28. Confessione
Osservai spazientita il cielo sopra la mia testa: era una bellissima giornata e dal tetto della torre est riuscivo persino a vedere il mare che si scagliava contro la scogliera. L'odore di salsedine pizzicava piacevolmente le mie narici e per un attimo dimenticai dome mi trovassi.
Ecco: perché mi trovavo in precario equilibrio sulle tegole scivolose ultracentenarie della mia nuova casa?
Bè, Griffen aveva deciso che il mio compito della mattinata sarebbe stato quello di ripulire la canna fumaria. Mossi sbuffando l'asta preposta alla pulizia nel vecchio e annerito comignolo, non avendo chiaramente in mente cosa volesse esattamente che facessi. Sporsi la testa all'interno e urlai:" Griffen, secondo me è a posto!"
"Devi percepire il fumo farsi largo verso l'alto".
Inutile dire che la sua persona si era materializzata alle mie spalle nell'esatto momento in cui una vampata di fumo investiva il mio viso ancora poco appropriatamente vicino all'apertura del comignolo.
Scivolai indietro per la sorpresa e tossii contemporaneamente, chiedendomi vagamente a quale tra le due cose dovessi dare priorità; usai l'asta per riprendere l'equilibrio e finii per sbatterla malamente addosso a Griffen che si scansò giusto in tempo.
Mi guardò corrucciato, ma appariva come sempre disinvolto, come se starsene a decine di metri dal terreno non fosse niente di che. "Perché non indossi le scarpe?".
Guardai i miei piedi nudi che tentavano malamente di mantenere la presa sulle tegole scivolose. "Non volevo sporcarle".
Sbatté le palpebre, dopodiché sospirò piano.
Incrociai le braccia. "Comunque ho capito il senso di tutto ciò, sai?", dissi facendo un gesto seccato verso il comignolo. "E' una sorta di metti la cera, togli la cera. Io dovrei protestare e fingere di non capirne lo scopo e tu invece con infinita pazienza mi renderai - senza che neanche me ne accorga - una potentissima Signora della Materia, semplicemente mettendomi a ristrutturarti il castello", terminai con una punta di acidità.
"Utilizzi le tue capacità solo quando sei sotto pressione o in pericolo di vita, io voglio che tu abbia il controllo, voglio che tu non tema di precipitare da questa torre, perché se temi per la tua vita, allora è probabile che la perderai".
"Ma tanto se tutto è già successo, magari io sono già morta". Feci spallucce. "Perché affannarsi?".
Senza preavviso mi spinse all'indietro, ma mi afferrò per un polso un attimo prima che precipitassi. Anche questo lo avevamo già visto.
Deglutii, senza distogliere lo sguardo dal suo. Avvertii i miei occhi diventare rossi, ma Griffen mi rimise in piedi. "Come volevasi dimostrare".
Raccolsi l'asta da terra e cercai di colpirlo, ma Griffen sorridendo, con un semplice gesto della mano, tramutò il bastone in uno sciame di farfalle che volarono via verso situazioni più felici. Il ragazzo ci sapeva fare! Ragazzo? Ah ah divertente...
Un urlo frustrato lasciò le mie labbra e a quel punto tentai di colpirlo a mani nude. In genere quel tipo di allenamento avveniva nelle cantine del maniero, dove c'era l'attrezzatura adatta e non sul tetto poco stabile di un'antica torre.
A Griffen non importava, capiva quando avevo bisogno di sfogarmi. Quella era il tipo di occasione dove tra noi c'era un vero e proprio contatto fisico, Griffen era molto attento nello starmi alla larga, ma durante lo sparring non c'erano limiti, non c'erano regole e lui ci andava giù sempre più pesante; immaginavo fosse un buon segno, il non doversi trattenere troppo implicava che stessi migliorando. Schivai un suo calcio e mi resi conto di essere diventata veloce nel momento in cui il mio braccio teso impattò contro il suo naso, prima che riuscisse a difendersi. Mise un po' di spazio tra noi, slittando all'indietro e portando una mano al volto.
Un sorriso perfido incurvò le mie labbra. "Fa male eh?".
"Non abbastanza", rispose tra i denti. Le tegole iniziarono a muoversi sotto i mei piedi nudi, ma non mi lasciai sopraffare: bastò un solo mio pensiero per cementarle come si deve.
E anche il tetto era stato sistemato. Rientrando in casa colsi il mio riflesso in una finestra: il mio volto era stato per tutto il tempo completamente ricoperto di fuliggine.
Grandioso.
Quella sera sul tardi scesi le scale per andare a prendermi un bicchiere d'acqua. Griffen sedeva su una delle due poltrone davanti al caminetto acceso. Leggeva un libro e i bagliori delle fiamme accendevano i suoi capelli di riflessi chiari. Sembrava talmente giovane... Siccome era escluso che non si fosse accorto della mia presenza, mi avvicinai e mi sedetti sul bracciolo sporgendomi verso di lui per adocchiare il libro.
"Cosa leggi?", chiesi curiosa.
Si voltò verso di me e i nostri volti si trovarono nostro malgrado vicinissimi. Sentii uno strano rossore ricoprirmi le guance e solo in quel momento mi resi conto che forse ero stata troppo disinvolta.
Mi schiarii la voce e gli tolsi il libro di mano. "Wilbur Smith?", chiesi incredula.
Rise leggermente. "Cosa ti aspettavi?".
"Non saprei, magari un tomo antico, sai, un grimorio che spieghi tutti i misteri sui Signori della Materia... "
Sembrava divertito. "Mi piace l'ambientazione africana, piacerebbe anche a te, lì fa abbastanza caldo".
Sghignazzai. "Perché no? Un bel safari per fotografare gli elefanti o i leoni".
"Poveri leoni", scherzò Griffen osservando il suo libro.
Gli diedi una spallata giocosa e ci osservammo sorridendo. Era come se fossimo entrambi consapevoli che potevamo solo immaginare di condurre una vita normale, come se le nostre esistenze fossero irrimediabilmente lontane da tutto ciò. Il nostro destino già scritto.
Griffen mi guardò leggermente malinconico e la cosa mi intristì. Era colpa mia... Lo avevo messo io in questa situazione. Il senso di colpa mi investì nuovamente, facendomi sussultare.
Stavo per alzarmi dalla poltrona, ma una sua mano mi trattenne, gentile ma decisa.
Lo guardai con attenzione e lui fece lo stesso.
"Dubiti della mia lealtà?".
Cosa? Scossi la testa, cercando di dare un senso alle sue parole.
"E allora perché non mi dici cosa ti tormenta?".
Valutai velocemente se confessare una volta per tutte, ma lui mi precedette nel parlare.
"I tuoi pensieri trasudano angoscia, colpa..."
Sobbalzai.
Avvicinò con cautela una mano al mio viso e il tocco delle sue dita fu caldo. "So che sei preoccupata per Edevane nonostante quello che ti ha fatto e so che pensi di svignartela al più presto".
Spalancai gli occhi. Lui sorrise, benevolo. "Era da molto che non impegnavo così tanto nel comprendere qualcuno, ho passato tanti secoli senza doverlo, né volerlo fare".
"Non valgo il tuo impegno", bisbigliai colpevole."Non lo merito, io... Io...".
La sua voce si fece intensa. "Perché lo pensi?".
Abbassai lo sguardo perché non ero in grado di sostenere il suo. E alla fine lo dissi. "Credo di aver fatto qualcosa di terribile".
Si scostò appena, togliendo la mano dal mio viso. La cosa mi ferì più di quanto avrebbe dovuto.
"Di che si tratta?". Appariva semplicemente curioso, il suo tono era calmo e tranquillo come sempre. Sarei mai riuscita a raggiungere una tale flemma? Neanche in tremila anni ragazza.
Deglutii, la mia bocca improvvisamente secca. "Hai presente quando mio padre era nella mia testa?".
Annuì piano.
Lo osservai e lui rimase in attesa che proseguissi.
"Prima che tu arrivassi lui mi ha chiesto di creare una cosa; il problema è che non so esattamente cosa fosse, ma ho avuto come la sensazione che servisse a fare del male - a farne a te- ma questo l'ho capito dopo!", conclusi con foga cercando di giustificarmi.
Fu stranissimo vedere una sorta di sollievo propagarsi sul suo volto, mi sorrise e scosse la testa.
"Dunque continui a preoccuparti per me?".
Mi ritrassi. "Certo che mi preoccupo, razza di idiota millenario!", gli inveii contro.
La cosa assurda era che entrambi apparivamo incredibilmente sollevati.
Mi sorrise ancora, ma poi si fece serio. "Pensaci, Elise: tu lo hai fatto, tu puoi disfarlo, qualsiasi cosa sia", e come a rendere più chiaro il concetto schioccò le dita.
"Non so se sono in grado, è come se non riuscissi ad afferrare completamente cosa ho fatto, è come se fosse il ricordo di un sogno fatto tanto tempo fa".
"Lui è bravo in questo, ma tu... tu puoi fare tutto, puoi essere tutto, devi solo crederci".
Il problema è che lui lo intendeva alla lettera, non era un discorso motivazionale. La sua fiducia nei miei confronti era mal riposta, non ero in grado di fare qualcosa senza distruggere, ero una calamità. Ma su una cosa aveva ragione: per quanto non mi fossi mai sentita così al sicuro come con lui lì nella sua casa, non avevo più tempo: dovevo salvare Luc e chiudere la partita.
Osservai i suoi occhi, così limpidi e sinceri e pensai che mi sarebbe mancato, più di quanto osassi ammettere.
Era il momento di pianificare la fuga.
Ogni tanto Elise e Griffen ritornano!
A presto,
B.
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