Fata madrina d'altri tempi

Per quanto la scoperta del vero obbiettivo dei vidane cambiasse ogni cosa, in senso concreto aveva smosso ben poco la situazione. Erano a conoscenza del come e del perché, ma sul come fermarli si trovavano ancora in alto mare.

«Forse dovremo lasciarglielo fare», propose Midah, che, come un grillo, saltava da una postazione all'altra per analizzare ogni aspetto del suo nuovo giocattolo. «Nel senso, che potremmo fare per impedirlo?», alzò per un attimo lo sguardo dallo schermo. «Poi non è che i conrei siano mai stati nostri amici».

«Se riuscissero a indebolire i conrei, cosa impedirebbe poi loro di attaccare anche l'Alleanza?». Da un'altra tastiera, Lovro non si era ancora arreso. «Come potremmo fermarli, poi?». Aveva avuto accesso al sistema della base, in un disperato tentativo di mandare un segnale alla sede terrestre centrale. Loro avrebbero elaborato una strategia, ne era sicuro.

«Perché al momento non abbiamo problemi nel farlo, nossignore», colpì una nota alta, «il problema sarà solo dopo che avranno annullato la Repubblica, certo», annuì lentamente nella sua direzione. Lei si trovava d'accordo, ma aveva compreso la vena sarcastica non fosse il forte del navigatore, nel loro breve periodo di conoscenza. Si limitò quindi a osservare una copia digitale del globo, che prendeva forma su un visore vecchio di secoli.

«Io almeno faccio qualcosa!».

«Vuoi un applauso?», serviva ben altro per destabilizzare qualcuno sopravvissuto quattro anni in solitudine.

«Voglio che tu prenda sul serio la situazione», colpì con un pugno il tavolo che aveva davanti. Aykari realizzò che avrebbe dovuto presto disinnescare quel botta e risposta.

«E distruggermi il laboratorio come mi aiuterebbe a fare ciò?».

«Dimmi che almeno tu concordi con me», le strinse il polso sano. «Ti prego».

Gli coprì la mano con la sua fasciata.

«Dobbiamo fare qualcosa», reclinò il busto, «ma dubito l'Alleanza ci sarà di aiuto». Il sottotenente inclinò il capo, contraendo la mascella. «I protocolli prevedono che tutte le navi tornino alla base e, anche se venissero a conoscenza del vero obiettivo dei vidane, dubito farebbero qualcosa a proposito», si morse il labbro, ponderando il suo prossimo intervento, «non quando il rischio sarebbe indebolirsi per un nemico». Ancora una volta, detestò non tanto la logica, ma quanto la comprendesse.

«È noto come i conrei detestino l'Alleanza», le diede supporto Midah.

«E quindi cosa?», Lovro si staccò dalla sua presa, come se fosse stato bruciato, «Ci arrendiamo così?».

«Lovro, il punto è che...», si interruppe, fissando l'altro. Non era lui il vero oggetto del suo interesse, tuttavia. «Il punto è che la Repubblica non supporta l'Alleanza», enfatizzò con lentezza.

«Questo lo sappiamo, cara», sospirò l'espulso, «hai bisogno di qualcosa? Effetto tardivo dell'aver tenuto in mano un globo?», indicò distrattamente una superficie alle sue spalle, dove aveva riversato i viveri a disposizione per le basi. Il primo cibo per astronauti era un banchetto in confronto. «Per inciso, decisamente impressionante», la guardò di sbieco, annuendo. Aykari ignorò il complimento.

«Se i conrei sostenessero, o addirittura entrassero in trattative, l'Alleanza avrebbe ogni interesse nello stoppare i vidane», arrivò al nocciolo della questione. «Siamo nemici, ma non vi sono stati scontri diretti negli ultimi vent'anni», argomentò, tralasciando la parte in cui avrebbe dovuto ammettere il loro contributo alla campagna di suo padre.

«Vorresti proporre una pace?», la voce dell'altro era pregna di confusione, «con i conrei?». Si portò le mani fra i capelli castani, facendo cadere la sua bandana improvvisata. «Anche se, e dico se, accettassero di firmarla», fece una pausa, «come-come pensi di portarla avanti?». Accasciandosi su una sedia, abbassò il tono e continuò, «Tu sei una studentessa e io un sottotenente: non abbiamo l'autorità per rappresentare l'Alleanza».

«Detesto ammetterlo, ma ha ragione». Lovro alzò gli occhi al cielo. L'amore era nell'aria.

«E anche se riuscissi a coinvolgere tua nonna, intendo l'ammiraglio è tua nonna, no?», non le diede il tempo di replicare, «anche se riuscissi a farlo, non faremmo mai in tempo a portarla nella zona franca a firmare un trattato». Scoppiò a ridere a quella proposta. Non aveva proprio pensato a sua nonna, con la quale non parlava da ancora prima che abbandonasse la casa di famiglia. L'ammiraglio Lange le avrebbe chiuso la chiamata in faccia, dopo averla definita uno spreco di ossigeno in ogni modo possibile, senza utilizzare le esatte parole.

«Abbiamo un altro ammiraglio», gli ricordò, «e molto più vicino».

«Quindi fammi capire bene», mise in contatto i polpastrelli del suo indice e del suo pollice, «tu vorresti convincere, non so come, la Repubblica a firmare un trattato con l'Alleanza, con la quale, piccolo dettaglio, sono in guerra da ancor prima venisse creata», Midah emise un verso di approvazione, «per poi andare sulla nave vidane», pose una puntina invisibile sopra la sua testa, «ritirare l'ammiraglio Duarte, che supponiamo sia ancora vivo, uscire da lì illesa», continuò a tracciare un percorso in orizzontale, «portarlo a firmare e infine pure convincere l'Alleanza a intervenire in aiuto dei conrei?».

«Sì, l'idea è quella», annuì, grattandosi il collo.

«E come avresti intenzione di farlo?». Non era un no.

«Un passo per volta». Il terzo occupante della sala cessò di pretendere di non star ascoltando, tradendosi con un "siete pazzi". «Passo primo: conosci un buon traduttore?».





Forse era solo un mero desidero, ma in mezzo alle stelle non era forse il luogo più appropriato?

Eriki aveva vissuto troppo a lungo con la giovane Nanufaru per rassegnarsi alla sua perdita. Era un medico, la morte era un fenomeno con cui era entrata in contatto più volte: razionalmente poteva comprendere che una missione così a rischio avrebbe potuto avere un tale esito. Ma se funzionasse solo a livello razionale, non sarebbe mai entrata nell'accademia e non avrebbe esitato a farsi cambiare di stanza, dopo aver appreso la verità sulla sua amica.

Per quello, forse, non era ancora riuscita a superare la prima fase di elaborazione del lutto. E attendeva ancora un segnale, anche piccolo.

Scosse il capo, spegnendo il macchinario che velocizzava il processo di rigenerazione della cute. Il poverino era finito contro un pannello, lacerandosi l'intero fianco sinistro. Era la quinta persona che visitava nell'area delle urgenze. Sin dal primo anno si era offerta volontaria per assistere al pronto soccorso: non vi erano molti casi in grado di sconvolgerla.

Mentre accompagnava il paziente sulla sedia, in quanto ancora incapacitato a camminare in autonomia, dalla tasca le vibrò il comunicatore. L'ultima volta che aveva ricevuto un messaggio, era stato il raduno per imbarcarsi.

Aprì la conversazione, proveniente dal ponte di comando.

"Una graffetta antropomorfa mi chiede di te".

Oh.





Lèon Gizbarrè non aveva mai avuto timore di nascondere la vera ragione per cui fosse entrato nell'accademia: un posto di lavoro stabile e che gli permettesse di guadagnare uno stipendio onesto. Molti suoi colleghi erano mossi da ambizioni e sogni così luminosi da non rappresentare più la loro stella polare, ma il loro sole. Una caratteristica del sole era anche l'accecare i suoi prolungati ammiratori e lui era un grande fan delle sue lenti protettive: non vi era nulla di male nello scegliere una carriera senza invocare ideali o valori.

Per quanto potesse essere ironico considerarsi una persona con i piedi per terra, in una professione che lo avrebbe portato quanto più lontano da una superficie solida, apprezzava il suo piccolo ruolo all'interno di una nave così grande. Non era colui che li avrebbe guidati attraverso mille pericoli, con la promessa di uno spiraglio di bellezza, ma il comando necessitava anche dei singoli contributi. E lavorare con Duarte, sullo stesso ponte del primo uomo che aveva esplorato tre galassie sconosciute ed era tornato indietro per poterlo raccontare, non era da tutti. Anche se avrebbe preferito non essere stato notato da quest'ultimo. Era una voce perfetta per un coro, non per gridare l'ingiustizia di non poter seppellire un fratello, perito per mano dell'altro¹. Malediceva ancora il momento in cui Lange lo aveva interpellato, nonostante fosse sinceramente dispiaciuto per la prematura scomparsa sua e del sottotenente Brahms.

Per quello, quando sul suo pannello di lavoro apparve la notifica di una comunicazione firmata al nome di "Brahms" ebbe un principio d'infarto. Poi realizzò si trattasse di uno scherzo, uno scherzo pessimo, e ignorò la richiesta. Credeva che certe idee venissero lasciate agli anni delle medie.

Quando il burlone si ripresentò, questa volta come "Lange A.", poté solo sorridere al tentativo. Non aveva nemmeno mai parlato con i due, prima di quel giorno. Ma era anche vero che, data la sua natura solitaria, non vi erano molti elementi da sfruttare. Inoltre, provare con qualcuno che fosse legato ai due non sarebbe stato saggio: avevano visto tutti la violenza e precisione con cui la dottoressa Mun aveva praticato l'iniezione alla sua amica.

Decisamente pericoloso. Forse al prossimo avrebbe dovuto informarla.





¹ Riferimento alla tragedia "Antigone".

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