「31/12/1866」
40.
Seduto su quella sedia di vimini nel mentre osservava la propria immagine riflessa nello specchio, rimase incantato per qualche secondo, immerso nei pensieri e nei ricordi che si facevano strada davanti agli occhi l'uno dietro l'altro. Il più prepotente era quello della ragazza, il cui cappuccio rosso era rimasto impresso come se fosse un sigillo di una lettera, la quale portava brutte notizie. Abbassò gli occhi, poggiando una mano su quel mobile di legno di abete: aveva poca forza in corpo, poiché le sue preoccupazioni e i brutti presentimenti non gli permettevano di compiere altri movimenti. Una ciocca di capelli scuri gli finì sul viso.
Senza che ci potesse fare tanto caso, delle mani gentili sfiorarono le sue guance, togliendo quei ciuffi invadenti e spingendo il ragazzo a ritornare a guardarsi allo specchio. Taehyung avvicinò le sue labbra alla gota sinistra di Jungkook mentre teneva le mani sopra le sue spalle, per poi schioccargli un bacio, che gli fece alzare leggermente l'angolo della bocca.
«Qualcosa non va?»
Jungkook scosse il capo per poi alzarsi da quella sedia e stiracchiarsi. Non aveva dormito molto quella notte a causa di quel motivo e da quando il sole aveva cominciato a sprigionare le sue prime luci era andato a sedersi in quella postazione.
Casa di Jimin era proprio bella e non poteva fare a meno di ripensarci ogni volta. Certo, anche le abitazioni dei vecchi amici di suo padre erano belle grandi, ma nessuna era così curata in ogni singolo dettaglio. Persino il modo in cui i lenzuoli erano piegati era elegante e qualche decorazione sui mobili pareva d'obrizzo. Raffinata era la scelta del colore, prevalente il verde oliva in ogni parte della casa e la boiserie contribuiva a dare al tutto molta classe. L'unica pecca era la polvere di quel posto così magnifico. Il proprietario aveva detto loro che in primavera e d'autunno si dedicava a spolverare ogni angolo della casa e da solo se ne andavano almeno due giornate piene, se non tre, solo per una pulizia abbastanza superficiale.
Non aveva confidato ai suoi amici come mai non ci fosse più la servitù e di certo non avevano intenzione di scavare in questioni private.
Forse questioni finanziarie di un tempo, ma poi si era abituato alla tranquillità del silenzio e quindi aveva deciso di tenerla tutta a proprio carico, fintanto che non era allergico allo sporco.
«Scendiamo giù a fare colazione?»
Kook scattò con un sorriso sulle labbra. «Madeleine?»
Taehyung ridacchiò. «Ultimamente sembra che ti sia innamorato di questi dolcetti, anche se sappiamo benissimo che sono i cornetti il tuo vero amore. Quelle di Jimin non sono tanto diverse da quelle che farei io...» commentò offeso, facendo un finto broncio, stroncato da una risata, poiché in una situazione del genere non poteva rimanere serio più di qualche secondo.
«JUNGKOOK! JUNGKOOK SCENDI! CORRI!»
L'interpellato aggrottò le sopracciglia al richiamo proveniente da lontano, che aveva risuonato per tutta la casa ed era arrivato alla loro stanza, la cui porta era rimasta socchiusa. «Che ha da urlare di prima mattina?»
«Jimin non si scomoderebbe ad usare la voce per chiamarti in quella maniera, scendi, sarà importante.» commentò Taehyung, anche lui curioso, il quale rivolse lo sguardo nella direzione da cui era provenuto il suono.
Giunsero entrambi nella sala da pranzo con addosso le vestaglie — rigorosamente offerte dal signor Park — e trovarono la tavolata apparecchiata come al suo solito, ovvero con due vasi ricolmi di fiori e un lungo centrino di lino bianco latteo, che avevano una funzione decorativa. Jimin era li seduto, al centro del lato più lungo del tavolo, che teneva il capo chino su un gruppetto di carte, mentre nella mano sinistra afferrava un involucro di una lettera appena scartata. In tutto ciò Yoongi era accostato a lui, ugualmente sorpreso da ciò che vi era scritto e che stava cercando di capire qualcosa di più.
«Santo cielo, Jungkook, è per te, l'ha mandata a te, l'ha mandata a te!» esclamò entusiasta, voltandosi in direzione del suo amico che, confuso, si avvicinò a Jimin con tutta la cautela possibile, poiché temeva che, in preda alla felicità, gli avrebbe potuto dare un involontario pugno sul naso o qualcosa di simile.
«Di chi stai parlando? Chi è il mittente?»
Il biondo gli porse la carta e lui la afferrò, scettico, mentre Taehyung sbirciava.
Jungkook sgranò gli occhi, dopo soli pochi secondi in cui aveva letto le prime righe.
«Mio Dio.»
Rilesse ancora.
«Sei sicuro che non sia uno scherzo?»
Jimin scosse il capo freneticamente. «È la sua scrittura, la sua firma e la lettera ha il suo sigillo. È proprio da parte sua, non posso sbagliarmi.»
«Ma di che parli? Non riesco a capire, stai fermo con questo foglio-» esclamò Tae, il quale afferrò il polso di Jungkook al fine di potergli far leggere qualcosa.
«"Egregio Monsieur Jungkook Jeon, sono Kim Seokjin e, come lei saprà bene, sono il proprietario della Mabillon, rinomata casa editrice di Parigi. Sto andando alla ricerca di alcuni scrittori talentuosi che potrebbero essere in grado di soddisfare le competenze che necessito. Ho dato un'occhiata ai precedenti manoscritti che, negli anni passati, ha mandato qui, sperando di ricevere un riscontro positivo. Purtroppo, come lei avrà intuito, lì ho scartati proprio di mia persona"» allora Taehyung abbassò il foglio, rivolgendosi a Jimin con occhi intristiti «Quindi era stato lui? Ma perché adesso lo ricerca? "Ma non si disperi, spero che abbia passato degli splendidi anni, sebbene abbia perso del tempo col contattarci. Tutti gli altri talentuosi che sono stati scartati hanno deciso di ricercare fortuna in altre agenzie e sono stati presi, ignari del grande progetto a cui avevo intenzione di dare luce una volta che sarebbe stato possibile."»
«Non ho idea di che progetto stia parlando, non me ne ha mai parlato. Lui lavora lì, è ancora il direttore, ma è come se fosse scomparso dalla scena, sono io il direttore adesso, anche se non a titolo legale. Piccole mansioni spettano a lui e va così da più di un anno, quasi due, per ragioni che non riesco a comprendere. Mi aveva comunicato tutti i progetti, ma questo?»
Taehyung riprese a leggere, dopo che tutti si erano confrontati semplicemente guardandosi negli occhi.
«"Vorrei chiamarla per un colloquio il prima possibile, quando lei è libero, anche nei giorni festivi. In caso di risposta negativa, ci terrei molto ad una sua risposta tramite lettera in cui comunica il suo dissenso. La ringrazio molto per la sua collaborazione, saprà presto le motivazioni per cui l'abbiamo scartata a suo tempo."»
«Non ho mai letto i manoscritti di Jungkook, quando li ha mandati. Ma dovrebbe essere una buona notizia, no? Sei stato chiamato direttamente dal signor Kim in persona, l'unico tra tutti quanti! Ti fa onore la cosa e non sai nemmeno quanto!»
L'euforia di Jimin ritornò sul suo volto, il quale sorrise senza trattenere un paio di saltelli sul proprio posto.
«Ci andrai davvero?» chiese Taehyung, voltandosi verso Jungkook, senza smettere di possedere un fare serio.
Kook scosse il capo. «Non lo so. Jimin dice che è tutto vero, quindi è impossibile credere che sia materiale da contrabbando e una truffa per rapirmi o che so io. Inoltre, vorrei davvero scoprire i motivi perché hanno scartato tutte le opere che io avevo mandato tempo fa, poiché non mi è ancora chiara la motivazione. Da Kim Seokjin in persona, per l'appunto. Forse era sfuggito qualche errore grammaticale o le emozioni che avevo inserito non erano abbastanza, ma i primi possono essere benissimo corretti e per le seconde, sappiamo bene che la gente si legge qualunque cosa. Ho messo tutto il mio impegno lì dentro, non posso lasciar perdere senza neanche sapere il perché. Trovo che sia una magnifica idea quella di arrivare ad avere un'altra possibilità, che io ho sempre desiderato.»
Jungkook teneva gli occhi bassi, mordendosi il labbro, pensoso. Era un ragionamento molto importante da affrontare, quello, ma gli aveva solamente offerto un colloquio, non direttamente la possibilità di pubblicare.
«Kookie, voglio ricordarti che casa nostra non è più qui, ma è a Vienna. Lì c'è il nostro lavoro, sebbene sia un po' misero rispetto a quello di cui siamo capaci, lì c'è la nostra vita. E poi non puoi usare il tuo nome: se si venisse a scoprire di quello che abbiamo fatto? La questione era di carattere personale ed è stato già appurato, ma se comparisse il figlio di Jeon Auguste tutti quanti capirebbero il nesso. Non è molto saggia come scelta. E poi, tu non vuoi davvero fare lo scrittore, te lo aveva imposto tuo padre. Ricordi?» gli accarezzò il capo usando quelle parole con tono dolce.
Il minore sospirò, appoggiandosi al tavolo vicino a sé e facendosi piccolo, divorato dai suoi pensieri.
Ovvio che voleva andare a quel colloquio e ci sarebbe andato il giorno stesso, ma Taehyung era più propenso per il no.
«Come sapeva che ero qui a casa tua?» chiese, sviando l'argomento. In effetti era vero, se lo erano chiesto tutti e due in un primo momento, ma la questione era passata in secondo piano.
«Mi ha allegato un altro foglietto indirizzato a me. Ci sono delle questioni di lavoro che non c'entrano niente né con te né con questo fantomatico progetto, ma mi ha scritto dicendo che sa bene che siamo amici e quindi sperava che te la potessi dare appena potevo, dato che il tuo indirizzo non si trova da nessuna parte.»
Si grattò il capo. Forse aveva sentito nominarlo tempo addietro, ma gli sarà sfuggito in editoria, non c'erano altre spiegazioni. Seokjin era un tipo onesto, che organizzava tutto a fin di bene, non avrebbe mai sfruttato la loro conoscenza con fare maligno.
Spiegò le sue argomentazioni anche agli altri, i quali decisero di dargli fiducia e di non preoccuparsi più di tanto.
«Kook, non credere davvero di andarci, è pericoloso. Scrivigli dicendo che non vuoi e ti dispiace, ma non esporti così tanto.» lo supplicò.
Dalle labbra del ragazzo fuoriuscì una risatina amara, che si allontanò di qualche passo da Taehyung, tenendo le pupille fisse in un singolo punto, quasi si fosse incantato.
«Kook?»
«Dirò di no.» Taehyung non ebbe neanche il tempo di tirare un sospiro di sollievo, che Jungkook gli rivolse lo sguardo, con fare nuovamente serio. «Ma di persona. Voglio sapere perché sono stato rifiutato. Se il suo progetto è quello di fare il libro colmo di storie di miserabili che si credono scrittori vorrei essermelo detto in faccia e avere certezze. Vorrei essere certo di fare schifo in certe competenze, che non so scrivere, quasi quasi non so neanche parlare, pensare, immaginare. Ma voglio che me lo dicano. Potrei non andarci e continuare a credere sia che mi abbia voluto prendere in giro sia che mi abbia voluto lodare in qualche maniera. Forse sono davvero troppo bravo per questo mondo e se non ci vado non lo saprò mai. Ci vado oggi pomeriggio.»
Detto ciò si voltò, scappando dalla vita di Taehyung, che rimase immobile a fissare il luogo dove c'era stato il bruno, forse immaginando che ci fosse ancora.
«Kookie, ti prego, ragiona...»
L'altro si fermò accanto lo stipite della porta.
«Tae, sai che ti voglio bene, ma non posso ascoltarti, questa volta. Ci capiamo bene, noi, ed è per questo che mi aspetto che tu capisca come sia diventata un'ossessione che, seppure siano passati degli anni, non riesco a tirarmi via dalla testa e che se ho un'occasione del genere da cogliere, non esito più di qualche secondo. L'unica cosa che va oltre l'amore sono le ossessioni.» si voltò nuovamente verso di lui, il quale si era finalmente girato al fine di scorgere ancora il suo viso. «Comprendimi, ti prego, non biasimarmi. Dirò di no, ma non posso farmi sfuggire un'occasione del genere da uno dei due uomini che per circa un anno mi ha fatto arrovellare il cervello e mi ha tenuto sveglio le notti affinché potessi soddisfare i suoi desideri. Mio padre e Kim Seokjin, sono stati.»
Indietreggiò di qualche passo, per poi scomparire dalla vista dei tre scappando via. Jimin poggiò una mano sulla spalla del suo amico, rimasto immobile, ancora una volta a fissare il luogo in cui Jungkook era scomparso.
«Kim è affidabile, te lo assicuro. Jungkook ti ascolterà, non preoccuparti.»
Sebbene tutto, Taehyung emise un grande sospiro.
«Non mi ero neanche accorto che quell'uomo fosse una delle cause di quella sua ossessione. Non essere accettato gli ha fatto male. Probabilmente riesco a capire come si sente, ma non abbastanza.»
«Tae, se avessi saputo, non avrei esitato a far pubblicare un suo qualsiasi lavoro, anche se il capo non fosse stato tanto d'accordo.»
«Ti credo, non ti preoccupare.» gli rivolse un sorriso sereno, il quale, tuttavia, nascondeva tutti i suoi timori.
Forse era giusto che Kook affrontasse i fantasmi del suo passato a testa alta, come aveva ben imparato a fare.
Già nel primo pomeriggio, come si era prefissato, aveva indossato la giacca, si era sistemato i capelli e aveva tentato di rendersi più accettabile del solito, cercando di profumarsi attraverso qualche essenza che aveva trovato nel cassetto della stanza da letto che Jimin aveva conservato in fondo e forse si era anche dimenticato che esistessero.
Il sole aveva cominciato a tramontare così presto e ciò gli causò malinconia, come in tutti i giorni invernali, del resto.
Grande, imponente, mastodontica, pareva l'editoria dall'esterno, ai suoi occhi. Non era così enorme come essi gliela mostravano, ma il fatto che contenesse quelle che erano state le sue ambizioni e il fatto che essa fosse stata la sua ancora di salvezza mai raggiunta faceva sì che apparisse in maniera diversa rispetto a ciò che era davvero.
Le dimensioni rispecchiavano quanto essa doveva essere importante nella sua vita. Rifletté per qualche secondo, osservando le porte d'entrata, chiuse, le quali sapeva che davano verso un cortile interno, erano impenetrabili così come potevano essere le mura di una prigione: cosa sarebbe accaduto se, a suo tempo, la Mabillon lo avesse accettato come scrittore? Si grattò il capo, al fine di mandare via la terribile immagine della morte di suo padre. Era vero, odiava quell'uomo, ma tutto quanto era accaduto a causa di colui che aveva ucciso quella sera nel vicolo, per proteggere una ragazza. Si fece sfuggire una risata malinconica: non era cambiato per nulla in alcuni aspetti, poiché era stato disposto a dare un pugno sul viso di un suo amico per come si era comportato con una ragazza. Magari era troppo nobile, doveva smettere di avere certi comportamenti e vivere più sereno, poiché avrebbe evitato che accadessero molti avvenimenti che l'avevano rovinato. Si fa per dire, certo, era già giunto alla conclusione che era stato tutto un dono, perché così aveva potuto avere Taehyung.
Ma non poteva davvero fare a meno di pensarci a come sarebbe stata la sua esistenza se l'avessero preso come scrittore. Taehyung era già assunto a quei tempi e si sarebbero comunque conosciuti e, essendo anime gemelle, si sarebbero innamorati ugualmente, in maniera differente, ma con uno stesso punto d'arrivo.
Sarebbe stato lo stesso un amico di Jimin, forse non avrebbe generato nessuna discussione con Namjoon perché non sarebbe uscito per disperazione con quel biondino.
La sua vita sarebbe stata completamente diversa, bisogna ammetterlo, ma avrebbe mancato di qualcosa di importante: l'esperienza, che lo aveva segnato fino in fondo e che gli aveva dato abbastanza basi per scrivere un libro colmo di sentimenti così come avrebbe desiderato. Quei tempi erano terminati, se lo ribadiva ancora una volta, e quell'esperienza era utile solamente a se stesso, poiché lo aveva fatto diventare una persona migliore, anche se mancava ancora tanto a diventare un adulto vero e proprio e non farsi travolgere dalle futilità giovanili.
Scosse il capo: se avesse potuto, sarebbe rimasto per sempre in quell'età, con una chiarezza mentale non ancora completamente nitida, poiché infettata dalla giovinezza, la quale fungeva da pepe nella noia dell'esistenza.
Se l'avessero assunto, non avrebbe mai scoperto tutte le piccole luci che costellavano essa, le quali non erano altro che i vari sentimenti incastonati come pietre preziose in gioielli.
L'ufficio di Seokjin era al terzo piano, a detta dei dipendenti che lavoravano lì anche in quei giorni di festa. Dovevano provvedere ad alcune stampe, altri si occupavano di alcune questioni legali, altri ancora erano indaffarati con la realizzazione delle copertine. Era errato il detto "non giudicare un libro dalla copertina", poiché la cura nella rilegatura era uno degli aspetti più importanti in un'editoria, la cui buona fattura avrebbe meglio invogliato un borghese a comprare.
Aveva chiesto ad un ometto bassino, con una barba ispida, dalla corporatura robusta e col capo calvo, coperto da un cappello. Le sue scarpe erano malandate, ma forse era il suo unico paio, per cui non poteva ancora cambiarle.
Al secondo piano invece c'era l'ufficio di Jimin, il quale era annesso a quello di Yoongi: vi passò davanti, giusto per ricordarsi di quando c'era stato una singola volta qualche anno prima, e si rese conto di quanti scaffali di libri ci fossero lì dentro, quasi paragonabili all'esorbitante quantità che possedeva in casa sua. Forse aveva arredato il suo studio al fine di essere un ambiente confortevole come se fosse proprio casa.
Era l'unica stanza lasciata aperta, poiché le tante porte del corridoio erano chiuse a chiave o comunque non permettevano di ficcare il naso.
Dopo quei pochi minuti passati a curiosare nelle stanze private dei due ragazzi - aveva preso tra le mani qualche volumetto, incuriosito, e aveva spostato leggermente qualche carta, giusto per essere partecipe di quella realtà fino ad allora tanto lontana. Aveva anche ridacchiato nel vedere di come avesse deciso di non separarsi più da Yoongi, il quale era seduto alla scrivania più vicina che ci fosse - capì che era giunto il momento di affrontare quel fantomatico colloquio.
All'ultimo piano era l'unica stanza, quella di Seokjin. Il resto era un grande spazio, nel quale vi era dedicata una grande biblioteca a muro, con qualche sedia lì vicino. Era un posto davvero peculiare, pareva come se l'avesse resa un'abitazione, poiché per un editore e uno scrittore non bastavano altro che un paio di libri per poter sopravvivere, anche senza un letto dove assopirsi.
Bussò all'unica porta con delicatezza, sperando di non starlo interrompendo in questioni importanti.
«Sono Jeon Jungkook. Sono qui per il colloquio, mi ha mandato la lettera.»
Ci fu silenzio per così tanto tempo che il ragazzo fu sul punto di andare via, perse le speranze, ma poi una voce che lo richiamava lo spinse a tornare indietro e spingere quel divisorio.
«Jeon Jungkook. Quale piacere.» proclamò una voce che alle orecchie dell'interessato parve cupa; così come lo aveva descritto Jimin non rispecchiava affatto l'immagine che lui stava mostrando. I suoi capelli erano tirati tutti indietro, la sua presenza imponente rendeva quel grande ufficio non abbastanza per contenerlo. Le sue palpebre erano socchiuse e gli occhi scrutavano con interesse il ragazzo che era appena entrato da quella porta, dalla quale raramente si faceva più vivo qualcuno, solo se i dipendenti erano chiamati direttamente dall'alto. La sua giacca in ottima fattura addirittura risplendeva sotto le luci della stanza, seppure fossero poche e quelle del giorno si erano pian piano affievolite col passare del tempo. Forse sarebbe stato meglio andare lì di giorno, magari al nuovo anno: stava temendo che la sua presenza avrebbe potuto dare fastidio. Seokjin piegò le sue spalle in avanti e congiunse le proprie mani, intrecciandone le dita, e tenendo poggiati i gomiti sulla scrivania.
«Quale piacere, direttore.» ripeté, a disagio. Si mise a sedere davanti a lui dopo che gli fu fatto cenno di prendere posto. Le ginocchia del ragazzo erano unite fra di loro e le proprie mani, sudate per la tensione, imbrattarono subito i pantaloni, per cui le tenne sempre nella stessa posizione.
«Jimin non ha perso tempo a consegnarti la lettera. Non abbiamo trovato il tuo indirizzo, per cui dovevamo avere un'alternativa.»
Kook annuì. «Sì, mi dispiace, ho cambiato residenza da un po' di tempo, ma non ho ancora dichiarato in maniera chiara, stiamo vedendo come provvedere.»
Il ragazzo tenne gli occhi verso il basso, nel mentre elaborava quella risposta e subito dopo, nei secondi di silenzio in cui il direttore sfogliò le carte, gli venne da riflettere. Era vero, la sua residenza non era dichiarata a Vienna, perciò era stato vago, e non era neppure dichiarata a casa dei loro quattro amici, non lo era mai stata per anni; era sempre stata nella vecchia casa di suo padre. Che lui avesse deciso di toglierlo da lì prima di morire? Legalmente, lui viveva per strada, quindi. Gli era un po' strano, ma lasciò correre la questione. Seokjin era affidabile e doveva credere nelle parole di Jimin.
«Fatto sta che avevo intenzione di elaborare questo progetto e sarei veramente entusiasta se tu ne facessi parte.»
«Signor Kim, vorrei farle una domanda.» iniziò, alzando il capo e così facendo attirando l'attenzione dell'altro. «Come mai le mie opere sono state rifiutate? Ho poco talento? Non so scrivere? Non ho mai ricevuto risposta a riguardo e credo che sia mio diritto sapere cosa avevano di tanto sbagliato. Erano diverse e ho speso parecchio tempo della mia vita. In quel tempo credo di essermi rovinato parecchio, scrivevo giorno e notte, unicamente per far piacere al pubblico, ma prima di tutto perché fosse del gusto di chi l'avrebbe valutata.»
Non aveva senso girarci intorno, per cui Jungkook non aspettò affatto per arrivare subito al punto. Del resto, lui era lì per quello, no? Non gli interessava più pubblicare, l'aveva promesso a Taehyung, anche se la proposta pareva molto allettante. Neanche i suoi più profondi desideri erano cambiati nel corso del tempo.
Seokjin ridacchiò, scuotendo il capo. «Che carattere! Mi piace, un bel personaggio.»
Fece aggrottare le sopracciglia all'altro. «Comunque, no, non sei stato scartato da me in persona poiché non eri abbastanza. Credo che tu sappia fare il tuo lavoro, ma tutti gli scrittori sono anche troppo indipendenti. Invece tu sembri così adatto a questo ruolo. Ti ho semplicemente tenuto da parte fino a quando sarebbe giunto il momento, tu così come altri: sei l'unico rimasto.»
Nuovamente Jungkook ne fu scettico: quante persone aveva originariamente messo da parte? E quante probabilità c'erano che l'unico rimasto fosse proprio lui? Gli pareva tutto così strano e organizzato in maniera così forzata, come se ci fosse qualcosa di non vero, una menzogna. Forse c'era qualcosa sotto, ma doveva, ancora una volta, tenere fede alle parole del suo amico, poiché si conosceva fin troppo bene e cadeva facilmente nelle paranoie.
«Per cui, ciò che ti chiederei di fare, è quello di scrivere una tua opera personale, con il tuo nome e non quello del progetto che avevo ideato originariamente, la quale sarà strutturata esattamente come ti dirò a breve, in modo che presenti un filo logico che solamente i lettori accaniti più attenti saranno in grado di cogliere. Ogni evento presente non sarà collocato lì a caso, verrà in aiuto la numerologia, l'astronomia, l'astrologia, gli eventi passati ed altre lingue, tanto che i lettori saranno così entusiasti da non riuscire a togliere gli occhi dalle pagine. So che nei sei capace, e ti ho messo da parte poiché dalle pagine dei tuoi manoscritti è venuto fuori come tu sia un tipo diligente e che riesce a sottostare facilmente a queste direttive.»
Kook si morse il labbro. La proposta era veramente interessante, anche se doveva dissentire sull'affermazione del capo dell'editoria. «Sono un tipo abbastanza lavoratore, questo è vero, ma non le assicuro che riuscirò a buttare giù un'opera interamente controllata da qualcun altro. Potrebbe succedere che io me ne vada per mio proprio conto per rispecchiare le mie volontà dell'andamento della trama; non sono molto capace a sottostare agli ordini degli altri in questo senso, poiché mi viene una sorta di sconforto e di solito finisco per lasciare il mio lavoro.»
Il capo scosse il capo. «Non devi affatto preoccuparti. Devi solamente inserire delle informazioni che ho già accuratamente preparato.» si incurvò verso la base della scrivania e prese un'ingente quantità di carte organizzate in un fascicolo voluminoso, tale da far rimare scioccato il ragazzo. «Ecco qua, non spaventarti per tutti questi foglietti, però. Ci sono tanti vari appunti sulle varie possibilità di trama che potrebbero presentare i vari schemi che ti ho presentato.»
Jungkook alzò nuovamente il capo verso di lui, dopo aver sfogliato quel grande fascicolo e aver letto delle righe qua e là.
«Se credeva fossi capace, come mai ha preparato anche una trama dettagliatissima che comprende anche le varie azioni dei personaggi in alcuni punti? Ha speso tempo, quando il romanzo avrebbe potuto crearselo da sé.»
«Oh, Jeon, ma questo non è solo un romanzo. Questo è il futuro e sarai proprio tu ad esserne l'artefice. Puoi cambiare molti punti, figurati, ma devi attenerti alle linee guida principali, che ho evidenziato e a cui ho dato più importanza. Fai molta attenzione a leggerlo.» gli rivolse un sorriso cordiale, che agli occhi del bruno parve molto cupo, come se stesse nascondendo ancora qualcosa e fosse contento che lui si stesse bevendo la sua menzogna. Era solo un'impressione sicuramente, quella era la faccia di Seokjin e non una smorfia.
«Mi tolga un'altra curiosità. Cosa avrebbero dovuto fare gli altri scrittori?»
«Ho nei cassetti il resto dei fascicoli che avrei dovuto dare loro e adesso aspetterò di trovare qualcun altro, oppure sarai proprio tu a scrivere completamento del tuo primo romanzo, sempre se accetterai. Perché accetterai, non è vero?» l'uomo alzò un sopracciglio, in attesa di una risposta positiva, che arrivò con un cenno.
«Per la verità, signor Kim, dovrei avere certezze da... da casa. Siamo in una condizione familiare abbastanza complicata, per cui dovrei vedere se per loro va bene se dedichi anima e corpo a questo progetto, soprattutto perché senza stabilità e certezza. Sa, se sto male mentalmente io non riesco a scrivere e ci potrebbe volere qualche mese per farmi riprendere, non vorrei tenere in sospeso lei e anche i fondi per casa.»
Non appena si rese conto di aver tirato in ballo la questione "denaro" senza indugio, alzò le mani e le scosse assieme al capo, sperando di non sembrare un maleducato. «Nel senso, non volevo dire che lavoro per soldi, si figuri, non sono quel tipo di ragazzo, lo farei davvero per passione e-»
Venne fermato con l'indice di Seokjin che gli faceva cenno di tacere, poggiato sulle proprie labbra carnose, per cui Kook annuì e chiuse l'argomento, sperando davvero di non aver fatto una brutta figura. Ah, mancava solamente quello.
«Fatto sta che parlerò con loro e vi farò sapere il prima possibile.»
Allora Seokjin gli fece cenno di alzarsi, congedandosi con lui cordialmente tramite una stretta di mano.
«Spero che la vostra situazione finanziaria si risolvi: la morte di vostro padre deve aver portato davvero tanta disgrazia. Sono in ritardo di molto, ormai, ma mi sento in dovere di farle delle condoglianze. Jeon Auguste era un uomo di grande classe e di spicco sociale, ma purtroppo i suoi due assassini non sono stati acchiappati neanche dai presenti di quella sera. Che grande peccato non riuscire a ricevere la giustizia che si spetta, spero che alla fine riuscirete a vincere.»
Il ragazzo, all'inizio del discorso, provò un tuffo al cuore dallo spavento, poiché ogni riferimento a suo padre era proprio una croce e temeva sempre che qualcuno avesse scoperto il proprio segreto. Certo, era più strano che nessuno si fosse reso conto che l'assassino era proprio suo figlio, ma finché non sapeva che qualche uomo lo stava cercando per ammanettarlo poteva stare tranquillo. E, ovviamente, se questo fosse mai successo, si sarebbe preso la colpa per intero, dichiarando che avesse assunto Taehyung ricattandolo di fare del male alla propria sorella se non l'avesse aiutato a fare fuori quell'uomo. Non avrebbe mai potuto mettere a rischio la sua incolumità: per amore si fa questo ed altro.
«Risolveremo tutto: è una promessa che va avanti da quasi due anni e riusciremo ad avere giustizia, perché alla fine nel Mondo ogni cosa finisce per arrivare al proprio posto; tutti i sotterfugi vengono scoperti e tutti i delitti devono essere pagati con una moneta più crudele.»
Già, più crudele, molto più crudele, pensò.
«Auguro una buona giornata a te- volevo dire, a lei, chiedo venia per la poca formalità di oggi, buona giornata a lei e a tutta la sua famiglia!»
Una volta uscito dal suo ufficio non poté fare altro che correre verso le scale, si sedette per riformulare tutto quello che Seokjin gli aveva appena comunicato. Un suo libro che doveva seguire ciò che c'era scritto nel fascicolo che si era portato dietro, sotto il braccio.
Non era un'incapace: le sue potenzialità andavano oltre quelle di uno scrittore normale, da come l'aveva messa Kim. Non ne era tanto soddisfatto, anche se sapeva per certo che le parole non fossero vere.
Fatto sta che non sapeva affatto cosa dire a Taehyung.
Accettare o meno? Ma che stava pensando, certo che avrebbe detto di no. Si era già dimenticato i brividi di paura che gli erano saliti lungo la schiena non appena Seokjin aveva fatto riferimento alla vicenda di suo padre? Eventualmente avrebbe potuto usare uno pseudonimo, proprio come quello di Jungkook Boyer e magari cambiare un po' il suo aspetto. Farsi crescere la barba? Tagliarsi i capelli?
Scosse il capo per conto proprio, portando una mano tra i suoi capelli: no, gli piacevano troppo per essere toccati e voleva continuare a tenerli fino a che non sarebbe giunto il momento di diventare calvo.
Che bambino. Rise per conto proprio.
Avrebbe dovuto discutere con Taehyung sulla questione seriamente e arrivare ad un accordo. Santo cielo, gli aveva promesso che non avrebbe accettato, ma la proposta era troppo, troppo allettante e sarebbe finalmente riuscito a realizzare quell'ossessione che per mesi aveva brulicato nel suo cervello, e aveva mangiato parte di esso, rendendolo malato.
"Le ossessioni sono più potenti dell'amore", la frase detta dalla propria voce gli risuonava come un eco nella sua mente e accettare avrebbe significato darne conferma: chissà come sarebbe rimasto deluso Tae, una volta che avrebbe scoperto che il suo ragazzo preferiva qualcosa di materiale a lui, anche se gli aveva promesso di rimanere assieme senza mai opporsi l'uno all'altro o mai più farsi male a vicenda.
Forse non avrebbe capito, ma, magari, si sarebbe reso conto che l'ossessione e l'amore erano quelle due importanti cose che voleva nella stessa quantità.
Guardò ancora quel fascicolo e, sebbene fosse già tutto scritto, quindi non avrebbe implicato molta immaginazione, che era uno dei suoi pezzi forti, l'unica parola che riusciva a pensare era "finalmente".
Passeggiò abbastanza, con quel fascicolo sotto il braccio.
Trovò la porta di casa già aperta, e tentò come prima cosa si raccontare gli avvenimenti, ma le sue parole furono frenate da una figura che trovò seduta al divano del soggiorno che sorseggiava una tazza di tè assieme a Taehyung.
Il suo ragazzo rideva assieme a lui di gusto, nel momento in cui lui era entrato in quella stanza: forse quell'uomo aveva appena raccontato qualcosa di divertente.
Jungkook fece per chiedere spiegazioni, ma venne fermato da Taehyung stesso, che si alzò in piedi e, allegro, lo invitò a sedersi nell'unico divano della stanza che era rimasto libero.
Quell'uomo possedeva dei simpatici baffi a manubrio e un monocolo annesso al taschino della sua giacca. Le sue labbra incurvate verso l'alto in una spigolosa smorfia di piacere erano ben accoppiate con gli occhi stretti e le rughe di espressione. Il suo capo era coperto da un cappello a cilindro: l'uomo aveva l'aspetto di un nobile inglese, ma a giudicare dal modo in cui riusciva a parlare il francese, così come un madrelingua, fece svilire tutte le teorie riguardanti la sua nazionalità.
«Per cui, credo sia necessario avere un artista come lei nella nostra grande collezione di perle. Credo sia un'occasione unica da prendere al volo: apprezzo la sua arte, sono rimasto molto colpito da essa fin da quando ho visto con i miei stessi occhi le poche copie dipinte de Le Fleurs du Cœur di V, e il fatto che le fossero stati dati i crediti per intero mi ha reso senza parole, a suo tempo. Finalmente, un dipendente della Mabillon, il quale è stato licenziato tempo fa - non mi ha voluto dire chi fosse - ha notato il giorno di Natale che me ne andavo in giro con questa storiella ormai passata di moda. Invece io la trovo molto fine e fantasiosa, a tratti un pizzico magica e la copertina non è altro che un involucro di quella grande dispensa di pensieri di diamante, scritti da un giovane, molto più capace di un vecchio saggio. Quel dipendente sapeva chi tu fossi, per cui non ho perso un attimo a giungere qui, attraverso vari indizi da parte di vari conoscenti. Kim Taehyung, dove abita Kim Taehyung? Nessuno lo sapeva e ne ero stupefatto: per carità, nessuno sa dove abita Kim Taehyung? Sapevo però dove abitasse Park Jimin, vice-direttore della Mabillon, poiché conoscevo i suoi genitori ed io e lui abbiamo tutt'ora rapporti affettivi. Gli ho chiesto se conoscesse Kim Taehyung e se egli fosse V, ma con mia grande sorpresa è stato proprio Kim che mi ha aperto la porta. Ero attonito!»
L'uomo rise, assieme a Taehyung, che tralasciò il dettaglio della conoscenza della sua vera identità rilegata solo ad un gruppo ristretto di persone, non certo ad un dipendente qualunque.
Jungkook seppe che doveva partecipare anche lui, ma non ne fu in grado. Lasciò il plico di fogli sul tavolino più vicino, al centro del salone.
«Posso chiederle il suo nome? Io non lo so ancora, credo che siano educazione le formalità, anche se non ne sono fanatico.»
«Mi scuso per la scortesia, il mio nome è Ménétios Lambert, e sono un critico d'arte. Ho contatti persino con l'Italia con i grandi maestri e potrebbero istruire il signor Kim abbastanza che dopo qualche mese lui sarà già bravo per tornare qui ed essere pronto per diventare un artista di successo.»
Il bruno osservò la mano protesa verso di lui di quell'uomo in veste elegante, il quale si era alzato dal divano per giungere lì apposta per scambiare quel gesto di cortesia.
Quindi era quello di cui stavano parlando. Istruzione in Italia? Sicuramente Taehyung avrebbe detto di no, per aver fatto tutta una parte verso Jungkook e sul non accettare assolutamente l'incarico offertogli da Seokjin poiché devono il prima possibile tornare a Vienna.
«E Kim Taehyung che ne pensa dell'ipotesi?» chiese, con un tono falsamente cordiale, solo per sapere quale sarebbe stata la sua risposta.
Tae balzò in piedi, avvicinandosi agli altri tre; intanto il minore non aveva dato alcun cenno dell'alzarsi da quella poltroncina elegante, difatti incrociò addirittura le sue gambe e strinse il proprio ginocchio con entrambe le mani, di cui incatenò le dita fra di loro.
Squadrò attentamente il ragazzo che aveva richiamato.
«Io, dici?»
Ovviamente non poté che avere un cenno positivo: si grattò il capo, pensoso, storcendo il naso e tenendo le sopracciglia innalzate.
Ci stava davvero riflettendo o stava mettendo in scena una finta?
«Onestamente, trovo che la proposta di monsieur Lambert sarebbe davvero istruttiva e sarei davvero entusiasta di prenderne parte.»
«Però...» attese che Taehyung continuasse la frase, ma non fu così, poiché alzò le spalle.
«Nessun però.»
Taehyung si grattò nuovamente il capo, tenendo così gli occhi bassi al fine di non incontrare lo sguardo di Jungkook che si alzò di scatto in piedi.
«Kim Taehyung, ma che diamine!» esclamò. Lo squadrò con occhi stretti e severi. Quindi era lui l'unico che non poteva accettare quelle proposte. Surreale, quella situazione, in cui erano capitate una di seguito all'altra.
«Non ho ancora accettato! Dico che ne sarei entusiasta e basta!»
Monsieur Lambert fece un cenno col capo e con esso abbassò il cappello, portandoselo sul petto e stropicciandone il lembo, attirando così l'attenzione dei due a causa di quel movimento.
«Forse dovrei tornare al nuovo anno per ricevere una risposta, sarebbe meglio farvi decidere con calma quali siano le decisioni migliori e più responsabili.»
Entrambi annuirono, indietreggiando l'uno dall'altro di qualche passo, accortisi di essere troppo vicini anche per una normale discussione.
«Ritorni entro il tre di gennaio, ci saremo. Se verrà più tardi, saremo fuori città.» comunicò il minore. Detto ciò, l'uomo fece un altro cenno con il capo, uscendo dall'abitazione nel mentre tutti quanti facevano quel silenzio tombale e religioso, senza alcuna intenzione di emettere neanche un fil di voce.
Non appena risuono per la casa il tonfo della porta che veniva chiusa, Jungkook prese un grande respiro, pronto a scontrarsi con l'altro ragazzo, poiché l'aveva addirittura visto incerto su una risposta positiva.
Anche se poteva risparmiarsela, quella scenata, poiché anche lui, davanti a Seokjin, avrebbe tanto desiderato dire immediatamente di sì. La pubblicazione era il suo sogno e c'era poco da fare, così come l'arte era la passione che Taehyung teneva nascosta e che avrebbe tanto desiderato vederla realizzata.
«Ti ho conosciuto che eri uno scrittore, che diamine ti è venuta, una fissa a causa di quel pennello da imbianchino?»
Taehyung si portò una mano sul capo, provocando un sonoro rumore del palmo e un segno rosso sulla fronte, incredulo per le parole che aveva appena pronunciato.
«Fatto sta che hai sempre saputo che mi piace l'arte, sempre, dalle prime volte che ci siamo conosciuti e che passavamo assieme sul Montmartre e a volte l'abbiamo presa in considerazione come motivo di discussione, adesso te ne esci che ero uno scrittore e basta? Sì, mi piace tanto scrivere, ma se dovessi scegliere mi butterei a capofitto nell'arte. Jungkook, stiamo parlando dell'Italia, non di un paese qualsiasi! Sai quali meraviglie ci sono lì e sai quanto potrei imparare assieme a tutti gli artisti che vivono lì? Quante nuove esperienze farei e quante nuove porte mi si potrebbero aprire? Magari diventerò davvero un artista e realizzerò dei quadri ad olio per commissione e diventeremo ricchi, non pensi quanto sarebbe bello e soddisfacente? Ricchezza e piacere.»
Nel mentre del suo discorso gli aveva preso le mani tra le proprie e lo stava guardando dritto negli occhi mentre i propri avevano quasi assunto la forma di un cuoricino, per quanto esprimessero luce e passione.
Jungkook non riuscì a mantenere lo sguardo.
«Seokjin mi ha chiesto di scrivere un libro secondo delle direttive specifiche e seguendo un particolare progetto che ha ideato. Crede che sia veramente portato e mi aveva scartato, tempo fa, mettendomi da parte e sapendo di riuscire a soddisfare le sue richieste. Non si è importato della mancanza dei sentimenti, che non riuscivo a dare perché a quei tempi non ne ero abbastanza colmo da poterli esprimere. Vuoto e stressato.»
Intravide nuovamente le pupille del ragazzo, ma strizzò le palpebre, deciso a non deviare il proprio discorso.
«Credo anche io che la sua offerta di lavoro sia fantastica, ma il mio primo pensiero è stato quello di ritornare tra qualche giorno per dirgli di no, che ho una situazione familiare abbastanza complicata e che non posso concentrarmi troppo, preferendo un lavoro manuale, che non richiede sforzo mentale. Ma se tu dici di sì» non ce la fece, non poteva non guardarlo mentre diceva quella frase «io rimango qui a Parigi e lavoro per il signor Kim.»
Gli strinse le dita. La sua espressione era dispiaciuta. Non voleva iniziare una discussione con lui a riguardo, ma desiderava che entrambi si venissero incontro, capendo quali fossero i loro desideri.
«Jungkook, ma l'esperienza lì, in Italia, sarebbe bellissima. Chiederei a Lambert di andare con uno pseudonimo, tutti e due.»
La richiesta era folle: entrambi desiderano con pazzia quei traguardi che gli erano stati offerti e chi avrebbe dovuto trascurare l'altro?
«Taehyung, te lo ripeto, ti voglio bene o ti amo, quello che vuoi, e te lo ripeterò sempre, non smetterò mai di dirlo, ma per quanto ti ami io non posso venire con te: l'Italia non mi darebbe nulla, sarei costretto a stare in casa o a cercare fortuna e so che, nel farlo senza di te, finirei in mezzo ai guai. Apparte questo, non posso stare lì mentre so che qui ho lasciato la più grande offerta che mi sia stata mai data.»
Taehyung gli lasciò le dita, inorridito dalla proposta. Scosse il capo freneticamente e avvertì un mancamento.
«Che intendi dire, che stai dicendo Jungkook! Non dirmi ciò che non voglio sentire.»
La cornea si era fatta rossa.
«O a Vienna, assieme, o a Parigi e in Italia, separati.»
Il maggiore sentì davvero un tuffo al cuore e le sue gambe si fecero molli: ebbe fatica a tenersi in piedi, per cui dovette trovare un luogo dove poggiarsi e il divano più al centro della stanza era ciò più prossimo a loro due.
Appena Jimin si accorse del volto pallido di Taehyung, seppure da diversi metri di distanza, accorse velocemente verso di loro, cadendo sulle ginocchia e strisciando il tessuto dei pantaloni lungo il pavimento, incurante di poterlo rovinare.
«Che ti prende? Vuoi un bicchiere d'acqua, tutto bene?» chiese premuroso.
Jungkook poteva comprendere il modo in cui si stava comportando, anche se forse era un po' eccessivo. Non sarebbe stato per tutta la vita, no?
«Ha detto che o stiamo assieme o...» abbassò il capo, portando una mano tra i capelli e tirandoli verso l'altro, senza abbastanza parole per riuscire a completare la frase.
Anche Kook, allora, si inginocchiò accanto a lui, toccandogli le labbra con un dito, magari per alzargli l'angolo leggermente e trasformare la sua espressione triste in apparente felicità. Era comprensivo, si era appena reso conto di ciò a cui lui si stava riferendo.
«Non ti lascio perché non voglio che insegui la tua passione, non lo farei mai.»
Richiamò la sua attenzione e quando l'interessato alzò lo sguardo verso di lui, Jungkook ne vide gli occhi più arrossati di prima, sull'orlo di una crisi di pianto. Era comprensibile, credeva che gli stesse imponendo di scegliere tra il suo amore o la sua passione, che quasi potevano essere messi sullo stesso piano.
«Separati non significa che dovrei lasciarti. Anche se ti sentirei di meno, solo tramite delle lettere, so che sei accanto a me comunque. Non potrei mai lasciare la persona che amo, o voglio bene, di più di tutte, sarebbe proprio da stupidi. Tanto, prima o poi smetterà quel periodo da allievo ed io smetterò di scrivere il mio libro, il quale sarà unico e solo. Voglio solo una pubblicazione, quel desiderio che ha logorato la mia vita per tanto tempo, non voglio la fama. E occuperò tutto il tempo che ho per terminarlo più in fretta che posso, mettendoci dentro ogni passione che provo, soprattutto quelle verso di te.»
Jungkook gli sorrise, accarezzandogli la guancia.
«Anche se non stai accanto a me, mi terrai sempre d'occhio, no?» chiese in un mugugno: la sua voce era impastata, si era preso un grande spavento e pian piano aveva riacquisito colore.
Tutto nel mentre Yoongi osservava la scenetta interessato dallo stipite della porta: assistere le vicende amorose degli altri ere più drammatico e interessante che provarle in prima persona.
«Basta che guardi la Luna ogni sera: la guarderò anch'io e staremo sotto lo stesso cielo, quindi ci sembrerà come se fossimo l'uno accanto all'altro, sopra quel monte di Parigi.»
Taehyung annuì, senza riuscire a dire nient'altro. Kookie era stato esplicativo e premuroso. Inizialmente credeva che il suo tono severo sarebbe stato difficile da smorzare e quindi gli avrebbe affibbiato l'appellativo di ipocrita e se lo sarebbe tenuto in silenzio, ma poi fu stato in grado di leggergli l'anima, come era solito.
Chissà perché nessun altro si era mai accorto quanto quel giovane era bello dentro: empatico, dolce, premuroso. Tutti quanti si erano solamente fermati alla bellezza esteriore. Era affascinante, impossibile negarlo, ma la purezza del suo animo lo rendeva più splendido di quanto non lo fosse già. La natura aveva coniugato in lui tutte le meraviglie e la sua esistenza non poteva che essere opera divina.
«Fatemi capire, quindi adesso entrambi accetterete questi due lavori che sembrano essere caduti totalmente dal cielo? Curioso come in entrambi c'entri in qualche modo la Mabillon» Yoongi ricevette delle occhiate confuse dagli altri tre «dite quello che volete, ma secondo me in quel luogo c'è qualcosa di maligno, come se ci avessero mandato una maledizione sopra. Fate come volete, comunque: mi piace essere spettatore.»
Jimin roteò gli occhi al cielo. «Piantala, sei di cattivo gusto.»
Jungkook intervenne, deciso a rispondere alla domanda che comunque aveva posto: «Sì. Entrambi intraprenderemo questi incarichi che paiono essere caduti giù dal cielo. Se questo è successo, ci deve essere una ragione: nulla accade per caso e, se tu devi stare in una qualsiasi cittadina italiana-»
«Firenze, Lambert ha accennato di avere casa vicino a delle botteghe note a Firenze di tradizione secolare.»
Il minore sorrise leggermente, avvertendo tutto il suo entusiasmo nel discorso. «Dicevo, se tu devi stare a Firenze ed io a Parigi, è perché è così deve andare.»
«Tutte le persone sono destinate ad avere un lieto fine, anche se non sempre è il migliore di tutti. Tutti hanno quel che è giusto si meritino e saremo quella percentuale di gente che si impegnerà per non avere affari in sospeso, una volta raggiunta la tranquillità e il lieto fine.»
«Se dobbiamo stare separati per un po', non disperiamo. Tanto il mio cuore è tuo e il tuo è mio, battono all'unisono e finché i nostri cuori battono tutto andrà bene e la vita andrà avanti, fino a che non riusciremo ad incontrarci di nuovo e poter essere coinquilini ancora e ancora.»
Risero: la scena era così dolce che Jimin si era posizionato a qualche metro di distanza, in modo da poterla osservare a pieno.
Essa venne interrotta, tuttavia, dall'eco dell'orologio a pendolo che frenò i loro pensieri e riuscì a riportarli alla realtà.
Yoongi balzò sul posto con un'esclamazione sussurrata, alzando gli occhi verso il pendolo, leggendo quei numeri romani che parlavano chiaro, ovvero che erano le sei del pomeriggio e che doveva andare all'appuntamento che si era prefissato.
Prese la giacca e non aspettò neanche un secondo per indossarla e non salutò neanche gli altri, preferendo andare via in silenzio.
Del resto Jungkook e Taehyung non ci avevano fatto molto caso. Qual era l'esito? Una prova: tentare di inseguire entrambi quelle che erano le loro ambizioni e vedere cosa ne sarebbe uscito fuori. Forse avrebbero entrambi prodotto degli elaborati pietosi poiché l'uno senza l'altro non funzionava più come un tempo, ma almeno sapevano di averci provato.
Quel treno del ritorno per la loro bella casetta a Vienna, a quanto pare, non l'avrebbero preso prima di diversi mesi.
Surreale, l'unica definizione adatta per il turbine di emozioni che stavano provando.
Davvero le ossessioni erano più forti dell'amore? Anche loro si stavano lasciando trasportare dai desideri umani, come qualunque altro?
Forse era proprio quello il motivo principale per cui si erano abbandonati alla decisione: erano pur sempre umani e come tali erano infelici se non inseguivano la loro volontà e non il loro bene.
Errore di tanti, ma inevitabile. Si può davvero biasimare chi agisce in maniera tanto reale e talvolta sofferta?
A Jungkook venne da pensare, in quel frangente di tempo che gli era stato concesso, a quanto le ossessioni fossero ciò che più è in grado di logorare e sbranare l'animo degli uomini e che, inevitabilmente, fossero quello strumento del diavolo per condurre l'umanità ad un'atroce termine, lanciando armi e frecce verso le varie fazioni e le genti. Quante volte il denaro aveva ammaliato fin tanto da diventare ciechi e ossessi, fin tanto da perdere la purezza del loro spirito come se fosse un attributo inutile? Le genti stolte, così come lo erano lui e Taehyung, andavano appresso a queste convinzioni vili unicamente per provare piacere, afferrare la vendetta e il riscatto; sono le belve a prendere di forza gli animi puri e plasmarli a proprio piacimento, sghignazzando come burattinai allegri ed eccessivamente maligni. Tae e Kook erano solo vittime perché umani, sebbene fossero anime incastonate e mistero della stessa metafisica. Fu frustrante comprendere di essere come tutti quanti.
La filosofia, suo mezzo intellettuale per lo studio delle vere essenze e dell'io, fu, ancora una volta, strumento di rammarico e di consapevolezza, per lui che era un pensatore a cuore aperto.
Non lasciarono le loro mani: sapere che dopo qualche giorno avrebbero dovuto sciogliere quella solida presa li distruggeva.
Così doveva andare: un'altra avventura del genere non avrebbe fatto altro che renderli più forti di quanto già lo erano diventati.
Yoongi, d'altro canto, bussò alla casa di colui con cui aveva quel fantomatico appuntamento, osservando l'orologio da taschino picchiando freneticamente il piede sulla pietra nera di quella straduccola. Non si decideva ancora a scendere e questo gli stava procurando tanto nervoso: prima chiedevano aiuto e poi osavano pure fare ritardo?
Passarono esattamente due minuti dall'orario prestabilito, quando finalmente Minsoo si degnò di mostrare il suo viso davanti a Yoongi, che lo squadrò con braccia incrociate e sopracciglio alzato.
Notò come teneva ancora una macchia più scura sul volto, in corrispondenza della zona in cui Jungkook lo aveva colpito.
«La tua ragazza che fine ha fatto? Questo non me l'avevi fatto sapere.»
«Dorme nella stanza di Jungkook con Mathilde, dopo l'episodio non ha voluto stare nel mio stesso letto.» si confidò, con capo basso.
«Quello che ho capito è quella ragazza è un tipo particolare e dovresti sapere meglio di me che scherzare con lei significa maneggiare col fuoco. Quelle ore in cui siamo stati nella stessa stanza mi hanno detto molto su come sia lei.» commentò severamente Yoongi. Si portò una mano tra i capelli: finalmente erano rimaste solamente le punte tinte di grigio, ma che gli conferivano un certo fascino, per cui era restio a tagliarle via.
«Sì. So che certe volte faccio qualcosa di sbagliato, ma non riesco per nulla a cogliere quale sia il mio errore. Se sta male, se trattiene le lacrime e scappa via da me, ho fatto cose che non dovrei fare e che lei vorrebbe che non si riproponessero. Per fortuna, sono in grado di farmi gli esami di coscienza e riesco a capire cosa sia sbagliato per lei, anche se è giusto per me. E quale sarebbe il giusto mezzo? Non c'è un giusto mezzo, in certe situazioni, soprattutto se sono adirato.»
Yoongi tenne ancora un sopracciglio alzato, non smettendo di squadrarlo. «Vuoi che ti aiuti a controllare la rabbia, non è vero?»
L'altro annuì, tenendo capo rivolto verso il basso, tra le fessure chiare della strada.
«Chiedi alla persona giusta: molte volte ho dovuto affrontare degli scatti d'ira ingiustificati dalla ragione, ma nessuno aveva mai compreso ciò, rilegandolo ad un segreto. Come hai fatto a capirlo?»
«Onestamente non lo so, neanche mi era passato per la mente questo tuo difetto. Mi sono reso conto che riesci a pensare prima di agire meglio di chiunque altro ci fosse in quella stanza a Natale o comunque meglio di tutta la gente che io conosca. Sei pragmatico e riesci a focalizzarti sulle priorità in maniera eccellente, non posso che invidiarti. Sai come utilizzare le parole attentamente, trovando il pelo nell'uovo: la tua capacità comunicativa è oltre la media ed è interessante. Poi, hai la faccia di uno affidabile.»
Gongolò nelle sue affermazioni, annuendo di parola in parola.
«Non hai paura che ti contagi, no? Che ti prenda qualche malanno? Che ti faccia del male, che ti prenda e magari ti immetta nel collo una sostanza che ti renderebbe uguale a me?» chiese con sarcasmo squarciante.
Detto fatto, Minsoo si allontanò di qualche passo, avvertendo lui stesso l'alone delle brusche parole che lo circondavano; ne fu soffocato.
«Ero la tua unica risorsa, lo capisco, lo capisco. Quindi tu credi davvero che con dei semplici apprezzamenti avresti potuto ammaliarmi per concederti aiuto con la tua vita sentimentale solo perché sei un grande idiota e neanche riesci a capire quanto la tua ragazza è triste e dov'è che sbagli? Non è questione di avere empatia, neanche capacità di essere pragmatici o frenare l'ira: probabilmente qualcosa nel tuo cervello non funziona a dovere, oppure hai recentemente subito qualche infortunio alla testa.»
Sprezzante come poche volte in quei 28 anni.
«Non è che ci vuole assai a capire che vuole che tu capisca un minimo i suoi ideali, per poi ascoltarla. Ero presente l'altro giorno e mi hai fatto accapponare tutto quanto. In preda alla paura hai agito con rabbia seppur guardandola dritta negli occhi, con sfida, rinnegando ciò che provi per lei.»
Le sue palpebre erano strette assieme alle labbra dalle quali usciva quel fil di suono. «Dovrei essere io ad essere schifato da te. Vuoi sapere come si controlla la rabbia? Chiedi proprio ad una persona che si è sempre stato zitto, non ha mai colpito a chi vuole del bene, che ha sempre stretto i pugni e serrato i denti e quando era solo provocava dei rovinosi tonfi che risuonavano per tutta la casa. Usa la testa, non ciò che ti conviene, perché sei sicuro che con la dominazione non avrai alcun problema. I tiranni hanno sempre una brutta fine, che sia solo tra le considerazioni negative di parte o tutto il popolo o per la loro morte, ben guadagnata. Guarda negli occhi della donna che ami e chiediti veramente se è questo quello che vuoi fare: desiderare che scompaia dalla sua vista.»
Non aleggiò neanche un fiato da parte di Minsoo, che ascoltava quella ramanzina in silenzio.
«Secondo questa società sono io quello che fa schifo e tu sei colui che è nel giusto.» gli rivolse un ultimo sguardo, prima di voltarsi completamente e correre via, indignato.
«Quanto ribrezzo mi fa questo mondo.»
Yoongi aveva ragione, quel mondo era così paradossale e lui era una di quelle stranezze della natura.
Salì nuovamente lungo le scale, percorrendole lentamente, come se il peso del proprio corpo fosse di colpo aumentato tanto da contrastare i propri muscoli, facendo sì che stesse quasi per scivolare per la rampa e cadere a terra più volte. Sovrappensiero, era proprio impossibile riuscire a compiere quella elementare azione.
Poggiò sconsolato la fronte al muro prossimo alla porta di ingresso della loro casa, attendendo che qualcuno ricordasse che era uscito e quindi decidessero di capire che fine avesse fatto.
No, figuriamoci se avrebbero pensato a lui. Non poteva biasimarli se non davano conto ad un essere tale, disprezzato dal gruppo appena formatosi e che aveva rovinato il Natale a tutti senza pietà, mettendo se stesso al centro del mondo. Sperò in un anno successivo migliore. Dopo non molto avrebbe rintoccato la mezzanotte, scandendo quel convenzionale modo di suddividere il tempo.
Nuovo anno, nuovo capitolo.
Si sedette per terra a gambe incrociate, con la schiena poggiata al muro e il mento rivolto verso l'alto, inspirando più volte, poiché l'aria in mezzo alle scale era più pulita e piacevole a causa di quella finestrella dalla quale entrava il vento.
Non seppe mai se si era addormentato o se il tempo gli sfuggì dalle mani senza potersene rendere conto, ma in un batter d'occhio, avvertì le esultanze delle persone provenienti dalle strade, quindi capì che la mezzanotte era già arrivata. Applausi, urla, canti, schiamazzi: da ovunque provenivano eccetto la propria casa, come se non ci fosse nessuno.
Chiuse gli occhi, per il sonno.
Sperava davvero in anno migliore e avrebbe fatto il possibile per rispettare gli insegnamenti di Yoongi.
Si assopì come un dolce bambino, troppo stanco a causa delle preoccupazioni per potersele ricordare nel sonno: neanche i sogni riuscì a formulare, la sua mente era offuscata ed impossibilitata a tessere un prodotto tanto complesso.
Non seppe mai che davanti a sé era seduta anch'essa a gambe incrociate la ragazza dai capelli rossi, ferma a contemplare il suo dolce viso addormentato come se esso fosse una visione.
Avrebbe desiderato, come era accaduto più volte in passato, che lui fosse sveglio e le stesse sorridendo, sempre in quella posizione. Magari come era accaduto nella soffitta della casa di sua zia, quella sera lontana in cui si scambiarono il loro primo bacio. Avrebbe tanto voluto che dalle sue morbide labbra fuoriuscisse un tenero "mi dispiace", senza alcuna presa in giro. La verità è che provava tanta nostalgia, perché, sebbene tutto, non era proprio in grado di smettere di amare quel ragazzo, poiché amava quello che lui le aveva fatto provare in passato.
Troppo legata ai ricordi, sebbene essi siano una pericolosa arma finalizzata per la pace, maneggiata da mani poco esperte.
Gli carezzò una gota, morbida quanto la seta, imperfetta come una lastra di vetro.
Era lì, pronta per pronunciare quel "mi manchi" sofferto, proprio perché non aveva mai pensato a poter andare avanti senza di lui: ne era incapace, cresciuta con la certezza di quel ragazzo che da bambino le aveva tirato qualche pallone per farsi notare.
Sapeva che era buono dentro, ma se prima era il principio che le faceva storcere il naso, adesso non sapeva neanche cosa pensare.
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