NON È POSSIBILE
RIRIKA
Quando arrivai a casa Kirari non era ancora tornata; le sue scarpe mancavano dalla scarpiera in legno apposita quindi doveva ancora star sistemando qualche scartoffia per il consiglio oppure doveva essere sulla strada di casa. Tolsi le mie ed entrai nell'atrio decisa a prepararmi una merenda veloce da consumare facendo i compiti ma non appena entrai nella cucina buia e vuota cambiai idea e salii gli scalini velocemente per poi filare dritta in camera.
Lanciai da una parte non troppo lontana dal mio letto la borsa con i libri e gli astucci e mi ci buttai sopra supina per poi rimanere perfettamente immobile(pancia in su). Quando ero piccola lo facevo sempre, ogni notte prima di addormentarmi e ogni mattino quando mi svegliavo troppo presto prima di andare a scuola.
Fissavo il soffitto intricato di disegni floreali e seguivo la linea curva e infinita che le foglie disegnavano immaginando di potermi teletrasportare sul muro e poterle percorrere io stessa scivolandoci sopra e nel frattempo il tempo passava; lentissimo, interminabile, ma passava e in quel modo non ero costretta a rimanere sola con i miei pensieri, c'erano le foglie a prendere il loro posto. Le foglie, a differenza di tutto il resto, non mi facevano paura.
Chiusi gli occhi sperando di liberarmi velocemente del senso di stanchezza e fiacchezza che mi aveva presa non appena la mia schiena aveva toccato la coperta. Sospirai voltandomi su un fianco e giunsi le mani stringendole una nell'altra, solitamente quando mi mettevo così ero sicura di non potermi addormentare ma c'erano sempre delle eccezioni e quel pomeriggio, non potevo permettermene.
Mi stiracchiai ricordandomi che se mia sorella mi avesse trovata addormentata sul letto addormentata alle 7 di sera, mi sarei dovuta sorbire un quarto grado con i controfiocchi che di certo non avrei neanche avuto la forza di sostenere. Mi rivoltai nuovamente nel letto e le mie gambe urtarono qualcosa che cadde a terra sul tappeto con un suono sordo.
Aprii gli occhi e guardai a sinistra sapendo che senza muovermi non sarei mai stata in grado di recuperare quello che avevo fatto cadere. Sbuffai e mi alzai a sedere per poi
sporgermi senza guardare cercando quello che pensavo fosse l'astuccio con le dita. Non appena sentii di aver sfiorato qualcosa con le dita tentai di afferrarlo ma appena lo tirai su non era affatto quello che mi aspettavo.
Lo guardai sbalordita, non pensavo di ritrovarlo dopo tutto quel tempo e di certo non volevo. Mi alzai del tutto a sedere e lo spolverai con la mano lasciando che i pelucchi di polvere planassero lentamente fino al pavimento. Rigirai il manuale tra le mani osservando la copertina e tutte le scritte una sopra l'altra che apparivano quasi come geroglifici incomprensibili che scanalavano la pelle sintetica come tatuaggi.
Rimirai il volume per un numero di secondi
incontabile, non era finito sul mio letto per caso e di certo non era spuntato dal nulla ma Kirari era stata tutto il tempo a scuola, era ancora a scuola, o forse no. Mi girai di scatto verso la porta fissandola ma mi sentii subito stupida rendendomi conto che stavo fissando una porta chiusa che non si sarebbe mai aperta visto che ero a casa da sola.
Sbuffai e riposi il libro nel cassetto, rileggerlo sarebbe stato un errore, un grandissimo errore che mi avrebbe riportato al periodo in cui io e mia sorella ancora lottavamo per le partite, per la maschera.
Un buon momento per iniziare i compiti, pensai infastidita, sapendo che non sarei stata in grado di dimenticarmi tanto presto di quel terribile ritrovamento ma che l'unica distrazione che avevo a disposizione erano proprio i compiti di scuola.
Mi sedetti alla scrivania e tirai fuori tutto quello che avrei dovuto usare; ero a casa da neanche un'ora e la serata già non si prospettava piacevole.
Dopo un'ora di tentativi sullo stesso identico esercizio di chimica mi arresi sconsolata e infossai il viso nel cuscino tappandomi il naso e tutte le vie aeree possibili. Sbuffai spostando la testa per riprendere a respirare e mi accorsi che l'orario sull'orologio era cambiato, di soli 12 minuti. Battei una mano sul materasso rassegnandomi, c'erano sicuramente altre cose che potevo fare, tantissime altre cose che potevano salvarmi da un attacco di frustrazione.
Gettai lontano il libro di chimica ringraziando il cielo che gli esercizi che avrei dovuto fare con Mary non erano di quel tipo e... Mary, le proposte! Guardai di nuovo l'orologio di scatto e mi fiondai alla scrivania saltando sulla sedia e prendendo al volo carta e penna. Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, no. Forse era meglio lunedì, mercoledì, venerdì. Ma forse era troppo poco. "Lunedì mercoledì, giovedì, venerdì, sì ma tre giorni di fila, alla fine della settimana pergiunta. Lunedì, martedì, mercoledì, venerdì, sí ma di lunedì chi ha voglia di fare qualcosa.
Lanciai la penna in aria e la ripresi al volo per poi ripetere di nuovo mentre mi disperavo cancellando tutti i piani che mi erano venuti in mente per i nostri incontri; che poi, perché dovevo essere solo io a decidere se quella che aveva bisogno di aiuto era lei, faceva lei ciò che si sentiva no? Ma magari non se lo sentiva affatto pur sapendo di averne bisogno quindi era meglio se ci pensavo io. Ma se non se lo sentiva le nostre ore insieme sarebbero state un supplizio per lei e io mi sarei sentita a disagio di fronte alla sua chiara avversione nei miei confronti e all'essere con me.
Chimica, dovevo tornare a fare chimica. Guardai il foglio tutto pasticciato di cancellature e pastrocchi a penna e lo appallottolai per poi lanciarlo dietro di me sfiorando di un soffio il cestino senza prenderlo. Mi voltai insultando il foglietto che mi sarebbe valso un commento giudice da parte di mia sorella. Scossi la testa "Non mi alzerò" protestai continuando a guardarlo "No".
Dopo aver buttato il foglio, più che altro per evitare di dover sentire Kirari dirmi che stavo peggiorando nel mantenere l'ordine nel mio spazio di lavoro semplicemente perché un foglio di carta stropicciato non era atterrato nel cestino della spazzatura, tornai a sedermi.
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La mia stanza e la casa in quel momento erano troppo silenziose per essere l'ora che era, non era ancora mai successo che Kirari stesse fuori per così tanto tempo senza avvisarmi prima. Controllai il cellulare, ancora nessun messaggio. È vero, io andandomene non l'avevo aspettata ma non ci sarebbe comunque stato nessuno da aspettare in qualunque caso.
Aprii la porta e mi affacciai fuori, c'era un po' di vento fuori che muoveva le fronde degli alberi in maniera quasi ipnotica e la luce del lampione sulla strada di fronte alla fine del corridoio ingrandiva la loro ombra ricreandola sul pavimento. Guardai le foglie muoversi sulle piastrelle ed uscii definitivamente dalla stanza senza richiudermi dietro la porta.
Camminai lentamente lungo il corridoio per arrivare alle scale, guardando come ogni volta tutti gli austeri volti dei miei parenti che mi squadravano dall'alto in basso con aria arcigna, umiliandomi dalla tela come avrebbero fatto se fossero stati lì. Quando raggiunsi le scale avevo ripassato i nomi di tutti gli inutili membri della famiglia, tutti quelli che si erano bevuti la storia dell'unico nascituro semplicemente perché non avevano visto il secondo.
Feci una smorfia incredula pensando che persone ritenute nei vari paesi di provenienza così illustri e degne di stima, si fossero fidate così ciecamente delle serpi nella mia famiglia credendo alla bugia che mio nonno e mio padre avevano propinato presentando solo una di noi dopo il parto. Sapendo con chi avevano a che fare l'ultima cosa che ci si sarebbe aspettati era che riponessero fiducia in persone come mio padre o mio nonno, tra i peggiori ingannatori doppiafaccia della famiglia.
Scesi le scale seguendo il languorino che mi era venuto a furia di negarmi la cucina per pigrizia. Percorrere i corridoi di casa mia era sempre una fonte di ricordo inevitabilmente criptica e intricata. C'erano domande a cui non avrei mai trovato risposta e desideri che non sarebbero mai stati esauditi e lo sapevo da tutta la vita eppure, guardandoli uno per uno negli occhi sapevo che almeno uno di loro, compresi i miei genitori, appesi come gli altri, sapeva tutto quello che io avevo bisogno di comprendere... ma non me l'avrebbe mai detto. Nessun Bami che fosse a conoscenza di qualche dettaglio sulla faccenda Momobami con un po' di sale in zucca avrebbe mai aperto bocca, neanche sotto coercizione probabilmente.
"Ririka?". Mi risvegliai dalle mie domande e scesi alla velocità della luce gli ultimi scalini che mi separavano da quella che sembrava la voce di mia sorella. "Kirari?" domandai balzando giù. Per poco non la presi in pieno schiacciandola sotto il mio salto. Lei si spostò indietro di scatto e fu solo per quello che non rotolammo rovinosamente a terra.
"Ma che ti prende? È questo il modo per salutare?" esclamò duramente. "Scusa" sussurrai subito portandomi le mani al petto. "Non d... non è niente, nessuno si è fatto male se non sbaglio no?" fece un gesto disinteressato "No" affermai "Bene, sta attenta la prossima volta, non è da te muoverti in maniera così sconveniente, perlopiù in casa".
La guardai appendere il suo cappotto e superarmi per andare a rinfrescarsi prima di cena "La signora Itou arriverà a momenti, ci penserà lei come sempre a preparare la cena" mi avvisò prima di salire le scale senza voltarsi indietro. "Certo" mormorai guardando la cucina ancora buia e vuota.
Mi volta di nuovo verso Kirari per vederla salire le scale ma non c'era già più. Sospirai. E pensare che ero stata preoccupata per lei per minuti interi mentre mi chiedevo dove fosse e perché non mi avesse chiamata per avvisarmi di quel ritardo, aveva persino avvisato la signora che ci preparava da mangiare di arrivare più tardi per seguire i suoi tempi senza dirmelo. Abbassai il capo, era giusto così, era lei la padrona di casa finché i nostri genitori erano fuori, io ero... ero sua sorella.
Tornai sui miei passi e mi rinchiusi in camera, mi era passata persino la fame.
Prima che mia sorella uscisse dal bagno e poi dalla camera feci in tempo a rifare tutti gli esercizi. Prima che venisse a chiamarmi per la cena persino la tabella delle lezioni programmate, lavarmi e indossare la vestaglia che potevo indossare anche a cena prima di cambiarmi di nuovo per dormire.
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"Allora?" iniziò la conversazione appena finito di masticare il quinto pezzo di carne. Mi guardò rimanere immobile di fronte alla sua domanda. "Cosa?" chiesi. Lei alzò un sopracciglio "Sai già cosa ti sto chiedendo, non fingere di non capirmi più di quanto io faccia con me stessa". Mi trattenni dallo strabuzzare gli occhi. Capirla? No, nessuno poteva farlo. Neanche lei stessa a quanto pareva. "Le lezioni?" domandai però. "Come pensavo" annuí dimostrando che capivo esattamente a cosa si riferiva con un semplice sguardo. Se stava cercando di dimostrare che eravamo ancora collegate come io invece avevo già da tempo smesso di pensare questo non sarebbe mai bastato.
Staccai un minuscolo pezzo di mollica dalla mia pagnotta e lo portai alle labbra. "Cosa c'è da dire?" domandai dopo averlo lentamente masticato e mandato giù. Picchiettò la forchetta sul tavolo "Questo dovresti dirmelo tu" Rimasi in silenzio sapendo che stava per aggiungere qualcosa. "Come ha reagito quando le hai detto che volevo sapere anche quello che vi dicevate?" sogghignò. Sussultai.
"Cosa?" mormorai. "Non glielo hai detto?". Corrugai la fronte saggiando la sua domanda, non poteva essere seria, non aveva mai dubitato delle mie parole né della mia fedeltà nei suoi confronti prima d'ora. "Perché mai avrei dovuto?" domandai seria "Mary non è una persona di cui potersi fidare? Diversamente da me?" domandò osservandomi.
Piegai la testa di lato stringendo i denti, non mi piaceva dove stava andando la conversazione e ancor di meno l'espressione pacata di Kirari. "No, non lo è" risposi più duramente di quanto mi sarei aspettata e a voce molto più alta di quella che usavo usualmente con lei. Non stavo ovviamente urlando ma di solito mi chiedevo persino come facesse lei a sentirmi dato il volume bassissimo della mia voce usuale.
Kirari si portò indietro con la sedia appoggiandosi allo schienale mentre mi guardava sorpresa. "Bene" sorrise poi con malizia. "Immagino quindi che non ci saranno problemi tra voi due nelle prossime settimane giusto? Non c'è niente di strano che debba aspettarmi da questo accoppiamento inaspettatamente strampalato... giusto?" Esaminai la sua posizione provando a capire cosa la spingesse a parlare così ma era impossibile, come sempre.
Per sapere dove voleva andare a parare dovevo chiederglielo ma non mi sembrava una grande idea. Neanche accusarla di non fidarsi di me era una variabile da prendere in considerazione, anche perché avrebbe semplicemente potuto assentire e da lì in poi c'era un buco nero nella mia macchina mente sul come sarebbe potuta finire.
"Vuoi forse che ti faccia un resoconto giornaliero di tutte le attività che svolgiamo insieme?" chiesi recuperando il solito tono inudibile di routine. Rimase in silenzio di fronte a me "Ciò che voglio è avere la certezza che non succeda niente nel periodo in cui mia sorella, che non si è mai azzardata a parlare con qualcuno per più di una volta all'anno se non sotto costrizione da parte mia, si ritrova a dover conversare con la stessa persona quasi tutti i giorni per chissà quanto tempo e non se ne lamenta, al contrario è lei ad aver scelto e insistito per poterlo fare.
Non ti sembra insolitamente sospetto? Per quanto ne so, e non so assolutamente niente, non posso fare altro se non pensare che hai in mente qualcosa che non vuoi dirmi...io non vedo alcuna falla nel mio ragionamento ma prego, dimmi tu che sai sempre dare una giustificazione a tutto, perché secondo te mi sto preoccupando di tutto questo secondo te? A meno che secondo te sia solito alla regola".
Deglutii, ciò che pensava lei aveva più che senso e la cosa peggior era che io non fossi riuscita ad arrivarci subito, non ero riuscita a rendermi conto che io, che effettivamente ero sempre stata restia allo stringere rapporti di alcun tipo con chiunque, lei compresa, oggi avevo insistito perché mi permettesse di diventare la tutor scolastica di una persona.
Solo ora mi rendevo conto che se io stessa mi fossi trovata dall'altra parte avrei subito pensato ci fosse qualcosa sotto, qualcosa di cui non ero a conoscenza e di cui mi stavano tenendo all'oscuro. Abbassai lo sguardo sul mio piatto, di certo non avrei pensato che la scelta fosse stata voluta da me se fossi stata lei. Quindi era quello il problema, pensava che fossi stata costretta dalla professoressa o peggio, direttamente da Mary ad aiutarla.
No, era impossibile, avrebbe sicuramente parlato con entrambe prima di dirmi di sì se così fosse stato, se avesse dubitato di quello; quindi non era quello ciò che pensava. Tornai a guardarla e per un attimo mi passò per la mente un'idea terrificante. No, non era possibile, non avrei mai potuto.
"Temi che possa voltarti le spalle e allontanarmi da te?" sussurrai. Lei smise di muovere persino gli occhi e li fissò nei miei. "Che cosa?". Aggrottai la fronte sbalordita, non l'avevo mai sentita chiedere di ripetere la domanda, mai. "Che cosa?" ripeté inarcando le sopracciglia verso il centro mentre afferrava il tavolo a due mani. "Perché mai dovresti farlo?" chiese con espressione spiritata, mi aspettavo che cominciasse a ridere ma non lo fece e quello fu persino peggio.
"Lo chiedo io a te" risposi, conscia che le mie parole avrebbero solamente aggravato la situazione già precaria, non avrei mai dovuto dirlo. Rimase a fissarmi per un tempo interminabile, non mi ricordo neanche per quanto tempo nessuna delle due ha battuto ciglio, so solo che quando ho chiuso le palpebre e le ho riaperte lei non era più seduta al tavolo. Ero di nuovo sola nella cucina ma questa volta illuminata.
Mi guardai intorno velocemente, non potevo capacitarmi di non essermi accorta della sua uscita. Non poteva essersi mossa senza che me ne accorgessi e di certo non poteva essere stata tanto veloce da andarsene in un battito di ciglia. Guardai il mio piatto ancora pieno e il suo, esattamente nello stesso stato in cui era quando aveva appoggiato la forchetta sul tovagliolo, ancora colmo di cibo. Guardai la sedia vuota di fronte alla mia dall'altra parte del lungo tavolo. Non è possibile.
Tesi le dita verso la mia forchetta ma prima che potessi raggiungerla un conato di vomito mi costrinse a correre verso il bagno più vicino. Mi ci chiusi dentro e arrivai al wc appena in tempo. Perché quella domanda? E perché avevo detto quelle cose se non le avrei mai potute neanche pensare? Mi chiesi mentre mi passavo un fazzoletto sulle labbra acide facendo scivolare via il sapore amaro che ancora mi provocava l'impulso di rimettere.
Fino a quel giorno avrei ritenuto improbabile, forse persino impossibile l'eventualità che mia sorella dubitasse della mia lealtà, che temesse che io mi potessi ribellare ma era proprio quello che sembrava pensasse oggi e non potevo darle torto. Era ovvio che si fosse insospettita dopo la mia insistenza ed era tutto fuorché insolito che avesse pensato che la decisione non fosse stata presa solo da me;era persino vero. Fin troppo, ma di certo la professoressa Inoue non mi aveva costretta ad aiutare Mary o il contrario.
Era inverosimile che io potessi aver architettato tutto per avvicinarmi alla prima persona sulla lista di quelle che odiava mia sorella ma... tutto ciò avrebbe potuto aver senso se lei mi considerasse una minaccia, una mina vagante su cui credeva di aver perso l'appiglio e che sentiva di non poter più completamente controllare.
Feci una smorfia sarcastica, io non ne sarei mai stata in grado, non avrei mai potuto liberarmi della sua stretta e non sarei mai stata abbastanza convinta da volerlo fare. Ero talmente abituata ad essere ciò che non ero che avrei avuto paura anche a provare a diventare ciò che ero veramente. Ma neanche se avessi voluto mi sarei mai azzardata, dopotutto, chi con un minimo di istinto di sopravvivenza avrebbe mai osato mettersi così apertamente contro mia sorella? Non io, non Mary forse, non chiunque altro.
Mi allontanai dal WC e richiusi la tavoletta, sperando di non doverla riaprire 5 secondi dopo e mi alzai in piedi trovandomi di fronte allo specchio del mio bagno. Era un dejá vu, il dejá vu di questa mattina. Stesso bagno, stessa espressione malaticcia, stessi occhi anzi no. Non erano gli stessi occhi perché stamattina avevo le occhiaie mentre adesso li avevo solamente gonfi ma le emozioni erano le stesse.
Sgomento, imbarazzo, proccupazione perché qualcosa che non potevo prevedere era successo e io non sapevo cosa fare. Non bastava dover convivere con il fatto che ora non eravamo le uniche a conoscere la mia vera identità nell'istituto, adesso dovevo anche tenere in considerazione il fatto che mia sorella non si fidasse per chissà quale ragione di me e che quindi anche quel segreto doveva essere mantenuto con il massimo della discrezione, altrimenti stava semplicemente giocando con la mia mente.
Una sfida come quando eravamo piccole; ero in grado di vincerle quando avevamo quattro, cinque, sei anni ma ora è passato troppo tempo e la sua mente è diventata troppo intricata anche per la mia. Non saprò mai cosa intendeva con quella domanda, quel sorriso, quell'espressione dopo la mia domanda. Non lo saprò mai finché non me lo farà capire.
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