DAYDREAM
MARY
Chiusi le palpebree ed aprii gli occhi… era una cosa che avevo iniziato a fare da bambina quando mi ero accorta che, fissando intensamente l'oscurità dietro le palpebre, si potevano scorgere spruzzi di colori brillanti che danzavano di fronte agli occhi e figure immaginarie frutto della fantasia che si aggiravano giocose, indipendenti dalla volontà del pensiero. Rimasi anche quella volta estasiata dalla natura misteriosa dell'immaginazione e, ben presto, quello che doveva solo essere un temporaneo daydreaming si tramutò in un vero e proprio sogno.
Non appena mi distrassi un attimo prese il sopravvento e io mi ritrovai a precipitare in un universo vorticoso di tenebre e vertigini.
Quando smisi di sentirmi cadere sembravano essere passati mesi dall'inizio, mi sentivo lenta, appesantita…invecchiata. Non avevo specchi a disposizione nelle vicinanze, ma avrei scommesso che, se mi fossi vista, avrei scorto cambiamenti nel mio viso e nella mia conformazione facciale, sarei risultata più adulta, più stanca.
Mi alzai dolorante da terra e mi guardai intorno, sembrava che fossi stata spedita in una fiaba.
Non era solo l'atmosfera a farmelo pensare, era un tutt'uno di elementi inconfondibili… mi ritrovavo in una sorta di radura, uno spiazzo di verde circondato da una muraglia a dir poco impenetrabile di fronde e tronchi.
Tanti, tantissimi alberi, costituivano il cerchio che racchiudeva il luogo in cui mi trovavo, ed erano talmente vicini che risultava innaturale, non potevano essere stati tutti nati senza l'intervento volontario di qualcuno. Ero in ombra, il sole sembrava essere in procinto di tramontare quindi le cime aguzze erano già riuscite a nascondere la sua altezza, affievolendo la sua luce.
Udivo una litania ipotizzante provenire da ogni dove, ovunque mi girassi mi impregnava, si diffondeva nei miei timpani, si insinuava nelle mie ossa.
Avanzai incerta, non sapendo come comportarmi in un luogo del genere, non avevo idea di come i miei pensieri avrebbero potuto alterare dove mi trovavo, non restava che abbandonarsi al sentimento e lasciare che il mio istinto mi guidasse verso ciò che mi attendeva.
"C'è nessuno?" domandai guardandomi intorno. Ovviamente non c'era nessuno, ero al centro di un cerchio floreale con all'interno nient'altro che altre piante. Era inquietante, silenziosamente inquietante.
Posti come quello, in contesti diversi da questo, sarebbero stati reputati magici, incredibili, fenomeni della natura…ma non c'era niente di fenomenale nell'artificialità.
Mi alzai tendendo inconsciamente una mano in avanti, come a raggiungere qualcosa, e in quel momento il posto cambiò.
A dire il vero non ci feci neanche particolarmente caso, non sapevo dove mi trovassi ma non importava particolarmente, nella scala delle priorità non avrebbe raggiunto neanche il decimo posto un'informazione del genere. C'era altro che mi premeva, che aveva iniziato a pulsare d'impazienza non appena avevo posato gli occhi su ciò che avevo davanti. Nient'altro avrebbe potuto distogliere la mia attenzione.
Di fronte a me, di spalle, c'era proprio lei, Ririka Momobami.
Sentii delle lacrime addensarsi attorno ai miei occhi, doveva essere l'emozione provata durante le ultime 24h a provocarmi reazioni del genere, sarebbe stata l'unica spiegazione plausibile al mio pianto commosso.
MI sentivo come una stella ardente ma fredda, un ossimoro tormentato e straziato da un dolore imbattibile.
Fissai la sua figura minuta e allo stesso tempo slanciata e aggraziata da lontano, non si era accorta della mia presenza.
Indossava un vestito lungo, svolazzante, di un candore tale da ferire gli occhi, rivestito di perle e pietre di luna che facevano risultare la sua carnagione ancora più chiara dell'usuale.
I suoi capelli, inoltre, rispecchiavano il resto, per questo motivo ero sicura che quando l'avessi vista in volto, l'avrei istantaneamente riconosciuta come la dea bianca, la dea del firmamento e della luce notturna.
Strinsi le mani insoddisfatta, la lontananza che ci separava sembrava impenetrabile, per quanto mi muovessi nella sua direzione ero come cristallizzata in una goccia d'ambra, come un animale da studiare.
Eppure sentivo di muovermi, di correre, di slanciarmi verso di lei perché i miei gracili pensieri voluttuosi si stavano tramutando in necessità platoniche e adorazione, e li sentivo ancor più impellenti del resto.
Desideravo toccarla come non avevo mai fatto, come non avrei mai più potuto fare, bramavo un contatto di gran lunga più azzardato dei precedenti, qualcosa che mi facesse percepire l'intensità a cui ancora non riuscivo a dare un nome, dopotutto si trattava di un sogno, un sogno fortuitamente lucido, e non avevo niente da perdere… se solo fossi riuscita ad avvicinarmi.
Mi voltai per la prima volta verso il resto, mi trovavo al principio di una scala, una scalinata altissima e ripidissima che scendeva di fronte a me e poi risaliva dove si trovava lei… era tanto alta che non riuscivo a scorgere il gradino più in basso di tutti, in mezzo tra noi.
Gli scalini erano tanto stretti e ripidi che anche solo facendo un passo di distanza normale sarei precipitata giù e niente avrebbe potuto fermare la mia caduta; doveva necessariamente trattarsi di una prova.
Dovevo dimostrare di avere fede, fede in me stessa, fede in lei, fede in noi… e mettere un piede in avanti, nel vuoto.
Presi quasi la rincorsa, alzai il ginocchio e mi immobilizzai… ero piena di incertezze, di dubbi insormontabili che mi fermavano, sapevo che se lo avessi fatto sarei caduta, non ci credevo abbastanza ma come biasimarmi?
Avevo ormai reso chiare le mie intenzioni, la mia disponibilità, il mio ardore, e lei mi aveva fatto capire che ero l'unica delle due a sentirmi in questo modo o meglio, che ancora non si sentiva pronta ad affidarsi del tutto a me, ma lo sarebbe mai stata?
Dopotutto le avevo dimostrato quanto fossi disposta a rischiare per lei pur di salvare ciò che stavamo creando, non mi ero fatta problemi ma… sembrava che lei avesse paura di prendersi le stesse responsabilità, forse perché io non avevo poi così tanto da perdere mentre lei aveva tutto.
Ripensandoci era egoista e infantile da parte mia aspettarmi che una persona che conoscevo da appena qualche settimana fosse disposta a sacrificare la sua intera sopravvivenza, perché di vita non si poteva parlare, per una speranza ancora apparentemente instabile.
Lei aveva sopportato cose che io neanche potevo immaginare, cose che a me non sarebbero mai successe, neanche in futuro, e io non avevo alcun diritto di aspettarmi da lei che fosse in grado di superare tutte le sue ansie per me. Non perché non ne valessi, la pena, ma perché richiedeva tempo e volontà, e lei mi aveva detto di avercela, me lo aveva mostrato.
Analizzando il quadro da quel punto di vista mi resi conto che fino a quel momento ero stata io la carnefice e non la vittima, ero stata io a metterla con le spalle al muro non il contrario, ero stata io a complicare le cose più di quanto non servisse per poi considerarla la causa delle mie paure ed ero io che dovevo rimediare cambiando prospettiva.
Mi ero sentita rifiutata seppur non avessi detto niente con chiarezza, neanche a me stessa, perciò mi vergognavo di aver preteso da una persona che già aveva iniziato a darmi ciò che non poteva e che non aveva riservato a nessun altro.
Guardai in alto, avevo pensato a lungo che quella con problemi di fiducia fosse lei, ma ero io, ero io a non avere fiducia nelle sue scelte riguardanti la sottoscritta, per questo il mio comportamento era probabilmente risultato invadente e insistente; avevo sbagliato e avrei dovuto chiedere scusa.
Osservai nuovamente di fronte a me e per poco non saltai, ero sospesa nel vuoto a una decina di metri da lei, mi ero mossa senza accorgermene, oppure erano state le mie parola a farmi muovere. Provai a mettere giù un piede più in là, qualsiasi cosa ci fosse sotto resse. Presi un grande respiro ed avanzai fino a raggiungerla pian piano, più mi avvicinavo, più perdevo il controllo dei miei sentimenti e dimenticavo il resto.
Non appena la raggiunsi non osai guardarla, lei era ancora immobile, sapevo che se l'avessi toccata bruscamente l'avrei spaventata, le passai una mano tremante sulla pelle scoperta del braccio, sembrava che i miei polpastrelli, a contatto con lei, prendessero istantaneamente fuoco.
Lei non si girò ma la vidi sussultare e stringersi nelle spalle, colpita dall'intensità del momento e dal calore sprigionato dal contatto tra noi. Sentivo addosso una pressione innata che sembrava rallentare tutti i miei movimenti e non sapevo come reagire. "V- vicepresidente" balbettai senza fiato, sopraffatta. Lei si voltò verso di me e in quel momento svaní tutto.
Quasi mi sbilanciai in avanti per quanto il cambio improvviso mi colpí in pieno. Il suo viso angelico, illuminato dalla sola luce lunare perlacea, appariva come una visione eterea di fronte a me e mi apriva un mondo inesplorato pronto per essere scoperto. Percepii come una brezza fresca, rigeneratrice, che mi sollevava da terra, fino a toccare le nuvole, fino a toccare le stelle, e lei era ancora lì, intatta, intonsa, perfetta.
"Mary" sussurrò. Una seconda ondata mi investí in pieno trasportandomi nell'ennesimo turbinio di emozioni, una montagna russa di sensazioni indescrivibili; sapevo solo che provavo commossione, una felicità inaudita e qualcosa d'altro che ancora non si era azzardato a palesarsi.
Mi sembrava di fluttuare in un mare di lucciole, lucciole che mi trasportavano verso una fonte ancor più potente di calore. Le mie labbra si incresparono in un sorriso, un sorriso genuino, compassionevole, affettuoso. Tesi nuovamente la mano verso ciò che mi aveva provocato tutto quello e non appena fui abbastanza vicina, la mia mano venne raggiunta da un'altra, venne stretta, le mie dita si incrociarono ad altre e… mi ritirovai trascinata in un girotondo giocoso, una giravolta bambinesca, un gioco infantile che celava, in quel momento, un significato profondo.
Risi, risi di gusto mentre sentivo la presa delle mie dita allentarsi a causa del sudore dei palmi e risi ancora di più quando cedette e mi ritrovai sdraiata a terra, sul pavimento in legno di una pedana rialzata, con i capelli mossi da un vento immaginario e gli occhi di un altro colore.
Guardai alla mia sinistra, lei era distesa proprio accanto a me, con la nuca appoggiata a terra e il braccio sinistro teso verso l'alto, ad indicare qualcosa che solo lei poteva vedere, qualcosa che la faceva sorridere socchiudendo le palpebre fin quasi a chiuderle. Chiusi le mie e mi persi in una visione ancor più avvolgente di quella in cui già stavo navigando, c'erano luci colorate e ghirigori ovunque, proprio di fronte alle mie palpebre chiuse.
Questa volta sembrava si stesse muovendo tutto proprio dentro di me, dentro i miei occhi, i miei occhi pieni di meraviglia. Li aprii e ciò che si era nascosto all'interno uscii libero nella stanza.
Era tutto lì, le scintille di colore, le bighe alate trainate da altra luce divampante, e accanto a me c'era ancora lei, ma non aveva più il braccio teso né il sorriso sulle labbra. Era voltata verso di me e mi scrutava nell'anima, oltre le mie orbite colme di passioni e sogni, oltre i miei capelli sospinti nell'aria, oltre il mio corpo sdraiato a terra, guardava ciò che non riuscivo a scorgere, perché era dietro di me, o forse dentro.
Le strinsi la mano con entusiasmo e mi alzai a sedere, lei fece lo stesso. "Vedi anche tu ciò che vedo io Ririka?" le chiesi estasiata. Annuí. Buttai all'indietro il collo inspirando un dolce profumo misterioso "Lo senti anche tu?" mi voltai nuovamente. Rispose allo stesso modo. "Non è bellissimo" mi lasciai cadere lasciando la sua mano e finsi di muovermi per fare un angelo nella neve, anche se di neve non ce n'era.
Rimase a guardarmi con un'espressione intraducibile in volto "È quasi bello quanto lo sei tu" rispose guardando il cielo che si era aperto su di noi sostituendo il soffitto. La fissai interdetta.
"Cos'hai detto?". Mi guardò con espressione pacata "Ho detto che hai ragione, che è tutto bellissimo, tanto che si avvicina quasi alla tua bellezza, ma rimani comunque tu il gioiello più prezioso di tutti" rispose mentre mi accarezzava la guancia con un sorriso. La guardai senza dire niente, poi di nuovo intorno, era ancora tutto lì ma sembrava essersi fermato, anzi, sembrava tutto più denso e lento, come se il momento fosse stato immerso in una glassa viscosa.
"Non so… non so cosa dire" riuscii a spiccicare dopo un po'. Piegò il volto di lato "E perché dovresti dire qualcosa?" si avvicinò tenendo ancora la mano sul mio viso "Non… non saprei, dovrei dire qualcosa?" domandai "E come potresti?" Corrugai la fronte confusa, non riuscivo ad intendere il significato delle sue parole, né dei suoi gesti "In che senso come p…" Prima che potessi ultimare la frase mi venne impedito di farlo. "Ora comprendi?" chiese.
Scrutai a lungo le soffici labbra che pochi secondi prima si erano posate sulle mie "Non appieno a dire il vero" parlai senza neanche accorgermene, quelle erano parole che non appartenevano ai miei pensieri, frasi che non sarei stata neanche in grado di formulare. "Dunque di cosa hai bisogno?" "Di un'ulteriore spiegazione suppongo"
Finalmente i nostri occhi si incrociarono, mi era sembrato di non averli visti fino a quel momento, o di non averli notati, ma era impossibile, neanche considerabile.
Erano ancor più chiari e limpidi della prima volta in cui li avevo visti, di un colore ghiacciato, e nonostante ciò, adesso emanavano un calore irresistibile. Sbatté le palpebre, com'era possibile che fossi riuscita a renderla ancor più affascinante di quanto non fosse nella realtà.
Realtà? Ma di quale realtà stavo parlando? Di colpo mi trovai seduta nel nulla, galleggiante in un mare oscuro. Mi dibattei tra onde invisibili lottando contro funi che minacciavano di strangolarmi sott'acqua e rimpiansi di aver pensato alla realtà a cui prima o poi sarei dovuta tornare che aveva fatto sì che lasciassi quella in cui mi stavo beatamente crogiolando.
Mi tolsi di dosso le corde spesse che si avvilupavano su di me e cominciai a nuotare come una forsennata, cercando una riva a cui approdare ma prima che potessi raggiungere una tra le tante che mi si paravano davanti, mi svegliai.
Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai di fronte il viso della vicepresidente, pericolosamente vicino, aveva un'espressione talmente simile a quella che le avevo appena visto rivolgermi in sogno che pensai di non averlo ancora lasciato. "Pensa che se ci baciassimo ancora riusciremmo a toccare le stelle che ci sovrastano?" domandai senza pensare. La sua espressione cambiò "Come scusa?" chiese.
Sentire la sua voce normale mi risvegliò completamente dall'idillio ormai terminato "M-mi scusi vicepresidente" mi misi a sedere e lei si spostò perplessa. "Dimentichi ciò che ho detto, stavo sognando ad occhi aperti" scossi la testa.
"Ho visto bene come sognavi ma di certo i tuoi occhi non erano aperti" mi rimproverò. "Già… mi scusi" Lei sorrise "Scherzavo… ieri è stata una giornata lunga, oggi meritiamo entrambe un po' di riposo, per cominciare potresti parlarmi del tuo sogno, poi faremo una chiacchierata più seria riguardo il tuo comportamento. Con chi parlavi pensando che fossi io?"
Mi sentii divampare e mi voltai dall'altra parte per far sì che non lo potesse notare "Nessuno vicepresidente, nessuno di... sua conoscenza" Lei alzò un sopracciglio scettica ma poi si voltò, sembrava quasi delusa o infastidita dalla risposta.
Ma che diavolo stavo facendo… mi ero ripromessa di cambiare prospettiva, mettermi nei suoi panni, e ora. "A dire il vero non era proprio una persona che lei non conosce, al contrario"
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