Capitolo XXVIII

Mai come quel giorno mi sarebbe piaciuto essere invisibile!
Ogni persona al mio passaggio si voltava a fissarmi e indicarmi come fossi una sposa in procinto di andare all'altare, e io, come ultima difesa, non smettevo di lanciare occhiatacce in giro.

I ragazzi cercavano di distrarmi, ma ero furiosa, non avrei neanche potuto smentire le voci della mia permanenza in infermeria, c'erano ancora i segni sulle mani e sul viso a dimostrarlo.

Inspirai ed espirai più volte in cerca di calma, stringendo i pugni fino a sentire le ferite tirare. Sapevo che era una reazione esagerata, ma avevo represso fin troppo le mie emozioni per avvalermi del mio già scarso autocontrollo, soprattutto dopo gli ultimi eventi.

Tutto il mio fulgore si spense in uno schiocco di dita quando il mio sguardo incontrò quello di Adone, il fratello di Margot, che si avvicinava aggraziato senza distogliere gli occhi dai miei.

Rimasi imbambolata per un po' prima di accorgermi di aver fermato la mia marcia nuziale.
Rinvenni solo dopo che Lemon mi ebbe assestato un paio di gomitate ben mirate nello stomaco, il tutto sotto lo sguardo confuso di Bren e Margot.

Mi schiarii la gola e mi concentrai su Lemon solo quando ormai Jacques era a un palmo da noi.
«Jacq!» Urlò Margot felice, circondandolo con le proprie braccia fino a metterlo in imbarazzo.

«Buongiorno!» Esordì il ragazzo districandosi abilmente dalle attenzioni della sorella. «Mi ha detto mamma che hai qualcosa per me» aggiunse spostando però l'attenzione su noialtri.
«Oh... ma certo!» Starnazzò la strega dandosi uno schiaffetto in fronte - in una pallida imitazione di Bren - «L'ho lasciato in camera! Dopo le lezioni, se vuoi, puoi venire a prenderlo» propose quest'ultima senza perdere il sorriso.

«Perfetto» rispose Jacq spigliato «Lexie, giusto?» Continuò rivolto a me piegando leggermente la testa di lato.

Io sbarrai gli occhi impreparata, ma l'ingenuo Bren mi salvò assentendo al mio posto.

«Ho saputo che hai avuto una sorta d'incidente» disse non distogliendo lo sguardo turchino dal mio, «Davvero?» Chiesi a mia volta rinvenendo dallo stato di trance, «che genere di incidente?» Aggiunsi curiosa dell'epilogo che aveva assunto il pettegolezzo.

«Qualcosa a che fare con delle api e del fuoco, a quanto dicono» proferì sorridendo ancora, fino a mettere in risalto le adorabili fossette che incorniciavano le scure labbra carnose. Trattenni il fiato a quella notizia, sconvolta da quant'erano andati vicini alla realtà, e forse anche un po' dalla sua bellezza. «Comunque sembra che tu stia bene» concluse studiandomi con più cura del dovuto ogni parte del corpo.

Probabilmente non avevo mai passato un momento più imbarazzante di quello, ma drizzai le spalle e cercai di soffiare fuori un "sì" con una voce che non sembrasse reduce da un terremoto.

Stavo quasi per aggiungere "anche tu", ma per fortuna mi bloccai in tempo.

«Lo vedo» aggiunse Jacq con sguardo limpido, facendomi trattenere il respiro un'altra volta, «ci vediamo stasera» salutò dopo un momento di silenzio, sparendo in un corridoio laterale.

«Tutto bene, Lexie?» Chiese Bren guardandomi circospetto «sembri... non so, strana» dichiarò poggiandomi la mano sulla fronte, Lemon intanto sghignazzava senza pudore, puntando uno sguardo furbo a intermittenza tra me e il lupetto.

«Che c'è? Stai di nuovo male?» domandò osservandomi confuso e preoccupato, nel frattempo anche Margot si era avvicinata a perlustrarmi in cerca di segni di morte fulminante.

«Sto bene!» Sbuffai restituendo le gomitate ad una Lemon sempre più divertita, «ho solo molta fame» aggiunsi trascinandoli in sala grande.

La mia prima lezione di "Catalizzazione" fu un disastro.
Troppo tardi scoprii che "Creazione" camminava insieme a questa materia, ed alla maggior parte di quelle del primo anno.

In fondo lo scopo di "Catalizzazione" era quello di concentrare la magia per riuscire in un incantesimo, ma se io non lo avevo scritto, né avevo idea di come poterlo inventare, il voler passare inosservata in quella già catastrofica giornata, ancora una volta, appariva la via migliore da intraprendere.

Feci comunque un paio di tentativi cercando di inventare qualcosa che potesse accendere una candela, ma già al terzo fallimento l'unica cosa che si era sciolta ancor più in fretta della cera, era la mia pazienza.
Esme era rilassata e stesa vicino alla mia postazione, non si separava da me neanche per i suoi bisogni fisiologici, perciò mi ero organizzata in modo tale da permetterle di fare le sue cose senza allontanarmi.

Tutta la prima settimana di lezioni passò così, alternammo esclusivamente i due corsi, con lo scopo di avere una base di preparazione per poter affrontare gli altri.

Jacques si fece vivo sempre più spesso, intrattenendosi a parlare con noi per la gioia di Margot e della madre, e segretamente, ma forse neanche troppo, anche della mia.
Esme continuava ad avere quell'atteggiamento iperprotettivo, ma le lezioni mi impegnavano troppo per spingerla, senza offenderla, ad un approccio più rilassato.

Miss Brusjilia si dimostrò essere una strega alta quasi un paio di metri, con un eccentrico abbigliamento orientale, e pensai che da lassù una certa fissazione per i capelli sbocciasse naturalmente.

Con i suoi acquosi occhi violacei, non si concentrava su nessuno, solo sulla sua lezione e sul modo di catturare l'ispirazione da tutto ciò che ci circondava. Dovetti ammettere però che, dopo la terza lezione, il suo fascino era riuscito ad intaccarmi e, lasciandomi cullare dalle sue ammalianti parole, avevo concepito più di un incantesimo. Finché finalmente venerdì, a lezione di "Catalizzazione" con una più pragmatica Miss Tersidia, una fiamma bruciò sulla punta della candela che mi stava di fronte, ed il mio "sfolgora e ardi anima di cera", si rivelò il primo sortilegio riuscito. Quello che non avrei mai dimenticato.

Bren e Margot c'erano già riusciti alla seconda lezione, perciò rimaneva unicamente Lemon da svezzare, che fortunatamente non sembrava voler demordere.

Conobbi anche uno dei compagni di stanza di Bren, un tipetto con una scura zazzera riccia prorompente, mingherlino tanto da dimostrare al massimo dodici anni, che spesso non parlava ma sorrideva ai nostri scambi di battute. Inizialmente pensai avesse gli occhi neri, solo in un secondo momento mi accorsi che erano di un blu buio come la notte.

Bren mi aveva raccontato che si erano conosciuti il secondo giorno che avevo passato in infermeria priva di sensi.
Avevano subito legato, anche se date le poche parole del ragazzo non riuscivo a spiegarmi come, e aveva colto immediatamente l'occasione di invitarlo nella sua camera per mettere a tacere una Lady Pungle sempre più pressante sulla scadenza non rispettata.

Jeremy possedeva un accento particolare, perciò immaginai che venisse da lontano, inoltre aveva una strana ossessione, tendeva a mettere tutto maniacalmente in ordine e disponeva gli oggetti in fila cercando di mantenere sempre un numero dispari.

«Questo è un altro dei motivi per cui l'ho voluto in camera,» mi confidò un giorno Bren leggermente in imbarazzo, «Io sono un disorganizzato cronico, solitamente mia madre mi imponeva di mettere in ordine la mia roba ma, vivendo da solo, prima che arrivasse lui, una mattina ho ritrovato le scarpe nel lavandino del bagno.» Ammise contrito lasciandosi sfuggire un sospiro. «Ora le cose vanno molto meglio, ne avevo bisogno prima di ritrovarle in corridoio,» sussurrò mentre cercavo di trattenere una risata con scarsi risultati, «ma comunque è un ragazzo simpatico, un po' introverso, ma sono certo che con un po' di tempo si aprirà anche con voi!» Concluse sorridendo e grattando Len sulla schiena.

Un giorno Jeremy, durante la pausa pranzo, dopo aver predisposto come più lo aggradava tutto ciò che le sue mani potessero afferrare, ci rivelò che soffriva di una fissazione mentale da quando aveva all'incirca dieci anni, il "disturbo ossessivo compulsivo", che lo obbligava a comportarsi in quel modo, altrimenti non sarebbe riuscito a concentrarsi su nient'altro.
E dopo aver fatto tale scoperta, mi fu anche più chiaro perché avesse tanta difficoltà a rapportarsi con gli altri.

Inizialmente pensai che fosse un'incompleto, ma, dopo che lo vidi più volte uscire da solo dall'accademia, scoprii, tramite Bren, che il suo animale era acquatico, per cui passava del tempo con lui in mare appena poteva.

A questo proposito Lemon era diventata sempre più sfiduciata, inizialmente non voleva accettare il gemellaggio con la Ierofania, ma più tempo passava, più intuivo dalle sue domande che la cosa la incuriosiva e al tempo stesso la turbava.
Finché un giorno, subito dopo una lezione di "creazione" che ci aveva fritto ben bene il cervello, si sfogò dicendo che non avrebbe mai trovato una Ierofania, perché neanche la più potente delle magie avrebbe costretto qualcuno a legarsi a lei.

Dopo un primo momento di smarrimento, capii quanto l'essere stata abbandonata dalla sua vera famiglia l'avesse corrosa fino a farla sentire un rifiuto. Mi sentii tremendamente in colpa per non averlo intuito prima e anche molto delusa da me stessa per non averle dimostrato che persona bella e profonda scoprivo in lei ogni giorno.

«Facciamo un patto!» Le proposi facendo finta di non aver visto gli occhi lucidi che cercava inutilmente di nascondere.
Mi guardò perplessa, mentre vedevo la frustrazione invaderle il viso, pensava che avessi ignorato del tutto la sua sfuriata.

«Se entro Natale non trovi la tua Ierofania, mi piacerebbe che mi considerassi come tale!» Le dissi allegra, seppur mortalmente seria.

«Cosa?» Domandò con una punta d'isteria nella voce.
«Sento già che il nostro legame è molto più profondo di quanto potrebbe sembrare dopo solo un paio di settimane, perciò, perché non posso essere la tua compagna di anima?» Osservai tranquilla, e quando mi voltai di nuovo a guardarla ormai le lacrime le avevano bagnato completamente il bel volto fragolino.

Mi sentii una stupida e stavo cercando di rimediare balbettando qualche scusa, finché lei non mi saltò al collo, zittendomi.
«Grazie, è la cosa più bella che mi abbiano mai detto.» Disse stringendomi ancora di più mentre cercavo di ricambiare.

Da quel giorno il nostro rapporto fece un'evoluzione palpabile, Lemon si confidava più facilmente ed io le riferivo qualsiasi cosa mi passasse per la mente riguardo al giuramento che mi aveva fatto fare mia zia, oltre a condividere insieme i sospiri dietro al bel fusto di Jacques.

La domenica, dopo un pranzo particolarmente ricco, decidemmo di goderci una delle ultimissime giornate di sole all'aperto e, con mio grande stupore, Jeremy, il compagno di stanza di Bren, ci invitò sul ponticello che conduceva al mare – quello che avevo visto dal l'infermeria il secondo giorno insieme a Lemon – con l'intenzione di farci conoscere la sua Ierofania.

Non so cosa mi aspettassi esattamente, forse un delfino, o magari un pesce gatto, ma di certo non una piovra gigante, di almeno dieci metri, con i tentacoli che guizzavano allegri in ogni dove.

Non riuscii a trattenere il gridolino di sorpresa, misto a terrore, che mi uscì dalla gola quando dall'acqua salmastra spuntò un tentacolo grosso quanto me e Lemon messe insieme.

«Tranquilli, Reres non è pericolosa... a meno che non creda che io stesso sia in pericolo» Annunciò Jeremy carezzandole felice il testone viscido. Non l'avevo mai visto così spensierato, sembrava che ogni timidezza e blocco mentale fossero scomparsi sotto l'acqua del mare.

Forse fu proprio in quel momento che mi resi conto quanto il blu scuro dei suoi occhi potesse accendersi. I ricci ribelli viaggiavano col vento, al pari dei tentacoli della sua Ierofania che guizzavano felici.

Bren e Lemon furono subito entusiasti quando il ragazzo li invitò a farsi portare un po' in giro dalla grossa piovra, mentre io e Margot restammo sul ponticello a parlare con i piedi in acqua.

«Hai più rivisto la tua ex?» Chiesi tentennando dopo un po'.
«Solo di sfuggita o da lontano, per fortuna!» Ammise con un grosso sospiro.
«A proposito!» Esclamò muovendo frenetica i piedi nel mare, «a colazione stavo pensando alla tua avventura con gli specchi...» disse facendosi pensierosa «lo so che non c'entra niente, ma volevo chiederti quale fosse la Ierofania di tua madre,» aggiunse, schizzando il suo procione con un po' d'acqua, che per la sorpresa si arrampicò sulla mia schiena in cerca di riparo.

«Era un normalissimo corvo nero» risposi portandomi Elvis sulle gambe, «Perché?» Domandai curiosa.

«Oh, niente, stavo cercando di interpretare il significato dei due lupi, pensavo che uno potesse essere il suo appartenente...» rivelò, facendo riflettere anche me.

«E nella visione il corvo non c'era?» S'informò, inconsapevole di farmi rivivere delle angosciati sensazioni.
«Non ci ho fatto caso, ma è possibile, soprattutto considerata la vicinanza con la foresta» proferii cercando di captare dove i suoi pensieri si stessero dirigendo.

«Mmmh...» rifletté mordicchiandosi l'interno della guancia «Penso che i lupi nella tua visione siano utilizzati come figure allegoriche, magari dei simboli per riflettere delle determinate azioni avvenute in passato...» spiegò guardandomi «ma non mi viene proprio in mente quali!» Aggiunse sbuffando sonoramente.
«Potresti avere ragione» dissi pensandoci su, «dovremmo indagare in tal senso...» ragionai ad alta voce, prima che gli schiamazzi dei ragazzi di ritorno mi bloccassero.

Spazio autrice:

Ciao ragazzi!
Questo è un capitolo di passaggio, spero non sia stato troppo noioso, nel frattempo vi ho lasciato qualche altro indizio su cui riflettere e ho inserito un personaggio nuovo... chi sa cosa ci riserverà!
A presto, grazie per avermi seguito fin qui! ♥️

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