「18/07/1864」

11.

E dunque l'uomo corse, corse, corse e corse ancora; neanche il dolore lancinante ai polpacci e il respiro pesante che gli rendeva la gola un campo di impenetrabili chiodi riuscì a fermarlo dal suo intento. Era così impaurito dal mostro che lo stava inseguendo. I lunghi tentacoli di esso percorsero viscidi la strada verso di lui e li vide arricciarsi quando notarono che l'uomo era caduto, a causa di un ramo posto sulla strada, e si era ferito gran parte della sua gamba destra. Il mostro strisciava lentamente, ma era tanto grosso che era in grado di percorrere 10 metri nell'arco di un secondo.
Delle lacrime caddero sul terreno: per lui era la fine. Sarebbe stato divorato da quel mostro. Già immaginava la scena: la sua testa che finiva direttamente nello stomaco dell'essere, qualche occhio che balzava via, ormai inutile, e le pareti dello stomaco di esso cosparsi del proprio sang

«Fammi leggere!» esclamò entusiasta Taehyung, sfilandogli il foglio dalle mani. Scorse velocemente con gli occhi le righe del racconto, mentre Jungkook ridacchiava un tantino, in attesa della sua reazione.
«Beh-» disse solo, riporgendoglielo. «Non me lo aspettavo, ecco.» deglutì, fingendosi scherzosamente disgustato e riporgendogli la pergamena. «È così strano vederti con carta e penna, dopo quello che mi hai detto ieri sera.»

Il suo commento fece scrollare le spalle all'altro, che poi tornò con gli occhi sul suo foglio alla ricerca di qualche errore, attento e puntiglioso.
«Hai in mente un'idea per un romanzo?»

L'altro scosse la testa «Diciamo che quando siamo tornati a casa mi è venuta in mente questa scena e mi andava di scriverla, nessun romanzo in porto: anche perché non avrei nessun idea centrale.»
Ricevette una pacca sulla spalla incoraggiante.

«Non mi piace però: la trovo troppo cupa. Non sono tipo da cose talmente crude, sebbene l'ultimo libro del De rerum natura abbia un posto speciale nel mio cuore.»
Jungkook fece un mugugno in risposta, riportando la penna sul foglio.

«Vedo che hai gusto fine, allora. Avverto di essere uno psicopatico visionario,» la rigirò tra le dita «ma un tale paragone mi lusinga e mi spinge a continuare: chissà, andrò ai posteri un giorno?»

Taehyung annuì ridacchiando e roteando gli occhi; attese fino a quando Jungkook terminò la frase che stava scrivendo.

Ma quel mostro scomparve dalla sua vista, come se non fosse mai esistito, come se fosse soltanto il suo incubo peggiore. E percepì il vento pungente sulla pelle che lo portò a guardare dalla parte opposta. Si accorse che da lì proveniva una luce.

«Mi dispiace che quel giorno tu non sia potuto più andare a fare il colloquio con Seokjin. Gli ho detto che non stavi bene, per cui ho rimandato a data da stabilire. Ma adesso tu stai bene, che ne dici se ci andiamo? Cioè, ci vai, io ti accompagno solo... insomma hai capito.» concluse frettolosamente Taehyung. Di certo non voleva sembrare d'intralcio, magari Jungkook voleva parlare da solo poiché trame private. Alla fine chi era lui, per Jungkook, per sapere cosa la sua mente tesseva?

L'altro scosse il capo, poggiando la penna sul tavolo e il foglio voltato dall'altra parte, in modo da non farlo leggere.
«Non ho intenzione di tornare a casa mia per riprendere i miei fogli ed incontrare Hoseok e Minsoo.» sospirò drammatico ed allarmato, poggiando una mano sul capo ipotizzando nuovamente la sorte che avevano incontrato a causa di suo padre. «Stare qui mi ha reso davvero spensierato: mi sono dimenticato del male che quel verme, a causa mia, avrebbe potuto fare loro. E se li avesse feriti o, peggio, eliminati ed io non fossi potuto stare lì per salvarli?» chiese languido e con viso rivolto verso il basso, troppo stanco per tenere il collo alto. «Se fosse scappato e poi ritornato quella sera stessa per sgozzarli di notte o rapirli o ferirli irragionevole?»
Taehyung esitò, in procinto di comunicargli parole confortevoli, avvertendo il timore tramite il suo fiato accelerato.
Kook alzò a malapena e affaticato gli occhi mesti.
«E se fossero ancora tutti lì e mi odiassero come mai prima d'ora, chiedendosi dove mi sia cacciato? Hoseok potrebbe aver provato angoscia e correrebbe verso di me, stringendomi fraterno tra le sue braccia; Minsoo potrebbe, d'altra parte, darmi uno schiaffo in pieno viso per non aver mai provato a cercarli in queste due settimane. Ma la mia paura, inevitabilmente, è quella di rivedere il volto di Namjoon e rendermi conto di non esserci stato quando è ritornato a casa, mettendo anche a lui in pensiero.»
«E non hai neanche paura di trovarli per strada? Ieri, per esempio, perché non mi hai fermato da arrivare nel centro di Parigi?»

«Non lo so. Ho così tanto desiderio di uscire di qui: quella di ieri è stata una grande boccata d'aria, aspettavo solo quello. Mi è tornato un pizzico di ispirazione e me ne serviva.»

Finalmente: Jungkook aveva creduto per molto tempo di averla persa e di essere diventato un essere piatto, con mente monotona e poco originale. Sorrise nella sua direzione alzandosi dalla sedia. Sorrideva sovente, da qualche giorno a quella parte, addolcito dai pasticci cremosi preparati dalle mani d'oro del compagno di stanza.
«Stasera usciamo?»

La domanda lasciò spiazzato Taehyung, il quale non si sarebbe mai aspettato una tale richiesta dallo scorbutico ragazzo a cui aveva chiesto di ballare settimane addietro e che era scappato sotto la poggia, pur di non stare assieme a lui. Quando Jungkook espresse il suo desiderio di andare per qualche locale a bere e fumare qualcosa, come ai suoi tempi d'oro, il poeta ne rimase ancora più incredulo.
Si scusò: era più da un mese che non toccava una sigaretta e gli mancava il sapore aspro del fumo dentro la sua bocca, che poi veniva espulso da essa stessa o dalle narici, in una nube chiara ed inebriante.

«Non ti fa bene, poi come faremo a parlare?»

«Parleremo comunque. Solo, con la mente un po' svuotata: fa bene.»

«Io non toccherò un filo d'alcool.» disse fermo Taehyung, ricevendo un'occhiata di sfida da parte del bruno, il quale ridacchiò incredulo. «Ventitré anni e ancora sei un santarello da tutte le sfaccettature: non c'è nulla di sbagliato. Dovresti provare a bere e fumare in compagnia; fa solamente bene, Taehyung.» consigliò, avvicinandosi poi al suo orecchio ed esprimendo la certezza che sarebbe stato il primo a fargli vedere le luci della sbronza e che sarebbero tornati traballanti a casa.

La voce di Jungkook era roca, colma di malizia ed entusiasmo velato per come avrebbe combinato quel ragazzo sincero e benevolo e per le parole sconnesse che la sua bocca avrebbe proferito. Con sopracciglia alte, pensò vittorioso a tutti quei bicchieri di cognac e d'assenzio che li attendevano e, chissà, magari quella sera sarebbe stata l'occasione giusta per capire se Taehyung era un bravo ragazzo, oppure fosse solamente la solita illusione che la sua buona stella desiderava mandare per prendersi gioco di lui e delle sue speranze.

«E a mezzanotte non si torna a casa: dovresti imparare a capire cosa significa realmente vivere, con tutti i cinque sensi.»

A seguito della decisione, il pomeriggio non tardò ad arrivare, con passo veloce, e la sera diede l'ordine ai due di uscire dall'abitazione di periferia. Dall'esterno, la prima locanda che avessero mai frequentato assieme era colma di luci e di musica; dai vetri colorati ed offuscati si notavano le ombre degli uomini brilli che saltavano sui tavoli rumorosamente e si scambiavano braccetti con i loro compari e le giovani donne. Vi era anche la stessa ragazza di quella sera, con indosso un abito nero ed una seducente maschera carnevalesca; ella fingeva di essere una nobile invitata ad un ballo di corte e volteggiava assieme agli uomini, avvicinandosi al loro viso ed incontrando fugace le loro dita. Sussurrava agli orecchi e poi passava all'altro uomo, alzando la gonnella ad ogni giravolta, mostrando così il tessuto bianco e vaporoso del sottoveste. Esclamavano contenti e battevano le mani a ritmo, ma Jungkook e Taehyung ignorarono un tale spettacolo deplorevole, avvicinandosi al bancone per chiedere qualcosa da bere. Bastò un bicchierino d'assenzio ad invogliare il maggiore a chiedere al barista di versarne ancora. L'uomo lasciò la bottiglia di liquido verde sul bancone, osservando i due ragazzi attentamente affinché non rompessero nulla né se ne andassero prima di aver pagato. Fino alla mezzanotte, rimasero l'uno di fronte all'altro, in quello stato di piacevole ebbrezza mentre ridevano e scherzavano sulle cose più strane.


Jungkook, avendo un'alta soglia di sopportazione alcolica, era ancora in grado di ragionare quando prese il pacchetto di sigarette dal taschino interno della giacca e quando ne accese una, portandosela alle labbra. Gettò distrattamente una nube di fumo sul volto di Tae, che la inspirò infervorato, prendendo il colletto di Kook per ottenere di più quell'essenza, da sempre considerata poco salutare. Il minore ridacchiò contento, iniziando ad avvertire dei confusi giramenti di capo, e passò quella sigaretta nella bocca del poeta, il quale ripeté l'azione emettendo un colpo di tosse.
Per errore, Taehyung posò le dita sotto il mento di Jungkook, scambiando il loro fumo ed emettendo delle risatine: infatti egli era talmente confuso da non rendersi conto del fetido odore dello sporco tabacco, ma neanche delle labbra sottili di Jungkook imperlate d'umido che erano eccessivamente vicine.

«Devo dirti un segreto.» gli sussurrò, per poi prendere un altro tiro dal sottile cilindro in procinto di terminare. «Però non lo devi dire proprio a nessuno, nessuno!»
Taehyung annuì, accarezzandogli curioso il collo con il dorso delle dita.

«Io non sono Jungkook Boyer!» e scoppiò di nuovo a ridere, inclinandosi in avanti con la schiena, poggiando il capo sul petto del ragazzo. Poi si rivolse di nuovo a lui. «Però non lo dire a nessuno! A nessuno! Soprattutto a Taehyung!!»
Tae allora sgranò gli occhi più di prima e si portò le mani sulla bocca, stupito e scioccato.

«Incredibile! Anche io sono Taehyung!»
Entrambi ebbero allora una smorfia di stupore, ridendo assieme increduli.
«Che incredibile coincidenza! Però non diglielo assolutamente, ricordati!»

«Bocca cucita! Però tu sei Jungkook Boyer! Sei sempre stato Jungkook Boyer! E chi sei tu allora se non sei Jungkook Boyer?» fece l'ultima domanda guardandolo solo con l'occhio sinistro, chiudendo l'altro in una strana smorfia, come se volesse bene analizzarlo.
«Uno scrittore fallito, ecco chi sono!» esclamò, dandogli una forte pacca sulla spalla. Tutte le sue preoccupazioni dell'arco di un lungo anno riassunte con la semplice verità che non era riuscito mai ad accettare.

«No, il vero te! Voglio saperlo!»
Esclamò Taehyung in un mugolio frastornato e spostando la mano dal collo alla sua spalla, poi sul braccio, tastando il tessuto della giacca tramite il soffice tocco dei polpastrelli.
«È un segreto. Neanche a me stesso lo voglio dire più. Jungkook Boyer è il tipo di persona che avevo sempre sognato di diventare, meno vendicatore e meno rancoroso e che fino al mese scorso consideravo un'utopia; adesso, con te, mi sento in pace con me stesso e avverto di essere simile a Boyer. Tuttavia, la vecchia parte di me, che odio con tutto me stesso, continua a vivere nel presente imperitura e niente potrà abbatterla. Sono e sempre sarò quel tipo di scrittore a cui non importa se perde qualche suo capitolo: tanto tutti quanti gli facevano schifo alla stessa maniera.»

Taehyung mantenne lo sguardo tra i due, uno sguardo che in condizioni normali non avrebbero mai saputo tenere in piedi: non per semplice imbarazzo, soltanto perché non ne erano in grado, come se fosse a loro impedito dal principio e solo in quel momento stessero abbattendo gli schemi prestabiliti da quel mondo fatto di regole fisse.
«Ed io sono il tipo di artista che ogni giorno dipinge un'opera diversa in base a come si sente, dall'omino stilizzato più semplice, agli occhi con lo sguardo più profondo che io abbia mai visto.»
Ci fu una pausa, una lunga pausa, nella quale finalmente le urla delle altre persone non si riuscirono più a sentire, perché cacciate via da quel loro nuovo mondo fatto di nuove regole e nuovi schemi.
«Ma non perché io l'abbia visto con il mio sguardo: l'ho percepito con il mio stesso cuore e la mia stessa anima di essere i più profondi occhi. Il vero sguardo degli artisti è dovuto al cuore, ed ogni suo organo è poi in grado di trasformare ogni angolo della realtà, aggiungendo meraviglie ineffabili.»

Un'altra pausa. Jungkook a questo punto si avvicinò ancora di più al volto dell'altro, ad un soffio dalle sue labbra, delle quali sfiorava la screpolatura, inumidendola. Il sussurro fu talmente flebile che neanche quell'insetto che volava lì vicino, neanche il bancone sul quale teneva poggiato il suo gomito, neanche le loro stesse ciocche di capelli, neanche i loro stessi corpi, soltanto le loro anime riuscirono ad ascoltare la sua voce.
«E cosa dice il tuo cuore su di me?»

Quella domanda, fatta da un pazzo ubriaco ad un altro come lui, gli fece bloccare il respiro e neanche fu in grado di trovare più di mezza parola per rispondergli: eppure un pazzo ubriaco ha sempre la risposta pronta, perché non sa cosa sta ascoltando e dicendo.
«Dice che tu sei uno scrittore, senza l'appellativo di fallito, e che non sei mai stato tale. Dice che tu stai pian piano imparando a conoscere il vero te stesso e che stai sempre più imparando a diventare un artista. Apprendi come guardare il mondo con il cuore, usare gli occhi come tuo colore, la parola come tua tela e la tua anima come pennello. Ogni capitolo che perdi è una parte della tua anima, che hai dipinto usando gli occhi, il corpo e la memoria: come se perdessi i momenti della tua vita, i quali dal passato non saranno mai cancellati per alcuna ragione al mondo. Come se venissero eliminati i tuoi amici, la tua famiglia, me, o addirittura il tuo stesso padre. Anche se alcuni sono spiacevoli, fa tutto parte della tua vita e arriveresti a perdere te stesso.»

«Non succederebbe mai.» disse l'altro fermamente, senza muoversi di un muscolo e lasciando quella posizione eterna per quel momento nel quale i due artisti vennero a contatto per la prima volta dopo tutto quel tempo passato assieme a parlare ed aprire le menti. «Non potrei mai finire per scordare quelle che sono diventate le mie trame. Non potrei mai finire per dimenticarmi di te.» concluse con un fil di voce, per poi socchiudere gli occhi, quasi sul punto di addormentarsi cullato dal dolce tepore dei loro corpi. Taehyung volle allungare la mano sinistra, con gentilezza e tramite una mossa ovattata, verso l'addome di Jungkook, coperto da camicia e gilet. Percorse i tre bottoni lisci con l'indice, avvertendo calura provocata dal tessuto pesante che aveva indosso, ed avvertì la sottigliezza del filo in cotone passante attraverso i fori. Fu frenato dallo stesso Kook che mise le proprie dita tra le ciocche di Taehyung, accarezzando la pelle dietro al suo orecchio e poi passando la stessa sul collo, tanto da avvertire le gelate punte incontrarlo gradualmente. Le voci provenienti dall'esterno erano tutte quante ignorate, preferendo concentrarsi su quel momento seducente, ad occhi socchiusi ed avvolti sia dal fumo sia dall'odore dei loro visi, fattispecie la pungente essenza del rivale tanto odiato, ridotto allo sfogo che necessitava.

Sarebbero stati in grado di effondere le loro pelli con tanta maestria, se dal fondo della stanza non fosse provenuto un urlo agghiacciante appartenente ad una ragazza, che fece voltare tutti coloro che erano all'interno della locanda, persino loro due, avvolti dalle luci e dai giramenti di capo.

Un secondo urlo si propagò in aria, per cui Jungkook tolse la mano dalla guancia di Taehyung e scese dallo sgabello, traballando e dunque poggiandosi sul bancone; socchiuse gli occhi cercando di vedere il più lontano possibile e capire da dove provenisse quel rumore, simile quasi allo stridio di una sirena di mare. Neanche si accorse che la causa di quel trambusto stava correndo davanti a lui e lo prese per un braccio, strattonandolo.

«Jungkook! Jungkook, mi spieghi che stai facendo?» gli chiese la ragazza sottovoce, della quale non aveva ancora focalizzato tutta la figura, che intanto veniva fissata da tutto il resto dei presenti, confusi dell'essere stati disturbati in quella brusca maniera.

Jungkook non rispose, al contrario emise un mugugno scocciato, dandole conferma che fosse ubriaco.
«Ti porto a casa.» gli disse, mettendogli le braccia sopra le proprie spalle in modo da dargli un supporto. Taehyung allungò un braccio al fine di acchiapparlo, ma quando ci provò finì per cadere in avanti, sostenendosi allo sgabello per non far scontrare il naso con il pavimento. Jungkook si voltò col capo, incontrando Taehyung intristito a terra e che non riusciva neanche ad alzarsi per correre da lui.
Ella gli fece lasciare il locale a forza spingendolo con tutta la potenza che aveva in braccia e gambe, sopportando i suoi lamenti e il corpo divincolante.

«Lasciami, voglio tornare da lui, voglio ritornarci, non voglio stare con te!»
La ragazza fu fermata da Jungkook che era arrivato addirittura a scalciare per costringerla a tornare indietro e riportarlo al locale. Per cui la situazione la costrinse a poggiarlo per terra, in quel vicolo buio che stavano attraversando e tenergli fermo il petto con una mano e schiaffeggiarlo con l'altra.

Slap, slap «Fa'»
Slap, slap «Silenzio.»
I quattro schiaffi riuscirono a farlo smettere di lamentarsi e finalmente guardò negli occhi la ragazza che lo aveva appena prelevato da lì. Riuscì ad identificare alla luce della luna i suoi occhi marroni, in contrasto coi capelli mossi di un rosso spento tendente al castano; le ciocche anteriori le aveva raccolte in una piccola crocchia, mentre le posteriori sfoggiavano tutta la loro lunghezza e le ricadevano sulle spalle; il naso e le gote erano impreziosite con lentiggini sprizzate casualmente; la bocca rosea risplendeva del suo colore naturale. Al collo aveva un filo di raso chiaro, tendente al beige, impreziosito da un ciondolo ovale.
Indosso aveva un lungo abito fino ai piedi di colore marrone con dei particolari beige, stretto al petto da un corpetto di quest'ultimo colore. La gonna tutt'altro che voluminosa — contrariamente alla moda corrente — le permetteva di svolgere qualsiasi movimento, per cui strattonare Kook fino a quel punto non era stato molto difficile. L'abito era elegante nella sua semplicità e lei lo vestiva in maniera impeccabile, sebbene fosse rovinato ai lembi inferiori.
«Adesso rimango qui ad aspettare fino a quando non torni sobrio e non mi racconti che stavi facendo lì, vicino a quel ragazzo. Ma lo sai quanta gente vi avrebbe potuti vedere? Il fatto che la sodomia non sia più reato, non significa che puoi fare questo davanti a tutti.» si inginocchiò davanti a lui, severa e pronta per dargli altre sberle senza alcuna pietà. «Sai che la gente parla e parla, e la tua reputazione sarebbe andata in frantumi se avessi pronunciato il tuo nome a voce alta. E chissà che altro avresti fatto, da ubriaco!» esclamò, acida.
«Lasciami stare-» si lamentò ancora, biascicante.

«No, no e no. Non hai diritto di parola: Minsoo e Hoseok ti stanno cercando da settimane, preoccupati come mai visto prima d'ora. Sei scomparso dopo essere caduto dal balcone.»

«E Namjoon?» sgranò gli occhi speranzoso.

Lei sospirò, alzando gli occhi al cielo: non avrebbe dovuto dirglielo, doveva rimanere un segreto tra gli altri ragazzi, ma era ubriaco e non si sarebbe mai ricordato.
«Anche Namjoon. Però tu non sai niente!» alzò un dito, in segno di comando. «Stanno da giorni a cercarti sperando che tu non sia morto o rapito da qualcuno, e tu sei qui a perdere tempo senza neanche prenderti la briga di tornare a casa!»

«Yuqi, smettila, per favore, mi fa male la testa, voglio dormire e voglio andare sul Montmartre...»
La richiesta lasciò Yuqi, la fidanzata di Minsoo, allibita, perché non riusciva proprio a comprendere cosa c'entrasse la collina in quella situazione. Riprese il peso morto sotto le braccia, enfatizzando i muscoli delle braccia sottili che aderivano al tessuto viscoso della sua camicetta. Gli rese noto come il librettista e il ballerino gli avrebbero fatto una paternale ed impedito di uscire di casa per tante e tante settimane, recluso come se fosse in adolescente in punizione.

Si dimenticarono di Taehyung, rimasto sul pavimento ad attendere tristemente il ritorno dell'amico, che non avvenne mai.

Per giorni, da allora, Jungkook chiese più e più volte informazioni su quella serata a Hoseok ed ogni volta rispondeva alla stessa maniera.

Al "Che è successo quella sera?" riceveva la solita risposta del "non lo so con esattezza" e dovette credere alle semplici parole di Yuqi, ovvero "quella sera ti eri ubriacato, se non racconti altro tu non racconto altro io".
Quella ragazza dal bel faccino e dal collo profumato era un'arpia per quanto riguardava i ricatti.
Erano sempre stati grandi amici loro due fin da quando Minsoo fece la loro conoscenza, poiché avevano già da tempo una relazione. In primo luogo provò una certa invidia per il suo nuovo coinquilino, dato il fatto che era riuscito a trovare una ragazza così graziosa che addirittura aveva acconsentito anche alla richiesta di fermarsi a cena da loro. In un primo momento la trovò davvero un bel bocconcino e si chiese cosa sarebbe successo se l'avesse sottratta al suo amico. Poi cominciò la loro prima conversazione e lì cambiò tutto: i loro caratteri erano talmente paralleli che vedevano il mondo dalla stessa angolatura: stesso senso dell'umorismo spiccato, stesso modo di parlare, stessi atteggiamenti, con sadismo al punto giusto. Si rese conto quanto potesse essere preziosa come amica — e non come amante — fin dal momento in cui trattarono l'argomento della peste con un certo interesse, senza incupirsi. Gli piaceva come non mettesse la mano sulle labbra quando rideva, ma mostrava fieramente i denti: era una donna che sfidava l'etichetta e gli schemi imposti dalla società, una testa calda e peperina, leale ed intrepida.

Essendo così simili, lei sapeva come maneggiarlo per poterlo far parlare ed incredibilmente Jungkook quella volta stava resistendo per diverso tempo. Non avrebbe detto a nessuno quello che era successo durante il soggiorno con Taehyung, tutte le cose belle che aveva scoperto e le conversazioni avute con lui, quella volta in cui gli rimase lo zucchero a velo sul volto, quella volta in cui rimasero a dormire sul Montmartre, la loro collina, per l'ennesima volta. Non aveva nessuna intenzione di raccontare come, in due settimane, era riuscito a cambiare così tanto soltanto grazie alla presenza di una persona come Taehyung accanto, quel dannatissimo artista. Ormai gli faceva pure strano chiamarlo scrittore, non perché gli desse fastidio ㅡ non più ㅡ ma perché l'aveva appurato con i suoi occhi che non usava la penna e basta.

No, no, non l'avrebbe detto, eppure voleva così tanto sapere cosa fosse successo quella sera, dato che Yuqi sapeva qualcosa che a lui sfuggiva.
Sapeva soltanto che era andato in giro con Taehyung e al secondo bicchiere di assenzio già cominciava a vedere annebbiato. Ci furono poi così tante luci nella sua memoria da non essere in grado di ricordare null'altro oltre all'accensione della sigaretta. Anche solo ripensarci gli faceva venir nuovamente il mal di testa, non aveva la più pallida idea di quanto avesse bevuto.
E se l'avesse lasciato lì? Se lo stesse ancora aspettando così come lo stava attendendo quando lo abbandonò sul Montmartre il mese prima?

Nei primi giorni di ritorno a casa, Hoseok e Yuqi gli impedirono di uscire: il primo per paura di perderlo una seconda volta, la seconda perché voleva prima che lui svuotasse il sacco.
Nei primi giorni si rese conto che camera sua gli era mancata. Addirittura appena tornato vide tutti i fogli ben ordinati sulla scrivania, ma di certo non aveva la forza di impugnare la penna.
Infatti non lo fece per tutti i giorni a seguire, così come non tentò mai di scappare.
Si rese conto che quella prigione fatta dai tanti comfort non era male, poiché ogni giorno poteva mangiare e osservare il paesaggio da una finestra non serrata. Questo gli andava più che bene, se vedeva i trascorsi da un altro punto di vista: se fosse scappato per andare da Taehyung, probabilmente avrebbe visto sul suo volto uno sguardo che mai aveva scorto prima e che di certo non gli addiceva, che urlava indignazione per il tradimento. Non voleva correre verso di lui per spiegargli tutto, col timore che non gli avrebbe creduto: alla fine l'aveva lasciato ubriaco in un locale da solo, senza dargli una minima traccia.

Quella prigione era bella, perché, finché rimaneva nella sua stanza, sarebbe stato in grado di nascondersi da suo padre, che aspettava solo il momento giusto per fargli del male. Nel caso in cui avesse fatto di nuovo irruzione, aveva già pensato al nascondiglio perfetto: le due scelte furono l'armadio, stretto e lungo, il quale permetteva di avere un luogo dove nessuno sarebbe mai andato a controllare, oppure sotto il letto, poiché suo padre mai e poi mai avrebbe preso la briga di abbassarsi come fanno i domestici quando devono spolverare.

Sapeva di stare al sicuro dalle sue paure e lontano dalle sue certezze: magari sotto al ponticello abitativo dove era collocata la sua stanza stavano passando proprio in quel momento Namjoon e Yoongi a braccetto, i quali non si erano minimamente interessati al suo caso di scomparsa.
Jungkook non aveva idea che in realtà, come Yuqi gli aveva confessato, sapendo che mai se ne sarebbe ricordato, Namjoon aveva passato tutti i giorni dalla sua scomparsa a ricercarlo per il paese, sebbene non volesse vederlo. Ci teneva a lui e mai avrebbe smesso, neppure il litigio più pesante li avrebbe tenuti separati per sempre. Solo che quella volta non se la sentiva proprio di tornare a casa per riabbracciare il suo piccolo Kook, sperava che in quella maniera gli avrebbe dato una lezione, almeno su come ci si comporta con i propri amici, i quali non sono oggetti o pupazzi di pezza.

Erano amici da anni ed anni ed erano inseparabili, entrambi avevano imparato ad accettarsi così come erano fin dai tempi in cui il minore aveva quindici anni e si stava approcciando con il mondo degli adulti, vasto ed interessante, ma pericoloso per un ragazzino senza accompagnatore. Il loro rapporto era più basato sulla fratellanza che sull'amicizia, nessuno dei due avrebbe potuto dimenticare il legame di sangue venutosi a formare. Namjoon, da bravo fratello maggiore, quella volta aveva fatto in modo che Jungkook crescesse, poiché se con una singola volta aveva scatenato una grande lite, con altre centomila parole dette alla leggera Nam si era stato zitto e si mordeva il labbro, dicendosi tra sé e sé che non lo pensava davvero.
Alla fine erano fratelli, comunque sarebbero andate le cose, si sarebbero sempre voluti bene.

Quanto avrebbe voluto, Taehyung, essere assertivo come Jungkook.
«Non ho chiuso occhio neanche stanotte.» si lamentò egli, dopo tutti quei giorni, poggiando le proprie braccia sulla scrivania del lavoro, con la voglia matta di dormire, ma con sempre qualcosa che gli impediva di farlo: quel qualcosa in quel momento fu il ragazzo biondino appena entrato con una pila di fogli sulle braccia, che lottavano per volare via.

«È da giorni che non dormi e non riesci a buttare giù neanche una parola.» disse Jimin, guardando Taehyung ormai non più con uno sguardo severo, quello che potrebbe avere un suo superiore, ma preoccupato per la sua salute.

Se avesse continuato con quell'insonnia chissà cosa sarebbe successo all'amico: magari non avrebbero più avuto indietro quel genio accolto con gioia nella casa editrice. E la cosa peggiore era che non avevano idea del perché si stesse deteriorando sempre di più.

Il foglio di carta era vuoto da giorni, il volto del ragazzo appariva più pallido ed era visibilmente più debole, seduto a capo chino alla sua scrivania, gli mancava quel sorriso solare che tanto gli si addiceva.

«Taehyung, scusa un attimo se ti disturbo.» fece per avvicinarsi ed acquisì la sua attenzione mettendogli una mano sulla spalla «Potresti dirmi con chiarezza come mai tutt'a un tratto ti sei ridotto così? Per favore, non sviare in un altro argomento.»
Il tono del superiore era supplichevole, in pena per lui.

Si guardarono negli occhi per qualche secondo, senza parlare, in un silenzio infinito. Esso terminò con un colpo di tosse da parte del biondo, che fece strabuzzare gli occhi all'altro e dunque si riprese, ma poi scosse il capo. «Non lo so. Da un momento all'altro.»
Quante poche volte aveva mentito?
Jimin lo squadrò diffidente, senza sapere che non stava mentendo, perché effettivamente era vero. Nel momento in cui aveva aperto le palpebre e si era alzato dal pavimento del locale nel quale si era addormentato, si era reso conto che la persona con cui era giunto lì non c'era.

Non c'era lì come non c'era a casa.

Scomparso, come se non fosse mai esistito.

Nel momento in cui giunse nella stanza da letto quasi gli sembrò di vederlo, lì, col ventre ancora dolorante e in attesa di qualche medicazione. Come se stesse sotto le coperte, affamato, in attesa di un altro di quei magici cornetti con lo zucchero a velo sopra che gli avrebbero sporcato tutta la faccia, magari questa volta con la crema di nocciola.
Rivoltò il letto, ma lui non c'era, neanche nell'angolo più nascosto, pronto per saltargli addosso e urlargli che era stato uno scherzo.

Le sue speranze affievolirono, perché era come se non fosse mai esistito e mai avesse toccato il suolo di quella casa: come se lo avesse sempre immaginato e la sua pelle morbida fosse un'icona lontana ed intangibile.

«Jimin, ritornerò a stare bene. Forse sono solo un po' stressato, non ti preoccupare.»
Detto ciò l'altro andò via, dopo aver tirato un sospiro esasperato, scettico su quelle parole che non volle contestare.
Taehyung si rigirò la penna tra le mani, poggiandola poi sul foglio, con l'intenzione di scrivere anche una singola lettera, ma ciò che ne uscì furono degli scarabocchi.

Amico immaginario

Scrisse soltanto. Si morse il labbro soltanto a vedere quella scritta, per cui mosse nuovamente la penna per cancellarla immediatamente, tanto gli doleva anche solo tenerlo in considerazione.
Non aveva osato neanche chiedere a sua sorella se fosse stato tutto vero, semplicemente preferiva rimanere nell'ignoranza per evitare di stare male per entrambe le possibili alternative.

Tuttavia doveva scrivere qualcosa.
Per forza.
Qualsiasi cosa.
Vera o finta.
Col cuore o con la testa.

Sono così pazzo
Impazzito per me stesso,
Voglio solo tornare a casa.

Col cuore o con la testa.
Vero o finto.
Finto o vero.

Chissà che fine aveva fatto la sua tela, dato che sembrava l'avesse persa.
Oppure la tela c'era, ma era il pennello che non azzardava a muoversi e non capiva neanche il perché.
Quando finì di scrivere, urtò il calamaio colmo di inchiostro e lo fece rovesciare su tutta la scrivania.

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