32. Falsa partenza
Erano passate settimane dalla visita di Hideyoshi, o meglio dal momento in cui Griffen aveva deciso che potesse andarsene tutto intero e non come una ciambella di Signore della Materia.
Da allora le cose erano impercettibilmente mutate nel gioioso maniero in cui avevamo giocato per tanto tempo alla famiglia felice.
Griffen aveva ripreso ad evitarmi. Spariva per intere giornate, assegnandomi compiti sfiancanti e ripetitivi. Mi sembrava di essere tornata nel carcere, quando venivo rinchiusa ogni sera nella mia cella.
Le rare volte che si palesava era gentile e impeccabile, ma distante.
Chiariamo: sapevo di essere una bella rogna e magari stava iniziando ad averne le scatole piene, lo comprendevo... E' che per uno che si era più o meno dichiarato un paio di volte pareva strano, ma ehi... anche i più pazienti a un certo punto decidono di voltare pagina, o secolo, o millennio...
Ormai conoscevo lo spuntone roccioso su cui abitavamo meglio delle mie tasche, l'orizzonte mi era familiare quanto le mie mani. Adoravo la casa di Griffen, non era per niente difficile capire perché lui vi fosse così legato, ma era il suo posto e come si dice del pesce? Dopo qualche giorno puzza.
Dovevamo sistemare la faccenda con mio padre, una volta per tutte in modo che avrei potuto concedergli la sua libertà. Se lo meritava.
Continuavo tuttavia ad avvertire la sgradevole sensazione che mi stesse nascondendo qualcosa, non era da lui. Lanciai un sasso giù dalla scogliera e mi sedetti lasciando penzolare le gambe nel vuoto. Chiusi gli occhi e lasciai che la mia mente esplorasse, si spingesse verso il mare. Era sempre lì che il mio inconscio mi portava. Decisi di respirare come mi aveva insegnato Griffen e mi concentrai.
Luc era il mio campanellino che suonava a intervalli più o meno regolari. Avevo paura di pensare troppo a lui, paura di vedere qualcosa che non avrei voluto. Per cui cercavo la sua frequenza in maniera superficiale, accontentandomi di percepire che fosse ancora vivo e lo era. Ero una vigliacca.
Secondo Griffen non ero ancora pronta, ma nonostante ciò che Luc mi aveva fatto, era stato l'unico che all'inizio mi aveva teso una mano, anche se poi era stato compromesso. Definitivamente? Riaprii gli occhi. Doveva esserci ancora una speranza. Se fossi stata abbastanza forte avrei potuto raggiungerlo e forse addirittura sottrarlo al giogo di mio padre. Dovevo quantomeno provare. Mi ero nascosta abbastanza. Avere qualcuno che si occupava di me mi aveva reso pigra, ma adesso che il rapporto tra me e Griffen pareva mutato non avevo più scuse: dovevo agire. Quante volte lo hai già detto?
Stavo quasi per raggiungerlo, la sua essenza sottile e lievemente alterata, quando udii una frequenza più vicina.
Mi alzai e gli andai incontro non volendo ammettere neanche con me stessa il sollievo che stavo provando per aver dovuto interrompere il mio flebile tentativo di raggiungere Luc.
Vidi Griffen che si avvicinava in tenuta da combattimento. Sospirai silenziosamente: aveva la faccia di uno che voleva farmi il culo.
"Cosa facevi?".
"Meditavo", non era del tutto una bugia.
Il suo sorrisetto mi dimostrò che non se l'era bevuta. Si mise in posizione e attese che attaccassi e stavo per farlo lo giuro, ma lui agì per primo e non sarebbe stato un problema se una visione non mi avesse colpito in quel preciso istante. Proprio nel momento in cui la mano di Griffen colpiva il mio polso, accadde una cosa incredibile: per la prima volta vidi il futuro.
Dormivo nel mio letto, i capelli aggrovigliati sul cuscino, le lenzuola attorcigliate alle mie gambe. Griffen mi osservava immobile. La sua espressione... un velo di tristezza nei suoi occhi caramello. Allungò esitante una mano e mi sfiorò la guancia. Guardò la mia mano fasciata dal bendaggio causato da una ferita che non mi ero ancora procurata.
Cosa più importante: in questo futuro vicinissimo indossava il suo cappotto.
Il dolore al polso fu lancinante. Griffen non tratteneva più la sua forza da tempo, perché sapeva che io lo avrei fermato. Non badai alle scintille di dolore bianco. Portai il braccio al petto e lo guardi tradita.
Griffen si preoccupò, facendo un passo verso di me. "Elise?".
"Stai per andartene!", lo accusai. "Era questo che mi nascondevi?".
Per un attimo spalancò gli occhi, ma si riprese subito. Non negò, al che mi alterai ancora di più. "Siamo ancora a questo punto Griff?".
Come mi aspettavo si lasciò scivolare il nomignolo che gli avevano affibbiato i ragazzi in Arizona. "Non c'è da farne tutta questa tragedia, tornerò tra qualche giorno".
Mente. "Lo so", risposi a voce alta al mio interlocutore mentale.
Griffen capì benissimo che non parlavo con lui, per cui rimase in attesa, in un immobile silenzio.
Incrociai le braccia. "Cosa mi nascondi?", chiesi con tono quasi conciliante.
Non rispose, continuò ad osservarmi immobile e guardingo, come se si aspettasse un attacco o qualcosa del genere.
Col senno di poi posso dire che semplicemente mi conosceva abbastanza bene da sapere cosa sarebbe successo.
Dovevo sapere cosa stava succedendo, ad ogni costo. Senza neanche accorgermene cercai di entrare nella sua testa, solo un pochino - niente di che- ma un muro invisibile mi bloccava. Spinsi la mia volontà e gli occhi di Griffen divennero rosso fuoco.
C'ero quasi... lui resisteva, ma io ero già lì e quando superai l'ostacolo della sua difesa fu come abbattere una diga.
Una conversazione telefonica
andai oltre,
un rapimento
andai oltre
Orrore, incredulità
andai oltre.
Superavo le coscienze come si sfoglierebbero le pagine di un libro; era incredibilmente semplice e inquietante, ma non avevo tempo di curarmene.
Buio, solitudine, terrore.
Una ragazza dai capelli neri singhiozzava in una cella stringendo le ginocchia al petto.
Gillian.
Altri: Arthur, Brian, Mark, Jeff . Tutti.
Dolore. Urla.
Tornai in me al suono della sua voce. "Elise!", secco, deciso, come uno schiaffo in pieno viso.
Spalancai gli occhi. La nebbia tentava di avvolgere Griffen mentre lui la teneva a distanza con sempre maggior fatica. Solo che stavolta ero stata io a evocarla. Avevo usato quello schifo contro di lui... ero stata davvero io? Forse, ma per una buona ragione, giusto? Continua a ripeterlo...
Ero come lui dunque...Lady Irene aveva sempre avuto ragione.
"Elise!", tuonò Griffen e anche in mezzo all'ennesimo casino che stavo combinando sapevo che detestava ripetersi.
Bastò un battito di ciglia e la nebbia sparì. Guardai Griffen e il gelo mi avvolse. "Li ha presi tutti", bisbigliai non sentendomi sicura della mia voce.
Griffen allargò le braccia, come a volermi contenere, ma lui non capiva. Eravamo oltre ormai.
Sapevo dove si trovavano. Mi voltai con estrema calma verso la scogliera.
Griffen iniziò a pronunciare il mio nome – per l'ennesima volta- ma non gli lasciai il tempo: corsi verso il margine della scogliera, la Francia non era poi così lontana, potevo addirittura far avvicinare le coste. Sentivo le particelle del suolo che rispondevano alla mia volontà, ma un lampo di lucidità mi suggerì che un disastro geologico non era la soluzione ideale. Sarei saltata e avrei nuotato o mi sarei semplicemente dissolta tra le onde per ricostituirmi lì, dovevo essere per una volta a fare la cosa giusta. Mi era bastata una frazione di secondo per fare tutti i miei deliranti ragionamenti e per correre e slanciarmi verso il mare, ma mi ritrovai improvvisamente a terra con Griffen addosso.
"Togliti dai piedi!", gli urlai a pieni polmoni.
Mi tenne ferma al suolo mentre mi dibattevo. Mi sibilò all'orecchio: "Ti spezzerò ogni singolo osso se sarà necessario".
Lo guardai furiosa. "Provaci!", gli sbraitai contro e l'energia che entrambi irradiavamo scavò un cratere enorme sotto di noi che sprofondammo sempre più in basso sollevando terra e detriti attorno a noi.
Non mi lasciò neanche un istante e quell'improvviso buio mi ricordò il motivo per cui stavo per gettarmi da quella scogliera senza alcun ripensamento.
Mi sentii improvvisamente indifesa. "E' lì...al buio. Sola e ha così tanta paura!". Il dolore di tutti quei ragazzi mi annientava. Ed è colpa tua. Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Griffen allentò la presa, solo per potermi attirare a sé e stringermi tra le braccia.
Iniziai a singhiozzare. "Devi lasciarmi andare... Urian". La mia era una supplica.
Mi scostò da sé per prendermi il viso tra le mani, con delicatezza. Scosse la testa e io cercai di anticiparlo.
"Ti prego, non dirmi che non sono pronta, li perderemo tutti se non farò qualcosa", gli dissi con urgenza. Posai le mie mani sulle sue, ancora sul mio viso. "Avevi ragione, noi non siamo niente, io non sono nulla se non lo strumento per far finire tutto questo".
L'espressione di Griffen si fece d'acciaio. "No, ero io a sbagliarmi. Tu non sei niente, tu sei tutto!". Lo disse con intensità. "Ho dovuto aspettare più di mille anni per capirlo, ma la lezione l'ho imparata e non posso lasciare che ti accada qualcosa".
Scossi ancora la testa e un po' di terra ci franò attorno, ma non me ne curai perché lì con lui io ero al sicuro, sempre.
Addolcii il tono e fu facile, con lui che mi teneva stretta a sé in quello spazio angusto. "Questo è ciò per cui mi hai addestrata tutto questo tempo, sta a me adesso, lo comprendi?".
"Lascia che me ne occupi io, ti prego". Stavolta fu lui a implorarmi.
Gli accarezzai i capelli, desideravo farlo da così tanto tempo. "Lo hai fatto fino ad ora. Sarei morta da un pezzo se non fosse stato per te". Mi sollevai in piedi porgendogli una mano. "Potrai farmi da assistente", gli proposi sorridendogli.
Griffen sorrise a sua volta afferrando la mia mano non del tutto convinto, osservando in alto, verso la luce che filtrava dal buco nel terreno che avevamo scavato. "Assistente...Può andare", subito dopo mi guardò senza più ombra di alcun divertimento nello sguardo. "Ma non andrai da nessuna parte senza di me".
Era come sempre un sollievo saperlo al mio fianco, ma era un sollievo dolce amaro: sapevo che sarebbe giunto a breve il momento in cui avrei dovuto affrontare tutto. Da sola.
A volte ritornano! :D
B.
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