29. Complicazioni

Ero seduta sul lucido bancone della cucina, lasciando che il sole riscaldasse le mie spalle scoperte. Roteavo tra le mani la mia tazza di caffè, godendomi il tepore che sentivo risalire in piccole volute aromatiche.

Iniziavo a trarre piacere da dettagli incredibilmente insignificanti e ciò poteva solo voler dire due cose: o stavo invecchiando e a breve mi sarei fermata a osservare ogni singolo cantiere stradale che mi fosse capitato sotto tiro, oppure cominciavo a percepire la materia in tutte le sue forme, anche le più sottili e quindi mi sarebbe comparso un lungo cappotto nero, confermando che ero stata affetta da "Griffenite acuta".

Sghignazzai ad occhi chiusi e in quel momento una delle visioni mi colpì, ma ormai non mi stupivo neanche più.

Griffen, immobile al centro di una stanza parlava con un uomo seduto alla scrivania. Non impiegai molto a riconoscere mio padre, o meglio il mio padre biologico.

Griffen era apparentemente rilassato, ma ormai sapevo che dietro quell'atteggiamento apatico c'era il tentativo di mascherare un fastidio, in questo caso parecchio profondo. "Vieni al punto, non ho tutta la giornata".

Mio padre si stiracchiò sulla poltrona, sorridendo. "Pensavo che il tempo fosse tutto ciò che avessi".

"Il mio tempo non è per quelli come te".

"Oh, così mi ferisci", ironizzò cercando di continuare a sorridere. "Apprezzo che Sua Maestà il grande Griffen abbia deciso di darmi udienza".

Griffen parlò piano, tra sé. "Tutto ciò non è affatto di mio interesse".

Lo sguardo di Gregory si accese di una luce rapace. "Oh, ma io conosco qualcuno che lo è, giusto?".

Gli occhi di Griffen non tradirono nulla, ma io sapevo che si stava trattenendo. Ormai lo conoscevo abbastanza bene.

"Anne è libera di fare le sue scelte, anche quelle assolutamente prive di senso, come lo stare con te".

Mio padre si alzò lentamente e avanzò verso il centro della stanza, incombendo su Griffen, sovrastandolo di almeno venti centimetri. Nonostante ciò, Griffen appariva come se si trovasse al cospetto di un bimbo capriccioso. E vidi che la cosa infastidiva mio padre; non potevo dargli torto: conoscevo molto bene la sensazione di quanto potesse farti sentire insignificante Griffen quando voleva.

"Voglio solo chiederti di non intrometterti, so che lei tiene molto alla tua opinione, ma ti avviso".

Griffen lo interruppe. "Tu... Mi avvisi?". A quel punto sorrise e gli occhi gli diventarono rossi, ma il suo tono rimase calmo. "Sono una persona paziente, ma ammetto che potrei fare un'eccezione con te". Vidi mio padre fissarlo torvo per un lungo istante, deglutire e infine fare un passo indietro.

Griffen lo osservò brevemente e un'espressione di leggero disgusto gli si dipinse sulle labbra. Senza degnarlo di un'ulteriore occhiata se ne andò con una delle sue tipiche uscite di scena, lasciando Gregory che lo osservava livido e palesemente umiliato.

Riaprii gli occhi e lui era lì sulla soglia che mi osservava. Non mi stupivo di non riuscire mai ad accorgermi quando stava per comparire. Non avvertivo la sua frequenza semplicemente perché era sempre presente attorno a me, come una calda coperta che mi avvolgeva, in modo rassicurante e totalmente discreto. Non sobbalzai neanche, lo osservai curiosa e basta: era raro che dopo l'allenamento del mattino ci incrociassimo prima della cena. Vivere con lui era una pacchia, come avere un intero castello per sé.

"Stai bene?", mi chiese. Non so da quanto tempo fosse lì intento ad osservarmi.

Non mi andava di raccontargli ciò che aveva visto, per cui mentii. "Sì", dissi massaggiandomi il collo. "Stamattina mi hai distrutto durante l'allenamento; mi stavo godendo la quiete di questa casa: è molto rilassante". Questo era vero. Esistono dei posti la cui frequenza è benefica e il maniero di Griffen era uno di questi.

Griffen sorrise; mi stavo abituando a vederlo senza il suo onnipresente cappotto. Indossava una semplice t-shirt bianca e dei jeans azzurri. E sembrava un quasi normalissimo ventenne. Continua a ripetertelo Elise.

"Mi fa piacere che ti trovi a tuo agio, questa potrà sempre essere casa tua".

"Nah, non potrei mai! Un giorno qui scorrazzerà una schiera di piccoli Griffen, questa casa sarà la loro eredità".

Mi guardò in silenzio e io, idiota come sempre, non compresi appieno le implicazioni di ciò che avevo detto, per cui continuai imperterrita a scherzare, interpretando la sua espressione come scetticismo. "Ma dai! Prima o poi incontrerai la persona giusta, qualcuno di cui ti importi abbastanza per mettere su famiglia, questo castello necessita di una regina!", proclamai sventolando la mano verso lo spazio che mi circondava.

Mi osservò con il suo sguardo paziente, al che realizzai e sentii le guance diventare incandescenti. "Griffen...", iniziai incerta.

"Ho mai fatto qualcosa che ti abbia messo a disagio?".

"No", dissi con forza. Ed era vero, anzi a volte avevo la netta sensazione che mi evitasse.

Fece un cenno con la testa. "E continuerà ad essere così".

Il rapporto tra me e Griffen si stava complicando e se per lui era semplice dirmi che le cose andavano bene così, io mi sentivo strana: lui mi piaceva, molto. Ma non capivo se mi piacesse semplicemente perché lo avevo sempre intorno o perché magari mi aveva salvato la vita innumerevoli volte.

C'era anche la questione dell'età, non potevo non considerarla. Come potevo competere con il bagaglio di conoscenze ed esperienze di un ultra millenario? Io a confronto ero una neonata. Cosa vedeva in me? Rifletti Elise, lo sai...

Per non parlare del fatto che la sua vita e quella di mia madre si erano incrociate e io ancora non riuscivo a inquadrare del tutto la cosa. A lui non importava di lei? Pensavo di sì... Aveva per lo meno cercato di dissuaderla dallo stare con mio padre?

Non ero in una dannatissima soap opera. Elise, non impegolarti in una cosa del genere, lui ti vuole solo perché sei in grado di sconfiggerlo.

Perché allora accanto a lui mi sentivo al sicuro? Perché soffri di sindrome di Stoccolma.

Sbuffai e Griffen sollevò le sopracciglia, ignaro della mia diatriba interna.

Mi schiarii la voce, sminuendo il tutto con la mano e bevendo il caffè ormai freddo che mi strappò una smorfia di disappunto.

"Comunque sono passato per dirti che stasera avremo ospiti. Verrà a trovarci un vecchio conoscente".

"Quanto vecchio?".

Griffen non riuscì a trattenere un sorriso e i suoi occhi cambiarono colore. Tra le mie mani la tazza riprese calore; non feci in tempo a risollevare lo sguardo su di lui che già se n'era andato.

Tutto regolare.


Pian piano il passato inizia a ricomporsi.

Riuscirà Elise a venirne a capo?

Buon anno a tutti!

B.


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