1. PRIMO INCONTRO
Due anni dopo.
«Marina? Ehi Marina! È tardi!» chiamò una voce maschile.
La ragazza dai capelli biondi si svegliò a fatica, illuminata dalla luce che penetrava dalle finestre. Le tende erano già state aperte, segno che qualcuno si era svegliato prima di lei. Lentamente si alzò, rimanendo seduta sul letto a stropicciarsi gli occhi che ancora non erano capaci di mettere a fuoco. La voce apparteneva al suo fratellastro, almeno quello lo aveva capito.
«Che ore sono?»
«Le nove e mezza del 23 ottobre 2021, non dovevi fare lezione ai nuovi arrivati oggi?» replicò il ragazzo.
«Non mi serviva anche il giorno...»
Sbadigliò, forse sonnecchiava ancora.
Pian piano, la scena si fece più nitida e Marina poté ammirare con fastidio una delle camere della casa numero sette. La stanza era piuttosto semplice, dopotutto doveva richiamare lo spirito di un parco, dunque troppa sofisticatezza avrebbe dato nell'occhio. L'intera struttura era stata costruita con travi di legno, progettata per ricreare quell'effetto. Molti dei suoi fratellastri non ci badavano, ma Marina, grande appassionata di architettura, sognava di studiarla all'università, un giorno, e ottenere una laurea mortale per praticare quel lavoro.
«Terra chiama Marina, mi hai sentito?» chiese nuovamente il fratellastro.
Lo sguardo della ragazza vagò per la camera: tutti gli altri letti a castello erano già stati sistemati a dovere. La parte centrale della camera era occupata da una serie di scrivanie disposte a formare un rombo, dove Lorenzo Scala la aspettava con sguardo preoccupato. Il ragazzo era uno Stirpemista come lei, condividevano la stessa madre, dunque erano soliti definirsi fratellastri. Marina rimase un momento a contemplare il volto del ragazzo. Il biondo dei suoi capelli creava un contrasto con i brufoli adolescenziali che spuntavano sul suo viso come paparazzi davanti a una sfilata di superstar. Finalmente, gli occhi azzurri del ragazzo incrociarono i suoi.
«Ah, allora ci sei! Guarda che mi hai fatto preoccupare.»
«Scusa, Lore,» disse stiracchiandosi, «mi sono un attimo distratta.»
Lo Stirpemista fece un'espressione preoccupata. «Hai avuto qualche incubo?»
Marina scosse la testa con un lieve sorriso prima di rispondere: «No, tranquillo.»
«Menomale.»
Il volto della ragazza si spostò nuovamente ad osservare la finestra esterna.
Era accecata dalla luce.
Per i suoi occhi ancora addormentati, non sembrava essere qualcosa di anomalo ma, non appena il suo cervello cominciò ad attivarsi, Marina capì di essere nei guai.
«C'è tanta luce per essere l'alba...» commentò distrattamente.
«Non è l'alba, te l'ho detto.»
La Stirpemista spalancò gli occhi cerulei e quasi cadde mentre scendeva dal letto. Fece una rapida corsa fino a raggiungere la finestra, dove poté ammirare il paesaggio del Parco dei Gigli costellato di ragazzi. Marina rimase per un momento immobile e inspirò a fondo, poi guardò in basso per valutare il proprio abbigliamento.
Era in pigiama.
Senza dire una parola, si precipitò accanto al letto e aprì l'armadio.
Lorenzo guardò la sorellastra tentando di mascherare una risata. «Marina,» la chiamò, ma la Stirpemista non lo calcolò di striscio e afferrò i vestiti in fretta.
Una volta assicuratasi di non aver dimenticato nulla, corse in bagno a vestirsi. La piccola stanzetta bianca, dalle dimensioni di un ripostiglio, non era minimamente adatta ad ospitare le otto coinquiline di quella camera. Solitamente Marina evitava di usarlo e ne approfittava per sfruttare uno di quelli presenti alla Grande Dimora, tuttavia l'emergenza richiedeva che si sbrigasse. La ragazza si tolse velocemente il pigiama, costituito da un top azzurro con un motivo creato da tanti ananas stampati, e dei semplici pantaloni bianchi. Dopodiché, afferrò i suoi vestiti: un jeans chiaro e una maglietta bianca, a cui aggiungere una felpa grigia a zip con un sette scritto sul retro. Era il vestiario che la identificava come membro della Settima Casa, ossia semidei figli di Ien. Infilò rapidamente i jeans e osservò per un secondo la maglietta. Il suo sguardo cadde casualmente davanti a sé e, di conseguenza, sulla sua figura riflessa allo specchio, facendola rabbrividire leggermente.
Era sempre stata consapevole del suo fisico. Le sue compagne di stanza commentavano spesso le sue forme, dicendo di invidiarla per la sua bellezza. Gli Stirpemista che la conoscevano per la prima volta ipotizzavano fosse una figlia della dea della bellezza, sebbene fosse l'esatto contrario. Il problema del suo corpo erano le miriadi di microscopiche cicatrici e lividi dipinti sulla sua pelle rosata. Le osservava sempre con tristezza. Erano la dimostrazione dei suoi anni trascorsi al parco e di tutte quelle volte in cui era riuscita a sopravvivere contro i mostri. Per Stirpemista come i figli del dio della guerra, sarebbe un motivo di vanto, ma per Marina non era così. L'unica cosa che desiderava davvero era poter vivere una vita come una persona normale.
"Non ha senso continuare a perdere tempo" disse a sé stessa con sguardo triste.
Indossò rapidamente la maglietta e uscì dal bagno. Lorenzo era ancora ad aspettarla con una barretta energetica in bocca. Quando la vide, si affrettò a dare un morso e a masticare.
«Pensavo fossi morta,» la canzonò.
Marina roteò gli occhi. «Prima di parlare, ingoia. Finirai solo per strozzarti,» rispose, avviandosi verso la porta, «e non ti salverò di nuovo.»
«Ricevuto.»
La Stirpemista sorrise, prima di lanciare un'occhiata all'orologio appeso al muro sopra la porta, e sussultare. Aveva solo cinque minuti. Indossò rapidamente le sue sneakers poi, senza nemmeno salutare il suo fratellastro, si lanciò fuori dalla camera. Lorenzo ingoiò velocemente e le urlò dietro.
«Marina! Ehi! Guarda che ti ho portato la colazione dalla mensa!»
Passarono alcuni secondi di silenzio, finché Lorenzo non perse le speranze e si accasciò su una delle sedie. Proprio in quel momento, Marina rientrò nella stanza, bevve il latte e rubò alcuni biscotti prima di scappare via nuovamente come un fulmine. Il figlio di Ien rise, lanciando un'occhiata ai biscotti rimanenti.
«Non cambierà proprio mai.»
Marina uscì dalla Settima Casa e cominciò a correre verso sud. Per gli Stirpemista era comune vedere qualcuno sfrecciare da una parte all'altra del parco, quindi nessuno fece caso a lei.
Era di nuovo il periodo del mese in cui nuovi Stirpemista venivano portati al Parco dei Gigli. Quel posto era dedicato a tutti coloro nelle cui vene scorreva sangue divino, un luogo situato in una dimensione parallela rispetto al comune mondo mortale. Era successo lo stesso anche a lei, sua madre l'aveva fatta apparire durante una giornata gelida alle porte della casa della sua famiglia. Dopo un'infanzia piuttosto sofferta, Marina aveva scoperto la verità su sé stessa. Infine, dopo aver viaggiato quasi tutta l'Italia, aveva abbandonato il mondo mortale ed era giunta nell'Altrimondo, pronta ad addestrarsi per il futuro.
La ragazza attraversò rapidamente le rimanenti case e si incanalò lungo uno dei sentieri nel bel mezzo della foresta, fino a raggiungere la classe, ovvero una semplice capanna. Entrò ancora correndo e miracolosamente non inciampò, aveva il fiato corto nonostante i continui allenamenti a cui veniva sottoposta. La capanna era gremita di nuovi Stirpemista, tutti circa della stessa età. I ragazzi erano in gran fermento, ma abbassarono gradualmente la voce quando la videro entrare. Marina riprese controllo del proprio respiro e cominciò a parlare.
«Buongiorno a tutti, benvenuti al Parco dei Gigli,» disse con un sorriso. «Io sono Marina e oggi mi occuperò di darvi una presentazione di questo posto.»
Una bambina la interruppe: «Ma non sei troppo piccola? Quanti anni hai?»
«Ne ho sedici. So di essere giovane, ma sono qui da molto tempo, potremmo dire che sono del posto.»
La sua risposta non sembrò convincere i presenti, probabilmente si aspettavano qualcuno di più adulto. Marina distolse leggermente lo sguardo, non poteva sicuramente spiegargli subito che la vita media degli Stirpemista si aggirava sui vent'anni. Entro quell'età finivano vittima dei mostri, l'unica opzione per vivere al sicuro era rimanere al Parco dei Gigli come membro dello staff. La situazione venne interrotta dalla presenza di un uomo alla porta.
«Ci sarebbe un altro ragazzo da aggiungere oggi,» disse caldamente.
«Signor D'Agostini...!» sussurrò la Stirpemista prima di ricomporsi.
«Va bene anche solo Liceo, cara Marina.»
«Mi scusi,» allargò un braccio in segno di invito. «Prego, lo faccia pure entrare.»
Il signor D'Agostini si voltò alla ricerca del nuovo arrivato con espressione confusa, sembrava non essere nei paraggi. Marina osservò lo Stirpemista sulla quarantina che si stagliava nel chiarore della giornata. Alto quasi due metri, aveva un portamento fiero ma leggermente piegato in avanti. I suoi occhi, scuri come la notte, brillavano dietro gli occhiali dalla montatura metallica, che gli conferivano un'aria intelligente. I capelli grigiastri, lunghi e scompigliati, donavano al suo volto un'apparenza selvaggia, con una barba folta a coprire parte del suo viso. Nonostante il caldo di prima mattina, indossava un impeccabile completo. Emanava un'aura intensa, attirando lo sguardo e la curiosità dei più giovani nelle vicinanze.
«Ah, eccoti,» disse alzando le sopracciglia, «non c'era bisogno di allontanarsi.»
Liceo allungò il braccio e lo posò dietro le spalle del nuovo arrivato. Gli Stirpemista si ammutolirono non appena fu all'interno del loro raggio visivo, Marina non disse una parola. Il suo sguardo si fermò sul silenzioso ragazzo, alto quasi quanto il signor D'Agostini, con una figura snella che trasmetteva un'aria di mistero. I capelli neri, di media lunghezza, cadevano fino agli zigomi. Il suo viso era pallido e chiarissimo, quasi come se raramente vedesse la luce del sole. Quello che più colpiva era il suo sguardo, degli occhi di un viola intenso, profondi e magnetici. Indossava una maglietta nera, coperta da una felpa aperta del medesimo colore, abbinata a dei jeans e delle blazer, completando il suo stile con un anello alla sua mano destra.
La Stirpemista non poté fare a meno di notare la differenza nell'aura emanata rispetto a Liceo D'Agostini. Mentre quest'ultimo irradiava autorità e responsabilità, lo sconosciuto aveva un'aura estremamente calma, quasi vuota. Nonostante ciò, gli Stirpemista più giovani mostravano spontaneamente rispetto nei suoi confronti, quasi come se ne avessero paura. Il ragazzo fece un cenno con la testa nella sua direzione.
«Prego...» indicò Marina, quasi senza parole, «puoi andare pure a sederti là in fondo.»
Lo Stirpemista seguì con lo sguardo la sua mano e si avviò. Voleva approfittarne per sbirciare il retro della sua felpa, ma Liceo la distrasse.
«Marina, posso parlarti un momento?»
«Certamente,» rispose la Stirpemista dai capelli biondi.
L'uomo si avviò velocemente verso l'esterno della capanna e la aspettò dove gli altri non potessero sentire. Anche da fuori, Marina avvertì le voci stupefatte dei bambini e cominciò a temere che i suoi dubbi fossero realtà.
«Cosa deve dirmi?» chiese curiosa.
«Quel ragazzo... proviene dall'Accademia dei Narcisi. Dicono che sia scomparso per anni prima di riapparire qui vicino pochi giorni fa. Da allora, non ha parlato con nessuno di cosa gli è accaduto e sembra perfino non ricordare nulla.»
«Vuole che lo tenga d'occhio?»
Il signor D'Agostini annuì. «Esattamente, mi faresti un enorme favore. Lo farai?»
«Certo, lo consideri fatto.»
«Grazie.»
Il signor D'Agostini entrò nuovamente nella classe per salutare, facendo così perdere alla ragazza la possibilità di fargli la fatidica domanda. Liceo alzò la mano in segno di saluto e disse: «Ascoltate attentamente, semidei...» ci fu una breve pausa, «Anche tu, Shirei,» aggiunse con un cenno al ragazzo misterioso. «Buona lezione.»
L'uomo salutò Marina con un sorriso e si allontanò. La Stirpemista tornò all'interno e immediatamente si bloccò; sentiva gli occhi del nuovo studente, il cui nome doveva essere Shirei da quello che aveva capito, fissati addosso. Si voltò di colpo per sfuggire alla tremenda sensazione e mascherò quel suo gesto istintivo prendendo una matita da usare come anti-stress.
«Bene!» disse dopo essere tornata a guardare i suoi studenti. «Adesso che ci siete tutti, possiamo cominciare con la spiegazione. Siete pronti?»
Un bambino alzò la mano.
«Sì? Cosa vorresti chiedere?»
«Che cosa ci spiegherai oggi? Gli altri ragazzi ci hanno detto che qui ci alleniamo a combattere.»
Marina sorrise, cercando di ignorare lo sguardo di Shirei. «Sì, ma voi ancora non sapete come mai vi trovate qui. Per questo ci sono io a spiegarvelo,» prese una pausa per deglutire. «Facciamo così: prima ve lo spiego, poi, se avete domande, ne discutiamo insieme. Ok?»
Nessuno disse nulla, quindi lo prese come un gesto di assenso. Furtivamente lanciò un'occhiata allo Stirpemista dagli occhi viola e notò il suo sguardo puntato verso l'esterno della capanna. La sua maglietta nera preoccupava ancora Marina, poiché ne aveva vista già una simile. Al Parco dei Gigli, ogni casa aveva un proprio colore e numero identificativo. Il nero, spesso associato al numero tredici, portava sempre e solo problemi. Scacciò rapidamente quei pensieri dalla propria testa e tornò al suo discorso.
«Allora, prima di tutto, voi siete degli Stirpemista.»
«Non semidei?»
«No, Stirpemista,» si fermò, aveva pure chiesto di attendere con le domande. «Questo cosa significa? Che uno dei vostri genitori è un Celestiale, le divinità dell'ultima generazione. Spesso tendono a discendere dall'Altomondo e avere relazioni con gli esseri mortali, poiché non possono averne fra di loro; se lo facessero, comincerebbe automaticamente una nuova generazione e gli dèi correnti dovrebbero abbandonare le proprie maschere.»
«Quindi, qui ci sono anche persone non umane?»
«Diciamo che il termine Stirpemista sta a indicare tutti i figli di un dio e di un mortale, di qualunque stirpe essi siano. Nell'ultimo decennio, è diventato un evento più che raro conoscere qualche Stirpemista figlio di una divinità e una creatura, ma la risposta è sì.»
Prese una breve pausa. «Dovete ricordare che noi siamo speciali, perché non è possibile concepire degli ibridi, una prole tra due stirpi differenti. Solo gli dèi possiedono questa capacità.»
«Quindi, per esempio, umani ed elfi non possono avere figli?»
Si stava allontanando troppo dall'argomento. «Certo che sì, ma non possono concepire degli Stirpemista, solo figli umani e figli elfi.»
Un ragazzo alzò la mano, ma Marina lo fermò prima che potesse parlare.
«Non c'è bisogno di preoccuparvi di questo, per adesso,» disse con un sorriso. «Ciò che dovete sapere è che, svariati anni fa, uno dei più importanti Stirpemista dell'epoca moderna è riuscito ad avere un incontro con gli dèi e convincerli a una promessa.»
Lo sguardo di Shirei tornò a posarsi su di lei, facendola sussultare. «Da allora quest'ultimi si sono impegnati a segnalare ogni proprio figlio, in modo che possa essere condotto qui, al Parco dei Gigli, oppure all'Accademia dei Narcisi.»
Gli Stirpemista sembravano attentissimi a non perdere nessun dettaglio di quella spiegazione. Marina non era abituata a quell'attenzione, ma era concentrata di più sul misterioso nuovo arrivato. Scrutò il suo volto dopo aver menzionato l'accademia, ma non lasciava trapelare alcuna emozione oltre la calma. Con un sospiro, si decise a continuare.
«Questo è successo anche a voi, non è così? Un giorno avete trovato per caso una piccola maschera veneziana, poi altri Stirpemista si sono presentati a casa vostra e vi hanno portato qui. È perfettamente normale. Se non vi hanno ancora detto l'identità del vostro genitore divino, verrete smistati all'edificio principale: la Grande Dimora. Se, invece, conoscete la divinità a cui appartenete, allora verrete condotti alla vostra casa, una delle ventiquattro del Parco dei Gigli. Di solito, però, riusciamo a distinguere un genitore tramite la maschera che lasciano quando vengono a trovarvi nel mondo mortale.»
Marina si avvicinò alla lavagna e cominciò a scrivere, dopo aver finito, posò il gesso e si spostò in modo che tutti potessero leggere.
«Questi sono i nomi degli dèi dell'ultima generazione. Non ci penso nemmeno a dirveli tutti, tanto non li ricordereste comunque. Vi basta sapere questo,» indicò il primo nome sulla lista, «ci sono dodici divinità maschili e dodici femminili. Emion è il re degli dèi e governa assieme a loro dall'Altomondo, una sorta di paradiso. Sebbene siano tutti allo stesso livello, ci sono divinità più potenti di altre. I figli di sei di loro sono definiti Eredi Proibiti e-»
Una ragazzina non riuscì a resistere e chiese: «Come mai?»
«Non sta a me raccontarvelo, ma capisco la curiosità. Avete presente le guerre mondiali? Si dice che nella seconda abbiano partecipato anche alcuni Stirpemista molto potenti e ci siano stati scontri che hanno portato alla morte di molte persone. Da allora...» tornò a indicare sulla lavagna, «Emion, Idur, Cragar, Aena, Nivia e Cechela si sono dati una "regolata", diciamo, per il bene comune. Vi interesserà anche sapere che non tutti hanno mantenuto la promessa.»
Nella capanna regnò per qualche minuto il silenzio. Marina stava provando a capire meglio che persona fosse Shirei, ma il ragazzo non lasciava trasudare emozioni. Solo una cosa diventava sempre più certa nella mente della figlia di Ien, l'identità del suo genitore divino.
Alcuni Stirpemista guardarono Marina, che rispose con un sorriso imbarazzato.
«Credo di aver perso un momento il filo del discorso, dove eravamo?» non riuscì a trattenere una risatina nervosa. «Giusto, il parco. Qui studierete la storia passata e sarete addestrati a sopravvivere anche in situazioni di pericolo. Vi ho già detto che dovete essere riconosciuti. È un momento molto importante per voi, perché avrete modo di manipolare la magia, ma è molto importante che non succeda troppo presto, perché i mostri che vagano per i mondi saranno capaci di fiutarvi da quel momento in poi.»
«Cosa vogliono da noi?» chiese una ragazzina spaventata.
Non c'era altro modo per dirlo, doveva essere chiara. «Ucciderci,» rispose secca, «sembrano essere programmati solo per questo. Ma potete stare tranquilli, i mostri non possono entrare qui.»
«Perché?»
La Stirpemista dai capelli biondi sorrise. «Questo posto è sotto la diretta protezione della divina Aena. I limiti del parco sono segnalati da una barriera che non permette il passaggio ai mostri, quindi siamo al sicuro.»
Calò il silenzio generale, il discorso di Marina non sembrava aver fatto il suo effetto. La ragazza abbassò lo sguardo prima di fingere un sorriso.
«E poi cosa succederà?» chiese un ragazzino in prima fila.
«Compiuti i diciannove anni, potrete scegliere di entrare a far parte dello staff del parco, recarvi all'Accademia dei Narcisi per continuare gli studi, candidarvi come guerrieri dell'esercito divino, oppure andare per la vostra strada. Noi cerchiamo di preparavi a qualunque di queste scelte.»
Sembrava essere riuscita a convincerli.
«Adesso devo proprio andare, tra cinque minuti arriverà un istruttore che vi farà fare il giro del parco in modo che possiate raggiungere i vostri alloggi. Aspettatelo qui, per favore.»
Lo sguardo della bionda incontrò quello vuoto del ragazzo misterioso, istintivamente lei lo distolse e si affrettò ad andarsene. Solo dopo trenta secondi si girò, maledicendosi.
Liceo aveva chiesto di tenerlo d'occhio.
Tornò all'interno della capanna in trambusto, cercando di mantenere un sorriso.
«Shirei, potresti veni-» si interruppe, vedendo il posto vuoto.
Era scomparso.
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