10. DUBBIA MINACCIA

L'Altomondo brillava di luce dorata, una quiete eterea avvolgeva l'aria come una promessa di eterno ordine. Aena si trovava al centro della sala del trono, una vasta piazza di oro puro, con ventiquattro troni disposti in due cerchi concentrici su piani diversi. Pareti fenestrate si aprivano su un cielo senza tempo, dorato e immobile, come l'essenza stessa degli dèi. Al centro della piazza, una sfera opaca sospesa sembrava trattenere ogni mistero del mondo sottostante.

La dea dell'amore, avvolta nelle sue vesti bianche dallo stile antico, con il viso celato dietro la maschera bianca e dorata, attendeva l'arrivo di Emion. Il suo sguardo ambra attraversava lo spazio, quieto ma vigile, come la brezza primaverile in un bosco. Dopo pochi minuti d'attesa, il re degli dèi, Emion, varcò l'entrata della sala, la sua figura snella era avvolta in un'armatura leggera sotto vesti bianche, i suoi occhi blu come la tempesta scrutavano con intensità il centro della sala da dietro la maschera di ferro.

«Notizie sui figli di Cragar,» iniziò senza preamboli, la sua voce profonda e autoritaria riempiva lo spazio come un vento intenso. Aena percepì l'urgenza nel tono di suo marito, una preoccupazione che rasentava l'ossessione.

La dea rispose con dolcezza e pazienza, ma senza mai distogliere lo sguardo dalla sfera. «Io e Liceo abbiamo chiesto l'aiuto di Marina.»

«Chi sarebbe?»

Aena venne leggermente infastidita dall'interruzione del dio, ma respirò e proseguì. «L'erede della casata Lupi, figlia di Ien. Le è stato detto di sorvegliare i loro spostamenti. Ha fatto un ottimo lavoro con Dalia, quindi sono certa che non mi deluderà. Lei è capace e adatta al compito.»

Emion si voltò verso di lei, il viso coperto dalla sua maschera metallica celava l'espressione adirata.

«Una figlia dei Lupi?» ripeté con un velo di disapprovazione. «Hai affidato un compito così cruciale a una mortale?»

Aena inclinò appena il capo. «Marina non è una semplice mortale. È fedele, vuole il meglio per il parco, e sai bene che i Lupi sono una famiglia di cui ci si può fidare.»

La dea dell'amore cercava di calmare la furia latente del consorte, sapendo che la sua preoccupazione derivava non solo dalla necessità di controllo, ma anche da una paura più profonda: la nuova minaccia che i figli di Cragar potevano rappresentare.

Sfruttare la famiglia Lupi, la casata di cui egli stesso era stato fondatore, sperava che lo avrebbe convinto del tutto.

Emion, tuttavia, non si mostrò soddisfatto. Si voltò di nuovo verso la sfera opaca, i suoi occhi brillanti di frustrazione.

«Non mi piace questo approccio,» disse secco. «Dovremmo agire direttamente, non tramite sorveglianti. Finché avrò notizie, però, non fermerò la tua iniziativa. Ma attenta, Aena, se i figli di Cragar si muovono troppo liberamente, potrebbero esserci grave conseguenze.»

La dea non rispose subito. Lasciò che la tensione si stemperasse da sola, che il silenzio della sala sacra parlasse al posto suo. Emion aveva sempre avuto poca pazienza, ma lei conosceva i limiti delle sue parole e, in fondo, sapeva che lui rispettava il suo giudizio.

«Sono parole che dovresti rivolgere a Cragar, non a me.»

Con un gesto delle mani, Aena fece sì che la superficie opaca iniziasse a brillare, rivelando un'immagine vaga e indistinta che andava gradualmente a mettere a fuoco la tredicesima casa. Un'abitazione modesta di legno nero sulla cui soglia apparve una figura sconosciuta.

«Lui non è il figlio di Cragar,» mormorò Emion.

Il giovane Stirpemista dai capelli neri e dagli occhi argentati uscì dalla porta, il suo sguardo era malizioso, quasi beffardo. Una brezza sembrò accompagnare il suo passo, come se il vento stesso temesse di avvicinarsi troppo a lui. Indossava una maglietta bianca e un giubbotto di pelle nero, il contrasto tra il suo abbigliamento semplice e la sua presenza minacciosa era evidente.

Aena osservò con attenzione, le labbra appena dischiuse sotto la maschera. «No, non è lui,» disse sottovoce.

Emion non continuò il discorso, limitandosi a fissare la scena con occhi glaciali.


── ⋆⋅❂⋅⋆ ──


Lorenzo Scala camminava lentamente per le vie del Parco dei Gigli, con le mani infilate nelle tasche della felpa grigia. I suoi pensieri erano ancora fissi sull'incontro appena avuto con Liceo, a cui aveva parlato di uno Stirpemista figlio di Tefine, che rappresentava una seria minaccia. Lorenzo sospirò, preoccupato. Gli sembrava strano che Aena non fosse presente, ma sapeva che doveva avere i suoi problemi per non essere lì.

Con i suoi occhi azzurri osservava le case intorno a sé, tutte piuttosto differenti, ma con piccoli dettagli che le rendevano simili. Lo Stirpemista si fermò davanti alla tredicesima, una struttura che, più delle altre, sembrava avvolta da un alone di oscurità.

Mentre camminava per proseguire oltre, la porta della casa si aprì e ne uscì un ragazzo sconosciuto.

Il cuore di Lorenzo saltò un battito.

I capelli scuri di Salix ondeggiavano lievemente mentre scendeva i gradini, i suoi occhi d'argento con riflessi rosati si posarono su Lorenzo con un sorriso che trasudava malignità.

Doveva essere lui. Lo stesso Stirpemista di cui avevano parlato.

Era il figlio di Tefine.

Salix lo osservò per un attimo, e il sorriso si fece più sottile, quasi divertito. Poi, senza dire una parola, si girò e si incamminò per la strada, lasciando Lorenzo paralizzato per qualche istante.

Le parole di Liceo riecheggiarono nella sua mente: "Questo Stirpemista figlio di Tefine... sembra pericoloso. Non fare nulla di sbagliato."

Lorenzo si costrinse a respirare profondamente e distolse lo sguardo dalla figura ormai distante di Salix. Il suo primo pensiero andò a Shirei, colui che probabilmente era dentro la Tredicesima Casa. Se il ragazzo era uscito senza scontri, significava che Shirei poteva essere in pericolo? Tuttavia, un forte presentimento lo fermò dall'agire di impulso. Il figlio di Cragar non poteva essere stato sconfitto in silenzio, o almeno così gli sembrava.

Il figlio di Tefine era privo di ferite, oltretutto.

"E se Shirei è dalla sua parte?"

Quel pensiero gli balenò in mente, bloccandolo. Ragionò per un momento sull'eventualità, ripensando al modo brusco con cui il figlio di Cragar aveva intenzione di risolvere il problema. A meno che non avesse recitato di proposito la parte e mentito, Shirei voleva fermarlo tanto quanto loro.

"Forse avrei dovuto fermarlo invece di rimanere fermo... e se ha innescato una trappola nella casa? I figli di Cragar potrebbero essere in pericolo."

Si morse le unghie delle dita, incapace di compiere una decisione. Da un lato, il buon senso lo spingeva a salvaguardare l'incolumità dei due Stirpemista a cui apparteneva l'edificio, dall'altro, era inconsciamente influenzato dall'avversione comune nei confronti della progenie del dio oscuro a non intromettersi e farsi i fatti propri.

Infine, mise un punto alla propria decisione. "Non l'ho fermato perché ero da solo e mi avrebbe sconfitto. Qualunque trappola mi metterebbe ugualmente fuorigioco. Non ha senso che io provi ad allenarvi."

Distolse lo sguardo dalla porta della casa e si ricordò di cosa doveva fare. C'era una ragazza che lo stava aspettando, una con cui avrebbe potuto anche menzionare l'incontro appena fatto. Lei era stata quasi vittima del figlio di Tefine, e Lorenzo voleva che dormisse sogni tranquilli.

Alzò lo sguardo verso la Nona Casa, dove vide una figura lontana che lo salutava con la mano.

Fece un passo verso di lei, deciso a lasciarsi momentaneamente alle spalle la minaccia incombente. Affrettò il passo, cercando di allontanare dalla mente la preoccupazione per Shirei e per non essere entrato nella tredicesima a verificare. Nonostante fosse immerso nei suoi pensieri, un sorriso affiorò sul suo viso quando vide la Stirpemista che lo aspettava davanti alla dimora dei figli di Corgi.

«Finalmente sei arrivato!» disse, salutandolo con un sorriso caloroso. «Pensavo ti fossi perso.»

Lorenzo le restituì un sorriso, cercando di mascherare la preoccupazione che ancora lo accompagnava. «No, scusa per il ritardo. Ho... avuto un contrattempo.»

«Di che si tratta? Qualcosa di importante?»

Il figlio di Ien esitò, cercando di scegliere le parole giuste. «Nulla di cui preoccuparsi,» mentì, «solo un breve incontro con... uno Stirpemista. Nulla di cui valga la pena parlare.»

Preferì omettere la verità solo per un altro po'. Era la cosa migliore da fare, specialmente considerando gli eventi passati.

Lei lo guardò per un momento, con un'espressione indecifrabile, poi scrollò le spalle. «Bene, allora! Andiamo, il laboratorio ci aspetta.»

Gli fece cenno di seguirla e Lorenzo, con un leggero sospiro di sollievo, si affrettò al suo fianco.

Camminarono insieme lungo i sentieri del Parco dei Gigli, circondati dal verde lussureggiante e dalle case che si allineavano ordinate su entrambi i lati. Il laboratorio era una delle cose che più rendeva felice Lorenzo; lì poteva dedicarsi alla creazione di nuove attrezzature e invenzioni, un modo per mettere al servizio della comunità la sua creatività e le sue abilità tecniche.

Mentre procedevano, il pensiero di Salix continuava a ronzare nella testa di Lorenzo. Non poteva ignorarlo, quello Stirpemista era un grosso problema. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione, ma per il momento, c'era qualcosa di più importante. Doveva mantenere la sua attenzione sul lavoro che avevano da fare.

Arrivati davanti alla porta del laboratorio, la Stirpemista si fermò e si voltò verso di lui.

«Non voglio parlare del figlio di Tefine, ma volevo solo chiederti di stare attento. Io credo che sia ancora qui.»

Lorenzo fece una piccola smorfia, poi annuì. «Lo farò.»

«Bene. Non mi hai mai detto esattamente cosa stai progettando ultimamente. C'è qualche nuova invenzione in corso?»

Lorenzo sorrise, grato per il cambiamento di argomento. «Sto lavorando a qualcosa che potrebbe davvero migliorare la nostra forza bellica. Un dispositivo che possa essere un'arma da fuoco per Stirpemista. Potrebbe aiutarci a evitare incontri spiacevoli.»

La ragazza lo guardò con un misto di ammirazione e preoccupazione. «Sembra qualcosa di grande, ma anche... pericoloso. Non hai paura che attiri attenzioni indesiderate?»

Lorenzo scrollò le spalle, minimizzando. «È per la sicurezza di tutti. E poi, non possiamo rimanere passivi, dobbiamo prepararci a ogni eventualità.»

Il laboratorio si avvicinava.

Lorenzo si sentì subito a casa, l'odore del metallo e degli ingranaggi era qualcosa che lo rassicurava, un contrasto netto con il caos del mondo esterno.

Mentre continuavano a camminare non poté fare a meno di tornare con la mente a ciò che era accaduto fuori dalla Tredicesima Casa. Nonostante volesse concentrarsi sulle sue invenzioni, il pensiero di Salix continuava a insinuarsi tra le sue riflessioni. Non poteva permettersi di ignorare il pericolo che quello Stirpemista rappresentava, non per lui, non per la ragazza al suo fianco.

«Ci sarebbe...» disse infine, interrompendo il silenzio che si era creato tra loro. «C'è una cosa che dovresti sapere. Prima di venire qui, ho incontrato qualcuno. Un ragazzo che credo essere il figlio di Tefine.»

Lei si irrigidì, le sue mani si fermarono a mezz'aria.

«Era fuori dalla Tredicesima Casa. Non ha fatto nulla, solo un sorriso... ma sento che qualcosa non va..»

I due continuarono a rimanere in silenzio, l'ombra del ragazzo si allungava su di loro come una minaccia incombente.

«Ne hai parlato con il rettore?»

«Non ancora, ma sono appena tornato dalla Grande Dimora. Credo che le ispezioni cominceranno a breve.»

«Allora non pensiamoci, adesso,» concluse la ragazza accanto a lui, «sono sicura che Liceo e la divina Aena risolveranno tutto.»

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