PROLOGO: DANZA DELLA CREAZIONE
La vita è considerata da alcuni un dono. Da altri, una maledizione.
L'acqua era fredda.
Un gelo che penetrava la pelle e scendeva fino alle ossa.
Perché la verità è che ogni regalo ha un costo.
La corrente avvolgeva il suo corpo come un sudario, lenta ma inesorabile, trascinandolo verso il basso. Aprì gli occhi sott'acqua, ma non vide altro che un'opaca distesa grigia.
E spesso la vita è sia il dono che il prezzo.
Provò a muovere le braccia, il corpo pesante come piombo, ma la superficie sembrava irraggiungibile. La luce sopra di lui era fievole, distorta, e creava alcuni riflessi che si delinearono in una volta celeste.
Non era un'immagine reale, ma una visione.
Quindi, perché i mortali combattono per rimanere in vita? Il costo dovrà essere comunque pagato, prima o poi.
L'acqua si increspò fino a mostrargli una scena parecchio particolare: due meteore che piovevano dal cielo plumbeo e tempestoso.
La prima era rapida, una scia nera diretta verso l'entroterra, quasi come se l'Oltremondo la stesse richiamando a sé. La seconda era l'esatto opposto: un fulmineo agglomerato di strie elettriche che tessevano un filo luminescente.
Il fenomeno perdurò per qualche secondo, mentre le rapide linee si incrociavano su se stesse a formare una doppia elica, come se la loro danza generasse la vita nella sua essenza.
A differenza di come suggerirebbe il pensiero comune, era la luce a rincorrere l'oscurità in modo frenetico e non il contrario. Le ombre non volevano inghiottire la luce, era quest'ultima che la raggiungeva nel tentativo di dissiparla. Le loro traiettorie convergevano verso un'area isolata. Le meteore proseguirono il viaggio fino a schiantarsi con un fragore assordante.
L'esplosione che ne seguì fu potente, scatenando un'ondata di calore che incenerì tutto ciò che si trovava nei dintorni. Un cratere profondo si formò nel punto dell'impatto, circondato da detriti fumanti e frammenti delle meteore. Il terreno intorno al cratere era stato sconvolto, mostrando segni di una inaudita energia distruttiva. L'aria si squarciò in un rombo assordante. L'onda d'urto fece tremare la terra e mandò in frantumi le poche abitazioni della zona.
Per un istante, tutto sembrò sospeso nell'attimo successivo all'impatto. Un silenzio pesante e irreale avvolse la scena, interrotto solo dai deboli echi del rumore dell'esplosione che si dissolveva lentamente nell'aria.
Infine, due figure emersero dalla coltre di fumo appena generata. Indossavano maschere dalle forme tipiche delle feste italiche, ma l'aura attorno a loro portava un rigore immenso.
Erano due divinità che si squadravano a pochi metri di distanza.
«Sei disposto a rompere il nostro patto per un mortale? Pronto a rischiare di adirare il Fato per un ragazzo, Cragar?»
«Sì, Emion. Tu, invece, lo stai facendo perché hai paura di lui.»
«Come fai a essere così ingenuo? Era dalla loro parte!»
Il dio oscuro continuò ad avanzare verso il suo nemico, passo dopo passo. La sua non era una corsa spericolata e furiosa, ma una semplice e lenta camminata. Il vento ululò, spettinandogli i lunghi capelli rosso sangue.
Alzò il capo verso l'alto e disse in modo pacato: «Ti ho avvisato del pericolo. Lui doveva solo essere protetto, ma tu hai fatto l'esatto opposto.»
Un rombo di tuono scattò dalle nuvole. «Silenzio!»
«Non puoi sconfiggermi, Emion,» la sua voce era calma, quasi apatica. «La verità verrà rivelata, prima o poi. Nemmeno tu puoi fermarla.»
Frustrato e furioso, il dio lucente piantò i piedi sul terreno. I suoi occhi brillavano di una luce intensa, ma anche di un pizzico di odio.
«Hai sempre voluto proteggere gli innocenti, Cragar,» rispose l'immortale con tono tagliente, «ma non puoi proteggere nessuno se non sei nemmeno capace di farlo con te stesso. Sei quasi potente quanto me, ma non puoi sfidare tutta la nostra generazione e sperare di uscirne vincitore.»
Il dio oscuro accennò quasi un sorriso. La vita e la morte erano cicli inevitabili, lui lo sapeva molto bene. Allo stesso modo, le due divinità sarebbero state costrette un giorno a una guerra causata dalla loro divergenza di pensiero.
Il Fato era una volontà superiore a cui era impossibile sfuggire, dopotutto.
«Non posso affrontarvi tutti,» ammise Cragar, «ma nessuno tocca i miei figli, nemmeno tu.»
«Lui è una minaccia!»
La divinità mascherata chiuse gli occhi. «No, era un ragazzo a cui hai reso la vita un incubo. La minaccia non esisteva: l'hai creata tu.»
La terra cominciò a tremare mentre strane crepe si formavano sulla sua superficie. «È colpa tua se è finito nella sua morsa.»
Con un gesto solenne, Cragar abbassò la mano verso il suolo. Una luce oscura e sinistra balenò nei suoi occhi violacei mentre, dalle profondità della terra, scheletri iniziavano a emergere. Le loro ossa sbiadite brillavano di un riflesso spettrale alla luce del sole. Uno dopo l'altro, gli scheletri si sollevarono dalle loro tombe, formando un esercito che si stagliava contro il cielo. Le loro ossa scricchiolavano mentre si muovevano, pronti a obbedire al comando del loro signore oscuro.
«Se pensi ancora che mi sottometterò a te, allora significa che in tutto questo tempo non hai compreso il mio punto di vista.»
Con un cenno della mano, indicò la direzione verso cui avanzare.
«Ti ucciderò. Senza esitazione.»
Gli scheletri, guidati dalla volontà implacabile del dio dei morti, si mossero con determinazione, pronti a servire il loro signore nella sua causa. L'aria intorno a loro era impregnata di gelo, mentre l'oscurità dei loro occhi vuoti sembrava scrutare con una freddezza inumana il mondo circostante.
Emion deglutì, comprendendo la sincerità nelle parole del suo vecchio amico.
«H-ho capito,» balbettò in risposta.
La tempesta si placò, i fulmini si dissolsero e il vento si calmò.
«Il ragazzo rimarrà sotto la tua custodia e mi assicurerai che sarà un nostro alleato,» sentenziò il dio dei cieli.
«Lo giuro, in nome del Fato,» rispose il dio oscuro.
Si sarebbero tollerati a vicenda, era l'unico modo per non rompere il patto stipulato. Infine, la visione si dissipò, lasciando dietro di sé solo il silenzioso scorrere della corrente come muta testimonianza del loro passaggio.
"Cosa ho appena visto?"
Nuotava, senza sapere perché, senza sapere chi fosse. Solo il bisogno meccanico di aria lo spingeva a muoversi. Un dolore sordo cominciava a farsi strada nei polmoni. L'assenza di qualunque memoria era una voragine nella sua mente, ma non c'era spazio per il panico. Solo quel freddo infinito, e la pressione della corrente che lo accarezzava, lo respingeva, lo soffocava.
Cos'è che spinge i mortali a voler sopravvivere? C'è una ragione?
Emerso dall'abisso, tossì. L'acqua gli bruciava la gola come lava.
Se tale motivazione dovesse mancare, continuerebbero a combattere?
Si lasciò crollare sulla riva. Il terreno sotto di lui era asciutto e polveroso, ruvido contro la pelle e screpolato, nero come ossidiana.
Non dava alcun conforto.
Si mise a sedere, tremando, gli occhi viola che vagavano sul paesaggio.
Era una landa deserta.
Il cielo sopra di lui era d'un grigio uniforme, privo di sole, di luna o di stelle. L'aria aveva un sapore amaro, come ferro, e c'era un silenzio così profondo che sembrava divorare anche la minima idea di pensiero che potesse avere.
In lontananza, stagliato contro l'orizzonte, un palazzo si alzava solitario. Il ragazzo alzò lo sguardo e notò una figura davanti a lui.
Non era fatta di carne né ossa.
Una sagoma vaga e tremolante, un fumo denso che si agitava contro il vento inesistente. Gli occhi, se così potevano essere definiti, erano pozzi vacui: perfetti per uno spettro.
«Tu... dove sono? Chi sei?» chiese, ma la sua voce era debole, rotta, come se non parlasse da giorni.
Lo spirito fluttuò con un movimento fluido e irreale. Il ragazzo si alzò, il corpo ancora intorpidito. Una sensazione di vuoto gli pesava sul petto, più soffocante del torrente, più pesante del silenzio. Si voltò verso il palazzo lontano e vide la sagoma spettrale allontanarsi in quella direzione.
Perché non soccombere?
Non ricordava cosa ci facesse lì, cosa fosse quel posto oppure il suo semplice nome. Nella sua testa vorticavano solo domande prive di una risposta, ma sapeva quale scelta doveva compiere per prima. Le alternative erano rimanere fermo nel nulla oppure seguire lo spirito verso il palazzo.
Perché non arrendersi al vuoto?
Inciampò nel compiere il primo passo, troppo debole per camminare, ma aveva designato la propria meta. Non gli rimaneva che proseguire.
Magari non c'è una risposta. Forse combattono perché è la loro natura. La vita continua, sempre, anche quando non sembra esserci senso. È l'istinto primordiale che li spinge, una ribellione contro il nulla, contro il crudele destino.
── ⋆⋅❂⋅⋆ ──
Una sera di agosto.
«Allora, anche voi desiderate ardentemente vivere?»
Il Parco dei Gigli era, come sempre, gremito di giovani ragazzi e ragazze intenti a fare del loro meglio per comprendere i doni ricevuti alla nascita. Nonostante l'apparente silenzio, attorno al fuoco vi era un gran trambusto causato dalla curiosità dei nuovi arrivati.
Uno dei più grandi era intento nel raccontare loro di come tutto ebbe inizio. Nonostante la tipica fatica degli adolescenti a mantenere l'attenzione, la maggior parte dei presenti pendeva dalla bocca di quel cantastorie improvvisato. Il ragazzo, quasi sulla trentina, con i capelli castani e gli occhi color nocciola, si inumidì le labbra prima di cominciare.
«Dunque... finiamola con i monologhi filosofici. C'è un'altra storia che mi piacerebbe accennarvi questa sera,» disse con un ampio sorriso. «Conoscete il mito di Tebribe?»
Nessuno dei presenti fornì una risposta, al contrario alcuni scossero perfino la testa in segno di negazione. Il ragazzo sorrise.
«Tebribe è l'essere primordiale da cui tutto è nato. Si narra che fosse solo, nella più piena oscurità del nulla,» ci fu una breve pausa. «Eppure trovò una maschera. Era curioso, vedeva i fori per gli occhi. Capì di poterla indossare e lo fece. Poi, dopo un po', cominciò a muoversi e danzare in totale libertà. Dovevate vedere com'era felice, non riusciva a smettere di ridere per la gioia, si stava divertendo ed era evidente.»
Il castano ebbe piacere nel vedere il suo pubblico spalancare gli occhi, dopodiché puntò il suo sguardo sulle fiamme crepitanti.
«Si rese conto di non essere in compagnia, ma non smise di roteare su sé stesso. Fu in quel momento che cominciò la danza della creazione. Con un movimento, generò un terreno solido su cui volteggiare. Nacque così la terra.»
I nuovi arrivati sembrarono aver capito dove intendesse andare a parare. Lentamente alcuni compagni presenti da più tempo si avvicinarono con dei tamburi e cominciarono a suonarli. Un ritmo di rapidità crescente che si sintonizzò presto con il battito cardiaco del pubblico.
Il cantastorie proseguì. «Non poteva esserci terreno dappertutto. C'era bisogno di molto altro, del cielo, per esempio. Ecco che, con un semplice passo, lo creò dal nulla! Poi, ebbe bisogno di dissetarsi. Un passo,» imitò il movimento e mosse le mani verso l'esterno, come a spingere qualcosa verso di loro. «Ecco che creò il mare! A seguire il sole, la luna e le stelle! La natura, gli animali e quant'altro...»
Una ragazzina dalla folla, sui nove anni circa, si alzò in piedi. «Come Dio?»
Il cantastorie fece una leggera smorfia prima di sedersi nuovamente, sorrise alla sua interlocutrice con gentilezza.
«Tebribe è l'essere primordiale, di certo non un semplice dio!» rispose beffardo.
«Fatto sta... a un certo punto, si stancò di danzare. Decise, quindi, di prendersi una pausa. Pensò di rifugiarsi in un luogo lontano dalla luce per poter finalmente riposare e così fece. Fine della storia.»
Avendo concluso il suo breve racconto, il giovane cantastorie si alzò in piedi con l'intenzione di andarsene. Prima che potesse farlo, però, venne chiamato dalla stessa ragazza che lo aveva interrotto in precedenza.
«E poi cosa è successo?»
«Ah volete che continui? Pensavo che questo bastasse.»
«Sì!» risposero in coro i nuovi arrivati.
«Bene, sembra che sarà una lunga notte,» replicò mentre si sedeva. «È il momento di parlare dei nostri genitori: gli dèi veri e propri.»
Una figura femminile si avvicinò ai mortali attorno al fuoco, ma decise di mantenere le distanze dal gruppo. Scrutò il ragazzo, che aveva raccontato della danza di Tebribe, attraverso le fessure della sua maschera bianca. Il cantastorie la notò dopo pochi minuti e prese una pausa per fare un cenno con il capo, un gesto di rispetto. La donna rimase immobile e non lasciò trasudare espressioni, segno che non volesse ricevere alcuna attenzione. Il suo vestito bianco era mosso dalla leggera brezza di fine estate, ma i suoi occhi ambrati riflettevano una fermezza disarmante. Il narratore deglutì, avvertendo l'aura divina della donna attraverso quello sguardo, ma riuscì a nascondere il timore dietro un volto sorridente e proseguire.
«Quando Tebribe cominciò a danzare, creò inevitabilmente il mondo che conosciamo. Così facendo, infuse magicamente vita anche dove prima vi era solo il nulla. Involontariamente venimmo creati come degli spettatori, persone che potessero ammirare la sua danza,» il ragazzo abbassò lo sguardo. «Tebribe aveva notato di essere diverso dagli altri, che gli uomini non fossero come lui. Un giorno vedeva un bambino sorridergli, poi si rendeva conto di essere osservato da un anziano. Nonostante avesse molta compagnia, non riusciva a cancellare la solitudine dal proprio animo.»
«Quindi cosa fece?» chiese un ragazzino dalla folla.
«Quello che molti condividerebbero nella sua situazione...» alzò lo sguardo verso i ragazzi incantati dalle sue parole e si affrettò a continuare. «Si fece degli amici.»
Quelle quattro parole trapassarono i cuori più deboli e fecero commuovere svariati spettatori.
«Danzò fino allo sfinimento, creando entità che potessero essere come lui... degli individui immortali dotati a loro volta di maschere: la prima generazione di divinità.»
Il cantastorie aveva tenuto il pubblico affascinato con la sua narrazione fino ad allora, dunque si convinse a continuare con il racconto. I giovani, seduti intorno al fuoco, ascoltavano con occhi brillanti e cuori palpitanti mentre dipingeva il mondo primordiale e le divinità che lo popolarono.
«Dunque, la prima generazione era composta da quattro divinità: Vion, il cielo; Vela, la terra; Galia, l'oceano,» il ragazzo lanciò una rapida occhiata dietro il pubblico, ma la donna era scomparsa, «e Decaros, il sottosuolo.»
«Che fine hanno fatto?» chiesero alcuni dei presenti.
Il cantastorie tentennò un momento. «Loro...» ma, prima che potesse proseguire con il racconto, una mano si appoggiò sulla sua spalla.
La figura femminile, che prima si stagliava nascosta nel buio della notte, gli diede un ammonimento piuttosto chiaro. Lo Stirpemista alzò lo sguardo quasi paralizzato e incrociò i suoi occhi ambrati.
Era Aena, dea dell'amore. Una delle ventiquattro divinità immortali dell'ultima generazione e proprietaria stessa del Parco dei Gigli. Data la vicinanza, il ragazzo poté notare i dettagli dorati della maschera che copriva il suo volto. Tutti i presenti si ammutolirono avvertendo la sua presenza, che emanava un'aura di maestosità e potere divino.
La donna si avvicinò al fuoco, la sua maschera rifletteva la luce danzante delle fiamme. Con voce melodiosa, disse: «Per questa notte credo che possa essere abbastanza.»
Il cantastorie, rispettoso nei confronti della dea, annuì. Non sembrava per nulla sorpreso, come se avesse previsto quel momento. Il suo racconto aveva già catturato l'immaginazione dei giovani, i quali si alzarono imbronciati.
Aena sorrise dolcemente prima di parlare: «Naturalmente,» aggiunse, «se desiderate conoscere la storia completa, potrete farlo seguendo le lezioni di cosmogonia che cominceranno a partire da metà settembre.»
I ragazzi annuirono, alcuni con entusiasmo altri leggermente delusi, accettando con gratitudine l'offerta. Nonostante il desiderio di conoscere il resto della storia, erano consapevoli che la spiegazione del cantastorie non sarebbe mai stata dettagliata quanto quella di un insegnante.
La dea dell'amore rivolse un secondo sorriso ai nuovi arrivati ma, il suo sguardo penetrante, attraversò la maschera e tradì la sua espressione. I giovani erano confusi dalla sua aura di mistero e bellezza, ne erano incantati.
Un silenzio solenne cadde sul Parco dei Gigli. Gli spettatori, tutti ancora riuniti attorno al fuoco, si inchinarono profondamente in segno di rispetto.
Dopo il gesto, le persone si diressero verso le proprie case, lasciando soli il cantastorie e la dea. Il ragazzo si avvicinò al fuoco, il suo viso era segnato da un'ombra di malinconia. Con un gesto fluido, aspirò le fiamme fino a farle dissolvere del tutto, merito dei poteri ereditati da suo padre. Osservò silenziosamente l'ultimo barlume della luce che aveva illuminato la serata.
Aena, notando l'espressione taciturna del cantastorie, si avvicinò con passo leggero. Si fermò accanto a lui e lo guardò prima con affetto, poi con durezza.
«A cosa pensi?»
Lo Stirpemista alzò gli occhi verso il cielo, la luce delle stelle illuminava il suo volto segnato dall'esperienza e dalle battaglie. Con voce sommessa, rispose: «Solo a vecchi ricordi.»
Il suo sguardo si posò sulla distante statua in costruzione. Raffigurava quattro giovani Stirpemista ormai scomparsi. L'opera, scolpita con maestria, ritraeva la tetrade pronta a combattere. Erano immortali nella loro giovinezza, ma privi di vita. Solo memorie, testimoni silenziosi di un passato travagliato.
«Non potevo permetterti di continuare. Hai fatto un giuramento che non può essere sciolto. Ne sei ancora consapevole?»
«Lo so, e mi odio per aver accettato,» non osò incontrare lo sguardo della divinità, «ma non c'è bisogno di preoccuparsi. Vi renderò le cose più facili andando via da qui.»
Aena posò nuovamente la mano sulla spalla del cantastorie. «Non c'è bisogno di arrivare a tanto,» disse, ma il ragazzo la scansò via, non si sarebbe lasciato abbindolare da quella farsa.
«Ho promesso di mantenere i miei ricordi e sono stato costretto a questo patto, ma adesso sono stufo,» si alzò in piedi. «Gli altri sono andati avanti ed è ora che lo faccia anch'io.»
Aena rimase in silenzio. Il cantastorie si voltò a guardarla dopo aver raccolto tutto il coraggio possibile: «D'ora in poi risolvete i problemi senza tirare in mezzo i vostri figli. Tanto fare gli eroi serve solo a morire, per colpa dei mostri oppure per colpa vostra.»
Il ragazzo si allontanò verso la sua casa senza nemmeno attendere risposta. Mentre camminava, una leggera brezza lo fece tremare.
Era solo una strana sensazione, ma sentiva un cambiamento nell'aria.
Una nuova epoca era all'orizzonte.
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