20. Realtà

Una volta all'interno la situazione divenne ancora più surreale: l'ingresso spoglio che ricordavo vagamente si era trasformato in una lussuosa hall di hotel. Pavimenti in marmo e dettagli dorati brillavano da ogni angolo: maniglie, corrimano, c'era persino un bancone da accettazione. La mia attenzione si concentrò sul ridicolo campanello che non sarebbe mai servito a nessuno. Mi strinsi automaticamente nel cappotto, per cercare un po' di calore, ma venni letteralmente travolta da Gillian che mi gettò le braccia attorno alla vita singhiozzando.

"Mio Dio, sei viva!".

Mi irrigidii a quel contatto. Mi ricordavo di lei, era stata gentile con me. Si tirò indietro per osservarmi - gli occhi gonfi di pianto - e quando mi mise a fuoco si portò una mano alla bocca, come se mi stesse vedendo realmente solo in quel momento. Tutto intorno a noi le persone si muovevano frenetiche e io mi sentivo come se mi avessero portato via tutto: tre anni della mia vita, la vita che avevo sempre desiderato. Un'illusione... avrei dovuto arrivarci. A quelle come me le cose non girano mai bene.

Gillian si riscosse e mi prese sottobraccio, con fare protettivo. "Ti accompagno in camera, così potrai darti una ripulita".

Mi lasciai guidare come se fossi una bambola di pezza. Mi rendevo conto che quel posto era cambiato, pannelli di legno pregiato alle pareti, finestre ampie con vetrate panoramiche lo rendevano molto diverso dal carcere dei miei ricordi.

Anche la mia cella aveva un che di diverso: le solite tende azzurre, ma più delicate e il bagno più ampio che avessi mai visto. Lasciai Gillian seduta sul mio letto e mi tolsi di dosso gli abiti sporchi di polvere e fango, poggiando con attenzione il cappotto di Griffen sullo sgabello. Le mie dita indugiarono sullo spesso tessuto e un memento di ciò che era stato per lui mi accarezzò dolcemente. Quel cappotto era la sua corazza, il suo retaggio: un'antica cappa appartenuta al padre, plasmata e mutata fino ad adattarsi alla sua pelle.

Ritrassi le dita, sentendomi quasi in colpa per quell'intrusione e mi infilai nell'ampia doccia, lasciando che il getto caldo rimuovesse ogni traccia di polvere. Continuavo a sentirmi scollegata e apatica, quasi sperassi che da un momento all'altro mi sarei svegliata per andare al College a una delle mie lezioni di letteratura. Tu odi la letteratura.

Uscii stizzita dalla doccia, avvolgendomi in uno degli asciugamani che come sempre profumavano di lavanda e con un gesto della mano rimossi lo strato di vapore che aveva appannato lo specchio. Rimassi immobile ad osservarmi. Ero quella di sempre. No, Elise... a quanto pare appena mezz'ora fa i tuoi capelli erano molto più lunghi, e le tue tette meno grandi.

Non riuscivo a far combaciare ciò che era vero con ciò che era stato reale solo per me. Tre anni inesistenti.

Mi vestii con i jeans che ormai mi cadevano male e la maglia verde dalle maniche troppo corte che mi ero portata in bagno e quando tornai nella camera Gillian non era sola.

Arthur, con una evidente fasciatura sporca di sangue attorno alla testa, mi guardò a bocca aperta. "Lizzie...".

Me lo ricordavo più loquace.

"Lo so", tagliai corto. "Cosa è successo qui dentro mentre mio padre mi metteva a soqquadro il cervello?".

Gillian ricominciò a singhiozzare in silenzio e persino Arthur dovette lottare contro il magone per poter parlare. "Tutta l'ala est è crollata, molti ragazzi del secondo anno e alcuni insegnanti non ce l'hanno fatta". Si guardò la punta delle scarpe. "Io sono precipitato con il pavimento, ma a un certo punto mi sono trovato sospeso a metà tra il primo e secondo piano e riportato nella mia stanza che nel frattempo si era trasformata in una fottuta suite!".

Certo, roba da me...

Riportò stupito gli occhi su di me. "Lo sai che adesso abbiamo una spa?". Rise in maniera sconnessa, non era difficile scorgere in lui i segni del trauma appena vissuto.

"Luc?", chiesi con tono piatto.

Gillian si morse il labbro e Arthur sbiancò scuotendo la testa. "Non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte".

Avrei dovuto mostrarmi dispiaciuta? Mi ricordavo di lui come ci si ricorda di alcuni sogni dopo un po' di tempo.

Era colpa mia, lo avevo ucciso e probabilmente reimpastato con la malta che avevo mentalmente utilizzato per ricostruire il fottuto albergo in cui si era trasformato il carcere.

"Devo andare", fu tutto ciò che riuscii a dire. Tornai nel bagno per prendere il cappotto di cui volevo assolutamente disfarmi. Mi accorsi vagamente dell'occhiata che si scambiarono e del gesto di Gillian: allungò una mano verso di me, come a volermi trattenere, ma feci finta di non essermene accorta.

Non fu difficile trovare l'infermeria, i letti erano quasi tutti occupati. Seguii le indicazioni di un uomo dall'aria stanca - presumibilmente un dottore - e aprii la porta di una camera separata dallo stanzone con i letti allineati.

All'interno Griffen giaceva esanime su di un letto. Il volto pallido sotto la luce del neon. Non ricordavo di averlo mai visto così...vulnerabile.

Mi sforzai di distogliere lo sguardo dal suo viso e lo portai sulla donna che gli sedeva accanto composta, le mani in grembo, ciocche dei suoi lunghi capelli biondi appena con qualche striatura d'argento sfuggivano a uno chignon dalla sua nuca.

Mi osservò di rimando, una scintilla dura nelle sue iridi azzurre. "Bambina, vedo che stai bene".

Trasalii. "Lady Irene, ti trovo... bene".

Era ringiovanita di almeno quarant'anni.

Una smorfia amara le piegò le labbra. "Sapevo che saremmo arrivati a questo punto. Lui ha messo la sua vita a repentaglio per te, te ne rendi conto?".

"Non l'ho chiesto".

Rise sarcasticamente. "No, certo. Ma lui è così: capace di grandi gesti, gesti sconsiderati... ma non credere neanche per un istante di essere importante per lui, è semplicemente il suo modo di fare".

Non avevo nessuna intenzione di scavare per capire di che accidenti stesse parlando. La vecchietta che ricordavo era sì inquietante, ma questa versione di donna di mezz'età mi metteva ancora di più a disagio.

"Cosa c'era nel tuo ufficio? Ho percepito il pericolo, ma Griffen ha preferito scaraventarmi fuori dalle mura piuttosto che farmelo affrontare".

Si alzò bruscamente dalla sedia e per un attimo pensai che volesse scagliarsi contro di me. Invece raggiunse a grandi passi l'uscita e si chiuse rumorosamente la porta alle spalle.

Griffen non si svegliò e la cosa era spaventosa. Lo osservai per alcuni istanti, dopodiché mi avvicinai e gli adagiai il cappotto addosso, al di sopra del lenzuolo.

Ecco. Così andava già meglio. Mi sedetti sulla sedia che fino a un attimo prima era occupata dalla non più vecchia e non so perché lo feci, ma istintivamente allungai una mano e la poggiai sulla sua fronte, come se volessi controllargli la febbre.

Percepii l'energia fluire verso di lui, che l'assorbì come se fosse tutto ciò di cui aveva bisogno. Potevo sentire le particelle passare da me a lui. Ritrassi immediatamente la mano e lui aprì gli occhi.

Si tirò a sedere con attenzione, senza distogliere lo sguardo da me, dopodiché adocchiò il cappotto disteso sulle lenzuola e mi osservò con espressione interrogativa.

"A te sta meglio ed è anche molto più figo di questo", dissi tirando fuori dalla tasca il laccio rosso con il quale avrei dovuto strangolarlo mesi prima. Ti saresti risparmiata un sacco di impicci Elise.

Griffen sorrise suo malgrado e allungò una mano, facendo cenno di passarglielo.

Glielo porsi, senza farmi troppe domande, non mi importava di nulla.

"Dammi la mano", chiese con tono calmo.

Esitai un attimo prima di porgergliela, ma tanto cos'altro poteva accadermi? Veramente ti fai ancora questa domanda?

Senza realmente sfiorarmi avvolse il laccio attorno al mio polso; lo guardai curiosa, i suoi occhi emanarono il bagliore rosso che ben conoscevo e il laccio divenne un bracciale a spirale avvolto attorno al mio polso che si mosse sinuosamente come un serpente per poi diventare un semplicissimo orpello rosso.

Sollevò lo sguardo su di me, che a quel punto cercai di ritrarre velocemente la mano, ma lui la trattenne tra le sue con forza sorprendente per uno che era appena stato in coma. "Quelli come noi hanno bisogno di un'àncora che li trattenga, che li riporti alla realtà; non deve più accadere quello che ti è successo".

Deglutii, sentendomi nuovamente persa; mi alzai e andai alla finestra, osservando il mio riflesso nel vetro. Portai la mia mano allo zigomo. "Sono cambiata un bel po', vero?".

Sollevò le spalle con fare casuale. "Sei bellissima, come sempre".

Mi stava facendo un complimento? Era qualcosa tipica di lui? Non mi pareva proprio.

Vedendo che non mi voltavo proseguì. "E comunque potresti tranquillamente tornare esattamente com'eri, ti basterebbe volerlo".

A quel punto mi voltai di scatto, furibonda. "Io non sono più quella che ero! Io sono così perché sono passati tre dannatissimi anni di cui ricordo tutto, ogni singolo giorno, ogni singolo minuto!".

Griffen annuì, scivolando fuori dal letto. Indossava una semplice maglietta nera su jeans scoloriti ancora macchiati di fango e polvere.

Restò a distanza. "Ti chiedo scusa Elise".

Si scusava con me? La cosa mi fece ancora più male. "Tu ti scusi, tu che ti sei buttato in quello schifo di nebbia per tirarmi fuori?".

Annuì.

Ero sull'orlo del pianto. "E se non fossi riuscito a riportarmi indietro, se per me fosse stato troppo tardi?". Scossi veementemente la testa. "Cosa avresti fatto? Cosa ne sarebbe stato di te lì in quel posto?".

Non tentennò. La sua risposta arrivò precisa e rapida. "E' semplice. Sarei rimasto lì con te".

Scossi ancora la testa. "Lo vedi? E' tutta colpa mia, la gente muore attorno a me. Tutti i ragazzi di questo posto...". In quel momento ricordai. "Phil!", mi portai la mano alla bocca sconvolta.

Griffen mi raggiunse. "Tu non hai colpa di questo. La colpa è solo mia perché avrei dovuto portarti via immediatamente, non avrei mai dovuto permettere che ti capitasse una cosa del genere!".

Il silenzio successivo aleggiò tra noi pesante.

Mi ricomposi. "Hai bisogno di riposare". Mi diressi verso la porta; Griffen non rispose, ma sentii il suo sguardo seguirmi fino a quando non mi dileguai al di là della porta.



Buon proseguimento di vacanze! Alla prossima.

B.

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