Il fregio di Beethoven

Uno degli aspetti che portavano spesso i suoi compagni a rinunciare, che fosse una prova o un esame, non era l'evento in sé, quanto l'anticipazione di esso. Più tempo avevano per pensarci, che non corrispondeva al tempo per prepararsi, più erano alte le probabilità che in ultimo lo evitassero. Sebbene Aykari comprendesse, a livello empatico, il sentimento, la sua vita era stata spesso segnata da bivi che le lasciavano poca scelta e ogni rara occasione passava correndo, portandola a dover prendere decisioni nel giro di ore, se non minuti. Così era iniziato il tutto, quando era andata via di casa, quando aveva accettato la proposta del vice ammiraglio, quando si era imbarcata sulla Victoria. Un tarlo era sempre rimasto, a chiederle se stesse facendo la cosa giusta. Se non fosse stato meglio prendere un'altra strada. Se stesse solo facendo rumore, prima del suo inevitabile silenzio.

Il secondo prima del collegamento, nessuno di quei pensieri si presentò alla sua coscienza. Per la prima volta, la sua voce si trovava in un coro. Un piccolo coro che si presentò al delegato cenreo.

Un volto ceruleo e dal labbro leporino fece la sua comparsa, su uno sfondo chiaro monocolore.

«Sono Aykari Lange», alzò il mento, «membro della flotta dell'Alleanza e vengo in pace». Gli incontri diplomatici non avevano molta fantasia nei saluti. Attese che Gizbarrè traducesse le sue parole, ottenendo un suono gutturale in replica.

«Che interesse avrebbe l'Alleanza a essere in pace con noi?». Il linguista si morse l'interno della guancia, ma si aspettavano ostilità: sarebbe stato sospetto il contrario.

«La Repubblica dispone di innumerevoli risorse, che la portano a essere una delle maggiori potenze dell'universo conosciuto», se necessario, era capace di lusingare la sua controparte, «sarebbe imprudente, oltre che pericoloso, per l'Alleanza cercare altro oltre la pace». Il conreo arricciò il naso, come un felino di fronte a un cibo sconosciuto.

«Che chiede, quindi, la vostra Alleanza?», inquisì, «pacificamente», aggiunse poi, con un gesto che, se fosse stato umano, avrebbe corrisposto a una rotazione degli occhi. Non aveva ancora chiuso il collegamento e questo le diede forza.

«Una minaccia sta arrivando», si umettò le labbra, «pronta a colpire noi e la vostra Repubblica».

«La Repubblica è in grado di difendersi».

«Non da questo attacco», lasciò che passasse qualche secondo prima di elaborare, «il vostro sistema di monitoraggio ha un punto cieco presso la nebulosa di Riæch, lo sapeva?».

«Non avremmo problemi a identificare una flotta».

«Se fosse una flotta», concesse, «questa non la è».

«Quindi qualcuno starebbe attaccando la Repubblica con una nave?», rise, «Tipico comportamento umano».

«Non sarà un attacco a opera della federazione terrestre», si affrettò a rispondere, seguita da un impacciato Gizbarrè.

«Gli umani mentono, Aykari Lange», gli occhi così chiari da sembrare ghiaccio parevano volersi focalizzare su qualsiasi punto oltre alla sua figura, «lei mi sta solo dando l'ennesima prova».

«Ho degli elementi per sostenere la mia tesi». Non stava andando bene.

«Fidarsi degli umani è uno spreco di tempo». Midah mugulò in avvertimento: stavano per chiudere.

Doveva giocare l'ultima carta.

«E Nanufaru?». L'alieno si bloccò. «Di lui vi fidaste».

«Nanufaru non era umano», contrattaccò, intrecciando le mani davanti al volto.

«Come definirebbe quindi un umano?».

«Qualcuno che mente, raggira, come lei sta cercando di fare ora». Abbassò gli occhi, ponderando la risposta. Da quella sarebbe dipeso l'intero accordo.

«I vidane hanno distrutto Ki-II senza difficoltà alcuna», ricordò, ripensando alle informazioni ricavate sulla piattaforma. «Potete controllare», ormai la notizia era giunta al comando centrale, così come era giunta in quella galassia dimenticata da chiunque.

"Abbiamo perso?", erano state le prime parole di Lovro. Lei aveva preferito non replicare. La missione era recuperare quanti più abitanti possibili: in quale visione avrebbero potuto ottenere un risultato diverso? Avevano perso in partenza.

«Dite di essere preparati a ogni attacco, ma la verità è che annullerebbero due dei vostri pianeti capitale senza che possiate fare nulla», continuò, fermandosi solo per mantenere la fermezza nella sua voce, «hanno un'arma senza precedenti e presto anche il modo di aggirare ogni vostra difesa», scosse il capo, alzandolo per l'ultima parte. «Questa è la verità».

«Se è la verità, perché l'Alleanza dovrebbe volerci aiutare?», impassibile, continuò a cercare un punto in cui gli "umani" lo avrebbero fregato. «Non sarebbe più comodo lasciarci perire e approfittare della nostra sconfitta?».

Avrebbe dovuto dargli l'ultima spinta verso la loro causa. Quell'accordo avrebbe davvero potuto stipularlo solo lei.

«Ho un vecchio debito personale da saldare con la Repubblica», sorrise, «in quanto per metà non umana». Vide Gizbarrè esitare, ricevendo subito uno scossone dalla sua amica. Alle sue spalle, i suoi due colleghi smisero di respirare. Ma lei si preoccupò solo di sostenere lo sguardo del cenreo.

«Controlleremo la veridicità degli eventi di cui mi ha parlato», ruppe il silenzio, dopo una pausa che sembrò non avere fine. «Nel caso le nostre indagini confermassero le sue parole, ci ricollegheremo a questo canale», ci era riuscita, «e ascolteremo le vostre condizioni».

Ci era riuscita. Ci era riuscita.

«Allora troverà il sottotenente Brahms», si scostò, mostrando l'uomo alla sua sinistra, «sarà lui a occuparsi della trattativa». Lovro entrò nell'inquadratura e, di nascosto, le strinse la spalla sana.

Un piccolo coro che urlava con lei all'universo. Poteva finalmente cessare di correre per essere udita.





«Quindi non sono lenti». Midah fu il primo a parlare, finita la connessione con colui che li salutò presentandosi come l'ambasciatore Keliri. Aykari abbozzò un sorriso nella sua direzione.

«Temo proprio di no».

«Figo», accompagnò con un fischio, «ora, essendo la Victoria in movimento, non sono sicuro di riuscire a calcolare un'area precisa della nave dove trasportarci», abbandonò lo schermo dal quale aveva monitorato l'incontro, per tornare alla sua postazione. Quando non ottenne alcuna risposta, si voltò. «Che c'è?», incrociò le braccia al petto, stringendo le spalle, «Sei la figlia di un terrorista, e allora? Mi vai certamente più a genio di quando ti spacciavi per una Lange», scosse il capo, «possiamo tornare al piano? O dobbiamo per forza avere una conversazione a cuore aperto?», staccò la spilla, lanciandola distrattamente alle sue spalle, «Perché vi conosco da tipo due ore e non so nemmeno se questo sia l'effetto di essere stato privato di ogni tipo di contatto sociale o se me ne freghi qualcosa di voi». Quando anche le sue ultime parole non ottennero una reazione, buttò le braccia al cielo, per direzionarle verso l'oggetto del suo precedente interesse. «Il piano».

«Mia madre era una Lange», fu l'unica cosa che riuscì a dire. L'alternativa sarebbe stata lanciarsi ad abbracciarlo, e il suo corpo non le avrebbe perdonato azzardi del genere.

L'altro emise una serie di versi di orrore e sgomento. «Non rovinarmi il sogno».

«Anche da parte mia non ci sono problemi», sussurrò un Gizbarrè rosso in volto, mentre si teneva impegnato a pulirsi le lenti con il tessuto grigio della sua maglia. Eriki gli batté la schiena così forte da essere udito anche a galassie di distanza, in un ouch collettivo.

Lovro si limitò ad annuire.

Avrebbe trovato un modo per ringraziarli, ma non era quello il momento. Avevano poco tempo per recuperare un ammiraglio e convincere un capitano testardo.

Si rivolse a Midah. «Purché sia sulla nave, non ha importanza il dove».




Su'hahru era a conoscenza dell'importanza del prendersi una pausa dal lavoro, in particolar modo per i suoi colleghi umani. Dopo un evento emotivamente pesante come la distruzione di Ki-II, lui stesso avrebbe preteso per tutti i presenti un mese di riposo. Tuttavia, non comprendeva cosa potesse spingere un cadetto ad assentarsi, senza autorizzazione, per un periodo superiore alla mezz'ora.

Da regolamento, un'assenza prolungata avrebbe dovuto essere concordata, o quanto meno comunicata, in modo da coprire il turno e organizzare una sostituzione. Essendo il capitano, i cambi nei turni non passavano per la sua approvazione: sarebbe stato poco pratico. Per tale motivo, ogni reparto aveva un responsabile che, a sua volta, riferiva al vice capitano. Non avendo lui ancora scelto un secondo, l'organizzazione della Victoria aveva una falla e, secondo logica, sarebbe stato suo compito porre rimedio e indagare.

Portò la sua attenzione alla nuca di Chidi.

Chi voleva ingannare? Aveva solo bisogno di un capro espiatorio dove rilasciare tutta la frustrazione che infestava la sua persona. Non era certo colpa di un cadetto se aveva le mani legate e il comando gli aveva ordinato di tornare sulla Terra. Se aveva fallito nel fermare i vidane.

Prese un respiro profondo. Odiava sentirsi impotente. Ma sarebbe servito un miracolo, o una pazzia, per trovare una soluzione a quella situazione.

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