BONUS 4. GIORNATA DA SENTINELLA

La cinta di mura che delimitava il Parco dei Gigli si estendeva come un confine silenzioso. Lilia stava in piedi sul camminamento di pietra, con il vento che le solleticava la pelle e faceva rabbrividire la sua figura slanciata. Il cielo sopra di lei era di un blu intenso, costellato da flebili bagliori che sembravano osservare il mondo sottostante: particelle di mana condensato. Sotto i suoi piedi, la pietra era fredda, liscia per il passaggio continuo di guardie e sentinelle.

Lilia si appoggiò alla spalliera della cinta, lasciando che il suo sguardo vagasse oltre il perimetro del parco. I suoi occhi scrutavano ogni antro, ispezionando ogni movimento tra i tronchi scuri. Non c'era minaccia visibile, eppure una tensione sottile le stringeva il petto.

Si ritrovò a ripensare ai giorni trascorsi all'Accademia dei Narcisi, alle regole che erano state un labirinto soffocante.

"Una prigione che ti obbliga a seguire un codice inflessibile."

Ogni errore era un'umiliazione pubblica, ogni trasgressione punita severamente.

"Rispetto a quel luogo, questo è un paradiso" pensò, scuotendo leggermente il capo.

Eppure, anche il Parco dei Gigli aveva le sue ombre.

Mentre il suo sguardo si spostava lungo la linea degli alberi, un movimento catturò la sua attenzione. Qualcosa – o qualcuno – si stava muovendo, sfruttando le foglie del bosco come copertura. Lilia aguzzò la vista, il cuore che le batteva più forte mentre stringeva l'elsa della sua spada. Era apparsa una figura. Alta, snella, con capelli neri che sembravano fondersi con l'oscurità e due occhi viola che brillavano come frammenti di ametista.

Shirei.

Il sangue le ribollì nelle vene.

Ogni fibra del suo corpo le diceva di agire, di scendere da quelle mura e inseguirlo. La sua mente, tuttavia, era un vortice di pensieri talmente iracondi da non permetterle di muoversi.

I figli di Cragar.

Portatori di morte, figli dell'oscura divinità mascherata che governava l'Oltremondo. La loro semplice esistenza era una sfida alle leggi di Emion, un insulto ai Celestiali.

Le avevano rubato tutto, persino...

"Marina."

Il solo pensiero del nome della figlia di Ien le fece stringere i denti. Non era giusto. Marina era sua amica. No, più di un'amica. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, neppure a sé stessa, ma la verità era lì, in quella fitta dolorosa che provava ogni volta che la vedeva parlare con Shirei o con Dalia.

"Perché non basto mai?" si chiese, serrando il pugno attorno all'elsa della spada.

Lo Stirpemista dagli occhi viola cominciò a camminare verso le terre selvagge, lontano dai limiti del parco.

"Non me lo lascio sfuggire" pensò, già pronta a scendere dalle mura. Ma prima che potesse muoversi, una voce familiare la fermò.

«Aspetta. Non devi seguirlo.»

Si voltò di scatto e incontrò lo sguardo deciso di Gliomede Capobianco. Il figlio di Ione, con l'arco appoggiato alla spalla e l'aria sempre sicura, era uno dei rappresentanti più rispettati. La luce si rifletteva sui suoi occhi chiari, intensi come quelli di un falco. Lo Stirpemista avrebbe potuto colpire Shirei anche da lì, così da fermarlo. Non capiva perché lo stesse lasciando fare.

«Cosa vuoi?» chiese la figlia di Torari, cercando di mascherare la frustrazione nella voce.

«Lascialo andare,» disse lui con calma, facendo un cenno verso la foresta. «Non è la prima volta che lo vedo. Liceo ha dato ordini chiari: non interferire.»

Lilia strinse i denti. «E noi dovremmo solo osservarlo mentre si aggira fuori dal parco come se fosse immune a ogni regola? Non mi sembra giusto. Erede Proibito o no, mica può andare a zonzo nell'Altrimondo.»

«Non sta facendo nulla di male. Se il rettore ha deciso così, avrà le sue ragioni.»

Lei lo fulminò con lo sguardo, le mani strette a pugno. Ogni fibra del suo essere voleva ribellarsi, correre dietro al figlio di Cragar e strappargli quel mistero che sembrava sempre circondarlo a suon di pugni. Ma il figlio di Ione non sembrava disposto a cedere.

«Sai quanto me che è inutile discutere. Ritorna al tuo lavoro.»

Le sue parole, per quanto calme, colpirono nel segno. Lilia inspirò profondamente, cercando di calmarsi. «Come vuoi,» disse, girandosi senza aggiungere altro.

Mentre Gliomede si allontanava, lei tornò a scrutare il bosco. Lo Stirpemista era ormai scomparso. La frustrazione le pulsava nelle vene, un fuoco che non riusciva a spegnere.

Riprese il suo giro di ronda. Il vento le portava l'odore della terra e delle foglie umide, ma non riusciva a calmare quel senso di impotenza che la tormentava.

"Non posso lasciargliela" pensò, stringendo di nuovo la sua arma. "Non la avrai mai."

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