CAPITOLO SECONDO - parte 1
-Ma che diavolo fai!- gridò Berto, afferrando Timothy per i capelli -Testa di cazzo!-.
-Calmi, calmiamoci tutti- gridò uno dei clienti al tavolo, alzandosi in piedi. Pareva spaventato, ed era certamente stato colpito perché perdeva sangue dal naso. -Facciamola finita tutti, dai-.
Il padrone del locale lasciò la presa su Timothy con estrema rabbia e disprezzo e gridò: -Sam, porta via questo coglione!-.
L'uomo obbedì ed afferrò il ragazzo per una spalla, anche se quest'ultimo lo seguì senza opporre nessun tipo di resistenza.
-Dovete scusarmi sono davvero desolato, il mio cameriere non si era mai comportato in questo modo, state pur certi che lo licenzierò-.
Sam condusse frettolosamente il ragazzo fin dentro alla loro stanza, poi lasciò di colpo la presa sulla sua maglietta assestandogli uno spintone -Ma che cazzo fai?- esclamò adirato -Se il capo finisce nei guai, siamo nei guai anche noi, idiota!-.
Timothy non rispose, ma strinse le mandibole ed abbassò lo sguardo.
-Augurati che non facciano denuncia, perché altrimenti...-.
-Altrimenti?- lo interruppe, sollevando la testa.
-Vi prego smettetela!- intervenne Asya, che nel frattempo aveva appena varcato la soglia, con il fiato corto e le palpebre spalancate. Notò subito che Timothy era fin troppo nervoso, dal modo in cui si dondolava su sé stesso.
-Stai tranquillo- tentò di rassicurarlo -Il capo sta parlando con loro. Risolverà tutto-.
Non avrebbe mai immaginato di vederlo reagire in quel modo, difenderla rischiando addirittura il suo posto di lavoro. Forse Tim non era realmente menefreghista e freddo come dava a vedere.
Il ragazzo voltò lo sguardo verso di lei. -È colpa tua- le disse in tono accusatorio, puntandole il dito indice addosso.
La ragazza spalancò gli occhi, confusa -Cosa? E perché sarebbe colpa mia, adesso?-.
-Perché non sai difenderti, e tocca a me finire nei guai al posto tuo- sbraitò lui.
Etnia sbuffò. Si era sbagliata. Era sempre il solito stronzo, anzi, forse adesso era anche peggio.
-Non ti ho chiesto di difendermi- ribattè lei.
Il ragazzo scosse nervosamemte la testa, e si passò le mani dietro alla nuca.
-Sai che ti dico, Timothy? Vaffanculo!!- gridò poi Asya, lasciandosi scappare una lacrima. Perché le parlava in quel modo? Perché doveva sempre fare lo stronzo?
Non era stata certo lei a chiedergli di aiutarla. Non lo avrebbe neanche voluto il suo aiuto, se le cose stavano così.
-Non te la perdere, Asy- disse Sam, poggiandole una mano sulla spalla -Lascialo stare-.
La riaccompagnò in sala, ed il servizio ai tavoli proseguì.
Timothy, tuttavia, non uscì più dalla stanza; non tornò a lavoro.
Quando fu trascorsa circa mezz'ora da quell'avvenimento, mentre Asya era intenta a sparecchiare uno dei tavoli che erano stati liberati, vide in lontananza che il padrone si stava recando nelle stanze.
Si incupì. Anche se non avevano mai stretto un rapporto di amicizia, non avrebbe mai voluto che Tim venisse licenziato per averla difesa.
Nonostante la preoccupazione dovette continuare a svolgere con obbedienza il suo lavoro per tutta la sera, e notò che il capo era tornato fuori dalla stanza ben due ore dopo il suo ingresso.
Si chiedeva cosa si fossero detti là dentro, lui e Tim, per tutto quel tempo.
Sperava solo che il ragazzo non avrebbe passato delle grane, perché nonostante tutto era convinta che non lo meritasse.
Quando finalmente, alle undici e mezza, tutti i clienti furono usciti dal locale, la ragazza si avvicinò al banco del bar dietro al quale vi era Berto intento a riempire un boccale di birra.
-Hem... Capo...- disse insicura, abbassando lo sguardo per non dover incrociare il suo sguardo.
-Non l'ho licenziato- rispose secco lui -Torna a lavoro-.
Asya annuì, ed senza dire niente fece ciò che le era stato chiesto. Si sentiva sollevata, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi per Tim. Perché era ancora chiuso nella stanza?
Quando finalmente ebbe finito di ripulire tutta la sala con l'aiuto di Sam, Asya si fece una doccia calda e si diresse frettolosamente in camera.
Appena entrò, vide Timothy in piedi con la schiena poggiata al muro. Notificando il suo arrivo lui voltò lo sguardo in sua direzione, ma non disse niente; si sfilò di dosso la maglietta e si buttò sul proprio letto, uscendo dal suo campo visivo essendo nascosto dal tendone che donava quella poca ma necessaria privacy.
Non sembrava arrabbiato o altro, la sua faccia era tornata quella di sempre, pensò la ragazza.
Si sdraiò a sua volta, e puntò lo sguardo sul soffitto sopra di sé.
-Timothy.... Grazie- disse con voce incerta, mentre chiudeva gli occhi.
Lui non rispose, ma seppur lei non potesse vederlo, sorrise lievemente.
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