「12/04/1866」
37.
Sai, Taehyung, potrei continuare a ripetere all'infinito quanto mi appaia strano come io consideri te, tutt'oggi. Mai mi sarei immaginato un giovane che, due anni fa, sarebbe rimasto sempre al mio fianco, probabilmente perché lo facevo sorridere. Io, far sorridere? Da sempre, le mie paranoie mi hanno spinto a credere che nessuno ne avesse l'intenzione e, coloro che decidevano di stare al mio fianco, comunque finivano per essere infastiditi dalla mia presenza. Anche Namjoon, temevo che persino il mio migliore amico fosse arrivato a non sopportarmi, in fondo, per come mi comportavo, dato che irritavo me stesso. C'erano varie volte in cui gli avevo chiesto se fossi di disturbo e se dovessi smetterla, quasi con fare ossessivo. Tu non lo sai, perché questo atteggiamento, da quando ti conosco, credo di averlo lasciato nel dimenticatoio, soprattutto quando ero in tua presenza. Diciamoci la verità, mi sentivo sicuro. Punto primo, questo è il punto primo.
Guardò fuori dal finestrino del treno, avvertì qualche brivido arrampicarsi lungo la sua schiena, dalle mani, per le braccia, fino al suo collo. Si morse il labbro, poggiando il capo sulla lastra di vetro opaca. Era già in movimento da un pezzo, ma non erano ancora passate le otto di mattina di quell'undici aprile, il che significava che il sole non aveva lasciato l'orizzonte da tanto e il freddo avvolgeva ancora il suo corpo per intero, sebbene fosse ben coperto da un cappotto pesante, adatto per la stagione primaverile. La primavera, la primavera. Quante volte aveva aspettato la primavera trepidante? E adesso ce l'aveva tra le mani, ma non percepiva tutta quell'allegria che tanto aveva immaginato.
«Taehyung, scusami, sono stato via per così tanto tempo e ti ho fatto preoccupare. Mi dispiace. Mi dispiace davvero, perdonami. È che ho avuto così tanti dubbi nel frattempo, ero indeciso sul da farsi e sono rimasto ingabbiato nei miei stessi pensieri. Sono qui, puoi darmi qualche schiaffo, qualsiasi cosa, poiché, tanto, me lo merito.»
Gli occhi erano rivolti verso il basso e non sapevano come poter incontrare quelli di Taehyung, perché era disgustato da se stesso. Non se li meritava! Non se li ricordava.
«Perché eri indeciso?» il suo tono era spaventato, lo poteva avvertire dalla piega della sua voce.
«Perché io- Taehyung, scusami sono stato via per così tanto tempo e ti ho fatto preoccupare. Mi dispiace. Mi dispiace davvero, perdonami.»
«Mi hai fatto davvero preoccupare, lo sai questo?» adesso aveva un tono severo, ma ancora Kook non riusciva ad entrare a contatto con i suoi occhi scuri, profondi quanto un abisso. Nella sua mente erano impressi così, belli, intramontabili, tenebrosi.
«Lo so. Potrai mai perdonarmi?» chiese in tono di supplica, quasi sul punto di scoppiare on lacrime. No, non lo farebbe mai, non piangerebbe mai in quella maniera, come se stesse per prostrarsi al fine di chiedere perdono.
«Punto primo, questo è il punto primo: io mi sento al sicuro con te punto primo: io mi sento al sicuro con te, Taehyung scusami se sono stato via per così tanto tempo e ti ho fatto preoccupare.»
«Punto primo. Questo è il punto primo
«Punto primo, questo è il punto primo, Taehyung, scusami se ti ho fatto preo
«Perché eri indeciso?» il suo volto era corrucciato, in rimprovero, con braccia strette al petto, ma ancora non era in grado di visionare i suoi occhi, come sigillati.
«Dimmi la verità, Jungkook.»
Comparve un altro Taehyung, quello che più credeva vero, colui che gli avrebbe rivolto degli sguardi addolciti e che l'avrebbe perdonato, ma il senso di colpa e il dubbio continuava ad abbatterlo e a sbranarlo come la più feroce delle belve.
«Punto primo, punto secondo. Tu mi fai sorridere, in quante maniere te lo dovrei dire?»
«Ti faccio sorridere?» era di nuovo il Taehyung severo. Non gli piaceva quello severo, non sarebbe stato più in grado di fare breccia nel suo cuore.
«Mi fai sorridere.»
«E perché non sorridi Dimmi la verità, Jungkook. Jungkook c'è qualcosa che tu continui a non dirmi, delle parole che mi tieni nascoste. So ciò che mi vuoi dire, io non ti amo come mi ami tu.»
«SILENZIO, FAI SILENZIO, NON LO DIRE AD ALTA VOCE!»
Jungkook portò entrambe le mani a coprirsi gli occhi, mentre tentava di reprimere quella stretta al cuore, cosa ovviamente impossibile.
«Io ti a ! Io ti a ! È questo il motivo per cui ero indeciso sul tornare, per favore, non odiarmi, ma a me come io a te!»
A chi stava parlando, a chi stava nascondendo quella forte emozione riguardo cui lui stesso si imbarazzava? In quella casa non c'era più nessuno, Taehyung se ne era andato, approfittandone di un momento in cui lui non c'era.
Un'altra stretta al petto. Tutti i suoi pensieri scompigliati, i quali gli avevano provocato un grandissimo mal di testa, che si ripetevano incessanti e non gli davano neanche un attimo di tregua per concentrarsi su qualcos'altro come il fischio del treno. Il dolore era tanto atroce che cambiava ogni volta quell'immaginario ed era, paradossalmente, sempre più difficile sopportarlo. L'ultima ipotesi gli fece aprire gli occhi, inorridito: e se fosse arrivato troppo tardi? Se avesse trovato la loro casa disabitata, se quel ragazzo a cui avrebbe dovuto confessare ciò che provava nel suo profondo se ne fosse andato? A chi avrebbe parlato, chi sarebbe stato lì per lui per perdonarlo o rimproverarlo?
E se Taehyung fosse rimasto ad aspettarlo, sarebbe significato che aveva ancora una possibilità, donata così divinamente, che doveva coglierla e non sprecarla come tutte le altre. Perdere il treno per sempre sarebbe stata una di tutte le altre cose di cui si sarebbe pentito in eterno. Per esempio, l'aver aiutato quella prostituta, quella sera, anni prima, quando fu costretto ad uccidere un uomo: quante conseguenze aveva portato tutto il suo fare impulsivo! Ormai le sue palpebre erano aperte e guardava fisso il pavimento, il quale non era altro che una copertura lignea del vagone in ferraglia; le sue pupille si erano incantate in un punto fisso e pareva che l'aria si fosse attaccata sulla cornea ed essa si stesse seccando.
Davvero sarebbe stato disposto a viaggiare indietro nel tempo per poter impedire al se stesso del passato di lasciare quella bottiglia? Davvero avrebbe preferito ritornare ad essere figlio del Sole, davvero avrebbe preferito prendere nuovamente tra le dita quei gustosi biscotti al miele della sua infanzia e ritornare bambino, dimenticandosi della sua età adulta?
Non lo sapeva più. Sgranò le palpebre, si era reso conto di una cosa importante, forse quella basilare tra tutte.
«Sai perché ti amo, Taehyung? Punto primo: tu mi fai sorridere. Con te accanto non sento più alcun bisogno di essere paranoico, perché so, nel mio profondo, che tu sei sincero con me, sensazione che con altri, in tutta la mia vita, non avevo mai provato. Hai una sorta di unicità davanti ai miei occhi. Punto secondo: io faccio sorridere te. E questo mi scalda il cuore. Significa aver creato dei bei ricordi in qualcuno, ricordi felici per entrambi, senza esserne scocciati per un attimo. Certo, ci sono stati momenti non tanto modello, ma non saremmo umani se non ci fossimo odiati per un attimo. Forse tu no, non so se mi hai mai odiato, probabilmente no, ma non mi importa, non me ne frega. Punto terzo: sei stato in grado di rendere il mio passato splendido, perché so che tramite tutte quelle sofferenze e momenti di follia, sono riuscito ad incontrarti e, oggi, a parlare di fronte a te, tutto secondo un filo logico coerente e reale. Ho sempre avuto rimpianti di aver permesso a mio padre di sottomettermi a lui, rovinandomi così la vita. Non rimpiango più le mie parole taglienti rivolte a Namjoon, che hanno ferito il mio migliore amico dell'adolescenza, perché senza essere andato con lui a Parigi, in questo lungo mese, non avrei capito ciò che veramente provo per te. È diverso dalla nostra prima confessione: a quei tempi non avevo chiarezza tale da comunicarti queste parole. Insomma sì, baciami, fammi tuo sotto la Luna, mi piaci da impazzire, ma hai idea di quanto sia profondo l'amore, quanto io non riesca tutt'ora a capacitarmi di tutte queste dannate emozioni in grado di mandarmi il cuore in subbuglio, di farmi credere che stia per esplodere? Non sono il tipo di persona che dice ti amo a tutti quanti. Per la verità, non ne ho mai detto uno, non sapevo neanche cosa fosse, l'amore. Non so descriverlo ancora, ma di certo lo provo per te.»
Avrebbe detto così, una volta giunto a casa, proprio così, senza imbattersi in ripetizioni del discorso causate dall'ansia e dal panico. Poi avrebbe fatto collidere le loro labbra, bisognose di tutti i baci che non si erano dati per tutto quel tempo, dato che erano finite in astinenza: la droga più bella che ci sia. Il suo furore ardeva incessante dentro di sé, il suo entusiasmo non gli permise neanche di chiudere occhio e, quella giornata e poco più passata in treno, gli parve durare un'eternità, come se un minuto equivalesse a ventiquattro ore.
Mancava poco. Dopo qualche ora - ventitré e mezzo - il discorso sarebbe già stato concluso: se lo immaginava, se lo immaginava, come se fosse in grado di leggere il futuro con la semplice previsione basata sulle proprie esperienze, la quale, questa volta, fu meno confusionaria della prima, che lo fece tranquillizzare e gli fece trovare la forza di poggiare nuovamente il capo al finestrino e chiudere gli occhi.
Incredibilmente bucolico era il paesaggio che poteva ammirare attraverso quella piccola fessura tra le palpebre, dalle quali faceva largo la prima luce del sole, il quale faceva capolino da dietro le nuvole reduci della notte. Sorrise, quando la luce riuscì a riflettersi sulla limpida acqua del fiume Marna, accanto alla quale stava passando il treno: gli dava pace e tranquillità tutta quella visione, come se non avesse più intenzione di essere cupo, davanti ai suoi occhi.
Il cielo e la vita sorridevano assieme al suo cuore!
Fu poi strano essere arrivati lì, a Vienna, con così tanta convinzione, senza avere neanche un ripensamento tanto forte da essere sul punto di cambiargli idea; certo, ogni tanto ce n'erano stati, soprattutto per la paura di un rifiuto da parte di Taehyung, ma li aveva repressi immediatamente. Alla fine, se ci rifletteva su, perché Tae avrebbe dovuto respingerlo? Lo conosceva, sapeva qual era la sua personalità, e in ogni sua parte non c'era una traccia di menzogna, era il tipico ragazzo troppo buono e troppo sincero. Perché avrebbe dovuto dargli dei baci senza provare un briciolo di quelle stesse forti passioni che attanagliavano Jungkook? Altrimenti non si sarebbero alzati ogni mattina con il desiderio di darsi un altro bacio.
La mente di Jungkook era sconclusionata, i suoi pensieri non avevano né capo né coda, vagavano da una parte all'altra e divenivano più fitti ogni attimo che si avvicinava alla porta di casa.
Il suo petto bruciava come ogni volta che si trattava di Taehyung. Quel grandissimo stronzo: sapeva che una di quelle notti gli aveva rubato il cuore e adesso lo stava controllando a proprio piacimento.
Forse sì, lo aveva fatto, oppure era stato lui ad averlo ceduto gradualmente, di pezzo in pezzo, fino a che il ragazzo non aveva completato la sua collezione di frammenti per poterli custodire gelosamente, come un prezioso tesoro.
Jungkook portò istintivamente il palmo della mano sopra il tessuto della giacca che lo separava dal lembo di pelle in corrispondenza con l'organo vitale, come per controllare se ci fosse una qualche cavità anormale, il che sarebbe andato a confermare la sua teoria.
Alzò la mano destra per bussare sulla porta di casa, attendendo che qualcuno venisse ad aprire, anche se da dentro alle mura non proveniva alcun suono; sperò fino all'ultimo, attese fino ai cinque minuti che Tae si presentasse davanti a lui con quel suo sorriso allegro e squadrato e poi lo abbracciasse con tutto l'affetto che era in grado di sprigionare.
Anche solo affetto, anche solo affetto. Gli bastava quello per i primi minuti, desiderava solo sentirsi a casa, tra le sue braccia.
Non aveva neanche le chiavi di casa, si ricordava di averle lasciate sul mobiletto accanto al proprio letto, e gli ritornò alla mente di come ci aveva anche scherzato su con Jimin, nel treno verso Parigi, su quanto fosse stato sbadato.
Ridacchiò per mezzo secondo, prima di abbassare nuovamente il capo sullo zerbino, tirando su col naso.
Diamine, lo zerbino.
Aveva stranamente una piccola gobba, quasi causata da un piccolo oggetto di metallo sotto di esso.
La chiave, aveva trovato la chiave, la chiave di casa adesso era tra le sue mani! Splendida e lucida, di colore ferroso ed opaco, non perse un attimo ad inserire nella serratura. Casa. Casa. Casa. Aria di casa. Stare a casa. La frenesia lo avvolse per intero, gli venne istintivamente da ridere con un sorriso che andava da un orecchio ad un altro. La chiave era quella, stava entrando in casa. Casa sua, casa di lui e Taehyung, nella quale avevano vissuto i momenti più splendidi e nella quale si era addormentato tutte le sere girandosi per cercare il volto del ragazzo che tanto gli piaceva, e, anche se non lo trovava, sapeva che c'era e che ci sarebbe stato, qualsiasi posto lui fosse andato, pure se era scappato nel regno dei sogni.
E adesso? Era la stessa cosa? Tae non era presente in casa, ma c'era comunque? Si guardò attorno, perlustrò ogni angolo del loro minuscolo appartamento, gettò l'occhio persino sotto il letto, sperando che volesse fargli uno scherzo.
Prese un grande respiro e cercò di rischiarirsi la mente, nella quale vi era un indescrivibile casino: era giovedì mattina, era andato sicuramente a lavorare, se lo sarebbe dovuto aspettare. Doveva attendere fino a quando sarebbe tornato a casa e allora gli avrebbe fatto una grandiosa sorpresa.
Iniziò a girare per la cucina, avvicinandosi al tavolo, perlustrando i vari utensili e tutto il resto, ma inclinò le sopracciglia quando si rese conto che tutto quanto era avvolto da un velo di polvere. Non tanto fitta, ma era il giusto per far venire qualche sospetto se qualcuno vivesse ancora là dentro o se tutto fosse stato lasciato infiocchettato come una bomboniera.
Girò verso destra, superando la finestra ed arrivando fino al loro letto, le cui coperte erano messe in ordine e non c'erano i loro vestiti sul mobile lì vicino. Né quelli di Taehyung, né quelli di Jungkook. Aggrottò le sopracciglia, rendendosi conto su quanto sembrasse così inquietantemente disabitata.
Si voltò intorno ancora una volta, i propri occhi perlustrarono ogni parete e ogni angolo, ogni mobile e ogni dettaglio, e quanto i secondi passavano, più ne veniva distrutto: l'aria di casa andava sempre più scemando, l'odore profumato della pelle di Taehyung che aleggiava per tutte le stanze era scomparso, non avrebbe mai più potuto inebriarsi con esso. Il passato era passato e, come un demente, aveva fatto sì che esso scivolasse dalle mani, per il timore di far male a qualcuno e di fare la cosa sbagliata, come al suo solito.
È cosa sbagliata dare ascolto alla propria volontà, fare ciò che più si vuole? Perché si lamentava tanto della propria vita se era lui che la rendeva tragica, semplicemente perché pareva troppo strano che stesse andando tutto bene?
Si sedette alla sedia, guardando verso il basso, tornando ad avere una triste espressione in volto, sul punto di scoppiare in lacrime, poiché era da solo ed era un ottimo metodo per sfogarsi.
Tirò sul col naso: gli serviva qualche fazzoletto per soffiarselo e per avere qualcosa su cui soffocare i suoi singhiozzi affannati, per cui allungò la mano verso il tavolo per afferrare quel pezzo di stoffa e lo strinse tra le dita con tutta la forza in corpo, poiché voleva sfogare la sua sofferenza su un qualsiasi oggetto.
Il povero fazzoletto era proprio una perfetta vittima sacrificale!
Cosa è questo? Si chiese, non appena vide delle macchie nere sopra la stoffa, che però erano confuse ed offuscate a causa delle sue lacrime.
Lacrime, lacrime, lacrime: emise un lamento, la parola "lacrime" gli provocava un tuffo al petto, come fosse una punizione corporale, la più sadica esistente.
Scorse scritto il suo nome.
Il suo nome? Perplesso, passò un braccio sui suoi occhi, in modo da poterli asciugare e rendere la visione più nitida che mai.
Jungkook, so che sei stato in grado di trovare la chiave sotto la porta e so che sei tornato a casa. Ti conosco, non te ne andresti mai, né come corpo, né come spirito dal corpo, perché non lasci mai le cose in sospeso.
Non credi che io sia una questione in sospeso?
Vieni, cercami, sono nel luogo in cui i nostri cuori si sono uniti per la prima volta, ed io aspetto solamente te, trepidante.
Mi manchi come l'aria.
Alzò gli occhi da quel pezzo di stoffa, che di certo non gli serviva più per soffiare via le sue sofferenze, ma rimase con le palpebre sgranate e la bocca spalancata, come fosse un pesce lesso.
Incredibile. Fece cadere la mano sulla propria coscia, provocando un sonoro schianto e scosse il capo, basito dalle parole nella scrittura di Taehyung.
Ecco il motivo per cui avvertiva un vuoto in corrispondenza del proprio cuore! Semplicemente adesso possedeva solamente la metà di un cuore, condiviso con Tae. Pareva tanto facile, normale, pittoresco, ma non lo era, non era solo quello, era molto di più! Era entusiasmante, inimmaginabile, eccezionale, fantastico, avvertiva così tanta euforia in corpo! E niente meno gli aveva lasciato la chiave di casa in modo da fargli trovare quel messaggio scritto con inchiostro su un fazzoletto posto al centro del tavolo, per dirgli quanto siano una cosa sola.
Una cosa sola. Una cosa sola. Una cosa sola.
Era proprio vero ciò che aveva pensato sul treno: Taehyung non è il tipo che finge, piuttosto che ama.
Ama, ama! Amava lui, glielo aveva fatto intendere, mancavano solamente le parole. Forse Taehyung sapeva che se avesse tirato in ballo quella parola forte, lo avrebbe intimidito e non avrebbe ascoltato la sua richiesta.
Invece no.
Era così bello stare a casa, amare a casa.
«TAEHYUNG! TAEHYUNG!» la voce di Jungkook si disperdeva tra gli alberi della campagna, una volta corso più veloce che poteva verso la fattoria dove, al chiaro di luna, si erano dati quel loro primo bacio carico di passione e sentimento: fu proprio in quel luogo e in quell'attimo che il minore si rese conto che da quel momento in poi sarebbe stato difficile pensarli come due realtà separate, anche se non l'aveva mai completamente accettato. Ed ecco, mentre stava correndo verso di lui, a grande voce, quasi con l'intento di graffiarsi la gola, si ricordò di ciò che aveva provato già da quella sera.
No, assolutamente no: lì non sapeva ancora cosa fosse l'amore, aveva solo certezza per i sentimenti più puerili che attanagliano il cuore. Ma l'amore, sentimento senza età, era diverso!
Diamine, lo stava realizzando secondo dopo secondo sempre di più, tutto quanto era così cristallino nella sua mente. Quella corsa era paragonabile a quella fatta con lo stesso Taehyung fino a raggiungere la Senna, durante la lontana sera di quando erano ancora a Parigi.
Si fermò per prendere fiato poggiandosi sulle proprie ginocchia e poi asciugando la propria fronte con la manica della giacca; l'aria fredda si insidiava secca nella sua gola, congelandola, per cui emise dei colpi di tosse e subito dopo alzò il capo per girarsi attorno. Era tutto come lo avevano lasciato, intoccato, ancora abbandonato: non c'era parvenza di vita né, tanto meno, pareva vivesse Taehyung o che si fosse appostato lì il tempo necessario per aspettarlo romanticamente.
Forse il ragazzo si trovava all'interno, perché lasciare che le proprie speranze divenissero nulle? Era sempre così la storia: per un momento speri, poi vieni abbattuto e poi accade quel miracolo divino che aggiusta tutto quanto, con poca imprevedibilità, ciclicamente.
Come se ormai Jungkook avesse capito come funzionasse l'universo quando girava attorno a lui: quando gli andava contro, bisognava accettare le sue debolezze ed aiutarlo ad andare avanti. Un paradosso per il suo pessimismo iniziale, che in linea di massima prevedeva che l'universo fosse un grande ammasso di materia maligna che convergeva unicamente verso la tortura dell'uomo. Il cosmo invece è un suo pari, suo amico! E se il cosmo non ce la faceva a spingere Taehyung da lui, Jungkook stesso doveva crederci e desiderarlo talmente tanto da permettere di ispirare la grande entità. Non sapeva da quando avesse cominciato a possedere questo pensiero, ma era abbastanza intrigante da trattare.
Si era seduto per terra, una volta giunto in quella stanza completamente vuota, dove solo i letti dalle brande spaccate e le travi del pavimento alzate erano la sua compagnia, in attesa di un aiuto dal perfetto universo regolatore.
«Sei arrivato.»
Certe volte, lui e l'universo avevano imparato ad andare a braccetto e a comprendersi, anche se prima la complementarietà era solo un'utopia lontana.
«Taehyung, sono arrivato. Ho trovato la tua lettera sul tavolo.»
Il moro era rimasto in piedi, mentre Jungkook continuava a guardare avanti, rivolto a quello scuro cielo stellato che si estendeva fuori da quella casa. Il primo ridacchiò dolcemente e abbassando il capo, lasciando i suoi occhi si riducessero a fessure e il suo sorriso si tingesse di splendore e forma quadrata, come al suo solito. Ma era ancora più felice di quanto non lo fosse mai stato, con le gote rosate e le mani dentro le tasche, la schiena incurvata e il suo piede che cacciava via un piccolo sassolino lì vicino senza neanche rendersene conto.
«Sono qui da un po' per la verità.» rispose.
«Come facevi a sapere che sarei tornato oggi?»
«Non lo sapevo,» disse prontamente «sono qui da un po', ma intendo un po' di giorni. Passo tutte le giornate qui, ma torno a dormire a casa nostra, anche per controllare che lì vada tutto bene. Ho lasciato sempre la chiave sotto lo zerbino perché era l'unico modo per fartela avere.»
«E rimanere a casa nostra?» propose il minore alzando un sopracciglio e girandosi verso di lui, attendo un suo riscontro anche solo con lo sguardo.
Taehyung scosse il capo: era ancora basso e il suo sorriso divenne più esteso, mentre delle ciocche dei suoi capelli gli ricadevano sul viso.
«Mi conosci. Non sarebbe stata una cosa da me attenderti senza speranze, continuando ad andare a lavoro come se tu non ci fossi mai stato e proseguendo la vita come nulla fosse. Avevo bisogno di stare in un luogo dove le speranze sarebbero diventate sempre più forti: e qual era meglio di questo? Come se, credendo ad una cosa il più potentemente che posso, essa si realizzi. Ci credo, sai? Sono abbastanza positivo.»
«Tu e il tuo ottimismo, mi hai seriamente contagiato. Lo sai che io sono fatto di trenta per cento di carne e settanta per cento di pessimismo: o almeno, lo ero. A quanto pare, questa tua visione deve avermi un po' contagiato.»
«L'ottimismo fa bene a tutti, ti ho fatto un favore!» replicò scherzoso.
«L'ottimismo è noioso, da momenti di pessimismo vengono fuori le migliori idee letterarie, filosofiche e artistiche.» ridacchiò Jungkook, tornando a guardare in avanti, attendendo ancora che l'altro si sedesse accanto a sé, cosa che non accadde ancora.
«In sostanza,» proseguì «stare qui mi ha portato a credere che tu stessi tornando da me.»
Attimi di silenzio. Jungkook si morse il labbro e lo torturò senza alcuna pietà, aumentando l'intensità di secondo in secondo. Sospirò: quanta verità doveva esserci nelle sue parole per essere definito sincero?
Tacere in assenso era anch'essa una grande menzogna.
«Taehyung, volevo rimanere lì.»
«Lo so.»
«Lo sai?» chiese sorpreso, sgranando gli occhi e girandosi di colpo, sentendo quel masso immenso sulla schiena che era diventato più opprimente a causa del tono di voce sconsolato di Taehyung.
«Lo so, perché ti conosco. So che compi azione sbagliate sperando di fare qualcosa di buono e non cambierai mai: ogni giorno di ritardo era solo una conferma. Ma il fatto che il mio cuore mi dicesse di non arrendermi ancora era un segno. Sapevo che poi tu avresti cambiato idea o, comunque, non eri mai stato convinto della tua decisione.»
«E perdonami. Scusa, ti avrò anche fatto stare in pensiero. Sono proprio pessimo.» deglutì, abbassando gli occhi con vergogna.
In quell'attimo in cui fu distratto ed era rivolto verso un punto non specifico del pavimento malandato, Taehyung si abbassò nella sua direzione e poggiò una mano tra i suoi capelli, carezzandoli con premura e dolcezza, sempre con quel sorriso tanto bello da essere una meraviglia della natura, facendo sì che i loro visi fossero di nuovo tanto vicini dopo quelle settimane.
«Come fai a perdonarmi senza prima avermi dato uno schiaffo...» sussurrò incredulo Jungkook in una piccola risatina amara: lui lo farebbe, si darebbe così tanti schiaffi e si rivolgerebbe così tante urla da non poterne più e disperarsi per il dolore autoinflitto.
«Perché sei tu e ti conosco bene come le mie tasche, so che sei buono e so che quando hai quello sguardo, hai quel tono, sei sincero e ti dispiace veramente. E poi te l'ho detto, questi tuoi atteggiamenti, anche se ci provi, non se ne andranno mai tanto facilmente, al massimo ci vorrà tanto tempo, ma non posso costringerti a non essere te stesso e penalizzarti per questo: ti voglio bene perché sei tu con tutti i tuoi difetti e devo accettarti.»
«Ma io volevo lasciarti, stando lì. Taehyung, che pensiero di merda, perché, perché volevo lasciarti?» chiese quasi in disperazione, permettendo che i loro sguardi si scontrassero, quello del minore adesso stava diventando lucido.
No, no, non l'avrebbe fatto.
«Jungkookie, l'hai fatto? Non l'hai fatto e stai qui con me. Forse volevi lasciarmi perché avevi paura. Ma io sono qui per te: prima di essere tutto ciò che siamo, sono anche un tuo caro amico, il tuo migliore amico. Pare strano, ma puoi usarmi per confidarmi qualsiasi cosa, neanche si tratti di un medico!» gli accarezzò una guancia e fece scontrare la sua morbida pelle con le nocche delle sue dita della mano sinistra.
Scosse il capo freneticamente, stringendo i polsi del ragazzo quasi volendosi sostenere a lui con disperazione.
«Taehyung, che cosa siamo noi? Dimmelo, ti prego. Voglio... voglio saperlo.»
A detta di Tae, doveva dirgli tutto, eppure aveva mandato giù il groppo che conteneva il perché: ovvero che temeva che per lui non fosse un sentimento tanto ardente come quello del minore, come se fosse un suo carissimo amico e lui facesse così con tutti i suoi carissimi amici.
Gli ritornarono alla mente i pensieri di quando, appena conosciuto Taehyung, credeva proprio che avesse avuto una relazione con Jimin.
Non gli piaceva quel "ti voglio bene", voleva di più, non ci credeva.
«Jungkook, basta dire che ti voglio bene per dire cosa siamo.» rispose con un dolce sorriso sulle labbra, tanto vicine a quelle del bruno, che si ritrasse un po', deluso.
Ecco, adesso sì che gli veniva proprio da piangere, quello era il rifiuto che più avrebbe odiato tra tutti quanti. Credeva più doloroso sentirsi dire "ti voglio bene" che "ti odio, non voglio rivederti mai più, sei un essere orribile, vergognati".
Al che Taehyung alzò le sopracciglia, visibilmente confuso.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?»
Kook scosse il capo, tornando a mordersi il labbro. «No... solo che... credevo che dopo tutto quello che avevamo passato, insomma, pensavo che io e te fossimo qualcosa di più. »
«Jungkookie, mi stai chiedendo se voglio diventare il tuo fidanzato o sbaglio-?»
A quella parola, ecco che Kook divenne rosso come un peperone e balzò all'indietro, farfugliando parole incomprensibili, suscitando una risatina in Tae.
«Ecco, io, credevo che- non- nel senso, non volevo dire questo, ma, ecco- insomma, dopo tutte quelle notti e tutto... tutto! È una domanda lecita, non puoi biasimarmi!»
«Non ti biasimo infatti,» proseguì la sua dolce risata «forse non hai capito che cosa significa il "ti voglio bene", per me.»
«Che mi vedi solo come un amico e ti piace avere la mia compagnia?» chiese usando quella fine metafora.
Scosse il capo, facendo confondere il minore.
«Sono un amico e basta, niente più baci e tutta la compagnia?»
«Stai scherzando, spero! Mai e poi mai.»
Jungkook strabuzzò gli occhi, adesso più confuso che mai. Si rimise seduto composto e finalmente Taehyung fece lo stesso, posizionandosi a gambe incrociate di fronte e stringendogli le mani facendo incrociare le loro dita.
«No, allora non ho capito-»
«Ti voglio bene.» iniziò. «Quanto credi che siano forti queste tre parole? Secondo la mia più onesta opinione, sono potentissime. Un amico è colui che ti rimane a fianco ed è sempre pronto per te, che ti consola e che si fa consolare da te, quello con cui condividi tutto. Con un fidanzato o una fidanzata ci sarà sempre qualcosa che tu non condividi e che tieni nascosto, per svariati motivi. Ma, noi due, siamo aperti l'un l'altro, ci conosciamo ormai alla perfezione.»
«E bisogna dire grazie a te, che hai tanto spinto per potermi conoscere meglio, all'inizio...»
«Se noi adesso ci fidanzassimo, prendessimo degli anelli ricavati da un filamento di grano e sigillassimo il nostro patto, sarebbe più debole di quello che già abbiamo.» poggiò una mano sopra il suo cuore, avvertendo a quanto stava andando veloce. «E non sono sdolcinato, sono realista, ma a volte il realismo deve necessariamente diventare un realismo magico. E, sai, una cosa?»
«Che cosa?»
Avrebbe prima dovuto dire i tre principali motivi per cui lo amava, più importante. Forza e coraggio, non esisteva che doveva aspettare ancora e intanto quelle parole stagionavano.
«No, aspetta, prima parlo io. Devo dirti una cosa importante, tanto che stiamo in questo discorso.» prese fiato. E dai, doveva farcela. «Punto primo, io ti faccio sorridere- no aspetta, quello era il secondo punto-» si schiarì la voce, tentando di non averla instabile. «Ricomincio, ricomincio! Punto primo, tu mi fai sorridere, punto terzo... punto terzo! Non sono pentito della mia vita-» si passò il dorso della mano per togliere quella goccia di sudore di preoccupazione che aveva preso a scendere in prossimità dei capelli.
«Kookie, queste cose le so già benissimo, lo ti si legge scritto negli occhi.» ridacchiò Tae, pronto a proseguire il suo discorso, dopo averlo messo a tacere e averlo fatto rimanere con un'esilarante bocca spalancata.
«Vuoi sentire questa curiosità?»
Ricevette un cenno col capo in affermazione, troppo sconvolto per emettere dei suoni.
«Se io ti dovessi mai dire "ti amo", non sarebbe abbastanza per dirti quanto ti amo veramente. Solo un "ti voglio bene" potrebbe esprimerlo alla perfezione, perché racchiude l'amore tra amici, quello puro, quello vero. Ed è vero che non smetterei mai di baciarti, ma, Jungkookie,» le sue sopracciglia si incurvarono verso l'alto, quasi in rassegnazione per quelle sensazioni che ormai era spinto a provare per forza. «anche se fossi costretto a smettere di baciarti e tutto quanto, non potrei mai mettere freno al mio amore per te, in quanto sarebbe platonico. E se l'amore platonico è più forte di un amore carnale e l'amore platonico è l'amore tra amici, me e te, vuol dire che è questo il modo in cui ti amerei comunque. Perciò, credo che un ti voglio bene sia più potente di un ti amo.»
«Non era così che avevo immaginato il mio primo ti amo.» confessò Jungkook dopo qualche attimo di silenzio, in cui aveva lasciato tutti i suoi organi interni andare in subbuglio e in estremo panico a causa delle profonde parole di Taehyung. Indescrivibile tutto quello che stava avvertendo, ma ciò che era certo era che il suo cuore era saltato tanto da fargli credere di stare su un alto monte e che fosse appena caduto giù a capofitto, trasmettendogli le stesse sensazioni, come il vento che si infila tra le dita dei piedi o che si schianta contro il proprio viso.
«Mi dispiace se non è stato all'altezza delle tue aspettative, ma è il meglio che posso fare.»
Jungkook scosse il capo freneticamente.
«Non dispiacerti neanche per un secondo, è stato oltre ogni mia immaginazione: meraviglioso, spettacolare. A questo punto, però, tocca a me. Sai, Taehyung, quanti muri ho abbattuto per essere qui, davanti a te ed avere delle certezze? Nulla toglie che se me ne andassi di qui, probabilmente non te lo direi mai perché cambierei sempre idea. Certezze fugaci, se possiamo correggere. Fatto sta che-» prese un grande respiro, doveva farcela. «anche se lo sai, i motivi per cui ti amo sono tre: mi fai sorridere, ti faccio sorridere e mi hai spinto a non avere ripensamenti sul passato, perché solamente esso mi ha spinto ad essere qui, davanti a te. Mi correggo: questi tre sono i motivi per cui ti voglio bene. Quanto ti voglio bene, Taehyung. In una maniera indescrivibile, così tanto che le parole non sono abbastanza, i miei sentimenti sono ineffabili.»
Si guardarono negli occhi, rapiti entrambi dallo sguardo dell'altro.
«Anche se il nostro ha radici più nel platonico che nel carnale, possiamo baciarci comunque?» chiese Jungkook, quasi timoroso di rovinare nell'atmosfera di religioso silenzio.
«Baciami e non andartene mai più. Mai più. Ti voglio bene, ti voglio bene.»
«Anch'io, anch'io ti voglio bene.»
Le loro labbra che sigillavano il loro amore erano così iconiche e parti di una scena intramontabile da essere quasi surreali.
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