5. Teoria
Non chiusi praticamente occhio se non all'alba e quando finalmente ero scivolata in un sonno senza sogni una musichetta insopportabile si diffuse da un altoparlante posto al di sopra della porta. Spalancai gli occhi, frastornata, e mi tirai su a sedere comprendendo che quella era... la sveglia.
Rimasi come sconcertata per alcuni secondi. Perché accidenti dovevo svegliarmi all'alba se tanto ero rinchiusa in una gabbia. Esperimenti - Elise - ti vogliono sezionare.
Mi affrettai in bagno con la busta di abiti che era rimasta inutilizzata su di una sedia per tutta la notte. Mi diedi una lavata e cercai di eliminare un po' dei nodi che ingarbugliavano i miei capelli ramati. Lo specchio rifletteva la mia espressione preoccupata, i miei occhi nocciola erano contornati da ampie occhiaie, una ruga solcava la mia fronte. Mi avvicinai per osservarla meglio... Niente, la mia solita fronte. Cosa ti aspettavi? Almeno il famoso, gigantesco brufolo!
Mi infilai il nuovo paio di jeans e una maglia verde a manica lunga. Mi stavano bene. Mi sarei dovuta insospettire per il fatto che sembravano conoscere perfettamente la mia taglia?
Bussarono e mi sbrigai a farmi trovare nella camera. Quando la porta si aprì invece del solito cappotto e del suo proprietario fu il tizio che si chiamava Phil a sorridermi dalla soglia. "Buongiorno Cappuccetto Rosso!".
Pazzoide. Sorridi, Elise. Sorrisi. "Buongiorno Phil".
Lui ammiccò, aggiustandosi gli occhiali: doveva essere un tic o qualcosa del genere. Mi porse un foglio stampato. "E' il tuo orario. Inizi i tuoi corsi tra un'ora, intanto ti accompagno in mensa per la colazione".
Lo osservai apatica, cercando di far coesistere nella mia testa le parole "Carcere", "orario" e "lezioni".
Mi guardò rammaricato. "Deve essere difficile per te, ma vedrai che ti ambienterai e presto sarà tutto più chiaro".
Sembrava davvero dispiaciuto per me, probabilmente anche lui aveva subito il lavaggio del cervello. Guardai verso il letto. "Prendo la felpa".
Sorrise e scosse la testa. "Non prenderla, non servirà, qui il riscaldamento funziona piuttosto bene".
Il mio laccio... Corsi verso il letto e agguantai la felpa. "Sono freddolosa".
La infilai mentre varcavo la porta e lui sembrò sorpreso, ma mi lasciò fare.
Quando arrivammo in mensa questa era semi deserta. Mi guardai attorno con il mio vassoio tra le mani. Parecchie panche e tavoli metallici. I banconi con il cibo su di un lato.
"Sono praticamente tutti a lezione, ti abbiamo concesso un'ora in più di riposo, Lady Irene pensava che ne avresti avuto bisogno", mi spiego Phil sedendosi di fronte a me.
Iniziai a mangiare il mio pane tostato con la marmellata. Era incredibilmente buono, per essere cibo da mensa. Bevvi un generoso sorso di succo d'arancia e gli zuccheri in circolo mi diedero lucidità e l'impressione che avrei potuto farcela. Non adagiarti, non sei al sicuro! Basta davvero un toast per farti abbassare la guardia?
"No, Signore!", mormorai senza rendermene conto.
"Come?", chiese Phil sporgendosi verso di me.
Mi sforzai di sorridere. "Niente, niente, è tutto molto buono!".
Phil si raddrizzò, un sorriso orgoglioso spuntò sulle sue labbra. "Lady Irene vuole solo cuochi italiani!".
E certo, servono cuochi italiani per tostare il pane, dunque in questa baracca circola la grana...
Il rumore ovattato si insinuò di punto in bianco nella mia testa. Deglutii ansiosamente, cercando di tenere la mia mente a bada.
Phil sembrò accorgersene perché la sua espressione si fece preoccupata, sporse addirittura una mano al di sopra del tavolo. "Tutto bene? Sei pallida".
Ci mancava solo che mi chiudessero nuovamente nella mia cella. "Sto benissimo! Pronta per le mie lezioni!".
Mi osservò perplesso per un attimo, dopodiché annuì rasserenato e ci incamminammo verso la mia successiva destinazione.
L'aula era una comunissima aula a parte la mancanza di finestre. Poche sedie, di quelle con il banco incorporato erano sparse in maniera disordinata e una cattedra si trovava addossata alla parete. Phil mi fece cenno di entrare e si defilò come il giorno prima e a quel punto mi ritrovai a guardare quattro paia di occhi che mi fissavano.
Fantastico, primo giorno di scuola, di nuovo... Ormai sapevo come fare. Sollevai la mano pigramente in un muto gesto di saluto senza ricambiare in maniera diretta nessuno di quegli sguardi curiosi e andai sedermi sulla sedia più vicina all'uscita. Forse anche loro erano stati rapiti come me. C'era tantissimo da scoprire.
Pochi attimi dopo la porta si riaprì e Griffen fece il suo ingresso. Un mormorio scontento e qualche bassa imprecazione si diffusero nella classe; mi azzardai a guardarmi attorno e vidi una ragazza – l'unica altra ragazza oltre a me - che sprofondava nella sedia, abbassando lo sguardo, nel palese inutile tentativo di rendersi invisibile, la lunga frangia corvina piovve sui suoi occhi come una cortina.
"Buongiorno bambini".
Irritante. Griffen si sedette sulla cattedra e ci osservò per un lungo istante. Che ci faceva lì? Qual era il suo ruolo? E il mio?
Sorrise soddisfatto, come se il nostro mutismo fosse esattamente ciò che si aspettava.
"Come avrete notato, avete una nuova compagna, quindi mi sembra giusto fare una lezione di riepilogo e questo onore oggi tocca a me".
Il disagio era quasi palpabile, nessuno sembrava osare guardarlo negli occhi; lo detestavo, non riuscivo a non provare un odio profondo. Mi aveva catapultato in questo incubo e si capiva che anche gli altri ragazzi avessero paura di lui. Strinsi nella tasca il laccio e forse se fossi stata abbastanza veloce avrei potuto prenderlo di sorpresa, magari gli altri ragazzi mi avrebbero aiutato e... Mi resi conto che un ragazzo alla mia sinistra mi stava fissando con intensità e quando voltai appena lo sguardo per capire cosa volesse mi fece un impercettibile segno di no con la testa; i suoi occhi verdi non erano spaventati, ma guardinghi e sembrava arrabbiato quanto me.
Distolsi in fretta lo sguardo riportandolo sul nostro fantastico insegnante e mi immobilizzai perché lo ritrovai che mi fissava in silenzio. Esattamente come gli altri abbassai lo sguardo. Conoscevo l'atteggiamento: l'abuso di potere che a volte gli insegnanti attuavano contro ragazzi inermi, sapevo come sopravvivere a questo.
"Bene. Cos'è la materia?".
Fisica? Sospirai internamente.
Non attese risposta. "La materia è tutto ciò che ci circonda, la materia siamo noi e lo spazio tra le cose. Cosa conferisce densità alla materia?". Naturalmente neanche in questo caso si aspettava una risposta, era una sorta di monologo a mio uso e consumo. "La frequenza. 'In principio fu il verbo', ossia il suono".
Arabo. Ma a lui non importava fermarsi a capire se per me fosse tutto chiaro. Era come ascoltare una registrazione.
"Cosa siamo noi in realtà? Assolutamente niente. Siamo una proiezione materiale di una coscienza collettiva non locale e nel momento in cui lo comprendiamo il gioco è fatto".
Ah sì?
Sentii i suoi passi avvicinarsi e rimasi perfettamente immobile. Non sollevai lo sguardo, ma nel mio campo visivo entrò la sua mano a palmo in su.
Vidi crearsi delle leggere increspature sulla superficie della sua pelle; all'inizio pensai che i miei occhi mi stessero giocando un brutto scherzo ma pian piano, sotto il mio sguardo ipnotizzato, prese forma un laccio arrotolato: era rosso, esattamente come quello che sentivo ancora ben presente tra le mie dita che lo stringevano convulsamente nella tasca della felpa. Un'ondata di nausea mi travolse e sollevai istantaneamente lo sguardo su di lui, nelle sue iridi leggeri bagliori vermigli che sparirono subito. Senza smettere di osservarmi poggiò il laccio gemello sul mio banco e uscì dall'aula richiudendosi la porta alle spalle.
Buongiorno! Ecco che il titolo inizia ad avere una spiegazione :D
E più si andrà avanti, più le parole di Griffen acquisiranno significato.
Riuscirà Elise a tirarsi fuori da questa strambissima situazione?
A martedì!
B.
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