CAPITOLO OTTAVO - parte 1
Alle prime luci del mattino, Asya era seduta su una delle sedie del bar, con la testa retta dalle braccia ed il viso illuminato dalla lieve luce che filtrava timidamente attraverso alle vetrate del locale.
Quella notte aveva dormito poco più di due ore. Seguì con gli occhi i movimenti di una piccola formica che percorreva il bancone di legno, muovendo velocemente le sue piccole zampette, mentre pensava. Non se la sentiva di lamentarsi della sua situazione, perché infondo aveva un lavoro ed un tetto sulla testa; ma qualche volta non riusciva proprio ad evitare di pensare a quello che non aveva: una famiglia, tanto per cominciare.
Non poteva dire di aver mai avuto una famigliache fosse degna di quel nome; e questo aveva probabilmente dimezzato le sue possibilità di avere una vita normale, come le altre ragazze.
Frequentare l'università e trovare un lavoro che non la costringesse a sgobbare come un mulo ogni maledetto giorno.
Ad un tratto un lieve rumore interruppe il flusso dei suoi pensieri. Asya voltò la testa e vide Tim uscire dalla stanza. Camminava a passo svelto e teneva una mano premuta sulla bocca.
-Tim? Stai bene?- gli chiese a voce bassa.
Il ragazzo aumentò ancor di più l'andatura ed aprì la porta d'ingresso con una spallata. Non appena fu fuori, si piegò con la schiena ed iniziò a tossire.
Asya lo raggiunse e chiuse la porta, poi si avvicinò a lui con aria preoccupata. Gli appoggiò le mani sulla schiena, mentre il ragazzo continuava a tossire con i palmi premuti sulle ginocchia.
-Tim..-.
Il ragazzo tornò in posizione eretta, respirando affannosamente. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni, ed estrasse la solita scatolina di pasticche. La aprì con le dita tremanti, e ne prese una.
La inghiottì e riprese a tossire, emettendo lievi lamenti.
-Tutto ok?- chiese ancora lei guardandolo con aria preoccupata.
Tim annuì e sollevò la testa. Restò fermo per una manciata di secondi, tossendo sempre meno, fino a smettere del tutto. I suoi occhi scuri vagavano nello spazio circostante senza soffermarsi da nessuna parte, mentre il suo respiro si faceva man mano sempre più lento e regolare.
Asya lo osservò con un'espressione profondamente triste. Doveva chiederglielo, a questo punto.
-Tim..- disse con un punto d'indecisione.
Lui ricambiò lo sguardo.
-L'altro giorno, quando ho preso la tua borsa...ho visto-. Si interruppe, soffocata dal timore di sbagliare, di rovinare il loro rapporto.
-Hai frugato tra la mia roba?- le chiese subito lui, alzando il tono della voce.
-No, però..-.
-Però?-. Il volto di Tim era piegato in un ghigno di rabbia.
-Ho visto tutte quelle pasticche e...-.
Il ragazzo aggrottò la fronte -Lo sapevo. Faresti meglio a farti gli affari tuoi, Asya-.
La ragazza scosse la testa -Mi dispiace. Ma sono preoccupata per te-.
-Non c'è bisogno- ribattè lui, visibilmente seccato.
-Ti comporti in modo strano, e io vorrei solo esserti d'aiuto...-.
Il ragazzo avanzò di un passo posizionando il suo volto a pochi centimetri da quello di lei. -Ti ho detto di non impicciarti dei miei affari! Chiaro?-.
Asya abbassò lo sguardo, e non disse niente. A quel punto si stava solo chiedendo se valesse la pena preoccuparsi per quello stronzo.
Nonostante tutto ciò che aveva fatto per lui da quando le cose avevano smesso di girare per il verso giusto, lui non le aveva mai dimostrato un minimo di gratitudine.
-Non ficcare più il naso nei miei affari- concluse Tim tornando dentro, e sbattendo nervosamente la porta d'ingresso dietro di sé.
La ragazza rimase in giardino da sola, e volse lo sguardo sulle poche macchine che a quell'ora percorrevano la via periferica davanti al locale. I fari rompevano l'oscurità ed illuminavano piccoli sciami di moscerini che danzavano nell'aria.
Trattenne a stento le lacrime, sospirando lentamente.
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