16. Incubo
La porta si chiuse da sola con un tonfo sordo alle spalle di Griffen, non conoscevo quella stanza particolare, anzi a dirla tutta io non ero neanche lì davvero. Ero consapevole di star sognando mentre osservavo il mio mentore avvicinarsi a passi misurati al centro della stanza.
Vidi il ragazzo alzarsi lentamente dalla sedia, un tutore al suo ginocchio rendeva i suoi movimenti impacciati, la paura sul suo viso era di facilissima interpretazione.
"Mi chiedo come tu – essere indegno di calpestare il suo stesso suolo – abbia lontanamente immaginato di poterti prendere una simile libertà con lei".
Il ragazzo si portò le mani alla gola, gli occhi sbarrati, la classica espressione di chi sta manifestando sintomi da deficit d'ossigeno. Non mi serviva vedere gli occhi di Griffen, sapevo che stava agendo sulla Materia.
Fece un ulteriore passo verso di lui, che nel frattempo levitava a trenta centimetri dal pavimento, gli occhi pericolosamente sporgenti e iniettati di sangue.
"Lady Elise è stata magnanima con te, ma io non lo sarò". La sua voce era bassa, ma chiarissima.
L'appellativo con cui Griffen si era riferito a me mi fece svegliare di soprassalto. Il cuore mi batteva all'impazzata; cosa diavolo era stato? Mi voltai e scorsi Luc addormentato accanto a me. Il respiro regolare e l'espressione serena.
Mi alzai cercando di non far rumore, scivolai giù dal letto e mi avvicinai alla porta chiusa.
Il meccanismo scattò in modo sospettosamente silenzioso e Griffen era lì in piedi che osservava la mia espressione sconvolta.
"Cosa succede?", chiese tagliente, concentrandosi sul mio viso in quel suo modo talmente diretto da mettermi sempre in imbarazzo.
Deglutii mentre uscivo chiudendo il più piano possibile la porta dietro di me per non svegliare Luc con la luce che sarebbe filtrata dal corridoio.
Cosa avrei dovuto dirgli... Elise, prova con: "Hai ucciso Brian Cavendish per salvare il mio onore?"
Era folle...
"Da quando sono qui mi sta succedendo di tutto, alcune cose non riesco a spiegarmele e non saprei neanche dire se sono reali".
Annuì. "La tua presa di coscienza è iniziata nel momento in cui hai smesso di negare a te stessa che ciò che sei in grado di fare è possibile. E' un processo inarrestabile". Osservò con attenzione la mia espressione non propriamente felice. "Accompagnami per favore, voglio mostrarti un posto".
Mi misi sulla difensiva osservando il mio pantaloncino e la leggera canotta con i quali stavo dormendo. "Non ho nessuna intenzione di passare la notte all'aperto, chiaro?".
Griffen rise, scuotendo la testa. "Vedrai che non te ne pentirai".
Gettai un'occhiata colpevole alle mie spalle, verso la camera dove avrei lasciato Luc, ma la curiosità ebbe la meglio, per cui lo seguii lungo i corridoi deserti, scendemmo un piano e varcammo la porta che portava ai locali di sgombero del seminterrato.
Non pensi più che possa essere un serial killer? No, lui può essere molto, molto peggio. Ma non con me. Come fai a saperlo? Non trovai una risposta adatta...
Griffen si fermò alla terza porta sulla destra e l'aprì entrando prima di me.
"Oh mio Dio, questo è il paradiso!", esclamai a voce alta senza riuscire a contenermi.
Colsi Griffen voltarsi per nascondere un sorriso.
Le pareti erano ricoperte da supporti carichi di armi di ogni tipo, alcune non avrei saputo neanche nominarle. Si notava l'attenzione e la cura dalla loro lucentezza, come se fossero state tutte lucidate e oliate in giornata.
Mi avvicinai a bocca aperta a una rastrelliera di automatiche e mi voltai a guardare Griffen indicandole con un gesto della mano. "Sono magnifiche!".
"Sapevo che avresti apprezzato". Lui si trovava accanto a una balestra e la guardava con una certa nostalgia nello sguardo.
Mi trovai a sghignazzare. "Quella sarebbe utilissima contro un'automatica".
Sorrise al mio tono sarcastico, accarezzando l'arma con familiarità. "Ti sorprenderebbe ciò che questa meraviglia sarebbe in grado di fare". Si avvicinò a me e tolse una pistola dalla rastrelliera. Me la porse guardandomi attentamente negli occhi. "E' migliore della tua glock: più nuova e dalle performance migliori".
Sollevai circospetta lo sguardo. Mi stava armando?
"Dovrò assentarmi per alcuni giorni e devi promettermi una cosa".
La situazione si stava facendo strana, ma mi trovai ad annuire, a corto di parole.
"Promettimi che resterai in vita, che la userai anche se solo avrai il minimo dubbio che tu sia in pericolo".
"Sono in un carcere di massima sicurezza pieno di gente che in teoria ne sa molto più di me. Chi pensi che potrebbe farmi del male?". Io qualche idea la avrei, ma una conferma sarebbe gradita.
"Non fidarti di nessuno, io non l'ho mai fatto e questo mi ha tenuto in vita; qualcosa non torna e sto andando a verificare delle informazioni".
Mi rigirai la pistola tra le mani, lentamente. "Però tu vuoi che mi fidi di te".
Non rispose. Estrasse da un cassetto il mio coltellino e lo fece scivolare nella mia mano libera. "Se dubiterai mai di me affondalo con più forza della prima volta, senza tentennamenti, senza rimorsi".
Tirai indietro la mano come se mi fossi scottata. Ci guardammo per un lungo istante.
Griffen si rasserenò. "Ti accompagno in stanza, hai bisogno di riposare".
Non ribattei, mi limitai a uscire dall'armeria e a precederlo nel corridoio con il mio carico di armi che pensavo mi avrebbe reso più felice di come in realtà mi sentivo. Camminammo in silenzio, quel silenzio che tra noi non pesava mai.
Giunti davanti alla mia stanza non riuscii a trattenermi e mi voltai verso di lui. "Non chiamarmi mai più in quel modo, odio i titoli".
Vidi autentica confusione sul suo viso, sostituita immediatamente da un lampo di consapevolezza che mi diede la conferma che ciò che avevo visto non era un sogno.
Si riprese in fretta, una luce fiera nel suo sguardo. "Perché mai non dovrei, è semplicemente ciò che sei, né più, né meno".
Io non sono niente. "Lo hai ucciso? Non sono riuscita a vedere tutto".
"Perché ti importa?". L'espressione serena, quasi annoiata.
Detestavo questo suo modo di trattare gli altri, come se fossero esseri inferiori. Comprendevo perché Luc lo odiasse.
"Brian è un coglione, ma non merita di morire. So dare da sola le lezioni che vanno date".
Inclinò leggermente il capo, continuando ad osservarmi con curiosità. "Quanta compassione da parte tua: è ammirevole, ma sei sicura che lui avrebbe lo stesso riguardo nei tuoi confronti?".
Mi spazientii. "L'ho capito che questo posto è una merda, mi chiedo allora perché tu mi abbia portato proprio qui".
"Non è detto che ci resterai a lungo".
Tentennai, non mi aspettavo una risposta simile. Luc... I ragazzi... Mi voltai involontariamente verso la porta chiusa della mia cella.
Griffen scosse la testa. "Quando arriverà il momento, non baderò a niente e a nessuno se non a metterti in salvo".
Perché?, pensai con intensità. Era serissimo, senza ombra di dubbio. Menti Elise, lasciagli credere che sarai una bambina obbediente. Annuii, cercando di apparire al contempo dispiaciuta e sollevata dall'idea che qualcuno avrebbe pensato a me.
"Buonanotte Griffen", mi affrettai a dire, mentre aprivo la stanza.
"Buonanotte Elise e ricorda la promessa".
Ci scambiammo un'ultima occhiata, dopodiché mi sbrigai a sottrarmi al suo sguardo indagatore e a tornare al sicuro, da Luc.
Grazie per essere ancora qui, alla settimana prossima!
B.
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