24. Famiglia

Griffen aprì senza fiatare la porta della camera. Il losco proprietario del motel, davanti alla banconota da cento dollari che gli aveva allungato alcuni attimi prima, non aveva neanche lontanamente provato a fare cenno ai documenti o all'aspetto mal messo che avevamo.

Conoscevo il tipo di ambiente: parati fiorati scadenti e macchie sulle poltrone per le quali era meglio non porsi troppe domande; insomma, rispetto a poco prima il paradiso.

Griffen fece cenno verso la porta del bagno. "Vado a cercarti qualcosa di asciutto".

Si diresse verso la porta senza guardarmi e la cosa mi fece male, più di quanto avrei mai immaginato.

"Griffen", lo chiamai rimanendo impalata, fradicia e malconcia.

Si voltò verso di me, in attesa.

Cosa potevo dirgli? Digli la verità, digli quello che hai fatto mentre eri nel limbo. Osservai il pavimento in cerca delle parole, dopodiché risollevai lo sguardo. "Mi dispiace", iniziai contrita.

Fece un passo verso di me. "Cosa ti dispiace, Elise?". Non era arrabbiato e la cosa era persino fastidiosa. Sembrava distaccatamente curioso.

Scossi la testa. "Non capisci? E' qualcosa che devo fare io, solo io. Non posso permettere che accada qualcosa anche a te, io tanto non ho nessuno". Diglielo, codarda. Strinsi forte le labbra.

Lo vidi sbattere le palpebre, come se non si fosse aspettato quel tipo di risposta. Sospirò piano, senza smettere di guardarmi nel suo modo diretto, limpido. "Per quel che può servire, tu hai sempre avuto me. Ti ho cercato ogni singolo giorno della tua vita e adesso puoi tentare di scappare da tutto e tutti, ma da me non puoi, non più".

Credo che quello fu l'istante in cui lo vidi davvero. Non più solo il mio maestro dal quale ero stata terrorizzata per tanto tempo, bensì proprio una persona. Avevo dato per scontato che quasi non avesse sentimenti o persino un'anima.

"Lo fai per lei, vero?", chiesi riferendomi a mia madre. Non potevo fare a meno di rivedere loro due che facevano meditazione, sembravano talmente vicini. "Ma io non sono lei".

Sorrise. "No, non lo sei. Tua madre è stata una buona amica per me, la sua scomparsa da questo mondo è stato un evento che mi ha messo a dura prova per tanto tempo, ma non è nulla in confronto all'idea di vederti accadere qualcosa di brutto, nonostante tu sia più forte di chiunque abbia mai conosciuto".

Probabilmente a questo punto lo stavo osservando come se gli fosse cresciuta una seconda testa, perché lo vidi scuotere leggermente il capo e voltarsi. "Non aprire a nessuno", e così uscì lasciandomi come un'idiota nel bel mezzo della stanza.

Dovevo essere seriamente sotto shock perché sicuramente non avevo capito nulla del suo discorso. Entrai nel piccolo bagno: la tenda di plastica sembrava aver visto giorni migliori, ma l'idea di togliermi il fango di dosso mi spinse a entrare in quel minuscolo quadrato di ceramica cercando di non urtare le pareti e lasciai che il misero getto di acqua a malapena tiepida lavasse via tutto lo sporco. Pazienza: avrei dovuto indossare nuovamente i miei abiti luridi, c'era poco da fare.

Per fortuna gli asciugamani sembravano puliti; mi avvolsi strettamente in uno di essi e mi sedetti a terra, distrutta; non avevo la forza di compiere alcun ulteriore movimento. Non mi restò che chiudere gli occhi, solo cinque minuti...

Non so quanto tempo passò, ma percepii la sua presenza nella stanza. Forse avevo persino sentito bussare alla porta, ma non riuscii ad aprire gli occhi, tanto sapevo che era lui.

Restava solo da definire quanto fosse disdicevole che io me ne stessi lì a terra con solo un misero asciugamano a coprire la mia persona. Credo che la distruzione di una buona parte di foresta dell'Arizona mi avesse provato più di quanto pensassi. Mi stava bene: fonte di ossigeno polverizzata in un istante. Ero un'arma di distruzione di massa, meritavo una qual sorta di punizione.

Sentii le sue dita posarsi delicatamente sui miei capelli bagnati e un'incredibile sensazione di calore avvolgere la mia testa. Mi stava forse asciugando i capelli con la forza del pensiero? Avremmo potuto aprire un fantastico salone di bellezza: trattamenti viso e capelli, manicure in pochi attimi dagli occhi rossi. Soldi facili. Sghignazzai ed era una bellissima sensazione: semplicemente starmene lì a terra a sragionare al caldo.

Potevo quasi vederlo, chino di fronte a me, immobilizzarsi di fronte alla mia risata senza senso, dopodiché sorridere come faceva certe volte, quando credeva che non lo vedessi. Ero sicuramente esilarante. Esitò un attimo, indeciso sul da farsi, ma poi passò con facilità un braccio sotto le mie gambe e uno dietro alle spalle, scostandomi dal muro.  Era incredibilmente strano che riuscissi a percepire perfettamente il tutto anche senza aprire i miei occhi. Si sollevò in piedi senza apparente fatica e l'unica cosa che sperai distrattamente fu che le mie chiappe restassero sufficientemente coperte dall'asciugamano. Mi adagiò sul letto e mi coprì con gesti delicati. Così andava decisamente meglio.

Pensai con vago disagio che anche lui dovesse essere distrutto, ma che come sempre metteva sé stesso all'ultimo posto. Perché? Troppo complicato, meglio dormirci su.

Credo che dormii per un po' prima che l'ennesimo sogno cominciasse. C'era poco da fare; non avevo alcun controllo sulla cosa e ormai avevo capito che ciò che vedevo aveva una certa importanza.

Il sole illuminava i bellissimi giardini fioriti disseminati di sedie metalliche sulle quali le persone passavano minuti spensierati, leggendo libri, fotografando lo splendido spettacolo che I Jardin du Luxembourg avevano da offrire. Dovevo averli visti in qualche testo scolastico - non so - ma ero sicurissima che fosse Parigi, nonostante non ci fossi mai stata.

Mia madre sedeva all'ombra di un albero d'arancio, lo sguardo perso lontano. Era così giovane e dall'aria indifesa. La guardai cercando di tenere a bada il dolore. Non l'avevo mai conosciuta, ma la sua mancanza camminava con me, giorno dopo giorno, anno dopo anno.

Un uomo la raggiunse e le si sedette accanto. Sussultai perché ebbi l'assoluta certezza che fosse lui. Indossava un maglione a collo alto e i capelli scuri e mossi incorniciavano un viso avvenente: occhi profondi e un naso aquilino lo rendevano elegante, aveva l'atteggiamento tipico di chi ritiene di possedere il mondo. Mia madre non si voltò a guardarlo, mentre lui abbassò lo sguardo su di lei e sorrise.

"E' bello rivederti Anne. Come sta nostra figlia?".

Le labbra di mia madre assunsero una piega amara, ma non si scompose. "Non la raggiungerai facilmente".

Roteò gli occhi e sbuffò sonoramente. "Sì, lo so che l'hai affidata a quell'inetto di Etienne- tuo fratello- ma sai che ti dico? Non mi serve una lattante: che la cresca come meglio crede e quando sarà il momento me la riprenderò".

Mia madre incredibilmente rise e lui illividì. Vedendo che lei non lo degnava di uno sguardo si ricompose e scosse la testa. "Avremmo potuto essere una famiglia, avremmo potuto avere tutto".

Finalmente si decise a guardarlo e una luce di sfida brillò nei suoi occhi. "Ho scoperto presto che razza di verme fossi, ma per lei ne è valsa la pena".

Lui rise sprezzante. "Non fai che confermarmi che lei mi sarà molto utile, sei pazza se pensi che potrà sfuggirmi per sempre".

Mia madre tornò a guardare i giardini, con aria ostinata." Lei non sarà mai sola".

Per lui fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso. La sua espressione, tenuta sino a quel momento a bada con estrema attenzione, si alterò in una maschera di odio. "E' colpa sua! Se solo si fosse fatto da parte, se solo non ti avesse messo certe idee in testa!".

A quel punto mia madre scoppiò nuovamente a ridere e rise fino a doversi asciugare le lacrime dagli occhi, attirandosi un'occhiata di puro veleno da parte di mio padre, che evidentemente non riusciva più a tenere in piedi la facciata di cortesia. Mia madre si portò una mano alle labbra cercando di ricomporsi. "Sei il solito narcisista e continui a odiare Griffen semplicemente perché tu non potrai mai essere come lui".

Lui le prese un polso con fare possessivo e io lo odiai di un odio viscerale. Allungai una mano e sperai di poterlo allontanare da lei, di poterla proteggere.

Ridusse gli occhi a fessura, facendo trapelare tutta l'essenza della sua malvagità. "Voglio che tu sappia che morirà di una lenta agonia e che nostra figlia contribuirà alla sua fine".

Mia madre lo guardò con pietà. "Morirai solo".

Allentò leggermente la stretta sul suo polso. Un sorrisetto gli incurvò le labbra. "Una minaccia davvero spaventosa", ironizzò.

Il sorriso di mia madre si allargò ed ebbi la soddisfazione di vedere mio padre sbiancare, in lui il dubbio che mia madre sapesse qualcosa di più.

La mano tornò ad essere una morsa attorno al suo polso." Cosa hai visto?", urlò non curandosi dei pochi passanti che si erano voltati verso di loro.

"Oh...Tante cose", sembrava enormemente soddisfatta. "Addio Greg", salutò mia madre e, proprio mentre mio padre posava repentinamente una mano sulla sua fronte, gli occhi di lei diventarono rosso fuoco. La vidi opporre una strenua resistenza e consumarsi attimo dopo attimo sotto la pressione del potere di lui, ma non cedette. Non ho idea di come ciò che stava accadendo non fosse visibile a tutti e nessuno accorresse in suo aiuto.

Ci provai io: urlai e cercai di sgretolare la scena, di riavvolgere il tempo, il dannatissimo tempo che non esisteva, ma che a quanto pareva esisteva eccome! Ma io ero completamente inerme, inutile come sempre.

C'è da dire che mio padre tentò di fermarla: la sostenne e utilizzò il suo potere su di lei, ma mia madre si autoconsumò dall'interno sino a ad accasciarsi tra le sue braccia.

Impressi a fuoco nella mia mente il suo volto contrariato, mentre adagiava sulla panchina il corpo ormai privo di vita di mia madre; il volto dell'uomo che mi aveva dato la vita e che io avrei presto ucciso.


Buon martedì ! Elise pian piano ricompone i pezzi sul suo passato, sulla sua "fantastica" famiglia :D

B.

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