Déjà vu
Esisteva un vecchio detto sulla Terra che recitava che "fra il dire e il fare" ci fosse "di mezzo il mare". Chiunque lo avesse formulato non aveva mai conosciuto qualcuno come Ata Midah. Non solo aveva tradotto matematicamente una teoria formulata il giorno stesso, ma era riuscito a trasportare due esseri viventi a una distanza ritenuta impossibile e su un oggetto in movimento.
Chi avesse pronunciato "fortunato al gioco, sfortunato nel resto" doveva invece essere un suo intimo amico. Il genio era infatti riuscito a dislocarli sulla Victoria con successo, ma non avrebbe potuto scegliere area peggiore della nave.
Una delle eccellenze per cui erano note le creature di Duarte erano i laboratori. Da viaggiatore esperto, aveva imparato quanto importante fosse studiare e catalogare ogni possibile aspetto di un pianeta sconosciuto, prima di tentare un approdo. La sua ultima nave aveva a disposizione cinque aree destinate al lavoro di biologi, botanici e geologi, di cui due erano state equipaggiate di ampi terrari, dove poter riprodurre interi ecosistemi, al fine di osservare le diverse flore e indagare la loro interazione con la biodiversità dei principali pianeti dell'Alleanza. Era tradizione che uno di essi fosse riservato a Dudy, o a uno dei suoi figli. Una mascotte, considerata spesso un buon augurio per i successi della nave e dell'equipaggio. Un dono gentile, da parte dell'ammiraglio stesso.
Se Dudy non fosse stata una rara alnus dionaea¹.
Quando Aykari aprì gli occhi, terminate le vertigini che spesso accompagnavano la dislocazione, la prima cosa che le si presentò davanti fu una fila di denti verdi, in procinto di chiudersi attorno al suo collo. Si scansò all'istante, per evitare di finirci contro, ma il terreno instabile la portò a cadere all'indietro. Scalciò con le gambe, nel tentativo di allontanarsi il più possibile dall'enorme pianta carnivora, restando nella fuga impigliata per una manica a una delle sue foglie. Era ricoperta di una spessa peluria, che teneva ancorato a sé il tessuto della casacca. La sfilò, rigirandosi per sbattere i pugni contro il vetro della teca. Nessuno si doveva essere preoccupato di assicurarne il confinamento, poiché la parete cedette presto sotto la sua pressione e riuscì a sgattaiolare fuori, chiudendo la porticina dietro di sé con un colpo di tallone.
Sdraiata sul pavimento bianco a pancia in su, registrò a rallentatore il motivo per cui Dudy VII non si fosse accanito con ferocia su di lei. Motivo ulteriore al non possedere un sistema visivo.
«Merda».
L'oggetto delle sue imprecazioni era sospeso a testa in giù, in direzione di due cuscini rosa, il cui unico riposo che avrebbero potuto garantire era quello eterno. E stava strillando oscenità che avrebbero fatto arrossire alcuni suoi vecchi datori di lavoro.
Gattonò verso i comandi che regolavano l'umidità all'interno di quella particolare serra. Ne azzerò i livelli, ricordandosi vagamente dell'habitat temperato di cui la pianta necessitava per sopravvivere. Ottenne infatti la chiusura delle foglie, che si ritrassero verso lo stelo centrale, lasciando Ata al suo destino: quello di una mosca nella ragnatela. Preferendo evitare di entrare ancora a contatto con il velcro delle foglie, prese un bastone metallico dalla punta ricurva e lo avvicinò al malcapitato.
«Temo dovrai dire addio alla tua camicia», sospirò, tirando verso di sé. Il rumore dello strappo fu l'unico avvertimento che ebbe prima che l'altro cadde fuori dal terrarium. A peso morto. Su di lei.
Grugnirono entrambi, chi di dolore e chi di protesta, spalmati sul pavimento del laboratorio. Almeno avevano la certezza di trovarsi sulla nave corretta.
Ata fu il primo a trovare le forze di rialzarsi, inarcando la schiena per sedersi sui talloni. Con una smorfia, raccolse i brandelli della sua maglietta, lasciando che cadessero in una pozzanghera di tessuto alla sua destra. Si concentrò poi sul resto della stanza, fischiando in approvazione.
«Piante assassine a parte, si difende bene come nave».
Aykari annuì, prima che la porta si aprisse. Due uomini in divisa azzurra entrarono ad armi spianate, puntandoli subito come bersagli.
«Non è quello che sembra», sussurrò, alzando le mani. L'uomo mezzo nudo a cavalcioni sul suo bacino non aiutava la sua causa.
Sin dalla carica di sottotenente, Su'hahru riteneva di aver dovuto affrontare diverse situazioni assurde nella sua carriera nella flotta alleata. Aveva però presto imparato come gli umani sembrassero mettersi in competizione per sorprenderlo, anche in aree in cui credeva di aver visto ogni possibile risvolto.
Quando un cadetto si avvicinò, informandolo circa un allarme nel laboratorio tre, sospirò, immaginando qualche curioso fosse caduto vittima di Dudy. La frequenza con cui i membri dell'equipaggio rischiassero di venir mangiati dalla pianta o di perdere qualche arto era allarmante. Ma Duarte non aveva voluto sentir ragioni, arrivando a pretendere la rimozione dalla posizione di comando di chiunque provasse a disfarsi della pianta. A nulla erano serviti i seminari che aveva tenuto sul come non stuzzicare una creatura che si cibava di mammiferi. "Selezione naturale", ci scherzava spesso sopra Chidi. Era meno divertente il dover giustificare gli incidenti nel report annuale di fronte al comando, con l'ammiraglio che giocava sul suo comunicatore, alzando saltuariamente il pollice.
D'altronde un cartello avrebbe potuto far poco di fronte alla dimenticanza di Madre Natura nel dotare i suoi figli di istinti di sopravvivenza. Dimenticanza a suo parere volontaria, a cui gli umani facevano fronte bilanciandola con una buona dose di testardaggine.
Tuttavia, non si sarebbe mai aspettato di trovarsi di fronte a qualcuno di cui aveva controfirmato il certificato di morte, accompagnato da un individuo in costume che cercava di coprire le sue nudità con le braccia.
«Lange?», gli sfuggì, prima di avere tempo di ricomporsi. «Spero lei abbia una spiegazione sul perché e sul come si trovi sulla Victoria», analizzò velocemente la donna che aveva davanti, dal corpo segnato da tracce di folgorazione, «e su dove si trovi il sottotenente Brahms». Guardò lo sconosciuto, «e sul perché lo abbia scambiato con un bagnante».
«Lei deve essere il capitano», lo indicò l'altro, «avevate lasciato intendere fosse uno stronzo, ma ora capisco il perché», sussurrò alla studentessa.
«Tu non sai cosa sia la sottigliezza, vero?», gli ringhiò contro. Poi si rivolse a lui, sfoggiando un ampio sorriso. «Capitano, salve. Come vede non sono morta, mentre Brahams è al sicuro», arricciò le labbra, «lontano anni luce, ma al sicuro». Congiunse le mani davanti a lei e poté notare come una fosse fasciata fino al gomito, dal quale partivano le bruciature più spesse.
«Non ha risposto a nessuna delle mie domande».
«E non ho intenzione di farlo». Qualcuno alle sue spalle si strozzò, cercando di mascherare una risata. Sospettò fosse il suo pilota, ma non si voltò, preferendo sostenere lo sguardo della rediviva. «Non ora almeno», gli concesse dopo qualche istante.
«Cosa mi impedisce di chiuderla in cella?». L'altra aprì la bocca, ma prima che potesse emettere un suono l'arrivo di altri tre individui la fermò.
«Capitano», lo salutò la guardia, «li ho trovati in un deposito, intenti a mandare un messaggio alla Repubblica dei cenrei». Spinse in avanti la dottoressa Mun e il cadetto che si era assentato dal ponte, Gizbarrè, se non ricordava male. La prima sorrise, alla vista della sua amica, mentre il secondò si rifiutò di alzare gli occhi dal pavimento.
«La Repubblica?», era un nuovo livello di insubordinazione, come minimo sarebbe rientrato come tradimento. «Siete a conoscenza delle ripercussioni che potrebbe avere questo gesto? Come intendete giustificarvi?».
«Stavano seguendo degli ordini», si frappose Lange.
«Ordini di chi?».
«Miei, capitano». Avrebbe dovuto essere una sorpresa. Non la era.
«Immagino che sia al corrente di non avere l'autorità necessaria per dare ordini», portò le mani dietro la schiena, «allieva». L'altra contrasse la mascella.
«Potrà portare il caso davanti alla corte marziale», inclinò il capo, «in fondo, conosce già tutti i miei dati per l'accusa, no?». Eccolo, il fuoco con cui gli aveva tenuto testa durante il processo. «Ma ora mi ascolti, perché ne andrà delle vite di un sacco di gente».
«Perché eravate in contatto con i conrei?».
«Perché stiamo concordando un trattato fra l'Alleanza e la Repubblica». Alzò un sopracciglio.
«Ancora una volta», scosse la testa, cacciando l'illusione che qualcuno potesse essergli d'aiuto, «voi non avete alcuna autorità per concordare nulla con popoli esterni all'Alleanza». Il comando lo avrebbe divorato per un incidente diplomatico simile.
«Non lo abbiamo firmato», protestò Lange, «per quello ci serve Duarte». Si passò una mano fra i capelli, impigliandosi le dita nella coda sfatta. «Li ho solo convinti ad aiutarci».
«E come avrebbe fatto a persuaderli?». I conrei non avevano mai nascosto il loro astio per gli umani, rinunciando a ogni tipo di accordo con gli yomiti quando essi formarono l'Alleanza. Come avrebbe fatto una Lange, simbolo della sfrontatezza degli abitanti della Terra, a portarli dalla sua parte?
«Glielo dirò, capitano», alzò un angolo della bocca, «se lei accetterà di aiutarmi».
«Perché dovrei crederle?». Il motivo del loro primo incontro riguardava una frode accademica, a più livelli, ma questo dettaglio non sarebbe dovuto entrare in possesso dell'altra.
«Perché so che lei non riesce a dare un senso a quell'attacco», indicò lo spazio fuori dalla finestra. «Perché lei sa che non saremmo in grado di contrastare la loro tecnologia». Avanzò di un passo. «Perché anche lei rivuole Duarte indietro». Si fermò quando i loro nasi furono a pochi centimetri di distanza, «e perché, diciamocelo», abbassò la voce, «anche lei pensa gli ammiragli siano un branco di incompetenti, altrimenti sarebbe già nel settore della federazione terrestre». Così da vicino poté riscontrare quanto la sua prima impressione fosse sbagliata: i suoi occhi non erano di un mero azzurro, ma dotati di sfumature verdi e violacee, come le ultime grida di un astro morente, ancora così pieno di energia da generare vita e punire gli incauti viandanti.
Avrebbe fatto la loro stessa fine?
«Per recuperare l'ammiraglio avremo bisogno delle loro coordinate», obiettò, «ne è in possesso?».
«No», confessò l'altra, «ma ho qualcosa di meglio», interruppe il contatto visivo per rivolgersi allo sconosciuto, «un uomo in grado di rintracciarli ovunque loro siano».
«Mi dica che non è l'uomo in mutande». Lange rise.
«Ovviamente è l'uomo in mutande».
Rivoleva Brahms.
¹ Alnus dionaea: pianta inventata, frutto dell'unione tra la dionea (venere acchiappamosche) e l'ontano. Ha l'aspetto di una dionea, con la caratteristica di estendersi fino a tre metri in altezza e cibarsi di mammiferi di taglia media, occasionalmente anche di umani.
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