Che ne sanno i Tremila
«Qualcosa ancora non mi torna», esordì Midah, dopo minuti di mutismo volontario.
«Se la domanda è perché stiamo cercando di aiutare i conrei», Lovro tracciò l'ennesima "X", maledicendo sottovoce il sistema antiquato dal quale stava lavorando, «puoi risparmiartela». Era intento a calcolare il percorso della Victoria, al fine di poter mandare un messaggio. Ma gli schermi erano in un codice che dubitava altri oltre l'eremita conoscessero e le carte di navigazione risalivano a due secoli addietro.
«No, a quello ci ho rinunciato», alzò le mani, spostandosi a passo leggero accanto al sottotenente, per ammirare la sua mancanza di progressi, «Tuttavia, trovo curioso come avessimo decretato che il loro obiettivo fossero i pianeti del sistema Culaech», premette un tasto e i simboli mutarono in quelli della lingua comune, sorridendo allo sdegno altrui, «quindi, perché i vidane stanno facendo rotta verso la cara vecchia Via Lattea?».
«Cosa?», Aykari scattò in piedi, atterrando su un tappeto di fogli, che aveva precedentemente scartato per ricavare una branda di fortuna.
«Se hanno grandi quantità di kentamonio sulla loro nave, posso sfruttare il segnale radioattivo e tracciarli», indicò con il pollice uno dei televisori ammassati sulla superficie dove stava lavorando poco prima.
«Voglio sapere da quanto sei in possesso di questa informazione?», prossimo alla combustione spontanea, il navigatore strinse il bordo del tavolo.
«Ti sembro forse un telepate?». Qualcosa sarebbe volato in quella stanza.
«Riusciresti a calcolare la loro traiettoria più probabile?», tagliò corto lei, rimproverandosi per non essere giunta prima a quella soluzione. Perché quella deviazione? Il loro piano aveva finalmente un senso.
Midah si schiarì la voce.
«Lo hai già fatto».
«Non so come tu sia abituato», puntellò con l'indice piegato la propria fronte, «ma la gente non parte da Adamo ed Eva per spiegare la vanità di Giulio Cesare». Sperò fosse un detto della regione artica e non l'ultimo briciolo di pazienza dell'uomo che andava a disintegrarsi.
«Dove sono diretti?». Da sorella minore con troppo tempo a disposizione, comprendeva l'istinto che portava a irritare senza ragione chiunque fosse così ingenuo da rispondere. Le circostanze però premevano e avevano sempre meno tempo a disposizione.
«A queste coordinate», scostò le mani impacciate dell'altro e trasferì i dati sul visore. Lovro assottigliò lo sguardo, mimando la combinazione numerica con le labbra.
«Non c'è nulla a quelle coordinate», concluse infine.
«Ufficialmente». Midah si grattò il mento.
«Ufficialmente?».
«L'Alleanza può professare in lungo e in largo di essere guidata da obiettivi pacifici, ma non è composta da ingenui», dopo pochi attimi delle linee azzurre apparvero in quel lotto vacante, tracciando un incastro di tre cilindri, «perché credete che le navi destinate alla sola esplorazione abbiano a bordo un sistema di difesa così avanzato?».
«Si chiama appunto difesa, genio».
«Sottotenente, non mi fraintenda», emise dei brevi schiocchi con la lingua, «per una volta condivido le loro scelte, dico solo che esistono molti modi per difendersi». Aykari si sporse oltre la sua spalla, per analizzare quel particolare satellite.
«Una base segreta?», ipotizzò, «Perché i vidane dovrebbero scomodarsi tanto per una base difensiva dell'Alleanza?».
«I Lange non lavano i panni sporchi in famiglia?».
«Non ero la sua nipote preferita». Midah arricciò il labbro superiore.
«La base non ha uno scopo prettamente difensivo, in quanto in parte è anche un archivio centrale per i servizi segreti di vari settori», le spiegò, «e indovinate il loro target principale?».
«La Repubblica», il navigatore chiuse gli occhi.
«Ecco come hanno intenzione di superare le loro difese», si coprì la bocca. Se fossero entrati in possesso di quelle informazioni, di tutte quelle informazioni, i vidane e i rikhu avrebbero potuto superare anche ogni barriera posta dall'Alleanza, senza dover ricorrere all'avanzata di una nave solitaria. «Non dobbiamo fermarli prima che arrivino a Culaech», deglutì rumorosamente, «dobbiamo intervenire subito».
«E come facciamo con il codice?», le ricordò Lovro, «Sono in grado di fermare la nostra intera flotta senza dover ricorrere alle armi».
«I conrei hanno sistemi con una base diversa dalla nostra». Si voltarono verso il terzo. «Cosa c'è?».
«Credevo non volessi aiutarci», inclinò il capo il sottotenente.
«Ti ricordo che senza di me non sapreste nemmeno dell'esistenza del loro obbiettivo».
«Il fatto che tu conosca così bene ogni nostra debolezza non mi rassicura, in effetti», tornò alle sue mappe.
«Sono un bastardo paranoico con manie di controllo», allargò le braccia Midah, «dovresti essere grato che non smonti anche il cesso a ogni utilizzo».
«Quindi che facciamo?», Brahms scelse di passare oltre l'ultimo intervento. «Un contro è proporre una pace e apparire come salvatori, un altro è partire da una richiesta di aiuto», poggiò una guancia sulle nocche, guardandola dal basso, «potrebbero vederla come un'occasione per indebolirci e scegliere di attaccarci anche loro». Non era una preoccupazione infondata: i conrei non avevano mai nascosto il loro astio verso tutto ciò che riguardava l'Alleanza, e gli umani in particolare. Era però anche vero che senza un supporto esterno, diverso dal loro ormai compromesso, non avrebbero avuto possibilità di fermare l'equipaggio vidane.
L'unica nota positiva era rappresentata dal fatto che, codice o non codice, i vidane avrebbero avuto bisogno di un accesso di livello superiore per accedere a quelle informazioni senza distruggerle. E ciò deponeva a favore della possibilità che Duarte fosse ancora in vita.
Dovevano agire il prima possibile.
«Dobbiamo offrire qualcosa in cambio», annuì, «o convincerli del fatto che potremmo rappresentare un valido alleato». A cosa avrebbero potuto essere interessati i conrei? O cosa loro, una studentessa sospesa sotto falso nome, un espulso svogliato e un navigatore sull'orlo di una crisi di nervi, avrebbero potuto offrire, di concreto, senza che l'Alleanza ritirasse ogni promessa. La Repubblica era conosciuta per non apprezzare i ripensamenti.
«I vidane avranno molto più di un braccio per l'estrazione su quella nave», osservò l'inventore, «era pratica comune spartirsi il bottino». Sarebbe stato sufficiente?
«Oppure potremmo rinunciare alle informazioni su di loro allocate nella base», propose l'altro, con lo sguardo fisso su quelle coordinate, come se la loro mera esistenza lo offendesse.
«Sottotenente, lei vive in un mondo di unicorni e nuvole di zucchero». Lovro rise, seccato.
«Sono sicuro che menti deviate come la tua abbiano una copia di quei dati conservata in un'altra sede», oscurò l'immagine, «basterà omettere quella parte».
«I bambini crescono», Ata si asciugò una finta lacrima. L'altro sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Smettila di fare il pagliaccio e trovami quel traduttore», si alzò, «ora».
«Sissignore».
«Vuoi davvero andare avanti con questo piano?», gli domandò invece Aykari. Era a conoscenza del fatto che fosse stata proprio lei a proporlo e ancora credeva fosse una delle poche, se non l'unica, delle vie praticabili. Tuttavia, era un castello i cui mattoni si chiamavano "se" e la pietra angolare era un impossibile "forse".
«Aykari», l'afferrò per le spalle, avendo cura di non usare troppa pressione, «ho iniziato la mia giornata pensando che il mio problema più grande sarebbe stata la fila al mio bar preferito», le sorrise, «e ora mi ritrovo nella galassia di Eir, con uno svitato in costume e una che raccoglie fulmini in bottiglia a mani nude, sopravvivendo», sobbalzò, permettendo alla tensione di lasciare il suo corpo esausto, «e questa non è nemmeno la parte peggiore», sussurrò, lanciando un'occhiataccia a Midah e al suo banco da lavoro, sorretto da equilibri e speranza, «per cui sappi che il tuo piano non è più pazzo del resto che mi è accaduto oggi». Gli strinse l'avambraccio, in segno di gratitudine.
«Quando la mette così, sottotenente». La mandò al diavolo, prima di voltarsi e uscire dalla stanza.
Una nuova nuvoletta apparve al centro del pannello. E Gizbarrè stava rimpiangendo di non essersi portato dietro quell'amuleto che usava sua nonna contro i gatti neri.
Provò a rimuoverla, ma sembrava più resistente della altre. Prima che potesse chiamare un tecnico, a essa si affiancò un'icona. Una graffetta dotata di occhi e bocca?
"Gizbarrè, non ho molto tempo _ Lange". Si guardò attorno, sperando di cogliere qualche collega con la ridarella.
Decise di rispondere.
"Perché ti firmi come Lange?".
"Perché lo sono?".
"Dubito".
"Sul serio? Non ho tempo per questi giochi". Come se lui lo avesse.
"Non sono io a giocare".
"... Fai una cosa: contatta la dottoressa Mun e dille cosa sta accadendo". Esitò, nel premere il canale che lo avrebbe messo in comunicazione con l'ala medica. "SBRIGATI". Afferrò il suo comunicatore personale, preferendo la discrezione dei messaggi privati. Non avrebbe osato in altre occasioni, ma se si fosse trattato di qualche virus avrebbe preferito non coinvolgere l'unica area che avrebbe potuto salvargli la vita. O terminarla senza destare sospetti.
Ottenne presto un "Cazzo, è viva!" e si sentì svenire.
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