11. Tutto o niente
Il giorno dopo arrivai a lezione prima degli altri e mi sedetti in silenzio. Sapevo che Griffen avrebbe tenuto la lezione. Mi aveva avvisato lui stesso quando mi aveva magnanimamente aperto la porta al mattino. Era apparso lindo e imperturbabile come sempre, mentre io ero uno straccio. Ma in quale altro modo bisognerebbe sentirsi dopo che ti è stato detto che tutta la tua vita è una menzogna?
Gli altri arrivarono insieme e mi guardai bene dal rivolgergli un singolo sguardo: l'ultima cosa che mi serviva era la loro riprovazione. Li avevo quasi uccisi: prima mettendoli al rogo e poi quasi annegandoli in quella che sembrava una catastrofe senza fine.
Ok, non era del tutto colpa mia, ma come biasimarli se avessero voluto starmi alla larga?
Vidi di sottecchi che Luc avvicinava il banco al mio e si sporgeva per parlarmi.
"Ehi... come stai?". Il suo tono pareva sinceramente preoccupato.
Mi voltai mio malgrado, la mia diffidenza doveva essere bene evidente nel mio sguardo, perché Luc sospirò.
Anticipai – velenosa - qualsiasi sua mossa. "Cosa c'è... finito il disgusto? Serve che rispedisca le tue cose nella tua cella?".
Scosse la testa arrabbiato. "Guarda che stanotte ho provato a tornare in stanza, ma il Griff mi ha impedito di entrare. Ha detto che ti avrei svegliato e che dovevi riposare".
Ah. Distolsi lo sguardo da lui e mi resi conto che mi stavano osservando tutti, ma non nel modo in cui mi aspettavo. Gillian mi sorrise e Arthur fece una risatina mostrandomi il pollice alzato. Jeff... bè, era Jeff e teneva il naso nei suoi appunti.
Mi rilassai un pelino, forse dopotutto erano più comprensivi di quanto avessi ritenuto.
Era una sensazione gradevole: non avevo mai avuto degli amici e, anche se non potevo forse ambire addirittura a ritenerli tali, mi fece sentire bene.
E' quello che vogliono: che ti integri, che tu ti senta parte di loro per usarti, per...
Basta! La mia mente poteva concedermi qualche secondo di tregua? Era chiedere troppo dopo un susseguirsi di giornate e nottate orribili?
Non riuscii a darmi risposta perché Griffen fece il suo ingresso e l'aula gelò come di consueto.
Ne seguì una lunga filippica su quanto i miei compagni fossero stati irresponsabili, infantili e tante altre belle cose. Mi sentii in colpa, erano quasi morti e lui li biasimava.
Arthur - idiota come al solito - iniziò a tirarmi palline di carta quando riteneva di non essere visto. Sapevo che era il suo modo di sdrammatizzare e avrei anche riso se la voce di Griffen non mi avesse fatto sollevare lo sguardo a causa del tono.
"Ne ho abbastanza".
Le sue iridi vennero invase da filamenti rossi e il pavimento dell'aula fu scosso come si scuoterebbe un tappeto. Le sedie di tutti noi si staccarono dal pavimento e furono scaraventate a terra con i loro occupanti o meglio: tutte tranne la mia che rimase pericolosamente in bilico sulle gambe posteriori e che si riadagiò con cautela al pavimento. Guardai a terra: un mucchio indistinto di gambe, braccia, libri e quaderni.
Mi voltai verso Griffen che ricambiò il mio sguardo con serietà. Sospirò piano, come a volersi controllare. "Odio la scuola", borbottò tra sé e se ne andò.
I miei compagni si rialzarono da terra. Luc imprecò ributtandosi sulla sedia, passandosi una mano tra i capelli.
Guardai Gillian. "Tutto ok?".
Lei mi sorrise, mentre si spolverava i pantaloni con le mani. "Sì, sì, cento volte meglio il pavimento della tua unica sedia rimasta in piedi".
Capivo cosa intendeva. Le attenzioni di Griffen mettevano a disagio anche me, perché non mi aveva buttato a terra come tutti gli altri? Mi si parò davanti Arthur con il suo solito ghigno enorme. "Non preoccuparti Lizzie, anche se sei la cocca del Griff ci piaci lo stesso". E mi fece l'occhiolino. Era quasi disarmante e se non mi avesse cambiato arbitrariamente il nome lo avrei trovato quasi simpatico, anche se un buffone.
Intervenne Jeff, che infilava con cura il suo materiale nello zaino. "Sei un idiota Arthur, non prendi mai niente sul serio".
Li lasciai al loro battibecco e mi rivolsi a Luc. "Griffen. Capisco perché non lo sopporti".
"E tu?", mi chiese. "Quanto lo sopporti?".
Inclinai la testa, cercando di dare un senso alla domanda. Mi stava chiedendo se mi piacesse?
"Mi spaventa", ammisi. "E credo mi voglia usare, ma è l'unico che può darmi le risposte che mi servono".
"E tu gli crederai?".
"Dipende. Valuterò di volta in volta".
Annuì seriamente e mi sorrise. Dopodiché allungò una mano e mi sistemò una ciocca di capelli che era sfuggita alla coda. Il mio cuore fece stranamente una capriola, ma allora perché sentivo come un eco nella mia mente, un sussurro lieve, appena accennato?
Accantonai il tutto perché entrò il tutor dell'ora successiva e le lezioni ricominciarono.
Nei giorni successivi le lezioni tenute da Griffen andarono tutte nello stesso modo. Dopo un'oretta in cui parlava di Materia e metodi di manipolazione scaraventava tutti a terra – tranne me – si limitava ad osservarmi e se ne andava.
Al quarto giorno di questa meravigliosa routine persino Jeff perse un po' della sua flemma.
"Andiamo, Elise! E' ovvio che si aspetta qualcosa da te! Dovresti impegnarti di più".
Intervenne Luc. "Lasciala in pace".
Guardai Gillian affranta. "Mi dispiace... ma non so proprio che accidenti fare!", conclusi con un gesto stizzito delle mani.
Gillian non fece in tempo a rispondere perché Arthur si rialzò in piedi con il suo zaino rimasto miracolosamente pieno. Aprì la zip e ostentatamente lo vuotò completamente sul pavimento. "Noi siamo la resistenza!", urlò senza il benché minimo senso.
Ridemmo tutti e io nascosi la mia testa tra le braccia, poggiandomi al banco. Sentii il braccio di Luc sulle mie spalle, come a farmi coraggio. Girai il volto e lo guardai attraverso i capelli. Mi sorrise e non potei fare a meno di sorridergli a mia volta. Una rassicurante bolla di calore si propagò nel mio petto in maniera incredibilmente piacevole.
La mattina successiva sapevo già cosa aspettarmi. Eravamo tutti in classe e io mi sentivo tesa, nervosa e spaventata. Scarabocchiavo sul quaderno mentre i miei amici di lì a poco sarebbero stati nuovamente buttati a terra come cartacce e sarebbe stato tutto più semplice se loro avessero avuto altre lezioni, se fossero stati malati o magari in cortile a giocare a basket. Tutto ma non lì con me in quel momento.
La mia presenza era deleteria per loro. Quanto avrei voluto che almeno per una giornata il nostro magnifico insegnante mi desse tregua.
Griffen si interruppe di botto ed era una cosa alquanto strana così sollevai automaticamente lo sguardo. L'aula era vuota a parte me e lui. Dove diavolo erano finiti i miei compagni? Cosa avevo fatto stavolta? Li avevo polverizzati...
Ci osservammo per un istante infinito. I suoi occhi emanarono bagliori rossi e lo vidi lottare, premere contro di me con intensità. La sua volontà cozzò contro la mia - debole - come un fiume in piena e i miei amici si rimaterializzarono esattamente ai loro posti.
"Whoa!", esclamò Arthur, incredibilmente su di giri. "Che cosa ci facevo in infermeria?".
Lasciai andare il respiro, che non mi ero resa conto di aver trattenuto, con un rantolo. Per l'ennesima volta non ebbi il coraggio di guardarmi attorno, di guardare Luc. Ero davvero una calamità.
Griffen si avvicinò a passi misurati fermandosi a mezzo metro dal mio banco e sorrise guardandomi compiaciuto. "Possiamo cominciare, Elise".
Buon martedì ed ecco che Elise - come sempre del tutto inconsapevolmente e a modo suo - inizia a fare progressi.
Andiamo verso la parte conclusiva, grazie per essere ancora qui.
B.
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