16. INFERMERIA
Marina ricordava poco e nulla di ciò che era successo dopo lo scontro fra Shirei, Aena e Salix.
Dopo aver incrociato gli occhi violacei del figlio di Cragar, le energie l'avevano abbandonata ed era caduta quasi in uno stato di incoscienza. I suoi compagni erano stati costretti a portarla di corsa alla ventunesima casa, infermeria del parco e residenza dei figli di Mardi, il dio della medicina.
Prima che sbattesse a terra, avvertì le mani gelide di qualcuno a sostenerla. Il suo misterioso soccorritore la prese in braccio e cominciò a correre mentre, da lontano, Liceo provava a ridurre il panico generale.
«Calma, Stirpemista! Vi prego! Pensate ad assicurarvi che i vostri compagni stiano bene!»
La voce di Dalia risuonò accanto a lei, parlava con qualcuno.
«Dobbiamo subito portarla in infermeria, prima che questa strana ferita la spedisca da nostro padre.»
"Nostro padre."
Possibile che Dalia stesse parlando con Shirei?
La figlia di Ien si lasciò trascinare mentre la sua figura si aggomitolava su sé stessa, non le piaceva dimostrarsi debole eppure finiva sempre in quel modo. Udì la voce di Francesca chiamare Lorenzo, per poi avvicinarsi a loro. Il suo fratellastro, vedendola in quello stato, era probabilmente impallidito. L'adrenalina aveva preso il sopravvento durante lo scontro con l'angelo oscuro, ma Lorenzo non era mai stato uno da prima linea. In un'altra situazione, Marina avrebbe soffocato una risata, invece in quel momento era concentrata a non svenire.
Aveva gli occhi chiusi, ma le sembravano bruciare.
«Fate strada!» gridò Lorenzo.
Rallentarono progressivamente fino a fermarsi. Marina suppose che dovessero essere all'entrata dell'infermeria. Una voce gentile disse al suo accompagnatore di seguirlo. Marina cominciò a sentire le orecchie fischiare ed ebbe uno spasmo involontario.
«Non promette bene... Cosa le è successo?» chiese il giovane Stirpemista, probabilmente un figlio di Mardi.
Dalia rise con nervosismo e rispose: «Mi piacerebbe saperlo, ho fatto un proprio un bel casino.»
«Starà bene, le serve solo un posto dove poter riposare in tranquillità.»
Stavolta era stato Shirei a parlare. Marina ebbe la conferma che era stato lui a portarla lì.
«Ne sei certo?» domandò lo Stirpemista. «Guarda, lo sai che ci sono molte possibil-»
«Ne sono sicuro,» rispose secco il figlio di Cragar.
«Come preferisci, allora controllo una cosa e poi torno. Puoi appoggiarla lì.»
Marina avvertì il rumore ovattato del legno piegarsi sotto il peso dei passi del figlio di Mardi. Prima che se ne rendesse conto, Shirei si mosse di qualche metro e la fece stendere sopra un soffice letto. La testa della bionda sprofondò dolcemente quando fu a contatto con il cuscino.
«Appena sarà finito tutto, mi sa che vi toccherà una spiegazione ad Aena e Liceo,» disse Lorenzo, la sua voce lasciava trapelare un misto di disdegno e avversione nei confronti dei due fratellastri.
«Non importa, è una cosa a cui pensare più tardi,» rispose Shirei con apatia. «Posso tenerla d'occhio senza problemi, per adesso. Meglio se voi tentate di far calmare la gente qui fuori.»
«Non lascio mia sorella.»
«E io sono la sua migliore amica.»
Anche senza vederlo, Marina poté immaginare un'espressione seccata sul volto di Shirei.
Lo Stirpemista rispose con voce tranquilla, ma fece comunque intendere una certa urgenza: «Bene, allora trovate un figlio di Mardi disposto a darvi dei petali di iperico e un distillato di mandragola.»
La voce squillante di Lilia risuonò nella stanza, come se avesse un megafono al posto della bocca.
«Tu e tu! Figli di Cragar! Dovevate per forza venire qui? Non potevate andare all'Accademia dei Narcisi?» una mano calda le sfiorò il viso. «Dèi... Marina, vedrai che andrà tutto bene. Non è nulla.»
Prima che potesse sentire altro, un forte dolore alla tempia si mescolò al bruciore della ferita. Come fosse appena stata colpita sulla nuca da una mazza da baseball, Marina provò delle forti vertigini e perse conoscenza del tutto.
── ⋆⋅❂⋅⋆ ──
Shirei aprì gli occhi di soprassalto.
Si rese conto di essere ancora nell'infermeria e di non essere solo. Il figlio di Mardi guardò il ragazzo con spavento, ma continuò a controllare che Marina stesse bene.
Era calata la notte e il figlio di Cragar aveva insistito per essere l'unico a rimanere in infermeria, in modo da assicurarsi che la figlia di Ien non avesse problemi di guarigione. Alla fine era riuscito a convincere tutti, dopotutto aveva dato dimostrazione di essere il più preparato nel caso in cui la situazione di Marina fosse peggiorata d'improvviso.
"Merito degli allenamenti, ho provato quelle ferite sulla mia stessa pelle."
Si sentiva in colpa per l'accaduto, sebbene egli stesso non comprendesse ancora quel concetto.
Sapeva solo di dover rimanere lì per Marina.
"Vorrei poter fare altro..." disse a sé stesso prima di distogliere l'attenzione da lei.
Il ragazzo si guardò intorno. La stanza d'infermeria era nell'ala sinistra della casa. Il corridoio che conduceva lì era illuminato da lampade a sospensione. Il pavimento, ricoperto da un tappeto ingiallito dal tempo, attutiva i passi, aggiungendo un sottile senso di comfort.
All'interno della stanza, invece, le pareti erano rivestite da un tappezzeria floreale sbiadita, una scelta che risaliva probabilmente a decenni precedenti. I mobili erano robusti e durevoli, con dettagli intagliati. I letti erano disposti in parallelo, così da formare due lunghe file, erano caratterizzati da una testata in legno scuro e un copriletto di un verde sbiadito. Accanto, c'era un comodino con un piccolo vaso, un invito a donare dei fiori e augurare pronta guarigione a chi si trovava ricoverato lì.
Una grande finestra, con tende pesanti di velluto, offriva una vista sull'oscurità della notte che avvolgeva il Parco dei Gigli. Il chiarore della luna filtrava attraverso il tessuto, gettando un bagliore etereo nella stanza. Sul davanzale, c'era una piccola statuetta di una divinità in ceramica, Shirei ipotizzò che si trattasse di Mardi.
Lo Stirpemista sedeva su una poltrona imbottita, usurata dall'uso frequente, ma ancora confortevole. Accanto alla poltrona, un tavolino basso sorreggeva una pila di libri, presumibilmente lasciati lì per intrattenere chiunque avesse bisogno di ammazzare il tempo mentre vegliava su coloro a riposo. Sopra il tavolino, una lampada da tavolo con una sfumatura color avorio emetteva una luce morbida, perfetta per leggere. Nonostante la quiete che permeava l'ambiente, c'era un senso di conforto e sicurezza che avvolgeva la stanza d'infermeria.
Dopo aver ricapitolato tutti quei dettagli, Shirei fece un'espressione compiaciuta. Aveva cercato di memorizzare quanto più possibile gli ambienti da quando era arrivato al parco e realizzare di riuscire a riprendere delle informazioni dalla sua memoria lo faceva sentire meno vuoto.
Era solo un altro passo in quel processo che seguiva da quasi tre anni, ma i miglioramenti da allora erano stati tanti.
"C'è ancora molto da fare, però, non devo accontentarmi."
Lo sguardo di Shirei vagò fino a incontrare quello del figlio di Mardi. «C'è qualcosa che non va?»
Il ragazzo si ritrasse velocemente da Marina e finse di armeggiare con alcuni flaconi. «C-c-cosa volevi prima?»
«Avevo bisogno di alcuni ingredienti per occuparmi della ferita,» rispose il figlio di Cragar, indicando con un cenno il braccio della ragazza.
Lo Stirpemista tentennò. «Sì, ma non hai l'autorità di richiedere cure qui.»
«È successo qualcosa fra di noi? Ricordo poco e nulla di questa mattinata,» il figlio di Cragar tentò di accennare un'espressione amichevole per sembrare simpatico. «Non importa. Se ti sei sentito attaccato, allora ti chiedo scusa. Non era mia intenzione.»
«Mi aspettavo che fossi diverso.»
Shirei lo fissò. «In che senso?»
«Le voci girano. Qui al parco parlano tutti di te, soprattutto adesso che sembri passare un sacco di tempo con Marina. "Lo spettro purpureo e la regina della primavera", vi chiamano così,» lo Stirpemista si voltò con la lieve paura di aver detto qualcosa di sbagliato. «Dopo quest'oggi, forse parleranno ancora di più.»
«Capisco. Come ti chiami?» replicò il figlio di Cragar.
Il medico sorrise. «Puoi usare Luxy. È il mio soprannome, ma qui lo preferiscono tutti.»
Luxy era un giovane dai tratti delicati e dall'aspetto angelico, con un'aura di innocenza che circondava la sua figura. I suoi capelli ricci castani cadevano in morbide ciocche intorno al suo viso, incorniciando una fronte ampia e degli occhi dallo sguardo curioso.
La sua carnagione era scura ed emanava un calore che contrastava dolcemente con la pallida luce della stanza d'infermeria. Indossava uno strano camice smanicato che gli donava un'aria un po' trasandata. Il camice, di una tonalità biancastra ormai ingiallita dal tempo e dall'uso frequente, gli arrivava di poco sopra le anche.
«Luxy... dove posso trovare un bagno?»
«In fondo al corridoio, sulla destra.»
Shirei ringraziò con un cenno del capo e si avviò verso la porta. Un dolore lancinante investì il ragazzo mentre usciva dalla stanza. Sebbene il cuore fosse tornato totalmente al suo regime, non poteva ignorare il dolore crescente causato dall'istante in cui la sua frequenza cardiaca si era fermata.
Strinse i denti e si diresse al bagno. Sarebbe stata una lunga notte.
── ⋆⋅❂⋅⋆ ──
Marina si svegliò lentamente, i suoi occhi si aprirono con fatica mentre la luce dell'ultimo tramonto filtrava attraverso le tende della stanza. Una sensazione strana le riempì la bocca, come se qualcosa di morbido e leggermente appiccicoso avesse invaso il suo palato. Con un sussulto, passò una mano tra i capelli biondi, trovandoli intrisi di saliva. Alcuni rimasero impigliati fra le sue labbra e con un lieve disgusto li sputò via, dopodiché cercò di mettersi a sedere. La sua vista era ancora sfocata.
Una figura si avvicinò frettolosamente al suo letto e si gettò su di lei in un abbraccio ansioso. La figlia di Ien riconobbe i capelli corvini di Lilia. La Stirpemista la guardava con occhi colmi di preoccupazione.
«Finalmente ti sei svegliata! Come ti senti?»
Marina la tranquillizzò con un sorriso debole, stranamente quella sensazione di dolore pungente era svanita del tutto.
«Sto bene, Lilia. Davvero,» replicò, «non sento più niente.»
Con un'occhiata alla ferita sul suo corpo, si rese conto che fosse completamente guarita, senza neanche lasciare cicatrici.
"La magia dei figli di Mardi" pensò.
Nel frattempo, Luxy, che era rimasto all'entrata, si affrettò a chiedere agli altri di lasciare la stanza, spiegando che l'avrebbero dimessa se avesse dimostrato di essere guarita.
«Vi prego, solo una persona che rimanga con lei per accompagnarla a casa.»
La tensione salì quando Michela e Lorenzo iniziarono a litigare su chi dovesse rimanere con Marina in qualità di suoi fratellastri. Il litigio venne interrotto dall'intervento affettuoso di Lilia, che abbracciò Marina e le fece gli occhioni teneri.
«Scegli me, vero?»
Marina si sentì sopraffatta dal caos che si stava creando intorno a lei. Erano in un'infermeria e non era il caso di fare un trambusto così grande per una scelta di così poco conto. Con un gesto deciso, fermò l'animosità dei fratellastri e si rivolse a Francesca.
«Potresti rimanere tu?» chiese gentilmente.
La figlia di Corgi sorrise. «Con piacere!»
I tre Stirpemista rimanenti provarono a farle cambiare idea, ma Francesca li costrinse ad andare via, con la promessa che si sarebbero ritrovati alla settima casa.
«Scusaci, spero di non aver infastidito gli altri feriti,» disse più tardi Marina a Luxy.
Lo Stirpemista replicò con un sorriso dolce: «Grazie, ma non devi preoccuparti. In realtà, non ci sono stati feriti oltre te.»
Marina rimase un momento sbalordita dalla sua solita sfortuna, ma quel pensiero la tranquillizzò. Significava che non c'erano stati danni gravi, che era un'ottima consolazione per il guaio creato.
Proprio quando sembrava che fosse tornata la calma, l'atmosfera si caricò di tensione. Shirei, si materializzò all'improvviso nella stanza con la sua solita aura silenziosa. Francesca si mise subito di fronte a Marina, pronta a proteggerla da qualsiasi minaccia.
Lo sguardo di Shirei era freddo e penetrante. Marina notò che si fosse cambiato, era vestito completamente di nero, come un'ombra minacciosa. Alzò le mani verso l'alto in gesto di resa.
«Calme, vi prego, non voglio fare nulla di male.»
«Parla, ma siediti lì,» Francesca indicò il lettino di fronte a lei. Marina si rifiutò temporaneamente di abbassare la guardia e fissò in modo diffidente Shirei. Il figlio di Cragar strinse le braccia.
La figlia di Ien si avvicinò alla bionda e le sussurrò: «Tranquilla, ci sono io. Non fare cose affrettate.»
Marina annuì, ringraziando la presenza della ragazza, tuttavia credeva che i suoi poteri sarebbero stati inutili se Shirei avesse perso di nuovo il controllo.
«Sono qui per scusarmi per quello che è successo. Non mi aspetto di essere perdonato, ma non volevo che rimanessi ferita in alcun modo,» fece una pausa. «Dico davvero.»
Marina si girò, fulminandolo con lo sguardo. Avrebbe voluto parlare con lui da soli, faccia a faccia. Voleva spiegargli che non era arrabbiata con lui e che non lo riteneva responsabile di nulla, allo stesso tempo era lei a sentirsi in colpa nei suoi confronti. Il ragazzo sembrava essere stato sempre sincero e non meritava di essere trattato come una bomba a orologeria di cui tutti avevano paura. Gli occhi viola di Shirei non incontrarono i suoi, erano puntati verso il basso. La figlia di Ien ponderò l'idea di raccontargli tutto, ma scacciò il pensiero all'istante. Una volta uscita da lì, però, avrebbe comunicato ad Aena e al signor D'Agostini la sua decisione. Da quel momento in poi non avrebbe più fatto la spia, indipendentemente dalla punizione a cui sarebbe andata incontro.
Shirei non era malvagio. Sebbene un po' più strano della norma, era uno Stirpemista normalissimo. Marina era certa che si potesse istaurare con lui un rapporto di semplice collaborazione piuttosto che essere costretta a fare da spia.
Il problema di tutta quella situazione era un'altro. Dalia era stata capace di fargli perdere il controllo, scatenando tutti i suoi spaventosi poteri.
"Ed evocando quella creatura oscura..."
Shirei non era cattivo, ma senza il suo controllo sarebbe diventato il mostro che tutti credevano fosse. Serviva un modo per assicurarsi che quell'eventualità non si sarebbe piuttosto ripresentata e Marina era pronta a cercare una soluzione per aiutarlo.
Quella sarebbe dovuta essere la sua missione, non fare la spia.
Francesca vide la sua espressione combattuta e rispose al posto suo, dicendo: «Ehm Shirei... non credo che questo sia un buon momento...»
«Sì... capisco, vi lascio sole.»
Il ragazzo mantenne lo sguardo triste, ma annuì. Notò Luxy sul punto d'inciampare e gli tirò il braccio per aiutarlo. Il figlio di Mardi tentennò al tocco freddo delle sue mani e si ritrasse.
«Dovresti essere guarita, quindi buon ritorno a casa.»
Il figlio di Cragar non attese oltre e uscì. Marina abbassò la testa, sentendosi in colpa. Non voleva che andasse via, ma quello non era per niente il momento giusto.
Luxy poté continuare con la sua visita e, dopo essersi assicurato che le parole dello Stirpemista fossero veritiere, consentì alla ragazza di essere dimessa solo a sera inoltrata. Marina e Francesca uscirono dalla casa dei figli di Mardi e si guardarono attorno. Il parco si trovava ancora in gran trambusto e la casa dei figli di Ognia non era stata ancora riparata, tuttavia il clima generale non sembrava essere così alterato rispetto al solito.
«Allora, andiamo alla settima?»
Marina si toccò cautamente le bende attorno al braccio. Avrebbe dovuto recarsi alla Grande Dimora, ma non ne aveva la minima voglia.
«Sì,» rispose debolmente.
Mentre si dirigevano verso casa sua, la figlia di Ien notò una figura scappare in direzione dell'arena d'addestramento e, nonostante fosse ancora stanca, decise di seguirla.
«Anzi, voglio un attimo andare da una parte.»
«Sei sicura?» chiese Francesca con preoccupazione.
Marina annuì. «Tu vai avanti e avvisa che vi raggiungo tra poco. Starò bene.»
La figlia di Corgi le rivolse un'occhiata dubbiosa ma, alla fine, comprese.
«Ci vediamo dopo, non metterci troppo!»
«Non lo farò!» replicò Marina con un sorriso.
La figlia di Ien inspirò a fondo e si diresse verso il campo dove aveva tenuto la sua fallimentare lezione. L'accesso al luogo era bloccato da alcune inferriate e segnali di manutenzione, ma Marina li superò senza farsi troppi problemi e proseguì. Una volta giunta sul piccolo promontorio, trovò Shirei e Dalia fermi a discutere nell'ormai deserta arena d'addestramento.
Dopo essersi avvicinata chiese: «Che succede? State litigando?»
Non appena la vide, Dalia scoppiò in lacrime e cadde in ginocchio. Marina le fu subito accanto mentre Shirei preferì tenersi a distanza.
«S-stai bene...» mormorò la figlia di Cragar.
«Ovvio! Sono fatta di ferro, lo sai,» replicò la bionda con un sorriso.
Shirei rimase in silenzio per quale istante, prima di domandare: «Potete spiegarmi cosa è successo esattamente?»
"Allora non ricorda... menomale" pensò la ragazza.
«Ti chi-chiedo scusa, f-fratello... perdonami...» Dalia cominciò nuovamente a piangere.
«Va bene, ma dimmi almeno per cosa.»
«Va bene un paio di ovaie! Se quel malaugurato cristiano non si fosse gettato nel bel mezzo dello scontro, a quest'ora mi troverei a condannare la mia incresciosa infantilità sulla tua lapide.»
Marina le poggiò una mano sulla testa, nel tentativo di tranquillizzarla.
«Che altro?»
«Ho designato te come vittima dei miei poteri...» proseguì Dalia a fatica. «Ti ho reso schiavo della follia e hai perso il raziocinio. Immaginavo sarebbe stato "divertente"...»
«Temo non ci sia stato molto divertimento,» commentò secco il fratello.
«Ma che dici?» rispose Marina con evidente sarcasmo. «Tantissimo!»
«Siete forse fuori di testa?! Ho rovinato la lezione, fatto impazzire una persona, tutto ciò è degenerato in un attentato alla dirigenza che ha scatenato perfino l'ira furibonda della dea dell'amore! È tutta colpa mia!»
Dalia si chiuse a riccio su sé stessa. Marina pensava esattamente tutto quello che aveva detto, ma si trattenne dal rinfacciarle gli errori commessi. Non stava a lei farla cadere in un momento di debolezza. Era la sua migliore amica e la stava usando per scoprire nuove informazioni sui figli di Cragar per conto di Aena. Se c'era una persona da dover incolpare per tutto quel problema, pensò che fosse proprio sé stessa.
"Già. Bella migliore amica che sono."
Shirei, al contrario della ragazza, fissava Dalia con pietà. Anche lui decisamente non aveva colpe, non era in sé, in fondo. Lo Stirpemista lanciò un'occhiata dispiaciuta alla figlia di Ien. Lei provò a sorridergli, ma sospettò di essere troppo stanca quando lo vide distogliere lo sguardo con preoccupazione. Dalia la strinse forte e iniziò a singhiozzare di nuovo.
«Sono una sciocca! Perdonami... anzi, chiedo scusa a entrambi. Vi prego di perdonarmi.»
«Sei solo una Stirpemista che ha difficoltà a capire l'estensione dei suoi poteri, capita commettere degli errori,» commentò Shirei in modo dolce.
«Non è vero. Non è assolutamente vero. Non minimizzare l'accaduto.»
Marina la strinse a sé. «Dalia...»
«Sarò ripetitivo, ma ti chiedo scusa di nuovo,» aggiunse Shirei quando gli occhi dei due si incrociarono ancora una volta.
«Sì... cioè, no! Non dipende da te, dovevo essere più attenta e... e... dobbiamo parlare seriamente, Spettro.»
Il ragazzo annuì. «Devi prima pensare a riprenderti.»
«Sto bene!» sbuffò, ma fu comunque felice che si preoccupasse per lei.
Marina esitò per un attimo sul da farsi, poi decise di non intromettersi ulteriormente e lasciare i figli di Cragar da soli.
«Forse è meglio se risolvete tra voi, io sono di troppo.»
Si alzò in piedi con risolutezza. Prima di andare, si rivolse alla sua migliore amica.
«Dalia, per favore, ricorda quello che ti ho detto: sono e sarò sempre dalla tua parte.»
La ragazzina dai capelli neri non rispose, dunque si limitò a salutarla con un bacio sulla testa.
«Come è possibile che tu non abbia paura di me... davvero. Alcune volte, vorrei solo essere nata come tutti i miei compagni del passato, liberi nella loro semplicità,» commentò Dalia ancora fra le lacrime.
«Io non ho paura di te perché, nonostante tutto, tu non hai paura con me. Ho sempre saputo di avere dei problemi che c'entrano con la mia memoria ormai persa, questa non è che una conferma.»
La Stirpemista fece uno starnuto. «Non sei un mostro... la rabbia, l'ira... è normale che se amplificate con un potere come il mio causino situazioni simili... potevi evitare di procurarti quella creatura, ma non sei un mostro.»
Shirei aggrottò le sopracciglia. «Quale creatura?»
«L'angelo oscuro, l'essere che ha ferito Marina.»
Il figlio di Cragar rimase in silenzio, cercando di riflettere. Pensava di essere lui ad aver ferito la figlia di Ien con la Lama della Discordia, quella era una novità inaspettata.
«Doveva rimanere un segreto, immagino, tuttavia adesso non lo è più. La divina Aena pretenderà delle spiegazioni e anche io le desidero. Non ho alcun interesse nel dare un giudizio... ma necessito di comprendere quali sono le tue intenzioni al Parco dei Gigli.»
«Non mi rendi la vita facile, Dalia. A tempo debito lo farò, ma ora è meglio se andiamo a dormire,» fece una pausa. «Sospetto che domani sarà una lunga giornata.»
«Più di oggi?»
«Sì,» rispose il figlio di Cragar, arruffandole i capelli con dolcezza.
Dalia gonfiò le guance e si risistemò velocemente. «Non rovinare la mia piega!»
Prima che se ne rendesse conto, i due stavano viaggiando nell'Inframondo. La ragazzina sorrise e si tenne stretta al fratello. Sognava, un giorno, di poter padroneggiare anche lei quel potere.
Riapparvero dinanzi alla loro abitazione dopo una manciata di secondi. Nonostante il viaggio attraverso l'Inframondo fosse stato rapido, il silenzio che ora li avvolgeva era quasi irreale, come se gli Stirpemista avessero deciso all'unisono di crollare in un sonno profondo.
Salendo le scale, sentirono il solito cigolio del legno nero sotto i piedi, un suono che di solito Dalia trovava rassicurante, ma non quella notte.
«Eccoci,» disse la figlia di Cragar, sospirando leggermente mentre attraversavano la soglia.
Sui letti, adagiate con cura, giacevano due buste sigillate.
I fratellastri presero le rispettive lettere, leggendole con curiosità. «Domani siamo attesi a un incontro nell'ufficio privato del rettore,» sussurrò la più "giovane" dei due.
Shirei annuì, scrutando la sua convocazione con un'espressione apatica. «Sì.»
Dalia appoggiò il proprio foglio sul comodino, sentendosi improvvisamente più stanca di quanto volesse ammettere. Il fratellastro seguì il suo esempio, poi disse: «Adesso è meglio riposare. Sogni tranquilli, Dalia.»
Lei gli lanciò un'occhiata combattuta.
«Buonanotte,» mormorò, infine, infilando le coperte con un senso di inquietudine che non riusciva a scrollarsi di dosso.
Le luci si spensero e la casa sprofondò nel silenzio del buio della notte.
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