Capitolo XIII

Bren aspettò le nostre Ierofanie impaziente, camminando avanti e indietro davanti alla panchina in cui chiacchieravamo sedute io e Lemon.

Il ragazzo bofonchiava tra sé e sé e, di tanto in tanto, si dava degli schiaffetti sulla fronte, come se non riuscisse a riavvolgere una matassa particolarmente impigliata.

Dalla mia posizione ebbi l'occasione di osservarlo meglio; aveva un fisico asciutto e, ad occhio e croce, non superava il metro e ottanta, anche se io non sono mai stata brava con i numeri... perciò poteva anche darsi che fosse un metro e tre cefali. I capelli chiari gli sfioravano le spalle ed al momento erano particolarmente scompigliati, dato che non smetteva di passarci ossessivamente le mani sopra, in un verso e poi nell'altro. Aveva zigomi ben marcati con un leggero accenno di peluria, labbra rosee a cuore. La fronte invece, al momento, era fregiata da numerose rughe d'espressione dovute all'inarcamento delle spesse sopracciglia, grinze che veniva la voglia di schiacciare col dito per cercare di stendere nuovamente la pelle.

La druida aveva procurato una divisa anche al lupo che, ovviamente, gli calzava a pennello. 
Portava le maniche della camicia bianca arrotolate fino ai bicipiti e il cravattino slacciato, tocchi che aumentavano la sua aura da "bravo ragazzo sexy"; insomma era oggettivamente bello.

Quando, finalmente Len ed Esme ci raggiunsero, Bren ormai non stava più nella pelle, tanto che si precipitò verso l'entrata dell'Accademia senza neanche aspettarci.

«Ehi!» Gli urlai dietro infastidita.

«Muovetevi! Vi aspetto dentro!» Sbraitò lui di rimando salendo gli scalini due alla volta.

Lo seguimmo di malavoglia, anche noi ci stavamo godendo il caldo abbraccio del sole.

Ad un tratto, mentre stavamo rientrando anche noi due in Accademia, sentimmo un tonfo sordo, seguito da imprecazioni soffocate, accelerammo il passo e superando il portone scorgemmo Bren ed il gemello a terra, l'uno di fronte all'altro, mentre si massaggiavamo vigorosamente la fronte.

Dietro i due lupi capitombolati c'era la cricca del bulletto che, altezzosa scacciava chiunque si avvicinasse per accertarsi che i due stessero bene.

A quanto pare erano arrivati proprio loro, tra tutte le matricole, "La fortuna è tutte le volte un passo avanti Lexie, tu arrivi sempre dopo". Probabilmente questa volta anche la fortuna era rimasta indietro.

«Ma che diamine fai, brutto ritardato? Adesso non riesci nemmeno più a guardare dove ti finiscono i piedi? Imbranato che non sei altro!» Abbaiò il fratello.

Nel frattempo io e Lemon li avevamo raggiunti ed io porsi una mano a Bren per aiutarlo a rialzarsi, mentre la biondina si attorcigliava un ricciolo a disagio.

«Vai ancora in giro con questa sfigata? Che bella coppietta, Miss e Mister Sfigati, siete proprio fatti l'uno per l'altra» Continuò Rubeus o Rufus o come caspita si chiamava.

Lo fulminai con lo sguardo, ignorandolo bellamente.

Un gruppo di curiosi si avvicinò per assistere alla scena.

«Tutto bene?» Chiesi tranquilla a Bren, perlustrandolo con lo sguardo; lui annuì e mi accennò un sorriso di scuse.

«Quanta premura eh, Brendon? Evviva! Ecco a voi la nuova coppia di ritardati!» Esclamò platealmente Ru-stronzo.

Somigliava molto a Bren, ma per quanto quest'ultimo fosse spigliato ed alla mano, il gemello appariva perfettamente ordinato ed odiosamente snob, con la nuova divisa impeccabilmente indossata senza alcuna grinza ed abbottonata minuziosamente; il tipico lupo bianco appartenente alla nobiltà, insomma.

«Smettila Rubèn, stai solo facendo la figura del pagliaccio! Fatti un giro in giardino, magari riesci a schiarirti le idee» Suggerì Bren infastidito, trascinando me e Lemon fuori dalla cerchia di studenti.

Lemon rilasciò un grosso sospiro e si guardò intorno per capire se fossimo ancora al centro dell'attenzione; non trovando nulla di cui preoccuparsi, la sua espressione subito si rasserenò.

«Certo che tuo fratello deve volerti proprio un gran bene!» Esclamò ironica guardandomi in cerca d'appoggio. Stavo giusto per sputare fuori il mio "Già", ma mi bloccai giusto in tempo per vedere l'espressione di Bren incupirsi.

«Scusami, non volevo offenderti» Si scusò Lemon, poggiandogli contrita una mano sulla spalla per rimarcare la sincerità delle proprie parole.

«Non preoccuparti Lemon, il mio dispiacere è per Ruben... Vi sembrerà impossibile, ma tempo fa eravamo letteralmente inseparabili... » Confidò a disagio.

«Scommetto che non avete idea di dove si trovi la biblioteca, vero?» Aggiunse il lupetto cambiando argomento repentinamente ma con leggerezza.

Non insistetti, non avevo voglia di giudicare nessuno e sicuramente con Ruben non sarei riuscita a fare altrimenti.

«Ehm, no!» Dissi guardandomi attorno attentamente, in cerca di un illuminazione divina, magari.

Lemon dissentì con il capo e, vedendo una studentessa passare, ingombrata da una pila enorme di libri che teneva tra le braccia, la fermò chiedendole indicazioni.

Sicuramente una mossa più intelligente della mia, con le dimostrazioni divine non avevo ancora instaurato quel certo feeling, evidentemente.

La ragazzetta bofonchiò qualcosa da dietro la montagna e Lemon ne reinterpretò efficacemente le parole. Proprio quando ci trovammo a qualche passo dalla nostra fonte di informazione, il mio stomaco si mise rumorosamente a brontolare, contrariato per non aver ricevuto la costante dose di cibo che giornalmente gli riservavo.

Guardai i ragazzi sorridendo imbarazzata; «È che le discussioni mi mettono fame!»

I due scoppiarono a ridere simultaneamente e Bren volse lo sguardo al sospiro del tempo, il corrispettivo di un normale orologio, con la minuscola differenza che questo levitava indisturbato per i corridoi emettendo respiri e sospiri allo scattar di minuti ed ore.

«Riesci a resistere ancora un'oretta? Il pranzo non verrà servito prima di allora» Mi informò Bren, ridacchiando.

«Nessun problema!» Esclamai, per quanto il mio stomaco non sembrava per nulla concorde.

Lemon mi sorrise dolcemente e i suoi occhi cristallini divennero un po' più luminosi. «Se vuoi potremmo provare a vedere se riusciamo a trovare qualche biscotto in giro, sono sicura che non ti lascerebbero morire di fame!» Mi suggerì comprensiva, talmente tanto delicatamente che ebbi la sensazione che per lei questo argomento significasse più di quanto lasciasse trasparire.

Le sorrisi grata, mentre cercavo di non pensare a ciò che le potesse essere successo in orfanatrofio o nelle case famiglia, mentre con un "Nah" fintamente disinvolto liquidavo la bramata ricerca di cibo.

«Penso di riuscire a resistere, a pranzo poi mi rimpinzerò per benino» Le confidai strizzandole mesta l'occhio, lei sghignazzò scuotendo la testa.

«Non so se Bren ti abbia accennato qualcosa, ma la sala da pranzo è davvero, davvero magica!» Aggiunsi infine misteriosa, avviandomi in biblioteca senza rivelarle altro. La biondina mi corse dietro e, una volta che ci ebbe raggiunti tentò in ogni modo di acquisire maggiori informazioni sia da me che da Bren, che dal suo canto ci ignorava da un po', proiettato già sulla ricerca che avremmo fatto.

La biblioteca non aveva nulla a che fare con quelle che avevo potuto vedere e consultare fino a quel momento; era gigantesca, la superficie che riuscivo a scorgere era quasi completamente formata da divanetti, sedie e tavoli delle più disparate forme. Sulla mappa posta all'entrata, scoprimmo che erano tutte posizionate in modo concentrico, come degli anelli simili a quelli presenti all'interno dei tronchi degli alberi. Il guardo non riusciva a racchiudere tutto ciò che vi risiedeva, captava semplicemente i dettagli più evidenti e prorompenti.

Dall'entrata si godeva una vista diretta del centro dello stanzone, dove un vecchio bibliotecario si affaccendava tra mille scartoffie usando agiatamente tutta la magia di cui aveva bisogno.

Sulla scrivania semicircolare che lo circondava grossi volumi si numeravano da soli, piume e pergamene erano impegnate in una scrittura perpetua ed una lunga fila di libri levitava in attesa di essere correttamente smistata.

Una volta attraversata l'entrata capii che ogni spazio a partire dal centro era suddiviso in sezioni, corrispondenti alla tipologia di libri che ospitavano, paragonabili alle fette di una gigantesca torta.

Inoltre il colore predominante nella grande sala ricordava la carta da zucchero, ovviamente subito dopo il legno naturale che pullulava in ogni angolo. Grandi camini in marmo grezzo, con grossi pilastri cilindrici dello stesso materiale a contornarli, risiedevano acchiocciolati maliardi, rendendo lo spazio ancor più confortevole.

Ben presto mi accorsi che le varie sezioni non possedevano pareti a suddividerle, solo qualche divisorio ligneo qua e là, e degli accavallamenti dello stesso materiale che spezzavano i diversi ambienti.

Presi atto, inoltre, delle piccole rientranze sferiche collocate nei vari scomparti.

E le scaffalature piene di libri? Inesistenti! Ogni tomo risiedeva accudito nella propria sezione di appartenenza a vari metri di altezza, incastonati uno per uno in una culla di rami indistricabili che nascevano direttamente dal soffitto.

«Wow!» Sussurrammo estasiati all'unisono, mentre il nostro cielo si stellava ad ogni passo di una moltitudine costantemente mutevole di libri.

Mentre ci dirigevamo entusiasti dal bibliotecario per chiedere informazioni, notai che, probabilmente, i libri erano in grado di trasmettere direttamente la magia che contenevano sulla porzione di spazio che occupavano; infatti la mia attenzione venne richiamata da un libro in alto alla mia destra, che, circondato da allegre e coloratissime farfalle, si beava della luce di un raggio di sole spuntato dal nulla, mentre poco lontano da quest'ultimo ne intravidi un altro che aveva reso di luccicante e splendente diamante i rami che pietrificati lo abbracciavano, incastonandolo direttamente nella pietra preziosa.

Quando volsi lo sguardo curiosa alla mia sinistra incontrai una rumorosa e raccapricciante tempesta che imperversava incessante attorno ad un grosso volume inzuppato d'acqua. Oltre a questo ne intravidi un altro impregnato di una densa sostanza color cremisi, sgocciolante e straripante dalle pagine del volume ancora chiuso. Macabri brividi si diffusero in tutto il mio corpo.

Il bibliotecario era un anziano dall'espressione bonaria ed accigliata.

"Accidenti, da queste parti le rughe devono proprio andare di moda!"

Pensai quando mi accorsi che gli occhioni color terriccio, celati dietro un paio di occhiali da vista consumati, erano contornati da una marea di increspature che solcavano decise la pelle scura e macchiata dell'uomo, come una mareggiata in costante movimento, restia ad abbandonare spontaneamente il divertimento altalenante.

Nel frattempo quest'ultimo, ignaro della nostra presenza, si pizzicava con grosse dita rugose le sopracciglia brizzolate, concentrato, con sguardo assorto, su qualcosa che dalla mia posizione non riuscivo a scorgere.

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