materasso

Il paesaggio invernale dei colli e la loro valle ammirato dal Monte.
Ma c'era la nebbia.

Nebbia, vento e pioggerella che pungeva come aghi e piangeva dal cielo bianco.
Le rocce grigie e fredde, la piccola cava buia con l'orchidea viola.

Riflessione finita, è ora di ritrovarsi.

Le sedute laterali già colme, non resta che accomodarsi sullo scalino davanti e accanto ai volti conosciuti.
Inizia la celebrazione, la nostra privata celebrazione e altri fratelli si affacciano alla porta per ascoltare e pregare con noi.

Mi guardo attorno, siamo tanti.
Meno dello scorso anno, ma tanti.

La luce era scarsa, il marrone scuro delle raffinate eppur modeste sedute non regalava ulteriore luminosità alla cappella: gli occhi vagavano spesso su quella lastra chiara a terra, coperta dal vetro e da alcuni fiori, sotto le quali tutto il Dolore si era trasformato in tutto l'Amore.

Cantiamo, siamo uno.
Un corpo solo, una voce sola.

Ma gli occhi si alzano dalla lastra, ammirano per la prima volta l'integrità del gruppo.

In questo momento, è come se tutti ci conoscessimo da sempre. Ma ci siamo visti per la prima volta solo... Tipo la sera prima.
E poi ci alziamo in piedi, cantiamo ancora.

E nella penombra, un raggio di luce illumina proprio te.
Catturi il mio sguardo.

Quattro cose.
Non ti ho mai vista nelle scorse dodici ore. Deduco che sei arrivata da poco.
I tuoi capelli rossi, legati accuratamente dietro la testa. Bellissimi.
I tuoi occhiali marroni, grandi.
Sei più alta delle altre ragazze e indossi degli stivaletti scuri (credo di non aver mai visto qualcuno qui senza scarponcini da montagna).

Chi sei?

Lui ci fa conoscere poco dopo, a tavola.
Non si sa cosa è successo e come sia nato il nostro legame. Io credo in Lui.
Capirò.

Dall'affascinante penombra della cappella ai colori accesi della sala da pranzo.
Dal freddo della pietra al calore dello staff della cucina.
Dall'essere separate dal corridoio della cappella alla poca distanza delle sedie attorno al tavolo.
Dal silenzio della preghiera al fragore delle chiacchiere del refettorio.

Uno sguardo può affascinare, una parola può legare.

Tante parole vennero pronunciate.

A partire dalle disavventure della mattina fino a un punto che nessuna delle due ha trovato.
Canti benissimo, ascolterei la tua voce per ore.

Poi rispondevi ai messaggi al cellulare e non sentivo la tua voce e ti guardavo nella speranza che tu tornassi a guardare me.

Da un rapporto di guida e smemorata a un qualcosa che non si può ridurre a "mamma e figlia".
Un'adozione reciproca che non ha conosciuto limiti, se non quello dell'addio (arrivederci, a prima o poi, a presto, al più presto possibile).

Insieme.
Dove c'era una, c'era l'altra.
Inseparabili.
Quello che una faceva, l'altra guardava e sosteneva.
Sempre accanto.

Condividere così tanto, ma per meno di quarantotto ore.

Ti tengo il posto io, mi tieni il posto tu.
Ti aspetto io, mi aspetti tu.
Mi muovo io, ti muovi tu.
Ti muovi tu, mi muovo io.

Tutti gli altri erano divenuti uno sfondo. Cercare sempre due posti vicini, perché stare lontane non era per noi.

Le carezze, i nomignoli affettuosi, gli sguardi che afferravano ciò che le parole non dicevano.
E ancora cantare insieme, condividere il libretto, restare accanto durante l'adorazione.

E quel materasso.

Quel materasso tolto dalla pila su cui stava il sacco a pelo per restare accanto anche di notte.
Sul pavimento, piuttosto che sui letti.

Quei materassi uniti, non volevi che togliessi il secondo materasso sotto il mio perché volevi che mi proteggessi meglio dal pavimento freddo.

Buonanotte, buongiorno.
Se restavo indietro mi aspettavi.
Se mi fermavo mi aspettavi.
E io facevo lo stesso.

Quando la sorella non si faceva vedere, mi preoccupavo e la tua voce mi calmava.
Quando siete scomparse entrambe, ho aspettato davanti allo spiraglio della porta anche solo il suono delle tue parole o il rosso dei tuoi capelli.

Abbracci, ti abbraccio, cerco le tue braccia, abbracciamoci.

Abbracciamoci forte e non lasciamoci.
Fammi respirare insieme a te.

La tua felpa grigia e il mio maglione nero.
La tua treccia e i miei capelli fermati solo da una molletta.
E Lui con noi.

Condividere la stessa sedia pur di stare accanto.
Al gruppo in condivisione venne chiesto di fare come Will e il bambino nel Circo della Farfalla, abbracciarsi appoggiando la testa sulla spalla o sul petto dell'altro.

Ma te mi hai tenuta stretta per secondi che per me sono stati un ferma-tempo.
Chiudere gli occhi e lasciarsi abbracciare.

E poco dopo mi proteggevi col tuo stesso corpo, tenendo una mano sulla mia testa, accarezzandola.

Ma ogni ora che passava e più si avvicinava la tua partenza.

Il 31 dicembre non doveva concludersi.
Il primo gennaio poteva aspettare.

Di solito non vedo l'ora che la giornata finisca per esplorare quella successiva.
Ma la notte del 31 dicembre è arrivata.

Appoggiare la testa l'una sull'altra mentre preghiamo, tenerci per mano durante le preghiere, sorridere ad affermazioni che solo noi sappiamo.

Cantare insieme, cercare di non addormentarsi prima della mezzanotte, combattere contro ogni abiocco.

E poi sono arrivate le due.
I nostri materassi ancora vicini, il tuo zaino già vicino alla porta della camerata, la mia roba ancora sparsa per la stanza.

È buio, dovresti dormire ma non riesci.

«Domani ti darò un bacino sulla fronte prima di partire» ma quel domani era già oggi.

Il tuo materasso accanto al mio, ti giri nel sacco a pelo mentre io mi sto coricando. Volevo farti un fiore ma non ci sono riuscita, non lo ritrovo.

E di getto, l'ultimo abbraccio.
Il nostro ultimo abbraccio.
Il nostro ultimo saluto.
La nostra ultima buonanotte.
L'ultima volta che ci siamo guardate.

E anche se le ombre sono forti, i miei occhi ancora vedono i tuoi capelli rossi.

Bacino della buonanotte sulla guancia (o era la fronte?) e poi, il sonno prende entrambe.

Passano le ore.
Passa il buio.
Passa la notte e torna il giorno.

Apro gli occhi, sono girata dall'altra parte.
Le coperte che mi coprivano ulteriormente sono riverse a terra.

Trovo il coraggio di guardare l'ora: sei già partita.
Mi giro, alzandomi leggermente dal sacco a pelo.
Il tuo materasso è ancora lì, accanto a me.

Ma te non ci sei più.

Il materasso è vuoto, c'è solo la tua coperta piegata sopra. Ti avevo detto che l'avrei rimessa a posto io.

Ma ora guardo quel materasso vuoto e sento altrettanto vuoto dentro di me.
Non saprò mai se mi hai dato il bacino del buongiorno.

Passa la giornata, io trovo altra compagnia ma accanto a me il tuo posto resta vuoto.
E il vuoto resta dentro di me.

Prego, canto, sorrido, abbraccio tante persone e tante belle parole mi vengono rivolte.
Ma tu sei già lontana.
Il tuo materasso era vuoto.

E io in quel momento, quella mattina mentre le altre ancora dormivano, realizzai che nel profondo del mio cuore, una parte di me sperava di svegliarsi e trovarti ancora lì.

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