30. Rimpatriata

Il mare esercitava su di me un'attrazione sempre più forte; sempre più spesso mi ritrovavo senza che ne fossi del tutto consapevole ad osservarlo dal bordo del precipizio che mi faceva ogni giorno meno paura. Potevo avvertire le singole gocce che si disgregavano al contatto della scogliera e questo era spaventoso e grandioso allo stesso tempo.

Griffen aveva ragione: noi non eravamo proprio niente, se non un'aggregazione di molecole per qualche assurdo motivo pensante.

Noi e le gocce dell'oceano: non c'era poi tanta differenza, un unico ammasso di materia che riempiva gli spazi, si assemblava e divideva creando noi, le cose, lo spazio in cui viviamo e tutto ciò mosso dalla frequenza; dal pensiero. Mi era sempre più evidente e nonostante questo non riuscivo a rassegnarmi al fatto che potessimo agire solamente all'interno di un numero definito di variabili; potevo muovermi solamente lungo un percorso che alla lunga avrebbe portato a un solo, unico e ineluttabile risultato. Griffen la chiamava entropia.

Strinsi i pugni: quel risultato poteva essere tra cento, mille, centomila anni. La mia vita aveva un senso oggi? Potevo quantomeno mettere in salvo una sola, singola persona? Mi sarebbe bastato. Non avevo dimenticato Luc, non meritava quello che mio padre gli aveva fatto. Odiarlo sarebbe stato semplice, ma anche ingiusto.

I miei pensieri furono interrotti dai sussurri; non me lo aspettavo, quel posto pareva che mi avesse ridato un barlume di pace, ma niente è per sempre, ormai lo avevo imparato. Non potei fare altro che correre verso casa.

Arrivai alla porta molto prima di quanto avrei dovuto e mentre irrompevo scarmigliata all'interno, la scena che mi si presentò mi fece rimanere letteralmente a bocca aperta.

Griffen e un uomo asiatico si davano affettuose pacche sulle spalle, sorridendosi a vicenda.

Rimasi in silenzio a fissarli e quando Griffen mi colse lì immobile sulla porta, fece un passo avanti.

"Elise, questo è l'ospite di cui ti ho parlato: Hideyoshi Toyotomi".

Automaticamente mi sentii come trasportata in un episodio di shogun, già sapevo che non sarei stata in grado di ricordare il suo nome.

I sussurri pretendevano la mia attenzione, ma Griffen pareva così rilassato...

Arrischiai un passo all'interno e il nostro visitatore mi venne incontro, accennando un lieve inchino.

Mi voltai automaticamente cercando di capire con chi ce l'avesse. Mi sorrise ancora. "Tu devi essere Lady Elise, ho sentito parlare molto di te".

E questo non è mai buon segno.

Mi costrinsi a sorridere debolmente, cercando di capire in che modo i guai stessero per arrivare.

Griffen Mi tolse dall'impiccio di dover rispondere. "Trasferiamoci di là, la cena è pronta e sono curioso di sapere come hai trascorso gli ultimi duecento anni".

Shogun, lo sapevo...

Ci sedemmo a tavola; il camino era a acceso, il vino già versato nei calici e entrambi attesero che mi accomodassi rigidamente a un capo del lungo tavolo per prendere posto. Asciugai i palmi sudati delle mie mani sui jeans. Forse avrei dovuto prendere l'iniziativa e fare un casino dei miei. I sussurri erano ovattati - incerti - e forse non stavo comprendendo appieno la situazione.

Andiamo Elise, ti aspetti che dica ad alta voce: "Sono un sicario amichevole venuto qui per far fuori la mina vagante?".

Griffen ascoltava il suo interlocutore non degnandomi di un'occhiata, da parte mia non riuscii a toccare cibo, osservavo il nostro ospite con insistenza, cercando di captare la minaccia. Aveva un viso interessante: capelli cortissimi e un lieve pizzetto; una giacca di taglio sartoriale indossata con disinvoltura sulle ampie spalle.

Ridevano parlando di non so quale ritiro spirituale durato vent'anni in cui ne avevano combinato di cotte e di crude invece di meditare. Dunque anche Griffen aveva avuto una giovinezza. Interessante... Mi sarebbe piaciuto godermi quei racconti, ma l'irrequietezza che provavo me lo impediva.

"Elise, mia cara, sembri stanca. Ritirati, domani cominciamo presto".

Cara? Ritirati? Lo osservai perplessa e valutai. Non mi aveva mai imposto orari o quant'altro, ma forse voleva del tempo da passare col suo amico ninja per parlare dei bei tempi andati. Magari avevano da scambiarsi storie su donne e vecchie conquiste.

Così il nipponico potrà ucciderlo in tutta tranquillità.

Zittii la mia voce interna, Griffen sapeva il fatto suo. Mi alzai da tavola e loro mi imitarono, mettendomi enormemente a disagio. Incassai un altro inopportuno inchino e salii le scale acquattandomi sull'ultimo gradino, aggrappandomi alla ringhiera e tendendo le orecchie. Non esisteva che io me ne andassi a dormire lasciando Griffen in balia di un possibile traditore.

I sussurri aumentarono e percepii chiaramente l'aria modificarsi sotto l'effetto della manipolazione della materia. Sapevo che era Griffen, la sua frequenza mi era più familiare di qualsiasi altra avessi mai percepito.

Non attesi oltre. Volai giù per le scale con il cuore in gola e ciò che vidi mi lasciò basita per l'ennesima volta: Griffen osservava impassibile Hideyoshi che era ancora seduto, ma con la testa riversa all'indietro e gli occhi spalancati.

Mi avvicinai con cautela. "Ma... cosa?".

"Mi è bastato osservare il tuo volto nel momento in cui hai varcato la soglia".

Mi voltai di scatto verso di lui, inorridita. "E se mi fossi sbagliata?".

Rise leggermente, come se non lo ritenesse possibile. "Non è un rischio che vale la pena correre".

Ha ragione: meglio lui che te.

Tornai a guardare il volto dallo sguardo vitreo con un enorme senso di colpa. "Ma lui era tuo amico".

"Io non ho amici, Elise. Per questo sono ancora vivo".

Ci osservammo in silenzio. Come potevo biasimarlo se io ero la prima a non fidarmi di nessuno?

Sospirai, tornando ad osservare il corpo esanime. "Ti aiuto a scavare una fossa?".

Griffen mi osservò perplesso.

Mi giustificai. "Bè, sicuramente ci sarà qui da qualche parte uno di quei cimiteri raccapriccianti con le lapidi tutte storte".

"Sì, c'è", confermò Griffen.

Annuii per la mia intuizione corretta.

"Ma lui non è morto", precisò Griffen.

Mi voltai imbarazzata a guardarlo. "Oh!", fu la mia incredibile risposta. "Oh!", ripetei per l'ennesima volta, tornando a guardare l'uomo sulla sedia. "Ok! Niente fossa allora!". La cosa era un sollievo.

Griffen si avvicinò al corpo modificando leggermente l'aria attorno a esso, non so come spiegarlo, era come se gli avesse reso l'aria leggermente tossica. Ora che avevo accantonato l'idea che fosse morto era palese, dovevo badare di più ai dettagli meno ai miei preconcetti.

Griffen sollevo un calice dal tavolo e bevve un lungo sorso di vino. "Abbiamo un interrogatorio da fare".

Non osai controbattere, anzi mi parve un'ottima idea.


Otterranno qualche informazione utile?

Alla prossima

B.










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