CAPITOLO UNDICESIMO - parte 1

Le prime luci del mattino attraversavano i finestroni dell'ospedale e tracciavano linee rettangolari sul pavimento bianco.
Asya era ancora seduta nella sala d'attesa, con la testa retta dalle mani e lo sguardo puntato a terra. La sua sofferenza era indicibile; non le importava più di niente, voleva soltanto che quella maledetta porta si aprisse e ne uscisse un dottore sorridente, esclamando: -Sta bene, guarirà presto-.
Nonostante si sforzasse di non pensare, tuttavia, non faceva altro che rivivere nella sua mente quella scena. Il camion che frena, i fari così vicini, e poi lo spintone. Era atterrata ad un metro di distanza, ed aveva sentito un forte colpo. Quel colpo...era il corpo di Tim che sbatteva contro al muso del camion.
Un brivido le percorse tutto il corpo. Tutto questo non poteva essere vero. Adesso si sarebbe svegliata nel suo letto al locale, si sarebbe fatta una risata e avrebbe detto: -Era solo un sogno-.
Nulla di più sbagliato.
Quella era la realtà, per quanto orribile e ingiusta fosse.
La ragazza sollevò la schiena ed appoggiò la testa contro al muro, sospirando. Aveva le mani sudate e le girava la testa.
Quella straziante attesa la stava facendo impazzire, e come se ciò non bastasse il senso di colpa era come un enorme masso poggiato sul suo petto, che lo schiacciava rendendole difficile persino respirare. Tim stava rischiando di morire per colpa sua.
Doveva essere stato da qualche parte dietro di lei, e vedendo la scena aveva realizzato che sarebbe stata investita; così, l'aveva spinta via.
Ed il camion aveva investito lui.
Si sentiva una merda, adesso.
Era come se fosse stata lei a ridurlo in fin di vita; e mai, mai, mai avrebbe potuto perdonarsi una cosa del genere.
Ad un tratto, il flusso dei pensieri di Asya venne interrotto dal rumore della porta che si apriva. La ragazza balzò in piedi, mentre un medico stava uscendo.
-Come sta?- chiese quasi urlando, con il cuore che esplodeva nel petto.
Il dottore assunse un'espressione dispiaciuta, e disse: -Venga. Le spiego nel mio ufficio qu...-.
-No!- lo interruppe lei -La prego mi dica che non morirà-. Nel pronunciare questa frase, Asya scoppiò a piangere.
L'uomo le poggiò una mano sulla spalla. -Stia tranquilla. Stiamo facendo del nostro meglio, e posso dirle per certo che non morirà-.
Stava dicendo una bellissima cosa, ma allora perché il suo volto esprimeva tutto il contrario?
Perché appariva così triste, così dispiaciuto?
-Però?- disse singhiozzando la ragazza, asciugando le lacrime sce scendendo dai suoi occhi stanchi le avevano bagnato le guance.
Sapeva che c'era dell'altro.
-Beh... Ha subito un forte trauma e...-.
-E?!- gridò infine esasperata, realizzando solo in un secondo momento che quel suo comportamento isterico era del tutto fuori luogo.
I dottori stavano facendo del loro meglio.
-Lo abbiamo operato alle ossa rotte e sotto questo aspetto va tutto bene. I parametri vitali però sono sballati, è stato necessario attaccarlo alle flebo e mettergli il respiratore... Ma la cosa che al momento mi preoccupa di più è il fatto che potrebbe cadere in coma...-.
Asya annuì semplicemente. Quelle parole erano dolorose come tanti pugni in faccia, e non aveva la forza di accettare tutto questo. Avrebbe solo voluto scappare da questa realtà orribile, e rifugiarsi in un luogo dove il dolore non potesse raggiungerla. Con che coraggio avrebbe anche solo varcato la soglia della stanza in cui tenevano Tim?
Tentò di dire qualcosa, ma le parole le morirono in gola. Ebbe l'impressione di soffocare, come se ad un tratto non fosse più capace neanche di respirare autonomamente.
-Signorina, se vuole entrare a vederlo la accompagno- disse ancora il medico, notando la sua disperazione. Asya annuì, e strinse i pugni così forte che le unghie si conficcarono sotto alla pelle dei palmi.
Doveva farsi coraggio.
Doveva vederlo.
-Mi segua, prego-.

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