Capitolo XXIII

Osservai meravigliata le mura rocciose che nel cammino si arricchirono sempre più, il verde delle alghe lasciò presto il posto al rilucente e cristallino smeraldo, che pian piano sovrastò completamente il grigio della pietra.

La luce ne imprigionava giocosa le sfaccettature rimandandole da un intaglio all'altro come in una danza esotica, dove le giravolte si susseguivano sulle mie porzioni di pelle nude e tutt'intorno nell'area circostante.

Persino Esme ne fu incantata, poco ci mancò che si mettesse a rincorrere i molteplici riflessi per la grotta, convinta fosse un gioco al quale non poter rinunciare.

La tentazione di toccare il prezioso minerale fu forte, ma venni bloccata come da una strana sensazione e decisi che per il momento mi sarei accontentata di guardare. Valutai anche la possibilità di tornare indietro, ma quello spettacolo mi ammaliava ogni respiro di più, ero smaniosa di scoprire cos'altro si nascondeva nelle viscere della Maximea.

Continuai a camminare guardandomi brevemente alle spalle, tenendo Esme al mio fianco.

Non ci misi molto a cancellare l'ansia dai miei pensieri, infatti, qualche passo dopo, la mia mente fu annebbiata dalla sorpresa; un tripudio di api intrecciate tra loro formavano un tunnel di ronzii, sbattendo le piccole ali agitate, quasi fossero state imprigionate in funzione di trama e ordito del tessuto vivente che formavano.

La visione mi mise i brividi ed accelerai il passo sperando di lasciarmi l'insolito scenario alle spalle, leggermente consolata dalla tranquillità che mantenne la mia felina.

Più i miei passi aumentavano più il rumore delle api diventava assordante, iniziai a correre con il battito che pompava paura in ogni fibra del mio corpo, consapevole che la sensazione di cattivo presagio si stava trasformando in realtà... Improvvisamente la vista mi si oscurò, accecata da una nube di api che ci investì indispettita.

«Esme!» Urlai dolorante, reduce da punture avvelenate in tutto il corpo «Allontaniamoci!» Affermai mentre lacrime salate non riuscivano ad arrestare lo sciame inviperito, ad ogni passo i molesti insetti sembravano aumentare e lì, dove prima la luce smeraldina aveva rincorso la mia epidermide briosa, ora spiccavano arrossate e doloranti le punizioni degli insetti.

Per un attimo mi sfiorò l'idea di tornare indietro, ma la possibilità che anche le api che formavano il tunnel potessero aggiungersi ed attaccarmi mi fece desistere.

Riuscimmo a levarcele di dosso solo quando finimmo sotto una cascata asfissiante di acqua salata, che straziò le mie escoriazioni, costringendomi ad un urlo strozzato, permettendo all'acqua di invadere la mia trachea.

Cercai ossigeno tossicchiando, incapace di decidere se nuotare o continuare a camminare, mentre i polmoni supplicavano, bruciando impietosi, il loro cibo per continuare a sopravvivere. Con i muscoli doloranti mi costrinsi ad uscire da quell'atmosfera ovattata e brutalmente purificante e rotolai fuori tastando insicura il terreno, non riuscivo più a vedere la mia felina.

«Esme?» Chiamai in un sospiro, forzando il mio corpo ad assorbire velocemente ossigeno. Mi voltai a cercarla e la trovai, sospirando sollevata, mentre si scuoteva infastidita dall'acqua.

Intorno a noi una baita montana.

«Oh Esme!» Pronunciai scoppiando in lacrime, mentre la mia Ierofania si precipitava a consolarmi.

«Dove diamine siamo finite?» Dissi rialzandomi e continuando a coccolarla; dovevo trovare il modo di tornare indietro senza ripercorrere la stessa via. Magari Bren o Margot, non vedendomi arrivare, si sarebbero mossi a cercarmi e avrebbero avvertito qualche insegnante.

Mi guardai attentamente intorno, cercando una finestra o una porta ma, tutto ciò che i miei occhi incrociarono, furono  le alte colonne lignee consecutive che formavano la stanza, apparentemente senza uscita, se non la cascata alle mie spalle dalla quale avevo intenzione di tenermi il più lontana possibile.

Quella stanza mi richiamava alla mente qualcosa, ma non riuscivo ad afferrare il pensiero, almeno finché non vidi il finale appuntito dei pilastri in legno.

Sembravano delle enormi matite da disegno allineate per l'intero perimetro della stanza.

«Che ambiente bizzarro Esme, chissà se qualcuno è a conoscenza di questo posto» Dissi cercando di mascherare l'ansia, magari se non  fossi riuscita a toglierci da quella situazione nessun altro l'avrebbe fatto, ignari della direzione che avevano casualmente intrapreso.

La mia Caracal cercò di consolarmi come meglio sapeva fare; si strusciò affettuosa sulle mie gambe e mi lasciò degli umidi baci sulle mani. L'accarezzai cercando di non precipitare nello sconforto.

Tentando di trovare una soluzione, osservai il più attentamente possibile lo spazio che ci circondava.

Presi a tastare ogni superficie, bussai sul lucido parquet per capire se nascondesse dei punti vuoti, dopo aver finito l'intero tavolato provai a fare altrettanto con le pareti, mentre Esme annusava il perimetro della stanza cercando qualche indizio che potesse tornarci utile.

Dopo numerose ed attente ricerche, infreddolita dai miei vestiti zuppi, compresi che non c'era altra via d'uscita che non fosse la cascata. Mi massaggiai gambe e braccia cercando di risvegliare i muscoli, preparandomi al ritorno nell'acqua gelida quando Esme cominciò a grattare in un punto della parete di fronte alla cascata.

«Cos'hai trovato cucciola?» Chiesi avvicinandomi ad osservare, mentre la felina continuava a scavare come a voler trovare qualcosa. Mi misi a cercare con lei, sempre più sconfitta.

Dopo un lasso di tempo che sembrò infinito, intravidi spuntare qualcosa di rosso tra il pavimento e la parete e mi affrettai a tirarlo con le poche forze che mi erano rimaste.


"Sconquassante e mai assordante

È una culla, è un cimitero

Non guerreggia col destriero,

La sua spada è salata, la sua anima non celata.

È amato quanto odiato,

Ma imperturbabile è nato.

Creatore e distruttore

Tradisce l'antica luna con l'affascinante sole...

Una prova da infedele voglio avere o da qui sarà impossibile passare."


Lessi perplessa un paio di volte ciò che era riportato sulla linguetta rossa che tenevo tra le mani; «Un indovinello era proprio quello che mi ci voleva in questo momento!» Sbuffai esasperata. Rilessi la filastrocca cantilenandola talmente a lungo che, alla fine, l'imparai a memoria.

«Mmmh... "Sconquassante e mai assordante" mi fa venire in mente l'acqua, ma poi non capisco che nesso potrebbe avere con un cimitero ed una guerra» Soffiai «E se fosse la morte?» Mi domandai ad alta voce «Potrebbe avere un certo senso, insomma; mai assordante, culla e cimitero, una guerra... magari contro la vita, ma più che con una spada la immagino con un ascia...                                                                               certo, sicuramente potrebbe essere amata da chi l'anela per sofferenza ed odiata per chi ne viene travolto, ma indubbiamente non è creatore, al massimo distruttrice!» Affermai prendendomi sconfortata la testa fra le mani.

«Inoltre che prova dovrei portare della morte? Dovrei uccidermi? A cosa servirebbe se poi non potrei comunque passare?» Affermai piccata sferrando un calcio alla parete, che rimase lo stesso immobile a beffeggiarmi

«Pensa Lexie, pensa!» Mi incitai chiudendo gli occhi e concentrandomi sulle parole.                                      «Se fosse l'amore? Oppure il sangue! No, non penso che abbia una relazione sia col sole che con la luna» Mi rimbrottai infastidita

«Ma certo! Il sole, la luna... potrebbe essere la terra!» Affermai illuminata «Sì potrebbe, ma potrebbe essere anche il mare» Aggiunsi afflitta.

Il corpo, insonnolito dalle punture dello sciame, mi stava abbandonando, mani e gambe erano completamente assenti e il viso cominciava a pizzicarmi.

«Deve essere qualcosa di cui potrei disporre, altrimenti non avrebbe senso» Conclusi guardandomi attorno «Ma certo!»Dissi entusiasta dandomi della sciocca e prendendo Esme tra le braccia

Mi diressi nuovamente alla cascata e arrivai a patti con me stessa, dicendomi che in fondo sarebbe stato solo un altro po' di dolore... e soprattutto che era necessario se avevo intenzione di tirare me ed Esme fuori da lì.

Presi un bel respiro e portai velocemente le mani sotto il getto, tentando di non badare al dolore e raccogliendo un po' d'acqua... infine mi diressi il più velocemente possibile alla parete di fronte e gettai l'acqua sulla linguetta rossa guardandomi attorno con aspettativa, passò qualche minuto ma non successe niente, mentre le mie mani ancora friggevano di dolore

«Ma che diamine?» Urlai sfregandomi le dita tra loro, «Sono sicura che sia il mare, e quella è una cascata di acqua salata, cos'altro manca?» Gridai furiosa guardandomi attorno

Presi un'altra manciata d'acqua non riuscendo a percepire neanche più il fastidio sulle mani e la gettai nuovamente sulla linguetta tra la parete ed il pavimento

«"Sconquassante e mai assordante

È una culla, è un cimitero

Non guerreggia col destriero,

La sua spada è salata, la sua anima non celata.

È amato quanto odiato,

Ma imperturbabile è nato.

Creatore e distruttore

Tradisce l'antica luna con l'affascinante sole"»

Citai guardando la stanza con prepotenza... Il terreno iniziò a tremare e l'intera parete si staccò da tre lati restando aggrappata unicamente al pavimento.

«Indietro Esme!» Urlai frapponendomi fra lei e l'ammasso di legno in movimento, inutilmente, visto che cadde dal lato opposto esponendo un nuovo ambiente ai nostri occhi.

«Quindi non era una filastrocca, ma un incantesimo!» Dissi iniziando a sentirmi spossata per lo sforzo mentre aspettavo che la polvere levatasi dallo spostamento si diradasse.

Ormai ero a pezzi, tra le punture, il freddo e la stanchezza dubitavo di poter continuare a camminare ancora per molto, ma quello che mi si parò davanti non fece che portarmi ancora più in confusione.

Era una stanzetta da bambino o da bambina, non riuscivo a capirlo, c'erano giochi ovunque; un grazioso cavalluccio a dondolo in legno, una trottola dello stesso materiale, qualche peluche, un carillon sospeso con delle campanelline in ferro pendenti, tutta la superficie era ricolma e al centro della stanza una grande teca in vetro con dentro quelle che, ad un primo sguardo, mi sembrarono delle matite colorate.

Tutto sembrava di un'epoca passata, il materiale era povero e le decorazioni erano fatte a mano, tutto visibilmente usato, come se fossero stati raccolta qua e là dopo essere passati di manine in manine.

Sentivo forte la presenza di un nuovo flusso magico, ma non sapevo da dove provenisse, puntai sulla teca, dato che troneggiava vanitosa in mezzo alla stanzetta.

Esme stava già annusando e curiosando ed io feci lo stesso, solo senza annusare, dirigendomi verso i pastelli ben custoditi... proprio come sospettavo, appena mi avvicinai, il sangue iniziò a pizzicarmi risvegliato dal richiamo del magia.

Mi soffermai a studiare l'elaborato pilastro che sorreggeva il cubo di vetro; tra la lavorazione di una pianta rampicante, fatta completamente di spine, vi scorsi, solo in un secondo momento, una scritta che sembrava essere stata fatta da una mano infantile, nonostante fosse essa stessa parte del disegno intarsiato

«"I pastelli di Nerjissia"» Lessi decifrandone lentamente le singole lettere.

Incuriosita mi guardai attorno e quando non vidi nessuno pronto a fermarmi, provai a sollevare la teca... il materiale in realtà non era altro che un incantesimo e, nel punto in cui avevo poggiato le mani, la carne iniziò a sfrigolare inarrestabile, incorniciata dalle mie urla di dolore.

Provai a sfregarle sopra la divisa, ma ormai le parti entrate in contatto con la magia erano ridotte terribilmente. Una sensazione d'infinite e continue coltellate si era impossessata del mio corpo e non mi dava tregua. Troppo tardi mi accorsi di aver messo in moto qualcos'altro e, da tutte e tre le pareti che ci circondavano, iniziarono ad uscire nubi violacee dai tratti lontanamente umani, accompagnate dal rimbombo inquietante dello strusciare di catene che ne avvolgevano la parte inferiore.

Esme mi si parò davanti in posizione di attacco e, incredula, vidi le inesistenti mani delle macabre creature trasformarsi in armi affilate, di un perlaceo nero lucente, che indossavano funeree odore di morte.

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