「17/07/1864」

10.


Le giornate passarono come soffi di vento che trasportavano monotonia.
Lo scrittore fallito si svegliava di mattina col sole già prossimo al meriggio ed usciva dalla stanza di Taehyung e di sua sorella, che avevano deciso di lasciare a colui che ospitavano, senza sapere dove avessero deciso di dormire. Un giorno, tentennando dalla fatica dello stare in piedi, aveva notato una coperta su un divano e un'altra per terra. Una volta sceso in cucina trovava sul tavolo una fetta di pane con della marmellata sopra, lasciata dai due che non erano in casa. Passava la mattinata a leggere qualcosa trovato nella libreria di Taehyung, incuriosito da quei libri d'argomento scientifico che aveva sempre denigrato nella sua vecchia vita. Aspettava tutto il giorno fino a quando entrambi erano tornati assieme, e allora gli raccontavano della loro giornata, allegramente: Taehyung era andato in editoria e Mathilde raccontava di come si era divertita da sua zia, tra i cuginetti più piccoli e quelle buonissime paste alla crema.
La routine era sempre quella, fino a quando la sua schiena fu abbastanza forte da evitare di poggiarsi al muro in modo da poter camminare correttamente.

Un giorno però Jungkook avvertì, nel letto prestatogli da Taehyung, un respiro sul suo volto, come se qualcuno lo stesse osservando. Questa sensazione lo fece infastidire, tanto che arricciò il naso e si girò dall'altra parte di lato, in una posizione a lui scomoda. Infatti aprì gli occhi dopo non molto tempo, ritrovandosi un volto ben conosciuto davanti.
E come confondere il moro di cui riusciva a sentire il profumo anche tra le pagine dei libri di quella casa.
Si mise seduto, squadrando Taehyung con sguardo interrogatorio.
«Non sei a lavoro oggi?»

Tae scosse il capo, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«No, oggi è la mia domenica libera. Quindi aspettavo che ti svegliassi per fare colazione, però avevo fame per cui ho cercato un modo per disturbarti senza sentirmi colpevole.»

Mentre si passava una mano sugli occhi, Jungkook ridacchiò: non aveva idea se fosse vero o una bugia, ma aveva compiuto l'impossibile azione di rubargli un sorriso di prima mattina, sorprendendolo.
«Pane?»

«Croissant.» rispose fieramente il moro, causando sorpresa nell'altro, che esclamò con l'acquolina in bocca.
«Mi stai dicendo che ti sei svegliato presto per andare in paese a comprare dei croissant?»

Scosse il capo «E secondo te io avrei dovuto scegliere casa lontano da un panificio? Li ho presi ad un isolato da qui, ma sono oro.»
E detto ciò tirò fuori da dietro di lui una bustina di carta con dentro due dolcetti ricoperti di zucchero a velo e con della crema sulla sommità per individuarne il gusto.

«C'è anche dell'amarena.» ammiccò, per poi azzannare il suo croissant, seguito dallo stomaco brontolante del bruno, che impolverò tutte le lenzuola sottostanti.
Una volta finito di mangiare, tutte e due le labbra erano sporche di zucchero a velo, facendo ridere di gusto entrambi dato il loro aspetto buffo. Entrambi si passarono la lingua sulle labbra in modo da far scomparire lo zucchero rimanente, anche se Tae continuava ad averne un po' sulla guancia e sul naso.
«Hai un po' di...» iniziò Jungkook una volta finito di ridere, indicandogli la guancia.

«Cosa?»

Spostò il dito anche sul naso, passandoglielo sopra delicatamente. Deglutì, osservandogli la bocca, le guance, l'angolo delle labbra, le labbra, le guance. Gli occhi schizzarono veloci, scrutando ogni parte del viso di Taehyung,
Gentilmente, posò il dito anche sulla gota sporca facendo sì che i suoi polpastrelli potessero avvertire la tanto ipotizzata morbidezza del suo viso. Distese la pelle verso l'esterno fino ad arrivare allo zigomo, in modo da rimuovere l'appiccicosa e fastidiosa sostanza.

«Avevi dello sporco.» sussurrò, schiarendosi poi la gola e separando corpo e dita dall'altro ragazzo.
«Erano pieni di zucchero.» fece notare Taehyung, ricevendo un cenno in accordo.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, interrotto da Jungkook, che scosse le coperte in modo da far cader via lo zucchero ed infine si alzò, riuscendo pure a stiracchiarsi.

«Mi sento meglio oggi.» disse, facendo sorridere l'altro. Jungkook si aggiustò l'abbigliamento da notte davanti ad un piccolo specchietto quadrato vicino alla finestra, per poi sospirare e passare una mano tra i capelli, su cui non passava il rasoio da diverso tempo.

Taehyung continuò a guardarlo, per poi decidere di intervenire nuovamente. «Non senti più dolore alla ferita da qualche giorno, vero?»
Jungkook non rispose, rimanendo immobile in quella posizione. L'aria si era fatta più pesante e credeva che dopo avergli risposto affermativamente Taehyung lo avrebbe cacciato di casa, insinuando di aver alloggiato a spese di qualcun altro, sebbene quel bravo ragazzo non ne fosse capace.
«Come ma vuoi rimanere qui, allora?» chiese con dolcezza.

Jungkook si ruotò verso di lui, annuendo e sedendosi di nuovo sul letto, in un sospiro malinconico.
«Odio così tanto scrivere, lo sai?»

Questa domanda inaspettata fece strabuzzare gli occhi al moro. «Ma pensavo che-»

«Ne avessi la passione. È quasi una fobia, adesso, con cui ero costretto a relazionarmi ogni giorno. Da quando sono qui sono così tranquillo e sovrappensiero: ho riscoperto di voler conoscere diversi mondi grazie ai libri e mi sono ricordato di essere in grado di finirne uno in un giorno se letto senza interruzioni.» gesticolò con le mani teatralmente, attirando Tae con i suoi ragionamenti, il quale annuì facendo cenno di proseguire. «Amo tutti questi mondi e amo questa realtà diversa, la realtà dove mi alzo e trovo una colazione già accuratamente pronta. Una realtà dove sento ancora che qualcuno è vicino a me come se fosse un vero grande amico. Come il mio vecchio migliore amico, Namjoon, con cui ho finito per litigare, per una questione così sciocca da essere esilarante. Amo tutto ciò, ma amo anche il mio mondo e mi manca. Mi manca scrivere e immaginare qualcosa con i miei occhi, avere mie idee, anche se sempre discrete.» terminò con occhi bassi inclinati in una piega triste.

Taehyung non rispose, assorto nella spiegazione e nel silenzio che la intervallava.

«Diciamo che mi manca la mia vita di prima, di prima ancora che cominciassi a scrivere e che mio padre mi desse del filo da torcere. Però sai una cosa?»
Fece una pausa, aspettando che Taehyung facesse qualche altro cenno col capo. «Adesso che sono uno scrittore ed ho ritrovato del tempo per leggere, mi sono reso conto che i libri hanno tante risorse, non sono solo un lasciapassare per conversazioni erudite, ma danno tanti spunti anche per lo stile degli scrittori stessi, spingendomi a non mollare quello che già ho cominciato.»
Vedere quello spensierato sorriso sulle labbra di Jungkook sembrò davvero, a Taehyung, il migliore spettacolo di quella giornata, anche se era appena iniziata. Ricambiò felice e in accordo, poiché anche lui credeva a quelle affermazioni: uno scrittore, alla fine, vede il mondo in maniera differente da chiunque altro.

Anche se ormai Jungkook era tediato, egli non poteva far a meno del mondo immaginato da un autore, che Taehyung vedeva rovesciato; erano due uomini che avevano una concezione diversa di uno stesso mondo, guardando oltre la vera natura delle cose e trovandone la semplicità e la purezza, analizzandone le strutture prime delle sostanze, con l'utopia di trovarne il sostràto. A partire dal prato sotto le stelle: un poeta solo può cogliere ogni luce come un battito del proprio cuore e come scintilla che rende le notti della propria anima luminose ed iridescenti come il cristallo, con l'unico difetto che mancavano di luna. E la luna per l'autore o poeta che cosa era? Non un vero corpo celeste, ma uno in grado di far alzare costantemente gli angoli delle labbra al poeta, che sia di giorno o di notte; per entrambi i ragazzi era una Madre Celeste, che li univa sotto la stessa mancanza e dolore per la mancanza dei genitori. Non c'è da stupirsi se molti poeti sono privi di luna: ciò rende le stelle così sole, così tristi e malinconiche che le canzoni e parole dedicate alla beltà del mondo non brillano come dovrebbe essere per via della loro natura. Quando c'è la luna, il poeta è spensierato: chiude gli occhi e vorrebbe rimanere nel suo mondo fatto di beltà, gioia, ispirazione, sorrisi, risate. 

Il poeta spensierato non esiste. La luna non esiste. Le stelle sono da sole.

Jungkook smise di sorridere, ritornando serio. «Mio padre mi ha costretto a diventare scrittore. Nel senso, ho scelto io la professione tra quelle che mi aveva imposto. Mi ha ricattato e mi ha obbligato a dargli dei soldi e scrivere incessantemente è l'unico rimedio per poter avere più possibilità nell'essere scelto.»

La sua triste storia che, amaramente, toccò la punta della sua lingua e ne uscì fuori, senza poterlo evitare.

«Non posso capirti.» disse Taehyung, dopo che anche il suo sorriso si affievolì e dopo aver ascoltato il bruno ancora. «Nessuno mi ha mai fatto così tanto del male. Dovrebbe essere più difficile per te, dato che è tuo padre stesso l'artefice di tutte le tue sofferenze. Tuttavia, posso dirti che anche a me manca il mondo così come lo voglio io. Il mio mondo. Il mondo che ho abbandonato tempo fa per dedicarmi ad altro e che poi ho dimenticato. Per cui mi è rimasta sempre questa sensazione di mancanza apparentemente ingiustificata che combatte per non farmi sorridere ogni volta che ci rimugino sopra. Alla fine credo che sia normale: penso sia il prezzo da pagare per aver aperto il cuore in modo da mettere il meglio possibile su carta le sensazioni. Veniamo colpiti direttamente e siamo più vulnerabili e sensibili, ecco.»

«Eppure non è questione di sensazioni, o almeno non quelle di cui stai parlando. È questione di nostalgia e la nostalgia è una brutta cosa, davvero brutta: una belva. Vorrei tanto cancellare ogni ricordo dalla mia mente, ogni tanto.»
Terminò il suo monologo sussurrando, esprimendo tutta la sua frustrazione, che poi venne risanata da Taehyung, che gli poggiò la mano sul ginocchio, rassicurante.

«È questione di combattere la nostalgia ed in due lo si fa meglio che in uno. Vuoi tornare indietro ognuno nel proprio mondo?»
La proposta suggestiva lo aveva colpito, facendogli inclinare il capo mentre l'altro gli prese il polso e lo fece alzare, per cui decise di  dargli corda, poiché non aveva null'altro da perdere. All'autore, del resto, non serve perdere qualcosa; serve trovare qualcosa: e se è qualcosa di perduto è ancora meglio.

Dopo essere usciti di casa, camminarono diversi chilometri sotto il caldo sole e il fresco venticello del mattino, ricevendo vari mugolii sofferenti da parte di Jungkook, che ormai aveva sia le gambe a pezzi che la schiena, il cui dolore riprese a farsi sentire. Tentò di aggrapparsi alla spalla del moro per essere trascinato, mentre chiese per l'ennesima volta se fossero arrivati. Quel marciapiede stretto affiancava le vetrine dei negozi de la Rue Mouffetard, nella loro immensa città, con la maggior parte delle bancarelle chiuse e serrande abbassate per il giorno di festa. La frescura dei palazzi era molto piacevole, nella quale molte persone si erano appostate per parlare. Riconobbe anche un paio di turisti perché avevano tra le mani una cartina di Parigi e la stavano scrutando attentamente, borbottando qualcosa in spagnolo, oppure italiano; passarono anche accanto ad un piccolo parchetto con degli alti alberi cresciuti indisturbati per qualche secolo e che producevano aria pulita, che tanto serviva per depurarla dall'alito dovuto ai commenti sgraditi da parte degli uomini di alto rango.
Una donna passò accanto a loro, la quale trasportava con tutta la sua forza due secchi colmi d'acqua presi dal fiume, facendone cadere qualche goccia per la fatica e per l'urto contro i polpacci, mentre sulle spalle trasportava i panni appena lavati.
Jungkook accelerò il passo in disgusto, quando passarono accanto a due donne con scialle sulle spalle, guanti di velluto e gonna voluminosa, che nominarono entusiaste la sfarzosa festa a palazzo che prevedeva l'invito del re di Spagna assieme a tantissime altre persone acconciate bene e profumate di essenze inimmaginabili.

«Quanto manca, ancora?» chiese il ragazzo, in procinto di inciampare —distratto ancora dai discorsi delle due signore — se non fosse stato sorretto da Taehyung stesso, fermatosi davanti ad un locale che aveva sbarrate sia la porta principale che le finestre. «Eccoci arrivati.»
Cosa significava dunque, che l'aveva condotto  in quel piccolo luogo abbandonato in mezzo ad una strada che pullulava di vita? Erano in mezzo al paese, in una via storica, infatti avevano sorpassato la Mabillon da qualche isolato e avevano fatto finta di non vederla.

«Potresti spiegarmi meglio?» intervenne l'altro dopo qualche secondo, impaziente di una risposta.
Dunque Taehyung si voltò verso di lui, con un sorriso dipinto sul viso. «Voglio combattere la nostalgia, così come ti ho detto prima!»
Jungkook alzò un sopracciglio, perché evidentemente non aveva affatto capito cosa volesse fare e perché fosse così euforico di tutto ciò. Era pur sempre un luogo di cui l'entrata e l'insegna erano state sbarrate da aste in legno rovinate dal tempo. La vetrina dallo spesso materiale era stata rotta verso il basso, facendo entrare degli spifferi.

«Questo è stato uno dei luoghi principali della mia infanzia.» disse fieramente «È stata la pasticceria di mia nonna, che sfornava torte calde ogni mattina e croissant a volontà.» chiuse gli occhi, cercando di ricordarsi con esattezza tutti i fantastici momenti passati in quel luogo. Si ricordava perfettamente del caldo profumino che fuoriusciva da quel forno posto alla destra e le mani della curva signora dai capelli legati in una crocchia grigia che, coperte da guantoni appositi, erano allungate fino a prendere le molteplici teglie. Di tutti i colori, ne sfornava e preparava: crostate di marmellata di frutta stagionale, ciambelloni alti e soffici, mousse al cioccolato la cui polvere sporcava tutte le labbra, croccanti macarons dalla crema al cioccolato bianco che ti faceva vedere le luci del paradiso per qualche secondo, bignè alla crema e pane al cioccolato. Mani divine, amava le mani di sua nonna.

Fu risvegliato da quel pensiero mistico quando Jungkook gli passò la mano davanti agli occhi freneticamente. «Taehyung? Ti sei addormentato?» chiese con il sopracciglio aggrottato «Poi devi ancora spiegarmi il perché di tutto questo. Hai detto "combattere la nostalgia", non "facciamola venire". Il mio passo quale sarà, andare a trovare la cantina dove mamma mi ha partorito e osservarla nei minimi dettagli? Contemplarla? Far lì un falò con la commiserazione al posto del legno?» chiese sarcastico, senza neanche riuscire ad immaginare un tale azione. «Cosa dovremmo fare qui?»

Taehyung girò il volto verso di lui, senza dire una parola ma senza neanche essere scosso riguardo le parole e gli atti dell'altro. Al contrario, gli prese un braccio e lo trascinò dentro: non fu difficile aprire la serratura, dato che la porta era rotta abbastanza per permettere ad una mano di entrarvi e aprirla dall'interno.
Fortunatamente era luglio e non c'era il vento freddo, quindi poterono avvertire all'interno un clima simile a quello che c'era fuori. Il luogo era veramente strano e caratteristico: era stato abbandonato per anni a se stesso. Ciò che aveva di singolare era che neanche qualche vandalo o vagabondo aveva fatto propria l'ex pasticceria, che era tanto amata anche dal resto del paese.
Il forno era lì, probabilmente aveva ancora della legna vecchia all'interno o della cenere deturpata unicamente da ragni e tarli; la pala in acciaio per tirare fuori le pietanze era per terra, come se fosse caduta in un sonno perenne e lo avesse trasmesso a tutto il resto. Il bancone d'esposizione era coperto di strati e strati di polvere, infatti non si riusciva neanche a capire quale fosse il suo colore originale: tutto il luogo aveva delle sfumature sul marrone e sul grigio, spento della sua antica vitalità.

Taehyung scosse il capo, cercando di cancellare il suo unico ricordo spiacevole del luogo. Erano lì per cominciare a rivivere le esperienze della sua infanzia, no? Combattere la nostalgia l'avrebbe reso vivo e non avrebbe lacrimato più, ricordandosi il malore della vecchia signora proprio in quel punto, con il piccolo sé accanto che non poté fare nulla per evitarlo.
Jungkook intanto raccolse la pala da terra, dato che aveva cominciato a osservare curioso lì intorno.
«Ah, ecco perché sai cucinare bene i dolci! Domani mi prepari qualcosa di buono, è deciso. Tanto, vuoi o non vuoi, la bravura in cucina la si ha nel sangue.»
Ridacchiò continuandosi a guardare intorno, ma non sentendo nessuna risposta di ricambio si girò verso di lui, notando una cosa che gli fece letteralmente venire i brividi: mai in questi mesi aveva avuto l'opportunità di notare gli occhi di Tae traslucidi e angoli delle labbra rivolti verso il basso, distratti.

«Taehyung...? Tutto bene?»
A questo punto lui alzò il capo e con un sorriso poco convinto fece cenno di sì, ma ciò non convinse affatto Jungkook, che lasciò la pala per terra, dove l'aveva trovata, e si avvicinò a lui.

«Mi dici il vero motivo per cui siamo qui?»

«Te l'ho detto, con la nostalgia bisogna combattere fuoco contro fuoco.»

L'altro trasalì, capendo la sua azione priva di ogni pensiero logico e attuata con il solo istinto. «Sei uno scemo.» lo ammonì, prendendo Taehyung per un braccio così come aveva fatto con lui stesso qualche minuto prima e lo trascinò fuori da quella stanza il più velocemente possibile.
Taehyung era così certo che era diventato abbastanza forte per cominciare ad affrontare il passato faccia a faccia senza alcun timore e riuscire a prendersi ciò che era suo di diritto.
Ma era proprio quello che nella sua vita non era riuscito a capire, seppure fosse un uomo la cui esistenza si basava sulla propria e unica filosofia, la quale era stata in grado di aprirgli la mente e vedere il mondo da altre e tante prospettive: il passato non era suo.
Così come non era suo il futuro e lo stesso presente, perché dopo quella frazione di secondo, fu in grado di diventare passato.
Non era suo nulla di diritto poiché quel passato apparteneva al Taehyung del passato, diverso dal Taehyung del presente. E proprio questo non lo riusciva ad accettare e non era stato mai in grado di accettarlo.

E quando conobbe l'andazzo delle cose ed ebbe per le mani nuove opportunità e nuove amicizie, nuove emozioni e momenti di felicità, si sentì ancora più sconfitto dal fatto che non avrebbe neanche condiviso quei frammenti con il se stesso del futuro.
Chi era lui? Quale lui era quello che stava vivendo in quel preciso attimo? Ecco, cambiava, un altro Taehyung. Così tanti, uno dietro l'altro, ma ognuno di loro non osava lasciare la mano di Jungkook, anche se stavano guardando verso il basso. Si fidavano del fatto che lui fosse lì, come se fosse eterno, e che non cambiasse mai.

«Jungkook.» finalmente esordì con una parola quando ebbero lasciato quella zona e quel quartiere, percorrendo altri chilometri sebbene la fatica del minore nel trascinarlo, per cui persero molte ore nel percorso.
Erano tornati sulla loro collina, sul loro luogo, sdraiati come al solito verso il cielo, con l'unica differenza che il sole era ancora all'orizzonte e il cielo era di colore rosaceo, non più blu notturno tappezzato di stelle.

«Dimmi tutto. Ti sei ripreso?» gli chiese con un tono severo quanto preoccupato.
Taehyung non disse nulla, né mosse la testa e rimasero in silenzio per svariati secondi, per poi essere da lui stesso interrotti.

«Vorrei parlare con te anche se il sole non è ancora andato via.»

«Non ti sta di certo dando fastidio. Parla, su, se ti fa stare meglio. La prossima volta non giocare col fuoco.»
«No. Il sole è un grande problema nelle nostre conversazioni. È egocentrico e le mie parole sono influenzate da lui.» Jungkook roteò gli occhi, ma non volle interrompere la sua considerazione per sentire se la continua avrebbe avuto senso. «Nel mio libro avevo scritto che la nostalgia non esiste. È solo una concezione umana che non si può evitare perché sappiamo che c'è e perché la stiamo aspettando. Seppure fossi convinto del contrario, non ho saputo come evitarla.»
«Forse perché è qualcosa di più grande ed incontrollabile. Sai, leggendo tutti i tuoi libri a casa tua mi sono reso conto di una cosa molto importante.»

«Che cosa?»

«Essi parlano di luoghi lontani e mai raggiungibili, come nei Viaggi di Gulliver, oppure hai sottolineato più volte i libri di storia che raccontano della scoperta del Nuovo Mondo, di una civiltà esotica; ti sei divorato canzonieri e raccolte di poesie di vari autori, attratto dalla fantasia delle loro immagini e sei interessato alle concezioni offerte da le siécle des lumiérs e gli ideali vividi, finendo per oscurare la realtà. Mi sono reso conto di come funziona la tua mente: che essa, per quanto sia aperta, è finita per escludere tutto ciò che nella vita è concreto e che è vero. Non hai mai conosciuto la verità.»

La verità era che il sole non li stava osservando, né le stelle aspettavano trepidanti la notte per poterli salutare; che non c'era nessuna pala padrona l'immobile pasticceria e che non c'era nessun modo per non stare ma al voler ritornare a sentire belle sensazioni del passato; che Jungkook era lì con Taehyung solo perché quel primo giorno si erano incontrati casualmente davanti alla casa editrice, non perché erano stati gli astri a portarli a parlare sotto le loro occhiate vigili ma allo stesso tempo addolcite. Tutto era generato da delle misere coincidenze, che si incrociavano l'una con l'altra, creando incredibili effetti.

A quel pensiero Taehyung chiuse gli occhi, stringendo qualche filo d'erba e così facendo sulle sue dita finì un po' di sporco del terreno.
«E qual è la verità?» chiese con voce roca.
Lui già la sapeva, in realtà. Stava venendo a galla tutt'assieme e ciò gli fece sentire un pizzicore a braccia e gambe e la sua presa sull'erba aumentò.

La verità era che Jungkook era lì solo perché voleva ricambiare il favore.
Se suo padre quel giorno non avesse cercato di ucciderlo non lo avrebbe mai più rivisto, abbandonato sotto il bugiardo cielo stellato.
Perché il solo pensiero di qualcosa mai accaduto gli stava scatenando un'irrefrenabile tempesta nel suo cuore e un terremoto che faceva staccare le placche l'una dall'altra provocando crepe irreparabili?

Jungkook non gli stava ancora rispondendo, non sapeva cosa dire. Aveva compreso che Taehyung ci fosse arrivato per conto proprio dopo che l'altro aveva espresso i suoi sensi di colpa a riguardo, con dispiacere e desiderio di lasciarlo stare per non creargli altro dolore. Sapeva che in quel mondo c'era anche bisogno di essere tristi e che quel Jungkook Boyer era il miglior esperto per quanto riguarda la nostalgia.

«Vuoi sapere la verità?» chiese poi, dopo diversi secondi. A est già le stelle avevano fatto la loro comparsa.
Kook portò le braccia sotto la propria testa, pensando ad una risposta.

Sì, sì, voglio saperla.
In realtà non voleva saperla per avere conferma di tutto quello che aveva appena immaginato e che lo aveva rattristato durante l'assenza di Jungkook e anche sotto la volta cobalto.

«La semplice verità...»

È che il Jungkook a cui tengo non esiste. Non è mai esistito. E che tu sei solo una maschera.

«La verità è che siamo tutti esseri umani.» disse, lasciando Taehyung spiazzato, il quale sussultò. «La nostalgia è una sensazione che proviamo tutti quanti, nessuno escluso, neanche l'uomo che ha avuto la vita più monotona di tutte le altre. Non potrai mai essere meno umano di altri, non saresti normale se così fosse. Girati verso di me;» ordinò, cosicché i loro sguardi si incontrassero «combattere il fuoco con il fuoco non si può fare. Neanche io, dalla ferrea corazza e con parole di scherno pronte a volontà, riesco a sconfiggerla. Adesso ti racconto una cosa: quando ero piccolo, c'era un giardinetto vicino la mia scuola e vi andavo spesso a giocare. C'erano tanti bambini e ne conoscevo davvero molti: mi fermavo spesso a giocare con loro, anche se non sono mai stato abbastanza estroverso da essere loro amico. Vorrei tanto passare da lì vicino senza sentire nessuna fitta al cuore, ma questo non succederà mai.»

I due si guardarono negli occhi a lungo, senza distogliere lo sguardo neanche per un secondo, mentre la distanza dei loro nasi era quasi nulla.
«Taehyung, ricordati di vivere nella realtà ed essere uomo, per quanto tu voglia fare rotta sulle nuvole ed essere perennemente  spensierato tanto da dimenticarti di ogni cosa. Questa non è la verità, perché la verità effettiva è inconoscibile, come affermato da molti.»
Il petto di Jungkook bruciò di turbamento, con l'unico fine di consigliare le giuste scelte al suo rivale tanto buono e gentile. L'erba era talmente morbida che parve parte delle nubi. Lui scosse il capo, con un sorriso che esprimeva la sua beatitudine.

«Jungkook, perché dovrei vivere nella realtà che vedono i miei occhi e non in quella che notano tutti gli altri miei sensi, che tanto rendono la mia vita diversa da tutti gli altri esseri umani?»
Mise un palmo sulla mano di Jungkook, avvicinandosi a lui per avvertire il calore di quel corpo, sperando ancora una volta che non lo abbandonasse.
Quella sera di metà luglio avvenne un evento che Jungkook non pensò mai di osservare dal vivo: un'unione indivisibile tra la filosofia celeste e quella terrena, entrambe facenti parte dello stesso mondo, visto da una diversa prospettiva.
«Ricordati tu di vivere, Jungkook. Vivi, perché meriti di farlo, scegliendo i sensi che tu preferisci, non che altri hanno scelto per te.»

Chiuse gli occhi, quel ragazzo gentile di fronte a lui sperando di sonnecchiare beatamente, mentre Jungkook avvertì una stretta in tutto il corpo, incredulo dalla realtà dei fatti che gli veniva presentata, mettendo a tacere tutte le strutture filosofiche venutesi a creare nei secoli e che lui aveva letto e studiato con tanto interesse.

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