio, il mio racconto ha un inizio e una fine. C'è una nascita e una morte d'ovunque, persino la storia dell'umanità: è iniziata e prima o poi avrà un punto, senza tornare a capo per ricominciare.
Tuttavia, c'è da specificare un aspetto molto importante: il mio progresso di crescita. Prima dell'inizio della storia avevo ancora una mentalità puerile, da giovane, privata del concetto dell'assoluto. Taehyung non è solo un personaggio, non è solo l'uomo per cui provo affetto, ma è una figura spirituale, di grande impatto sulla mia anima. La sua intelligenza, il suo carattere e la sua essenza mi hanno dato una svegliata.
Se prima la filosofia era da me considerata argomento di spiccate conversazioni, di contrasti intellettuali, adesso ho la convinzione che sia parte del cuore di pochi eletti, che scalfisca il petto e diventi vero mezzo d'autolesionismo, di pene e dolori. Tuttavia, un uomo filosofo è colui che ha toccato l'assoluto e si è avvicinato maggiormente all'universo e all'intelligibile. Il concetto dell'assoluto è intrinseco nello spirito dei fortunati, il quale permette di far avvertire una sensazione di sollievo al petto, di felicità perpetua, di unione con la natura. Il tema non deve essere rilegato solo ai Romantici, né deve trovare fine durante il XIX secolo, ultimo secolo dell'ottimismo, troncato dalle Guerre Mondiali e dallo scuro e grigio pessimismo del Novecento.
Posso assicurare a tutti i lettori che, un filosofo, non trova mai la fine della sua fioritura, nessun uomo di grande intelletto è stato mai troncato all'apice, perché è sempre stato parte stessa dell'assoluto.
La sua vita procederà all'infinito.
Ve lo posso assicurare che mai, mai e poi mai, anche dopo la mia fine, troverò la fine.
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