CAPITOLO TREDICESIMO - parte 2
La linea 51 fermava proprio davanti al locale di Berto; Asya salì sull'autobus ed attese il momento giusto per premere il pulsante della fermata.
Una volta giunta sul posto con le suole sull'asfalto, osservò il mezzo andarsene via e fu colta da un'improvvisa sensazione di vuoto e desolazione; il camion era ancora là, infondo alla strada; era solo stato spostato di qualche metro per sgomberare la via.
Strinse i pugni ed osservò l'entrata del bosco; non sapeva che cosa avrebbe dovuto aspettarsi adesso, ed era anche alquanto scettica riguardo alla possibilità di trovare una spiegazione in quel posto; ma vista la situazione, quella era probabilmente la cosa più sensata che potesse fare.
Inoltre, sperava fortemente che una passeggiata all'aria aperta le avrebbe fatto bene, l'avrebbe aiutata a staccare un pò la spina.
Dimenticarsi per qualche ora quale terribile vicenda stesse vivendo.
Si addentrò nel bosco, osservando le fronde verdi degli alberi che si muovevano sinuosamente spinte dal vento. L'aria odorava di terra e fiori, ed il silenzio regnava rotto soltanto dal canto degli uccelli.
Asya camminava schiacciando le foglie che ormai si erano mischiate alla terra, mentre pensava. Nella sua mente apparve l'immagine di quella strana maschera, ora poggiata sul comodino bianco accanto al letto di Tim.
Aveva una brutta sensazione a riguardo, ma non sapeva spiegarsi esattamente per quale motivo.
Ad un tratto, Asya notò che il sentiero che stava percorrendo si interrompeva bruscamente, a causa di un grosso albero che vi era caduto sopra. Si avvicinò e sporse la testa oltre, notando che il sentiero sembrava proseguire, seppur pieno di erbacce e cespugli spinosi. Ebbe un pò d'esitazione, dal momento che non sapeva neanche se stesse andando nella direzione giusta, ma scansò via quei pensieri e poggiò i palmi sulla superficie ruvida del tronco.
Con una bella spinta in avanti vi salì sopra, per poi scivolare giù dall'altro lato sporcando i pantaloni con il muschio verde che ne ricopriva la corteccia.
Fermandosi per ripulire i jeans, si accorse che nella parte opposta di quel tronco vi era una specie di simbolo, inciso sul legno: un cerchio, ed una X.
Vi fece scorrere le dita sopra, come ad accarezzarlo.
Non aveva idea di cosa significasse, ma poteva essere stato disegnato da chiunque.
Aggrottò la fronte e riprese a camminare, trovandosi costretta a scansare continuamente erbacce e fronde che bloccavano il passaggio. Camminò per diversi minuti, finché non accadde qualcosa di inaspettato: la sua testa, all'improvviso, iniziò a girare. Perse l'equilibrio e cadde a terra, poggiando i palmi sull'erba secca. Poi arrivò il peggio: una forte tosse la assalì, costringendola a piegarsi in avanti, ed ebbe l'impressione di perdere i sensi. Tutto intorno si faceva confuso e sfocato, e nella testa della ragazza si espande un suono insopportabile. Un sibilo stridulo e confuso, che torturava la sua materia grigia come volesse farla implodere.
Quando Asya sollevò il capo, continuando a tossire compulsivamente, vide che c'era qualcuno davanti a lei.
Un uomo.
Alto. Molto alto.
Magro.
Vestito con uno smoking nero.
Era vicino, e sembrava fissarla.
Il suono che torturava con violenza le sue orecchie aumentò, costringendola a premere le mani contro alle tempie, finché non cessò all'improvviso.
La ragazza emise un gemito di dolore e sollevò ancora lo sguardo, in preda agli ultimi colpi di tosse; lui non c'era più.
Si alzò in piedi, terrorizzata, e tornò subito sui suoi passi. Cosa era appena accaduto? Si era trattato di un'allucinazione oppure ciò che aveva visto era reale?
Non aveva tempo di pensarci, adesso. Scavalcò l'albero e corse via, fin fuori dal bosco. Aveva bisogno di allontanarsi da quel posto maledetto, di trovare sicurezza nel poggiare le suole sull'asfalto della strada.
Raggiunse la fermata dell'autobus e lo attese, con le gambe che ancora tremavano di paura.
Tutto ciò che voleva fare, adesso, era tornare da Tim.
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