Cap. 8

Marinette stava sfogliando una rivista di moda per controllare le ultime novità, sdraiata prona sul letto, con Tikki che spiava le pagine sul cuscino accanto alla sua portatrice.

Mancavano dieci giorni alla sfilata ed il vestito non era ancora completato.

"Andrò avanti oggi pomeriggio..." pensò la corvina, girando il volto verso l'armadio, pensando all'abito al suo interno.

La sua attenzione si spostò sulla botola quando si aprì, rivelando il volto stanco di Adrien.

«Tikki, nasconditi.» sussurrò, per poi vedere il suo kwami volare dietro il cuscino a forma di gatto.

Il ragazzo salì sul letto, sdraiandosi a pancia in giù appena toccò il materasso.

«Buon giorno Gattino, dormito bene?» lo schernì, chiudendo la rivista che stava leggendo e spostandola dove non avrebbe dato fastidio.
«Non molto...» mormorò lui in risposta.
«Stanotte si è alzato tre volte a vomitare e stamattina l'ho trovato abbracciato al gabinetto: una scena pietosa e divertente al tempo stesso.» commentò Plagg, sbucando dal colletto della camicia del suo custode, facendo ridere la corvina.
«Non berrò mai più...» bofonchiò il biondo, con il viso nel materasso.
«L'hai detto anche l'ultima volta, ma eccoti qua: con i postumi di una sbornia quasi degna da "Una notte da leoni".» ribatté Marinette, mettendosi a sedere a gambe incrociate. «Strano che tu non mi abbia chiesto dei croissant.»
«Attualmente, non voglio nemmeno sentire parlare di cibo.» rispose, con un senso di nausea che lo assaliva appena sentì nominare i suoi dolci preferiti. «Principessa... Hai un'aspirina? Mi sento come un martello pneumatico in testa...» aggiunse, tastando il materasso con la mano in cerca in un contatto fisico con la ragazza, che gli prese la mano e gliela strinse.
«Ho letto che bisogna bere molta acqua, così il fisico reintegra i liquidi persi.»
«Ed il mal di testa? Domani ho un servizio fotografico!» si lamentò, mettendosi supino e poggiando la testa sulle gambe della corvina.
«Te lo tieni.» rispose. «Dovevi pensarci prima di ubriacarti in quel modo.»

Adrien, ignorando il senso di vertigine e il dolore martellante, si mise a sedere, guardandola assonnato: «Almeno mi dai un bacino?»
«È stata la stessa cosa che mi hai detto ieri sera, poi ti sei fregato l'ultima bottiglia di vodka.» rispose in tono offeso, incrociando le braccia.
«Ma ora non c'è da bere -per mia fortuna- e non sono in vena di provocazioni.» spiegò, mettendosi in ginocchio e avvicinandosi maggiormente a lei.
«Che strano: Adrien Agreste che non ha voglia di fare provocazioni. Quale miracolo.»

Il modello le fece la linguaccia, mentre lei ridacchiò, per poi scompigliargli i capelli, non cambiando la sua espressione offesa.


Lila era sicura che questa volta avrebbe scoperto l'identità di Ladybug: un akuma si era presentato al Louvre e lei era lì ad aspettare l'arrivo dei due supereroi.

Per sua fortuna era venuta in bici, così avrebbe seguito meglio la supereroina mentre annullava la sua trasformazione proprio a casa sua.

Non dovette aspettare molto che Chat Noir atterrò sulla punta della piramide di vetro, sbraitando al nemico che il suo padrone aveva scelto il giorno sbagliato per liberare una farfalla e, appena lo attaccò lanciandogli una specie di raggio elettrico, che evitò, si domandò se Papillon avrebbe mai finito le farfalle; poco dopo, atterrando dietro l'akuma, apparse Ladybug, facendo roteare il suo yo-yo e rispondendo alle battute provocatorie di Chat.

Dieci minuti più tardi, i due eroi, avevano già liberato l'akuma, purificandolo in farfalla bianca, per poi separarsi per tornare alle loro vite.

Ladybug, seguita i bici –senza che lo notasse– da Lila, saltò tra i tetti verso casa sua, con l'intento di dedicare il resto della giornata al suo abito per la sfilata.

Appena raggiunse la pasticceria dei Dupain-Cheng, e dopo aver visto l'eroina entrare da una finestra per l'ennesima volta, la mora fece una foto al luogo.

«Certe volte, non serve molto per scoprire qualcuno, cara la mia Ladybug.» ghignò, riponendo il cellulare nella borsa e partendo per tornare al suo appartamento.


Era da diversi giorni che Marinette, subito dopo le lotte contro gli akuma e durante le ronde, si sentiva stranamente osservata, ma sicuramente sarà stata Alya, altre fangirl o lo stress per la sfilata che le davano questa sensazione.

Quella sera, aveva quasi concluso il vestito: mancava soltanto da cucire la parte superiore con quella inferiore e definire alcuni dettagli, poi era pronto per essere indossato.

La ragazza sistemò gli oggetti utilizzati –set da cucito e cerotti in caso di puntura d'ago– e le stoffe, rispondendole nell'armadio, lontano dal suo fidanzato curioso.

«C'è qualcosa che ti preoccupa, Marinette?» domandò Tikki, volando al fianco della corvina.
«Sarà una mia impressione, ma ultimamente mi sento osservata, soprattutto quando sono Ladybug.» rispose, nascondendo la cassetta del pronto soccorso dove i genitori non potevano trovarla.
«No, non è una tua impressione.» disse, facendosi seria. «Anch'io ho questa sensazione. La prossima volta che vedo Plagg lo chiedo anche a lui, anche se è focalizzato sul formaggio quindi non credo che avrò qualche risultato.» aggiunse, facendo ridere la sua custode, che le diede ragione.
«Forse Plagg è più furbo di quel che crediamo.» esclamò Marinette, salendo sul letto e prendendo il telecomando dello stereo che teneva sulla scrivania.
«È di Plagg che stiamo parlando: lo conosco da millenni e non ha mai cambiato il suo "essere Plagg", ma è un grande partner. Preferisco lui che gli altri kwami; non fraintendere: anche loro sono parecchio forti e simpatici, ma sono particolarmente legata a Plagg.»
«Particolarmente.» sottolineò, con un sorriso divertito sulle labbra.

Quando lo spiritello rosso capì cosa intendeva la corvina, si fece agitata, aumentanti d'intensità la luce rossa attorno a lei: «Non in quel senso! Marinette!»

La ragazza di mise a ridere, accendendo lo stereo sulla musica di Jagged Stone, accarezzando con l'indice la testa della piccola kwami, che le fece la linguaccia.


Gabriel tornò nel suo ufficio, chiudendo a chiave la porta, non volendo essere disturbato.

Un altro fallimento.

Ladybug e Chat Noir avevano battuto, per l'ennesima volta, un suo akuma.

L'uomo, avvilito, si sedette alla sua scrivania, aprendo il cassetto e mettendo Nooroo all'interno, dove poté rifocillarsi con la mela che il suo padrone gli aveva messo a disposizione.

«Gabriel, quando la finirai con questa storia?» domandò il kwami viola, addentando uno spicchio del frutto.
«Non appena avrò ottenuto il potere: voglio i Miraculous di Ladybug e Chat Noir!» rispose irato.

Pensare all'ennesima sconfitta lo irritava ancora di più: com'era possibile che un paio di adolescenti fossero in grado di sconfiggerlo?

«Parlami di questi due Miraculous, Nooroo. Parlami del loro potere.» lo esortò lo stilista, concentrandosi su qualcos'altro.
«Il Miraculous di Ladybug ha il potere della creazione; quello di Chat Noir ha il potere della distruzione; inoltre sono i più potenti tra noi. Ma te li avevo già detti.»
«E cosa succede di preciso quando si acquisiscono entrambi i gioielli?» lo interruppe, prima che potesse aggiungere altro.
«Di preciso non lo so. So solo ciò che ti ho detto: chi si impossessa di entrambi i Miraculous ottiene un potere strabiliante, simile a quello di una divinità.»

Divinità. Quella era la parola chiave.

Divinità equivaleva al potere. Potere equivaleva a riottenere tutto ciò che aveva di più caro: la sua famiglia.

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