BONUS 1. ANCHE LE ROSE HANNO SPINE
Il Giardino di Kore era immerso in una penombra perenne, illuminato solo da piccoli globi di luce argentea che fluttuavano nell'aria, come lucciole immobili. Il profumo dei fiori sotterranei era intenso, avvolgente, un misto di fragranze dolci e terrose che sembravano radicarsi nelle narici. Dalia si muoveva lentamente tra le grandi distese di fiori, un piccolo annaffiatoio di metallo tra le mani. L'acqua cadeva in rivoli sottili, scintillando mentre si riversava sul terreno scuro e soffice.
Il giardino era splendido, eppure aveva un che di malinconico. Ogni fiore, infatti, corrispondeva a un giorno in cui Cragar aveva amato Kore prima della sua morte. In un certo senso, stava camminando attraverso la storia di una mortale e di suo padre. Dalia riusciva a sentirsi completamente a suo agio solamente lì dentro, motivo per il quale passava ore e ore a prendersi cura di ogni fiore. Quel luogo non era davvero suo, ma in un qualche modo lei lo stava rendendo tale, facendogli perdere il ruolo di semplice reliquia di qualcosa che non tutti potevano comprendere fino in fondo.
Mentre si chinava su una fila di gigli rossi, il suo pensiero tornò inevitabilmente al suo nuovo fratellastro. Shirei era arrivato da pochi giorni, eppure era già diventato un enigma per lei. La notte precedente lo aveva visto sparire nel nulla, essere inglobato dalle tenebre con una tecnica che i figli di Cragar conoscevano bene, ma che lei non aveva mai avuto la capacità di padroneggiare. Il viaggio spettrale era il nome ufficiale di quella abilità, un passaggio attraverso le dimensioni.
"Come fa a farlo con tanta naturalezza?" si era chiesta.
A lei metteva i brividi, proprio come la spaventava essere capace di vedere e parlare con gli spiriti dei defunti, un costante promemoria di quanto fosse legata alla morte, anche se non lo desiderava.
Tornò al proprio fratellastro. Shirei aveva un modo di fare pacato, quasi innaturale. Non alzava la voce, non si agitava. Persino il suo sguardo aveva qualcosa di distante, come se osservasse tutto da una prospettiva diversa. In lui c'era un'evidente somiglianza con Cragar, sia nell'aspetto che nei gesti.
I loro occhi viola la mettevano un po' a disagio.
Lei e suo padre si erano visti pochissime volte, e ogni incontro era stato fugace e carico di un'imbarazzante formalità. Eppure, nei lineamenti di Shirei, Dalia riconosceva perfettamente quelli del dio dei morti.
"Chissà... forse sarei dovuta crescere anch'io con tali dettagli corporei" pensò, mentre un lieve sospiro le sfuggiva dalle labbra.
Un corsetto nero, lunghi capelli, pelle candida e occhi azzurri. Sorrideva spesso, forse era la caratteristica che più la distingueva per essere una figlia del dio dei morti.
"Non che non mi senta un erede dell'Oltremondo, ma avverto anche altro dentro di me e non riesco a comprendere cosa sia."
Si spostò verso un rosaio dall'aspetto spettrale. I fiori, di un rosso così profondo da sembrare quasi nero, sembravano brillare debolmente nel buio del giardino. Quel roseto, si diceva, era stato il preferito di Kore. Cragar lo aveva piantato per lei, quando il loro amore era ancora giovane.
Dalia si fermò per un istante, cercando di immaginare suo padre innamorato.
Non ci riusciva.
Per lei Cragar era sempre stato una figura lontana, mitologica, non un uomo capace di provare sentimenti umani. Eppure, qualcosa in quel giardino raccontava una storia diversa.
"Allora era davvero infatuato..." pensò, mentre la punta delle dita sfiorava delicatamente uno dei petali.
La consistenza vellutata del fiore contrastava con le spine nascoste tra i rami. Dalia cercò di coglierne uno, ma i suoi polpastrelli incontrarono inavvertitamente una spina affilata. Ritrasse la mano con un sussulto, portandola davanti al viso per osservare le piccole gocce di sangue che iniziavano a spuntare dalle ferite.
«Stolta,» si disse sottovoce, scuotendo la testa.
La sua voce risuonò debolmente nel giardino vuoto, facendola rabbrividire. Si passò il pollice sulle zone ferite, cercando di alleviare il bruciore, ma il gesto sembrava peggiorare la situazione. Si sentiva sciocca, come una bambina che non aveva imparato a stare attenta.
«Temo sia il caso di andare via.»
Mentre si avviava verso l'uscita del giardino, il suo pensiero tornò ancora una volta alla sua solitudine. Era stato così facile isolarsi dopo essere arrivata nel Parco dei Gigli. Nessuno sembrava volerle parlare, e quelli che lo facevano parlavano sempre con una punta di diffidenza, come se la stessero sopportando un secondo in più con ogni parola.
I figli di Cragar non erano mai stati benvoluti, e lei lo sapeva.
"Non hanno neanche bisogno di conoscermi per giudicarmi" pensò amaramente.
Poi c'era il suo passato con cui fare i conti.
Più di un secolo passato in una bolla temporale, intrappolata in un mondo finto dove ogni giorno era una ripetizione del precedente. Non era stata una vita, solo un'illusione. Ma quel mondo, per quanto vuoto e fasullo, le aveva dato un senso di stabilità che ora le mancava terribilmente.
Nell'Altrimondo tutto sembrava frammentato, instabile, e lei, Dalia Arcesio, si sentiva come una straniera, sia tra i mortali che tra gli Stirpemista.
Si fermò davanti ai cancelli del giardino e alzò il capo verso il soffitto roccioso. Le luci argentee sembravano più flebili ora, come se anche loro condividessero la sua stanchezza.
Pensò a Marina, l'unica persona che sembrava davvero interessarsi a lei senza pregiudizi. La figlia di Ien era la sua ancora, l'unico motivo per cui non si sentiva completamente invisibile.
"Se non fosse stato per lei, dubito che avrei avuto la determinazione per rimanere qui" ammise a sé stessa.
Con un ultimo sguardo al Giardino di Kore, decise che era ora di tornare in superficie. L'aria del giardino, per quanto intrisa di profumi e bellezza, cominciava a sembrarle soffocante. Appoggiò l'annaffiatoio accanto a una delle aiuole e si avviò verso la scalinata, senza sapere che l'oggetto fosse appena sparito.
Forse avrebbe trovato il suo posto, prima o poi.
Ma, per il momento, quel giorno sembrava ancora terribilmente lontano.
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