BONUS 2. L'ORA DELLA POZIONE

L'ufficio era immerso in una calma relativa, interrotta solo dal fruscio del vento che accarezzava le finestre e dalla luce dorata del tramonto che filtrava attraverso le tende leggere.

Liceo si alzò lentamente dalla sua scrivania, il legno scuro coperto da pile ordinate di documenti e appunti scritti a mano.

Si voltò verso l'armadio che occupava la parete posteriore, una struttura imponente di legno chiaro che contrastava con il resto dell'arredamento. Tirò un profondo respiro prima di aprirlo, come se si stesse preparando a un rituale inevitabile.

All'interno vi era la sua scorta di fiale.

Centinaia di piccoli contenitori di vetro, ordinatamente disposti su ripiani e sulle pareti laterali. Il liquido giallastro al loro interno sembrava pulsare debolmente sotto la luce fioca della stanza, un movimento che a Liceo ricordava qualcosa di vivo, qualcosa di pericolosamente familiare.

L'odore rancido, anche con i tappi ben chiusi, si diffuse nell'aria, facendogli arricciare il naso.

Gli bastò un solo sguardo per sentire un peso opprimente stringergli il petto.

La maledizione.

L'Erchitu.

Ricordi frammentati gli balzarono davanti agli occhi, crudi e vividi come fosse accaduto il giorno precedente. La prima volta che si era trasformato: il dolore bruciante, la perdita totale di controllo, i suoni gutturali che non sembravano neanche suoi. Aveva sentito le sue ossa spezzarsi e rimodellarsi, il suo corpo allungarsi e mutare in qualcosa di innaturale, inumano.

E poi sua madre.

La paura nei suoi occhi.

La mano alzata per difendersi.

L'ombra della bestia che lui stesso era diventato.

Vide sé stesso buttare giù la porta dopo che i ruggiti di suo padre gli avevano imposto di darsi alla fuga. Sebbene nemmeno lui ne avesse il controllo, il signor D'Agostini sapeva come gestire la maledizione.

Ma lui no.

Liceo era spaventato.

Correva a quattro zampe nella foresta, cercando di riprendere il controllo sulla bestia.

Era orripilante.

"È tutt'ora orribile."

Il rettore del parco scosse la testa e strinse i denti. Non poteva permettersi di cedere a quei ricordi. Con una mano tremante, afferrò una delle fiale e chiuse l'armadio, lasciando che il clic della serratura spezzasse il silenzio.

Si sedette di nuovo alla scrivania, fissando la pozione con uno sguardo carico di disgusto e rassegnazione. Ogni volta era così: sapeva che quella miscela lo teneva sotto controllo, che gli impediva di diventare un mostro, ma l'idea di berla lo nauseava. Stappò il tappo, e il tanfo si fece più intenso, un miscuglio tra uova marce e metallo ossidato.

Liceo si portò la fiala al naso per un istante, poi la scostò di scatto, deglutendo a fatica.

"Non c'è tempo per i tentennamenti."

Prese un respiro profondo e la ingoiò tutta d'un fiato. Il liquido gli scivolò giù per la gola come un rivolo di fango, caldo e viscoso, lasciandosi dietro un sapore orrendo, qualcosa di acre e amaro che gli fece contrarre i muscoli del viso in una smorfia di disgusto. Si passò una mano sulla bocca e chiuse gli occhi per qualche secondo, aspettando che il retrogusto svanisse. Ripeté a sé stesso che quello era solo un piccolo prezzo da pagare, ma in quei momenti non poteva fare a meno di chiedersi quanto a lungo avrebbe dovuto continuare così.

Quanto ancora sarebbe rimasto un candidato divino in attesa?

Quando aprì gli occhi, il suo sguardo si posò sulla finestra. Fuori, il Parco dei Gigli brillava di una luce morbida e avvolgente, mentre i colori della sera si mescolavano con quelli delle torce accese dai ragazzi. Il suo pensiero corse ai giovani che si allenavano, si scoprivano, cercavano di convivere con le loro origini divine. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso sottile, ma non c'era leggerezza in quell'espressione.

Pensò a Shirei e Dalia Arcesio, i figli di Cragar.

Li aveva visti quella mattina, con quegli occhi che sembravano scavare nell'anima di chiunque li incrociasse. Non poteva biasimarli per il loro atteggiamento, ma la loro presenza era una costante preoccupazione.

I figli del dio dei morti non erano mai stati ben visti al parco e da nessuna altra parte, in realtà.

Troppi pregiudizi, troppa paura.

Anche tra gli Stirpemista, che avrebbero dovuto capire cosa significava essere temuti per qualcosa che non si poteva scegliere, c'era diffidenza. Liceo lo percepiva ogni volta che i due si avvicinavano agli altri.

Un bisbiglio. Uno sguardo di traverso.

Anche loro portavano una sorta di maledizione sulle proprie spalle.

E poi c'era lui.

Il rettore.

Avrebbe dovuto essere una guida per loro, ma spesso si chiedeva se stesse facendo abbastanza. Se davvero fosse in grado di proteggerli da quel giudizio costante.

Aveva provato a parlare con loro, ma Shirei si limitava a rispondere in modo secco e Dalia aveva uno sguardo che sembrava sempre sul punto di scoppiare in lacrime, come se temesse di essere sgridata da un momento all'altro. Liceo non sapeva il motivo di quella reazione, ma la sensazione lo inquietava.

Si costrinse a distogliere lo sguardo dalla finestra e tornò ai documenti sulla scrivania. Marina sarebbe arrivata presto e c'era ancora tanto da fare.

L'ombra di quella maledizione e il peso delle sue responsabilità lo accompagnavano ogni giorno, ma non poteva permettere loro di fermarlo.

Aveva scelto quella strada per un motivo: assicurarsi che nessuno, neanche il più temuto Stirpemista, dovesse affrontare da solo ciò che lui aveva vissuto e, finché avrebbe avuto la forza di combattere, lo avrebbe fatto.

Bere quell'orribile pozione per il resto della sua vita allora sarebbe stato un mero fastidio da accettare per il bene altrui.

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